impurità Termine con cui in storia delle religioni si indica lo stato in cui, secondo idee largamente diffuse nelle religioni primitive e superiori, l'individuo o il gruppo può venire a trovarsi sia in seguito all'infrazione diretta di un tabù, sia per il contatto con qualcuno o qualcosa già resosi impuro (l'i., infatti, è contagiosa: cfr. il concetto greco del miasma), sia, infine, per effetto di determinate condizioni naturali, anche inevitabili. L'i. compromette la normale vita sociale e cerimoniale. Per la sua eliminazione si ricorre a riti di purificazione.
Tra le fonti naturali dell'i. le più diffuse sono: il caso di morte, che presso certi popoli rende impuro tutto l'abitato, ma comunque impone di evitare il contatto con il cadavere, con i congiunti e con gli oggetti di proprietà del morto; la nascita (i. della puerpera, del neonato, della casa, ecc.); la mestruazione, le malattie. Le infrazioni di tabù sono molteplici, a cominciare dal contatto sessuale illecito o dal mangiare cibi proibiti, fino al contatto con cose o persone sacre (per es., il re). I riti di purificazione ricalcano per lo più le forme della pulizia o della purgazione (abluzioni, fumigazioni, bagni di sudore, cambiamento di vesti, digiuni, ecc.), ma possono consistere anche in altri procedimenti (formule, medicine, sacrifici, confessione dei peccati, ecc.).