Rapporto che si stabilisce fra più persone attraverso un vincolo materiale o spirituale che le unisce.
La c. (artt. 1100 ss. c.c.) si ha quando la proprietà o altro diritto reale su una cosa spetti a più soggetti insieme. Tale situazione può avere origine volontaria, cioè in un accordo dei partecipanti, legale, se il suo titolo stia nella legge, ovvero incidentale, quando sia dovuta a circostanze fortuite, come avviene per es. nella successione a causa di morte in conseguenza della chiamata di più eredi o legatari. Ognuno dei partecipanti ha una quota, che si presume uguale a quella degli altri, se non risulta diversamente dal titolo. In proporzione all’entità della quota di partecipazione si distribuisce anche l’eventuale carico delle spese e degli altri pesi, così come si determina la misura del godimento della cosa. Ciascuno dei partecipanti ha diritto di concorrere all’amministrazione della c. e i relativi atti sono deliberati a maggioranza assoluta (calcolata secondo il valore delle singole quote) se di ordinaria amministrazione, ovvero con una maggioranza qualificata se eccedenti l’ordinaria amministrazione, salvo alcuni casi (alienazione, costituzione di diritti reali sulla cosa comune) che richiedono il consenso di tutti i partecipanti. Tali deliberazioni vincolano i dissenzienti, ma in casi eccezionali ne è consentita l’impugnazione davanti all’autorità giudiziaria.
Lo stato di c. non pregiudica la possibilità che il singolo disponga del proprio diritto o ceda ad altri il godimento della cosa nei limiti della propria quota. Spetta inoltre a ciascun partecipante il diritto di chiedere in ogni momento lo scioglimento della c.; e il patto di rimanere in c. per un certo tempo non può limitare quel diritto per una durata superiore a 10 anni, lasciando, del resto, salva la possibilità che, per gravi motivi, l’autorità giudiziaria ordini lo scioglimento prima del tempo stabilito. Lo scioglimento non può, tuttavia, essere chiesto quando si tratti di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate. Quando esso è possibile, si attua attraverso la divisione, preferibilmente in natura, e seguendo, in quanto applicabili, le norme relative alla divisione dell’eredità. Secondo la dottrina prevalente è da escludere che la c. sia dotata di una propria soggettività, che possa, cioè, essere considerata persona giuridica. È, però, innegabile, almeno in alcune materie, l’esistenza di un interesse comune del gruppo, con la conseguenza che i poteri esercitati mediante decisioni di maggioranza, sono poteri del gruppo.
È uno dei modi di regolamento convenzionale dei rapporti patrimoniali tra coniugi. È stato disciplinato in modo nuovo e completo dalla l. 151/1975, contenente il nuovo regime patrimoniale della famiglia, nell’ambito del nuovo diritto di famiglia, il quale ha inteso portare la posizione morale e giuridica della donna al medesimo livello di quella dell’uomo, valorizzando così il lavoro domestico e professionale della donna.
La c. dei beni tra coniugi comprende solo gli acquisti effettuati dall’uno o dall’altro coniuge durante il matrimonio, esclusi i beni personali o derivanti da donazione o successione per causa di morte, nonché gli utili e i redditi che non siano esistenti all’atto dello scioglimento della c. (art. 177 e 179 c.c.). L’amministrazione dei beni della c. è affidata disgiuntamente a entrambi i coniugi, ma gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e i contratti con cui si concedono o si acquistano diritti personali di godimento devono essere compiuti congiuntamente da entrambi i coniugi (art. 180 c.c.). Può essere escluso dall’amministrazione con provvedimento del giudice il coniuge minorenne, quello che non può amministrare o quello che ha amministrato male. È escluso di diritto il coniuge interdetto (art. 183 c.c.). Sulla c. gravano tutti i pesi e gli oneri che già vi gravavano al momento dell’acquisto; i carichi dell’amministrazione; le spese per l’istruzione e l’educazione dei figli e ogni altra obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell’interesse della famiglia; ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi. I creditori particolari di uno dei coniugi, anche per crediti sorti anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della c. fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Inversamente, i creditori della c. possono soddisfarsi sui beni personali di ciascuno dei coniugi, in via sussidiaria, nella misura della metà del credito, quando i beni della c. non sono sufficienti (art. 186, 189, 190 c.c.).
La c. si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi; per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio; per la separazione personale; per la separazione giudiziale dei beni; per mutamento convenzionale del regime patrimoniale; per il fallimento di uno dei coniugi (art. 190 c.c.). Alla separazione giudiziale dei beni si perviene (art. 193 c.c.) in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi, per cattiva amministrazione della c., per il pericolo che deriva dal disordine degli affari di uno dei coniugi o dalla sua condotta nell’amministrazione dei beni o dalla mancata contribuzione da parte di uno dei coniugi ai bisogni della famiglia in misura proporzionata alle proprie sostanze e capacità di lavoro.
Si ha c. ereditaria quando la proprietà o altro diritto reale su una cosa spetti a più soggetti insieme, in conseguenza della chiamata di più eredi o legatari nella successione a causa di morte. La divisione ereditaria è l’atto con il quale si scioglie la c. ereditaria, che sorge nel caso in cui vi siano più eredi del patrimonio del defunto (v. Erede e eredità). Può essere domandata da uno qualunque dei coeredi salvo che fra essi non sia stato convenuto di rimanere in c. per un certo periodo (non superiore a dieci anni) e salvo che il testatore non abbia disposto lo stato di c. sino a che non sia trascorso un periodo non eccedente il quinquennio dalla sua morte o sino a che non sia trascorso un anno dalla maggiore età dell’ultimo dei minori istituiti eredi. Anche in queste ultime due ipotesi, tuttavia, l’autorità giudiziaria può, su istanza di uno dei coeredi e per giustificati motivi, disporre che la divisione si effettui immediatamente o dopo un termine minore di quello stabilito dal testatore. La legge, inoltre, dispone (art. 715 c.c.) che la divisione non può aver luogo, quando fra i chiamati alla successione si trova un concepito, prima della sua nascita, ovvero quando si trovi pendente un giudizio sulla legittimità o filiazione naturale di qualcuno che, in caso di esito favorevole del giudizio, sarebbe chiamato a succedere. La divisione deve avvenire preferibilmente in natura, a meno che si tratti di cose le quali, se divise, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate, e deve essere preceduta dalla formazione della massa ereditaria e dalla stima dei beni. Il testatore può stabilire, per la formazione delle porzioni, particolari norme vincolanti per gli eredi, e può disporre che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata che non sia erede o legatario. Una volte avvenuta la divisione, ciascun erede è reputato solo ed immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari (art. 757 c.c.), con la conseguenza che si trasferisce sui beni l’eventuale ipoteca accesa su altri beni della comunione. I coeredi si debbono reciproca garanzia per l’evizione e le molestie, ma relativamente a quelle derivanti da cause anteriori alla divisione a meno che la garanzia sia stata esclusa con clausola espressa nell’atto di divisione. La divisione può essere effettuata d’accordo fra le parti (divisione amichevole) o essere realizzata tramite l’autorità giudiziaria (divisione giudiziale). Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile, ma se non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore.
La c. tacita familiare si ha (ma il caso ricorre sempre più di rado) nell’esercizio dell’agricoltura quando una famiglia di coltivatori diretti del fondo mantiene indiviso un patrimonio derivante da successione ereditaria o anche da acquisti diretti, rimanendo unita sotto lo stesso tetto e alla stessa mensa, e conferendo il proprio lavoro in comunanza di perdite e di guadagni (zone tipiche: Abruzzo, Emilia, Marche, Toscana, Umbria, Veneto). Ha la caratteristica di essere insieme una famiglia e una piccola impresa. Come famiglia le si applicano le norme del codice civile (matrimonio, principi in tema di comunione di beni, collazione, successione ereditaria, ecc.), come piccola impresa le si applicano le consuetudini vigenti nelle diverse zone. Il patrimonio vecchio, costituente il nucleo originario della c. si divide secondo il diritto comune a seconda dei casi, successioni a causa di morte, società, ecc., e il patrimonio nuovo, rappresentato dal frutto del lavoro comune e dell’investimento dei capitali originari, si divide secondo gli usi locali. Questi, tuttavia, non possono essere in contrasto con le norme di cui all’art. 230-bis c.c. La c. tacita familiare, infatti, prima della riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975, n. 151) era regolata dall’art. 2140 c.c., il quale è stato però abrogato dalla citata legge di riforma (art. 205) e la disciplina dell’istituto è stata rinviata a quella dell’impresa familiare.
In senso religioso c. è il vincolo che unisce l’uomo a una potenza superiore e, attraverso questa, gli uomini fra di loro. Essa può avere come centro una ‘cosa sacra’, una divinità, un uomo vivo o defunto; comunque costituisce la base della ‘comunità’, in cui la vita è una e indivisibile, talché l’esserne separato è privazione di vita. Tipi di società, o associazioni, fondate su questa c. sacra sono l’unione matrimoniale e la famiglia, quindi la gente e qualsiasi piccola o grande comunità o società, ma anche la città, lo Stato, la nazione e l’intera umanità. Anche quando la comunità si secolarizza in organismo politico, il carattere sacro del vincolo si conserva: così per es. nella polis, tutelata dai suoi dei, come laddove tale sacralità si accentra nella persona del sovrano ed è coscienza di una civiltà e di ideali comuni a un gruppo o universalmente umani, da mantenere, difendere, promuovere.
Alcuni distinguono la c. con i defunti da quella con la divinità e questa in individuale (ottenuta mediante estasi, sogno o simili fenomeni, spontanei o provocati), istituzionale o sociale (attuata da maghi, re, sacerdoti ecc., per conto del gruppo e mediante riti e pratiche ascetiche) e personale (raggiunta con la preghiera, l’ascetismo, la contemplazione). Di fatto i modi in cui si può attuare la comunione c. sacra, così con i defunti come con la divinità concepita impersonalmente o personalmente, sono diversissimi e numerosissimi, includendo tutte le forme in cui si può prestare il culto. Particolare rilievo è stato dato al ‘sacrificio di c.’, pasto in comune, al quale si crede che il dio stesso partecipi o che vi sia mangiato (teofagia), in quanto identico con l’animale sacrificato e ingerito. Anche il sacrificio «di offerta» stabilisce un contatto tra l’offerente e il dio ricevente, assumendo per es. grande importanza nella c. con i defunti in Cina, precisamente in quanto stabilisce o mantiene il vincolo che unisce il trapassato con i viventi.
comunione C. dei santi È il vincolo strettissimo per il quale tutti i credenti in Cristo, vivi e defunti, formano un solo corpo in Gesù Cristo, così che ognuno profitta di tutto il bene che è e si fa nel corpo stesso, cioè nella Chiesa universale, intesa appunto come ‘corpo mistico’ di Cristo. Da tale c. sono esclusi tutti coloro che amano il peccato, i dannati, gli infedeli, gli eretici, apostati e scismatici e gli scomunicati; non sono esclusi i peccatori, che si riconoscono tali e ripudiano i loro peccati.
comunione C. eucaristica È la partecipazione reale al mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo, con la quale il fedele, sotto le caratteristiche sensibili del pane e del vino, cioè le specie eucaristiche, riceve il corpo e il sangue di Cristo. Essa produce come effetti l’unione del fedele con Cristo e con il suo corpo mistico ed è pegno della vita e della gloria eterna promessa da Cristo. Ministri ordinari della c. sono il sacerdote (vescovo o presbitero) e il diacono; straordinario è l’accolito o anche un altro fedele, ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri. Ogni ministro, nel distribuire la c. deve seguire il proprio rito, mentre i fedeli possono essere anche di altri riti. Soggetto capace di ricevere con frutto la c. è ogni persona vivente e battezzata; secondo il rito latino, deve possedere l’uso della ragione in modo che possa rendersi conto del sacramento; secondo gli altri riti orientali, la c. è data congiuntamente con il battesimo, anche agli infanti e ai bambini, che non abbiano ancora questo uso della ragione, perché si accentua il valore di dono gratuito. Il fedele deve essere pienamente incorporato alla Chiesa cattolica ed essere in stato di grazia (senza coscienza di peccato mortale); sono pure importanti lo spirito di raccoglimento e di preghiera, l’osservanza del digiuno prescritto (astinenza, da un’ora prima della c., da cibo o bevanda, eccettuate l’acqua naturale e le medicine) e l’atteggiamento del corpo (gesti, abiti) in segno di rispetto a Cristo.
Nel rito latino, dall’11° sec., è prevalso l’uso di distribuire il solo pane nella c., poiché Cristo è presente tutto e intero in ciascuna specie eucaristica e in ciascuna sua parte. La c. sotto le due specie è rimasta nelle Chiese orientali, unite o separate da Roma. Il concilio Vaticano II, con la Costituzione sulla sacra Liturgia (1963), ha ripreso, in parte, l’uso della c. sotto le due specie «sia ai chierici e religiosi sia ai laici, in casi da determinarsi dalla Sede Apostolica e secondo il giudizio del Vescovo».
La “partecipazione” all’acquisto del coniuge non acquirente al vaglio delle Sezioni Unite di Arianna Scacchi