Molto in generale, il termine successione indica un fenomeno squisitamente giuridico per il quale un soggetto subentra ad altro soggetto in un complesso di rapporti giuridici patrimoniali ovvero in un rapporto giuridico patrimoniale singolo, restando oggettivamente inalterata la loro natura. Siffatta successione di una persona a un’altra si determina sia a causa di morte sia per trasferimento tra vivi. Il termine successione è usato soprattutto con riferimento alla successione per causa di morte (o successione mortis causa), che produce il trasferimento di diritti patrimoniali dal defunto (de cuius) al successore. La successione è disciplinata dal libro II del codice civile, di cui numerosi articoli sono stati modificati con l. n. 151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia. Essa può aver luogo nell’intero asse ereditario, cioè nella complessiva situazione patrimoniale propria del de cuius, e si dice successione a titolo universale, o in una quota della medesima (quando gli eredi siano più di uno) ovvero in uno o più rapporti giuridici patrimoniali determinati e si dice successione a titolo particolare. Nel primo caso la persona che succede assume la qualità di erede e subentra, per intero o in ragione di una quota, nella posizione giuridica del defunto, dei cui diritti assume la titolarità e dei cui obblighi patrimoniali (debiti) diviene responsabile; questo porta a una confusione dei due patrimoni, del defunto e dell’erede, alla quale quest’ultimo può sottrarsi o rinunciando all’eredità o accettando la medesima con beneficio d’inventario. Nella successione a titolo particolare la persona che succede assume la qualità di legatario e subentra, come ogni successore a titolo particolare nei trasferimenti tra vivi, in rapporti giuridici determinati: il legatario, per questa sua particolare posizione, deve chiedere comunque all’erede il possesso della cosa legata. La legge disciplina con disposizioni generali l’apertura della successione, la delazione ereditaria e l’acquisto dell’eredità.
La successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto (art. 456 c.c.). A seguito dell’apertura il complesso dei rapporti giuridici che costituisce l’eredità rimane senza soggetto; pertanto l’eredità si devolve ai nuovi aventi diritto secondo la volontà della legge (successione legittima) o secondo la volontà del defunto espressa nel testamento (successione testamentaria) con l’osservanza del duplice principio, secondo cui da una parte non si fa luogo alla successione legittima se non quando manchi in tutto o in parte quella testamentaria, e dall’altra parte non si possono pregiudicare con disposizioni testamentarie i diritti che la legge riserva ai cosiddetti legittimari (art. 536 e seg. c.c.). I nuovi aventi diritto possono succedere in quanto ritenuti capaci dalla legge (art. 462 c.c.): e precisamente sono capaci tutti coloro che sono nati o concepiti al momento dell’apertura della successione e anche (nella successione testamentaria) i nascituri figli di una persona vivente al tempo della morte del testatore. Sono esclusi dalla successione perché ritenuti indegni (art. 463 c.c.): chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il de cuius o il coniuge o un suo discendente o ascendente, salvo il caso di non punibilità del reato; chi ha denunciato una di tali persone per un reato punibile con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denuncia si sia giudizialmente rivelata calunniosa; chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento o ne l’ha impedita; ecc. I nuovi aventi diritto acquistano l’eredità mediante l’accettazione (art. 459 c.c.): quest’ultima può essere espressa (contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata) o tacita (quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare l’eredità), semplice o con beneficio d’inventario.
L’accettazione pura e semplice determina la completa successione dell’erede nella posizione giuridica del defunto con la conseguente assunzione di una responsabilità patrimoniale illimitata per i debiti del defunto anche oltre il valore economico dell’eredità; a seguito dell’accettazione con beneficio d’inventario il patrimonio del de cuius rimane distinto da quello dell’erede, che è obbligato a soddisfare i creditori del defunto soltanto entro i limiti di capienza del patrimonio ereditario. In generale l’accettazione si può impugnare quando è effetto di violenza o di dolo, contrariamente al caso in cui sia viziata da errore (art. 482 e 483 c.c.). La rinuncia all’eredità deve essere fatta con dichiarazione resa davanti a un notaio o al cancelliere della pretura (art. 519 c.c.) e può essere impugnata per violenza o dolo. In tutti i casi in cui il chiamato all’eredità non possa o non voglia succedere (e, nella successione per testamento, nel caso in cui il de cuius non abbia espressamente disposto con una sostituzione) i suoi discendenti legittimi o naturali gli subentrano nel luogo e nel grado per diritto di rappresentazione (art. 467 c.c.). Gli effetti dell’accettazione e della rinuncia retroagiscono al momento dell’apertura della successione (art. 459 e 521 c.c.). La legge prevede anche il caso in cui, quando non vi sia stata accettazione dell’eredità, sia opportuno nominare un curatore dell’eredità stessa (detta giacente, art. 528 e successione) per procedere all’inventario, esercitare e rappresentare l’eredità, e provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. La successione devoluta per legge dà luogo alla cosiddetta successione legittima, la quale si attua nell’ambito della famiglia e con riferimento a determinate categorie di successibili, che possono succedere con esclusione nel concorso di altre categorie. La legge al riguardo prende in considerazione nell’ordine (art. 565 c.c.): i discendenti legittimi, gli ascendenti legittimi, i collaterali, i parenti naturali, il coniuge, lo Stato. In particolare, al padre e alla madre succedono in parti uguali i figli legittimi, naturali, legittimati e adottivi (art. 566 e 567 c.c.) con esclusione di altri parenti: a colui che muore senza lasciare prole succedono i genitori e i fratelli in concorso tra loro, restando attribuita in ogni caso ai genitori una quota non inferiore alla metà (art. 571 c.c.). Tuttavia, se qualcuno muore senza lasciare prole, né genitori né altri ascendenti, né fratelli o sorelle né loro discendenti, l’eredità è devoluta a favore dei parenti prossimi, senza distinzione di linea fino al sesto grado (art. 572 c.c.). I figli naturali succedono quando il rapporto di filiazione abbia formato oggetto di riconoscimento o di dichiarazione giudiziale, salvo l’assegno vitalizio prescritto dall’art. 580 per i figli naturali non riconosciuti nei casi in cui essi abbiano diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione a norma dell’art. 279. I figli naturali non riconoscibili hanno diritto a un assegno vitalizio quando il genitore non abbia disposto per donazione o testamento in loro favore (art. 594 c.c.). Per quanto concerne il coniuge, è stabilito che il medesimo, in concorso di figli legittimi, naturali o legittimi e naturali, ha diritto alla metà dell’eredità se alla successione concorra un solo figlio, e a un terzo negli altri casi (art. 581 c.c.). Il coniuge che concorra con ascendenti legittimi, fratelli e sorelle, ha diritto a due terzi dell’eredità (art. 582 c.c.); in mancanza di figli legittimi o naturali, di ascendenti, di fratelli o sorelle, ha diritto a tutta l’eredità (art. 583 c.c.). Il coniuge separato ha gli stessi diritti del coniuge non separato quando la separazione non sia stata addebitata a lui; se invece gli sia stata addebitata la separazione, ha diritto soltanto a un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto (art. 585 c.c.). In mancanza di successibili ammessi dalla legge, l’eredità è devoluta allo Stato (art. 586 c.c.). La successione devoluta per testamento dà luogo alla cosiddetta successione testamentaria, con la quale il de cuius può disporre in tutto o in parte delle proprie sostanze, destinandole secondo la propria volontà a uno o più soggetti per il tempo in cui egli avrà cessato di vivere; detta destinazione può essere diretta anche a soggetti totalmente estranei alla famiglia del disponente. Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore; sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario negli altri casi: comunque l’indicazione fatta dal testatore di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la relativa disposizione sia a titolo universale, quando risulti che il disponente abbia inteso assegnare quei beni come quota del suo patrimonio (art. 588 c.c.). Sono dettate disposizioni particolari per le condizioni, i termini, gli oneri contenuti nei testamenti (art. 633-648 c.c.). Le disposizioni testamentarie possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse quando sono l’effetto di errore, di violenza o di dolo (art. 624 c.c.); possono altresì essere annullate per difetto di forma (art. 606 c.c.). Comunque, la nullità della disposizione testamentaria da qualsiasi causa determinata non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, abbia, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato a essa volontaria esecuzione (art. 590 c.c.). Oltre alla successione legittima e a quella testamentaria, la legge prevede anche la successione dei legittimari (comunemente detta successione necessaria) o contro il testamento, la quale è un modo di successione per legge prevista al fine di correggere o neutralizzare in tutto o in parte la successione testamentaria ovvero anche gli atti di disposizione a titolo gratuito posti in essere dal de cuius nel corso della sua vita, l’una e gli altri eccedenti certi limiti di disposizione dei beni (la cosiddetta disponibile) posti dalla legge nell’interesse dei legittimari, anche detti riservatari. Questi ultimi sono: il coniuge, i figli legittimi, naturali, legittimati o adottivi, gli ascendenti legittimi (art. 536 c.c.). La quota di riserva a favore dei figli legittimi e naturali è la metà del patrimonio ereditario se il defunto lascia un figlio solo, e i due terzi se i figli sono più. I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali (art. 537 c.c.). La quota di riserva a favore degli ascendenti legittimi è di un terzo (art. 538 c.c.). A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio, e anche quando concorra con altri chiamati, gli sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni (art. 540 c.c.). Le disposizioni sulla riserva sono variamente modificate nell’ipotesi di concorso di legittimari (art. 541-546 c.c.). Se la quota di eredità riservata a favore dei legittimari sia stata lesa dal de cuius o con disposizioni testamentarie eccedenti la quota disponibile o con atti di liberalità durante la sua vita (il che risulta a seguito del procedimento previsto dal;l’art. 556 c.c.), la legge prevede la possibilità di reintegrare la quota riservata mediante l’istituto della riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni (art. 553 e successione). L’azione di riduzione può essere proposta dai legittimari e dai loro eredi e aventi causa. La legge prevede il modo in cui la riduzione delle disposizioni summenzionate deve aver luogo (art. 558-63 c.c.), e dispone che la riduzione delle disposizioni testamentarie debba precedere quella delle donazioni (art. 555, ultimo comma, c.c.).
Il divieto di patti successori nella più recente giurisprudenza di merito di Dario Farace