L’erede è il soggetto che, alla morte di un altro soggetto, gli succede a titolo universale, in quanto subentra in tutti, o in una quota di tutti, i rapporti giuridici attivi e passivi che facevano capo al defunto. Acquista pertanto le situazioni giuridiche trasmissibili che facevano capo al defunto, e in particolare degli obblighi ereditari risponde illimitatamente anche con le proprie sostanze, a meno che non abbia accettato col beneficio d’inventario. I debiti ereditari devono essere adempiuti dai diversi coeredi in proporzione alla propria quota, sempre che il testatore non abbia disposto diversamente (art. 752 c.c.; v. il brocardo nomina et debita ereditaria ipso iure dividuntur). Tuttavia, come di recente la giurisprudenza ha chiarito, risolvendo un annoso contrasto, che i debiti ereditari si dividono automaticamente tra gli eredi, mentre i crediti entrano nella comunione ereditaria. Nei casi in cui il coerede abbia prestato per l’intero, può esperire l’azione di regresso contro gli altri coeredi. È erede testamentario il soggetto che sia stato chiamato alla successione in base ad un’esplicita designazione contenuta nel testamento del defunto. È erede legittimo il soggetto (coniuge o parente entro il sesto grado civile: v. Successione a causa di morte) che, qualora non vi sia testamento ovvero qualora il testamento disponga soltanto di alcuni beni ereditari, raccolga l’eredità in base ad una diretta chiamata di legge. In mancanza di parenti, l’eredità si devolve allo Stato. L’erede apparente (art. 534 c.c.) è colui che possiede i beni ereditari come erede, mentre, in realtà, tale non è o perché non ha alcun titolo per adire l’eredità, o perché il titolo in base a cui ha adito l’eredità è reso inefficace dall’esistenza del prevalente titolo di un altro soggetto (ad esempio, l’erede indicato in un testamento dopo la scoperta di un successivo testamento che revocava il precedente). Contro l’erede apparente l’erede vero può far valere la sua qualità con la petizione di eredità (artt. 533 ss. c.c.) e ottenere la restituzione dei beni, e può agire anche contro gli aventi causa dello stesso al medesimo effetto, salvo che questi abbiano acquistato da quello a titolo oneroso e in buona fede. Per erede fiduciario si intende il soggetto che sia stato istituito erede e che abbia ricevuto dal testatore l’incarico (non espresso nel testamento) di devolvere l’eredità ad un’altra persona. Tale incarico non ha, tuttavia, per la legge italiana, forza vincolante, ma se il fiduciario ha spontaneamente eseguito l’incarico, tale esecuzione resta valida, a meno che il destinatario indiretto sia un incapace a succedere.
Il termine eredità indica, nel significato meno comune, la successione a titolo universale nel patrimonio del defunto (ad esempio, la vocazione all’eredità), e nel significato più comune, il complesso delle situazioni giuridiche soggettive che si trasmettono dal defunto ai suoi successori (v. Universalità patrimoniali). L’eredità si acquista con l’accettazione (artt. 470 ss. c.c.), atto unilaterale che non può essere parziale né sottoposto a condizione o a termine e il cui effetto risale al momento nel quale si è aperta la successione. Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni (art. 480 c.c.). L’accettazione può essere espressa, quando è contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata, oppure tacita, quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (ad esempio, l’alienazione di un bene ereditario). L’accettazione può essere pura e semplice oppure con beneficio d’inventario. La prima determina la confusione del patrimonio del defunto con quello personale dell’erede, mentre la seconda tiene distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede, per cui l’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte (ad esempio, l’obbligo degli alimenti), e non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti. L’accettazione di eredità devolute a minori, interdetti, inabilitati, persone giuridiche o enti non riconosciuti non può farsi che con beneficio d’inventario (ciò non vale, tuttavia, per le società). La rinunzia all’eredità (art. 519 ss. c.c.) è un atto unilaterale del chiamato all’eredità, per effetto del quale il rinunziante è considerato come se non fosse mai avvenuta a suo favore la vocazione ereditaria. Come l’accettazione, non può essere parziale e non può essere sottoposta a condizione o a termine. Il rinunziante può revocare la propria dichiarazione e accettare l’eredità, purché il diritto di accettare non sia prescritto e l’eredità non sia stata accettata da altri. L’eredità è giacente (artt. 528 ss. c.c.) quando il chiamato non ha accettato e non è nel possesso dei beni ereditari. In questo caso il tribunale, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità, che è tenuto a procedere all’inventario dell’eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a rispondere alle istanze proposte contro la medesima, ad amministrarla, a depositare presso le casse postali o presso un istituto di credito designato dal tribunale il danaro che si trova nell’eredità o che si ricava dalla vendita dei beni e, da ultimo, a rendere conto della propria amministrazione. Il curatore può inoltre provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale, e cessa dalle sue funzioni quando l’eredità è stata accettata. Altri casi di eredità giacente, caratterizzati dall’incertezza sulla possibilità che l’erede venga ad esistenza, sono quelli della chiamata di un non concepito o di un concepito non nato al tempo dell’apertura della successione o dell’istituzione di erede sotto condizione sospensiva. La petizione di eredità (artt. 533 ss. c.c.) è l’azione con cui l’erede chiede il riconoscimento della sua qualità e, conseguentemente, la restituzione dei beni ereditari da parte di chi li possiede. L’azione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni.
Il divieto di patti successori nella più recente giurisprudenza di merito di Dario Farace