In senso stretto, e nell’uso comune, il sostantivo, cioè il vocabolo che serve a designare una singola persona, un singolo animale, una singola cosa, o una classe di persone, animali o cose.
Per la mentalità primitiva al n. è sempre inerente un certo carattere di sacralità, in quanto esso non soltanto designa la cosa o la persona, ma la rappresenta: ossia, è legato a essa da un misterioso rapporto essenziale, ne è il ‘doppio’ incorporeo; onde l’uso del nome nelle operazioni magiche, fondato sulla credenza che quanto accade al nome accade a chi lo porta. Per questo, un cambiamento di condizioni o stato, specie se accompagnato o causato da un rito di iniziazione, porta spesso con sé un cambiamento del n.: e ciò anche in popoli di cultura e religione superiori. Inoltre, ogni divinità o demone ha il suo n.: spesso, in quelle inferiori, esso è tratto dalle funzioni stesse che la divinità protegge (così negli indigitamenta romani: Fabulinus presiede al parlare ecc.). Il n. delle divinità mette chi lo porta sotto la specialissima protezione di quella; onde i n. ‘teofori’ (letteralmente: «portatori di un dio»), frequenti specie presso i popoli semitici (per es., Hannībaal «la mia grazia è Baal»; Abd ar -Raḥmān «servo del Misericordioso» cioè Allāh), ma anche greci e grecizzati (Isidoro «dono di Iside» e simili), latini (Quodvultdeus, Deusdedit, Adeodatus), germanici (Gottlieb «Amadio»).
I motivi che nel mondo moderno occidentale indirizzano alla scelta del n. sono vari. Il più notevole è la forza della tradizione, che porta alla ripetizione nei discendenti dei n. degli antenati. Seguono per importanza i motivi religiosi: il santo della città (per es., Gennaro a Napoli), del giorno della nascita, o in genere dei santi più noti (Pietro, Francesco, Giovanni, Lucia, Cecilia, Teresa ecc.). Inoltre sentimenti politici (Menotti, Benito, Palmiro, Anita ecc.), e in particolare monarchici (Umberto, Margherita; in Germania Wilhelm, Leopold ecc.); motivi letterari, specie fra il Duecento e il Quattrocento in seguito alla fortuna della poesia cavalleresca (Orlando, Rolando ecc.); in anni più recenti sono venuti invece di moda i n. laici, per lo più ispirati ad artisti, attori, personaggi del cinema, della televisione e in genere dello spettacolo.
In certi casi il n., etimologicamente trasparente, è augurale, ed è questo un uso particolarmente adottato nei secoli 12°-14° in Toscana, dove ricorrono con frequenza Benvenuto, Bonagiunta, Bonaventura e simili. La moda onomastica subisce molte variazioni: il Rinascimento porta la voga dei n. classici (Giulio, Cesare, Augusto, Claudia, Letizia, Valeria ecc.). La Riforma protestante torna ai n. dell’Antico Testamento. Non sono rari i n. introdotti da altre lingue, con o senza adattamento: Brigitta, Franz, Walter da lingue germaniche; Marianna e Yvonne dal francese; Boris, Igor, Vladimiro, Milena, Nadia, Sonia, Tatiana dallo slavo; Manuela e Dolores dallo spagnolo.
In alcuni contesti sociali il n. anagrafico cede facilmente nell’uso a un soprannome, che in certi casi svolge da solo anche la funzione del cognome. Sul piano artistico-letterario il n., come il cognome, può essere sostituito dallo pseudonimo. Nell’uso infantile o affettivo il n. è rimpiazzato dal vezzeggiativo (in genere un derivato del n.): Mariuccia, Pierino, Beppe, Bice, forme che talora si stabilizzano ufficialmente nella denominazione di tali individui. In italiano e in altre lingue il n. precede di regola il cognome; l’uso scolastico, burocratico e militare, in cui vi è necessità di una elencazione alfabetica con precedenza del cognome, ha talora influito su un’abitudine non rara ma sconsigliata, di far precedere il cognome al n., anche nei casi in cui ciò non sia imposto da esigenze burocratiche, per es. nelle presentazioni, nell’indirizzo e nella sottoscrizione epistolare, in targhe ed insegne.
Inteso in senso lato, come comprensivo anche del cognome, il n. è un segno essenziale d’identificazione della persona fisica idoneo a salvaguardare il bene dell’identità personale e dell’unicità del soggetto. Il n. di una persona (n. civile) si compone di due parti, il prenome e il cognome (art. 6 c.c.).
Il prenome (o n. proprio) serve a distinguere la persona all’interno del gruppo familiare di appartenenza, indicato invece dal cognome. Il prenome viene attribuito nell’atto di nascita e la scelta spetta congiuntamente ai genitori, ma se il dichiarante non dà un n. al bambino provvede l’ufficiale di stato civile (art. 29 d.p.r. 396/2000); in ogni caso, il prenome deve corrispondere al sesso e può essere composto da uno o da più elementi onomastici, anche separati, non superiori a tre, mentre è vietato imporre al bambino lo stesso n. del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi, un cognome come n., n. ridicoli o vergognosi; i n. stranieri che sono imposti ai bambini aventi la cittadinanza italiana devono essere espressi in lettere dell’alfabeto italiano, con la estensione alle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici propri dell’alfabeto della lingua di origine del nome.
Il cognome discende direttamente dal rapporto di filiazione, ma se i genitori non sono noti prenome e cognome sono attribuiti dall’ufficiale di stato civile, escludendo n. o cognomi che facciano intendere l’origine naturale, o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l’atto di nascita è formato. Nell’aprile 2022 la Corte Costituzionale ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre, stabilendo che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.
La riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975) ha inserito nel codice civile il nuovo art. 143 bis, che stabilisce che la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.
Sono possibili cambiamenti e modificazioni del n.: chiunque vuole cambiare il cognome o aggiungere al proprio un altro cognome deve farne richiesta al ministero dell’Interno (art. 84 d.p.r. 396/2000); salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il n. o aggiungere al proprio un altro n. ovvero vuole cambiare il cognome perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine naturale, deve farne domanda al prefetto della Provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce (art. 89 d.p.r. 396/2000).
Il diritto al n. è un diritto assoluto che riceve una puntuale tutela dall’ordinamento, prevista dall’art. 22 Cost. («Nessuno può essere privato, per motivi politici […], del n.») e dagli art. 6 ss. c.c., in base ai quali ogni persona ha diritto al n. che le è per legge attribuito e la persona cui si contesti il diritto all’uso del proprio n. o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento.
Il diritto al n., rientrando tra i diritti della personalità, forma oggetto di tutela nel diritto internazionale privato al fine di assicurare uniformità di regolamento. L’art. 24 della l. 218/1995 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato stabilisce che i diritti della personalità sono regolati in primis dalla legge nazionale del soggetto, salvo che tali diritti derivino da un rapporto di famiglia (per es., il diritto al n. acquistato a seguito di matrimonio, di rapporto di filiazione o di adozione). In tal caso, la norma prevede l’applicazione della legge che regola il rapporto di famiglia. Questa disposizione normativa opera in via residuale, in quanto l’Italia è parte alla Convenzione di Monaco del 5 sett. 1980 sulla legge applicabile ai cognomi e ai nomi. Al fine di determinare il n. e cognome della persona, essa prevede l’applicabilità della legge nazionale del soggetto (art. 1) anche nel caso in cui si tratti della legge nazionale di uno Stato non contraente (art. 2). Sulla base della teoria dell’assorbimento, è stabilita l’applicabilità della medesima legge nazionale anche nel caso in cui il diritto al n. della persona vada determinato come conseguenza di una questione preliminare quale l’accertamento di un rapporto di famiglia. Nel caso in cui il soggetto muti la cittadinanza originaria, l’art. 1, par. 2, della suddetta Convenzione prevede l’applicabilità della legge dello Stato della nuova nazionalità. Nulla invece dispone la Convenzione nell’ipotesi di pluricittadinanza. Un’indicazione al riguardo è emersa dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale, sulla base del principio di non discriminazione ha stabilito che non vi è preminenza della legge del foro nell’attribuzione del n., ma si deve tener conto anche della cittadinanza dell’altro Stato membro.
Il n. sociale è il segno distintivo delle società, che si configura come ragione sociale quando è riferito a società di persone e di denominazione sociale quando è diretto a individuare una società di capitali o una società cooperativa. Il n. sociale può essere liberamente formato, purché soddisfi i requisiti di novità e verità e contenga il riferimento al tipo sociale. Peraltro, nel caso di società di persone, la ragione sociale deve contenere il n. di almeno uno o più soci illimitatamente responsabili. Nelle società in accomandita semplice o per azioni la ragione sociale non può contenere il n. di un socio accomandante, a meno che questi non si opponga. In tal caso, il socio accomandante risponde solidalmente e illimitatamente di fronte ai terzi per le obbligazioni sociali senza, tuttavia, godere delle prerogative dei soci accomandatari. Il n. sociale è disciplinato, in via residuale, dalle regole dettate in materia di ditta, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 2567 c.c.
In grammatica, ogni parola che segua la flessione detta appunto nominale, cioè la declinazione (in contrapposizione alla flessione verbale o coniugazione): non solo quindi il sostantivo, ma anche l’aggettivo e, talvolta, le forme nominali del verbo (n. verbale).
In senso ristretto, e nell’uso comune, il sostantivo. Secondo la grammatica si distinguono i n. nelle due grandi classi dei n. propri, che si riferiscono a singola persona, a singolo animale, a singola cosa e si scrivono con l’iniziale maiuscola, e dei n. comuni, che si riferiscono a intere categorie di persone, animali, o cose. I n. comuni si dividono a loro volta in n. concreti e in n. astratti secondo che si riferiscano a oggetto concreto (marinaio, cavallo, sedia) o a concetto astratto (virtù, timore ecc.). Rispetto alla declinazione si distinguono n. femminili, maschili, singolari, plurali, invariabili. Abbiamo inoltre n. collettivi, che indicano un insieme di più persone, animali o cose astraendo dalle unità componenti (senato, sciame); n. singolativi, che indicano persone, animali o cose individualmente, come unità (senatore, insetto); n. regolari, irregolari, secondo la maggiore o minore conformità alle regole morfologiche prevalenti in una data lingua. Nel linguaggio di alcune scienze, si assumono denominazioni convenzionali, spesso in latino, che hanno uso internazionale e si dicono n. scientifici.