utilità Nel linguaggio economico, il piacere che procura o può procurare a un soggetto un dato bene o servizio in quanto da lui ritenuto idoneo ad appagare un suo bisogno presente o futuro. L’u. è, quindi, un carattere conferito al bene dai singoli soggetti e muta a seconda dei bisogni di questi, assumendo rilievo economico in quanto influisce sulle relazioni di consumo degli individui e svolge un ruolo centrale nella determinazione del valore di scambio del bene.
1.1 La scuola classica. Il ruolo e il significato attribuiti all’u. hanno subito profondi mutamenti nella storia del pensiero economico. Secondo gli economisti classici, come A. Smith e D. Ricardo, l’u. (o valore d’uso) costituiva un semplice prerequisito del valore di scambio di un bene: solo una merce che soddisfi determinati bisogni o che sia desiderata da qualcuno (che sia cioè utile) può avere un valore di scambio positivo, ma quest’ultimo deve essere determinato sulla base di elementi diversi dal valore d’uso. Il valore di scambio di un bene, infatti, veniva fatto dipendere dai costi di produzione (calcolati in termini di ore di lavoro) misurabili e confrontabili quantitativamente, e non dall’u., che rappresentava invece una semplice qualità conferita dai singoli soggetti al bene in questione e dunque non suscettibile di espressione quantitativa. 1.2 La rivoluzione marginalista. Con l’approccio marginalista, sviluppato a partire dalla prima metà dell’Ottocento, si verificò un mutamento di prospettiva e alla teoria oggettiva del valore propria dell’impostazione classica venne contrapposta una concezione soggettiva, secondo cui il valore dei beni nasce dal confronto tra la scarsità delle risorse e l’u. attribuita ai beni dagli individui. Il passaggio analitico verso la nuova teoria fu reso possibile dalla distinzione tra u. totale (derivante dal consumo di una determinata quantità di un bene) e u. marginale (incremento dell’u. totale dovuto all’aumento di una quantità piccola, ‘marginale’, del bene consumato), già conosciuta dagli economisti nel 19° sec., ed enunciata correttamente da W.F. Lloyd (1833) e N. Senior (1836). Alla base dei rapporti di scambio tra i beni andava infatti considerata non tanto l’u. totale, quanto l’u. marginale, riferita alla quantità disponibile dei beni. Tale distinzione consentiva di risolvere il famoso ‘paradosso del valore’ messo in luce da Smith: i diamanti, beni non utilissimi, valgono più dell’acqua, indispensabile alla sopravvivenza umana, perché la loro scarsità dà luogo a un grado relativo di u. superiore a quello dell’abbondante acqua.
Dal fatto che il valore di un bene fosse determinato in base alla sua u. marginale discendeva l’importante principio secondo cui incrementi successivi della quantità disponibile di un bene assicurano incrementi di u. via via minori (legge dell’u. marginale decrescente). Si ponevano in tal modo le premesse per l’elaborazione di una compiuta teoria della domanda del consumatore, in quanto l’u. di una merce dipendeva dal suo consumo. I primi contributi significativi in questo campo furono quelli dell’economista francese A.-J. Dupuit (1844), che si servì del principio dell’u. marginale decrescente per elaborare il concetto di surplus del consumatore, e del tedesco H. Gossen (1854), che elaborò il principio di massimizzazione dell’u. del consumatore in termini di uguaglianza delle u. marginali dei singoli beni ponderate con i rispettivi prezzi.
Il superamento definitivo della teoria classica del valore basata sui costi e l’affermazione del concetto di u. come spiegazione del valore dei beni avvenne però solo intorno al 1870, con i contributi di quegli economisti che apportarono una radicale rielaborazione del pensiero economico, in seguito ribattezzata ‘rivoluzione marginalista’. In particolare, W.S. Jevons (1871) utilizzò le funzioni di u. marginale dei soggetti coinvolti nello scambio per dedurre il rapporto di scambio di equilibrio tra due beni, mentre l’esponente della scuola austriaca C. Menger (1871) estese il principio dell’u. marginale agli stessi costi di produzione. L. Walras (1874), invece, seguendo un approccio diverso da quello di Jevons, elaborò un modello di equilibrio economico generale comprendente più individui e più beni, nel quale il valore di equilibrio degli scambi veniva determinato dalle funzioni di u. marginale in ciascun soggetto economico.
Fu, tuttavia, con la pubblicazione dei Principles of economics di A. Marshall, nel 1890, che i diversi e ancora eterogenei contributi dei pionieri del marginalismo trovarono una definitiva sistemazione nella teoria dei prezzi di mercato, basata sull’analisi dell’offerta e dei costi e integrata da una coerente teoria del consumatore espressa in termini di utilità. 1.3 Il superamento del marginalismo. L’approccio marginalistico dell’u. fu sottoposto, agli inizi del Novecento, ad alcuni rilievi critici. In primo luogo, fu messo in discussione il criterio di massimizzazione dell’u. basato sul confronto delle u. marginali dei diversi beni. Infatti, tale confronto presupponeva che ciascun soggetto disponesse di una misura cardinale dell’u. e che fosse quindi in grado di assegnare a ogni bene un numero rappresentante l’ammontare di u. a esso associata. Ciò non poteva tuttavia ritenersi corretto, poiché gli individui possono al massimo confrontare le u. ma, essendo le u. elementi psicologici, non possono dare loro una misura. In tal senso fu sottoposta a critica anche la possibilità di confronto interpersonale delle u., che necessariamente deve intervenire quando dai problemi relativi al benessere personale si passa ai problemi di carattere collettivo. In particolare, non essendo possibile valutare se la perdita di u. di un soggetto economico, derivante da una particolare azione di politica economica o di altro genere, sia compensata o meno dall’incremento di u. di un altro soggetto, non si possono neanche stabilire gli effetti della suddetta azione sul benessere della collettività. A.C. Pigou (1912) cercò di aggirare il problema della misura dell’u. collettiva ricorrendo al concetto di dividendo nazionale (o reddito reale aggregato) come controparte oggettiva del benessere nazionale. Il benessere sarebbe aumentato con il crescere del reddito reale e con una più equa distribuzione delle risorse. Tale soluzione lasciava tuttavia insoddisfatti i sostenitori di un approccio positivo dell’economia, libero da giudizi di valore riguardanti i problemi dell’equità e della distribuzione del reddito.
V. Pareto (1906) riformulò invece la teoria marginalista adottando una concezione ordinale delle u. in luogo di quella cardinale. Pareto, ricorrendo alla tecnica delle curve di indifferenza (➔ curva) sviluppate da F.Y. Edgeworth, fu in grado di stabilire, per ogni coppia di beni, se l’u. derivante dal possesso di uno dei due beni sia minore, uguale o maggiore dell’u. derivante dal possesso dell’altro bene. In tal modo era possibile stabilire un ordinamento delle preferenze di ciascun individuo rispetto a un paniere di beni basato su una scala ordinata anziché sulla misurabilità dell’utilità. La nuova impostazione di Pareto ebbe rilevanti conseguenze sulle successive teorie del consumatore, creando le premesse per lo sviluppo dell’approccio ordinalista dell’u. di J.R. Hicks e R.G.D. Allen (1934) e della teoria delle preferenze rivelate di P.A. Samuelson (1938). Inoltre, la negazione della possibilità dei confronti intersoggettivi di u. diede luogo a un nuovo filone interpretativo dell’analisi del benessere sociale (conosciuto come nuova economia del benessere in contrapposizione alla teoria utilitaristica di Pigou e Marshall) a opera di economisti come A. Bergson (1938), N. Kaldor (1939), J.R. Hicks (1939), T. Scitovsky (1941), Samuelson (1947) e K.J. Arrow (1951). Anche se tali sviluppi hanno progressivamente indebolito il riferimento all’u. quale principio esplicativo delle scelte del consumatore, la teoria dell’u. continua a rimanere uno dei punti di riferimento ineliminabili della teoria marginalista.
Il concetto economico di u. ha avuto nel corso del tempo numerose precisazioni matematiche, riferite in particolare a situazioni di certezza, di rischio, di incertezza. Per quanto riguarda le prime, sono prevalentemente utilizzate per la formulazione di gran parte delle funzioni di consumo in cui l’esito della decisione è noto e corrisponde al risultato della massimizzazione della funzione di u. del consumatore sulla base delle sue preferenze. Le decisioni prese in condizioni di rischio si riferiscono invece a una situazione in cui a ogni evento alternativo che si può verificare corrisponde una probabilità. La precisazione matematica è in questo caso necessaria per la valutazione dell’u. di un risultato aleatorio (per es., di una lotteria) e per la formulazione della posta da puntare che, nel caso di gioco equo, e secondo J. von Neumann e O. Morgenstern, corrisponde alla vincita media o speranza matematica. Prendendo in considerazione un bene esprimibile in termini quantitativi, l’u. di una quantità x per una persona è una funzione u(x) che rispecchia l’ordinamento di preferenze della persona e tale che l’u. di una quantità aleatoria x è uguale all’u. della media di x. L’esistenza di una funzione che soddisfi tali proprietà viene dimostrata, purché si ammettano alcune ipotesi sull’ordinamento delle preferenze della persona considerata, tra cui è (comprensibilmente) essenziale che, date due quantità (certe e aleatorie), la persona possa discriminarle, dire cioè se la prima è preferibile, o equivalente, o meno preferibile, rispetto alla seconda. La dimostrazione è costruttiva: permette, in base alle risposte di una persona, di valutare la sua funzione di u., che però non è individuata in modo univoco, in quanto una sua trasformazione monotona rappresenta le stesse preferenze della funzione di partenza. L’u. così definita risponde quindi a diverse delle condizioni poste dagli economisti, in particolare a quella di no bridge, che viene anche detta impossibilità del confronto interpersonale dell’utilità. A esse si aggiunge l’importante condizione riguardante la media, che permette ampi sviluppi della teoria dei giochi e della teoria delle decisioni statistiche. Sviluppi più recenti nelle formulazioni matematiche dell’u. riguardano prevalentemente situazioni di incertezza in cui l’esito della decisione dipende da eventi non controllabili dagli agenti economici, come per es., nei giochi non cooperativi. In tali casi, numerosi contributi (di F.P. Ramsey, B. de Finetti, L.J. Savage) hanno introdotto un concetto soggettivo di probabilità secondo il quale, nella massimizzazione della funzione dell’u., vengono prese in considerazione le conoscenze di cui dispone l’agente economico in un determinato momento.