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benessere, economia del

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(ingl. economics of welfare) Ramo dell’economia che studia la possibilità di stime dirette a valutare il b. collettivo. Ha per oggetto sia considerazioni teoriche sulla comparazione tra diversi sistemi economici in tema di b., sia valutazioni orientate alle politiche pubbliche per stimarne gli effetti sul b. della collettività. Sotto il profilo tecnico, l’economia del b. si è sviluppata entro la teoria dell’equilibrio economico generale, che studia modelli matematici rappresentativi di economie di mercato perfettamente concorrenziali, dove gli agenti economici non possono influire sui prezzi di mercato.

La nozione di b. collettivo è controversa e così la possibilità di stimarne una misura. L’economista A. C. Pigou, agli inizi del sec. 20°, rifacendosi alla tradizione utilitaristica inglese, che aveva avuto in J. Bentham il massimo esponente, definì il b. della collettività come la somma delle utilità dei singoli individui, ritenendo che l’utilità, intesa come soddisfazione psichica, sia misurabile e le utilità d’individui diversi siano confrontabili e addizionabili. Pigou considerò prevalentemente il b. economico, misurabile in termini monetari mediante un prezzo di mercato, cioè l’utilità derivante da beni economici (➔ bene) che hanno prezzo positivo. Ogni provvedimento di politica economica doveva mirare a rendere massimo il b. economico della collettività. Pigou definì economia del b. la parte della scienza economica che studia tale criterio; suggerì che il b. economico della collettività dipenda dal prodotto nazionale, ma anche dalla sua distribuzione tra gli individui. L’aumento del reddito in termini reali determina l’aumento di b. per la collettività, purché non vi sia redistribuzione di reddito a danno dei poveri. Secondo il criterio di Pigou, se un provvedimento riduce il reddito di un povero, aumentando quello di un ricco in pari misura, si ha una diminuzione di b. nella collettività; il povero, rinunciando a soddisfare bisogni prioritari, patirà una riduzione d’utilità più severa dell’incremento di piacere del ricco.

L’economista V. Pareto accantonò l’ipotesi che sia possibile addizionare le utilità di individui diversi, e definì il criterio di b. noto come ottimalità secondo Pareto (o Pareto efficienza). Un’allocazione è un ottimo secondo Pareto, se è realizzabile (date la tecnologia nota e le risorse iniziali) e tale che nessuno può migliorare la propria posizione senza danneggiare quella di altri. Il criterio della Pareto efficienza permette di ordinare diversi stati dell’economia secondo confronti di b., per individuare le situazioni d’inefficienza, ove sarebbe possibile migliorare la soddisfazione di qualcuno senza diminuire quella di nessun altro. L’ottimalità secondo Pareto non permette valutazioni comparative di b. tra tutti gli stati dell’economia. Le allocazioni raggiunte a partire dalla diversa distribuzione iniziale della ricchezza non sono comparabili, perché ciò richiederebbe il confronto tra le utilità d’individui diversi o la piena condivisione di valutazioni d’equità.

A. Bergson ha introdotto la ‘funzione del b. sociale’, poi sviluppata da vari autori (J.R. Hicks, N. Kaldor, K.S. Arrow), con l’obiettivo di costruire una scala di preferenze per l’intera collettività a partire dalle preferenze individuali, senza ipotesi vincolanti sulla comparabilità delle funzioni d’utilità individuali. Nella costruzione della funzione del b. sociale permane un elemento di arbitrarietà. Il problema del confronto delle utilità non è superato, giacché nel passare dalle preferenze individuali a quelle collettive occorre decidere quale peso dare alle preferenze d’ogni individuo.

K. J. Arrow (➔) ha dimostrato che il passaggio dalle preferenze individuali alla costruzione di una scala coerente di preferenze collettive è irrealizzabile, se le preferenze degli individui sono le più varie (condizione d’universalità), se inoltre non sono sempre identiche a quelle di un individuo specifico (condizione di non dittatura), se infine valgono vincoli ragionevoli di coerenza nelle scelte (condizioni d’indipendenza e coerenza paretiana). Il teorema d’impossibilità di Arrow dimostra che, poste tali limitazioni, non è possibile ricavare una funzione del b. sociale che esprima l’ordinamento delle preferenze collettive in piena coerenza con le preferenze individuali. Altri economisti, come R. A. K. Frisch e J. Tinbergen, suggerirono di costruire la funzione del b. sociale, riflettendo unicamente le preferenze espresse dai dirigenti politici, anziché quelle di tutti i componenti la collettività.

La teoria dell’equilibrio economico generale ha permesso di dimostrare il primo e il secondo teorema dell’economia del b., con l’intento d’affermare efficienza e ottimalità in termini di b. dell’equilibrio raggiunto in un’economia di mercato concorrenziale, anche ampliando i confronti di b. a vari criteri distributivi. Il primo teorema dell’economia del b. afferma che ogni equilibrio generale raggiunto in un’economia di mercato ideale, in concorrenza perfetta, è un ottimo secondo Pareto (un’allocazione Pareto efficiente). Il secondo teorema dell’economia del b. afferma che, stabilito un criterio distributivo, l’allocazione Pareto ottimale preferita potrà essere raggiunta a partire dall’equilibrio concorrenziale, senza perdita d’efficienza, con imposte o trasferimenti di natura forfettaria tra i soggetti economici. Entrambi i teoremi sono soggetti a ipotesi molto restrittive. Si considerano economie senza esternalità (➔) né beni pubblici (➔ bene) e si espungono i problemi dinamici (variazione dei gusti o delle tecnologie). Ciò rende controversa la significatività dei risultati per economie non perfettamente concorrenziali, con esternalità, beni pubblici, innovazione tecnologica o mutamento delle preferenze. Valutazioni di b. legate a esternalità e beni pubblici e politiche distributive per ragioni d’equità, sono discusse ampiamente nell’economia pubblica (➔ economia). Come alternativa al criterio del reddito, A. K. Sen ha proposto valutazioni comparative di b. tra gli individui fondate sulle capacitazioni, vale a dire sull’accesso alle opportunità di scelta e libertà aperte a ogni persona.

Per lo Stato del b. ➔ welfare state.

Vedi anche
esternalità esternalità In economia, gli effetti (detti anche effetti esterni o economia esterna) che l’attività di un’unità economica (individuo, impresa ecc.) esercita, al di fuori delle transazioni di mercato, sulla produzione o sul benessere di altre unità. Quando l’azione dell’agente economico determina dei ... Arthur Cecil Pigou Pigou ‹pìġuu›, Arthur Cecil. - Economista inglese (Ryde, isola di Wight, 1877 - Cambridge 1959). Allievo e successore di A. Marshall, è ritenuto il pioniere dell'economia del benessere. Accanto alla sua opera più ampia The economics of welfare e alla dotta, equilibrata opera sulle crisi Industrial fluctuations, ... Kenneth Joseph Arrow Arrow ‹ä´rou›, Kenneth Joseph. -  Economista statunitense (n. New York 1921), uno dei maggiori studiosi della teoria dell'equilibrio economico generale e dell'economia del benessere. Per i contributi apportati è stato insignito nel 1972, insieme a J.R. Hicks, del premio Nobel per l'economia. Vita e opere. ... Amartya Kumar Sen Sen ‹sén›, Amartya Kumar. - Economista indiano (n. Santiniketan, Bengala, 1933). Prof. presso le univ. di Calcutta (1956-58) e di Delhi (1963-71), la London school of economics (1971-77), l'univ. di Oxford (1977-88), Harvard (1987-98), Cambridge (1998), dove è stato master del Trinity College (1998-2003), ...
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benèssere
benessere benèssere (non com. bèn èssere) s. m. – 1. Stato felice di salute, di forze fisiche e morali: provare un senso di b.; dare un senso di b. generale; le fatiche e gli esercizi che giovano al ben essere corporale (Leopardi). Ufficio...
economìa
economia economìa s. f. [dal lat. oeconomĭa, gr. οἰκονομία, comp. di οἶκος «dimora» e -νομία «-nomia» (propr. «amministrazione della casa»); la voce si è diffusa per il tramite del fr. économie (così come i der. economico, economista, economizzare...
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