In accezione ampia, situazione di mercato con ampia libertà di accesso all’attività d’impresa, possibilità di libera scelta per gli acquirenti (in particolare, i consumatori) e, in generale, la possibilità per ciascuno di cogliere le migliori opportunità disponibili sul mercato, o proporre nuove opportunità, senza imposizioni da parte dello Stato o vincoli imposti da coalizioni d’imprese.
Sul piano giuridico, si parla di c. in due diverse accezioni: come libertà di iniziativa economica (art. 41 della Costituzione), e quindi come diritto di agire nel mercato liberamente e intraprendere qualsivoglia attività imprenditoriale (c. in senso soggettivo); e come situazione di mercato, e quindi come diritto di libero accesso al mercato (c. in senso oggettivo). Tale diritto è garantito, tra l’altro, dalla legislazione antimonopolistica (cosiddetta antitrust), cioè dal complesso di norme finalizzato a impedire che il mercato passi da un assetto concorrenziale, ritenuto preferibile, a un assetto monopolistico od oligopolistico. Questo tipo di legislazione nacque negli Stati Uniti, sul finire dell’Ottocento (Sherman Act, 1890) e si affermò in Europa solo dopo la Seconda guerra mondiale. In Italia una legge antitrust, di stretta derivazione comunitaria (Trattato di Roma del 1957), è stata varata nell’ottobre del 1990 (l. 287), sebbene sia stata preceduta da discipline antimonopolistiche di settore (per es., riguardo al mercato editoriale e della stampa quotidiana). Le norme antitrust sono finalizzate alla repressione di comportamenti illeciti tipizzati, nella convinzione che la libertà di iniziativa economica individuale non sia, da sola, sufficiente a garantire la presenza di una pluralità di imprenditori. Di qui la necessità di porre dei limiti all’esercizio del diritto di impresa, sacrificando comportamenti che sarebbero in sé coerenti con la filosofia della libera iniziativa economica, ma che contrasterebbero con la presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici; l’esigenza, in altre parole, di comprimere la c. in senso soggettivo a favore della c. in senso oggettivo.
Le fattispecie tipiche oggetto dell’antitrust sono: le intese (cosiddetti cartelli), comportamenti di natura sostanzialmente contrattuale, aventi per oggetto o per effetto una riduzione della c.; gli abusi di posizione dominante, comportamenti restrittivi della c. assunti unilateralmente da soggetti in posizione monopolistica od oligopolistica; infine le concentrazioni, operazioni che provocano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante riducendo il numero degli operatori in un determinato settore.
La competenza a vigilare sull’applicazione della disciplina antimonopolistica in Italia è attribuita a un’autorità amministrativa indipendente, l’ Autorità Garante della C. e del Mercato (AGCM), meglio nota come Antitrust, mentre a livello comunitario spetta alla Commissione (salvo i casi di applicazione decentrata della normativa comunitaria da parte delle autorità nazionali). Quanto al rapporto tra le due istituzioni, è previsto l’obbligo per l’AGCM di informare e di consultare preventivamente la Commissione nei casi in cui l’Autorità agisce ai sensi degli art. 81-82 del Trattato CE, e di prestare assistenza in occasione delle ispezioni predisposte dalla Commissione sul territorio nazionale.
La politica della c. costituisce un elemento essenziale dell’integrazione comunitaria, in quanto deve consentire alle imprese di competere a parità di condizioni sui mercati di tutti gli Stati membri, assicurare la concorrenzialità dei loro prodotti e servizi sul piano mondiale, e al contempo tutelare nel modo migliore i consumatori europei. Le autorità comunitarie hanno il controllo degli accordi e delle pratiche concordate, che incidono sugli scambi tra gli Stati membri. Le norme comunitarie in materia di diritto della c. sono disciplinate dagli art. 81-89 del Trattato di Nizza del 2000. Per realizzare l’obiettivo della libera c., l’art. 81 stabilisce il divieto di «accordi fra imprese, decisioni di associazioni di imprese e di tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune». Le norme riferite agli Stati vietano, salvo eccezioni specifiche, la concessione di aiuti statali alle imprese. L’attuazione della politica della c. spetta alla Commissione europea, con riserva di controllo giurisdizionale della Corte di giustizia. Tuttavia, i tribunali nazionali sono chiamati ad applicare le regole comunitarie in materia, in considerazione dell’effetto diretto che esse producono negli ordinamenti nazionali.
Forma di c. tra imprenditori repressa e sanzionata dagli art. 2598-2601 c.c., rappresentata dall’utilizzazione diretta o indiretta da parte di un imprenditore di mezzi o tecniche non conformi ai «principi della correttezza professionale» e idonei a danneggiare l’azienda di un concorrente.
Sono espressamente considerati atti di concorrenza sleale: a) quelli volti a creare – per mezzo dell’imitazione dei segni distintivi legittimamente utilizzati da un concorrente – confusione con i prodotti o l’attività di quest’ultimo; b) quelli consistenti nella diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti o l’attività del concorrente idonei a determinarne il discredito; c) quelli consistenti nell’appropriazione dei pregi altrui.
Non potendosi prevedere con esattezza le diverse forme di c. sleale concretamente realizzabili, l’art. 2598 c.c. demanda alla giurisprudenza il compito di identificare ulteriori atti ritenuti illeciti perché contrari ai principi di correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda.
Tra questi sono stati annoverati: la c. parassitaria, che consiste nella sistematica imitazione dell’altrui strategia imprenditoriale accompagnata da accorgimenti utili a evitare la piena confusione tra le iniziative economiche coinvolte; il cosiddetto dumping, ovvero la ripetuta vendita sottocosto dei propri prodotti al fine di eliminare dal mercato i concorrenti; la pubblicità menzognera, consistente nella falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad alcun concorrente; e, da ultimo, lo storno dei dipendenti altrui.
Perché un atto di c. sleale sia sanzionato, non occorre riscontrare nell’autore l’elemento soggettivo della colpa o del dolo, né tantomeno è necessario che il concorrente abbia già subito un danno, essendo sufficiente la presenza del solo danno potenziale. In altri termini, basta che l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda perché il concorrente sia legittimato ad adire il giudice e richiedere l’inibitoria dei comportamenti lesivi e il ripristino dello status quo ante (art. 2599 c.c.).
Per il risarcimento del danno, invece, è necessario un accertamento giudiziale della colpa o del dolo, insieme alla prova di un danno patrimoniale attuale. A questo proposito l’art. 2600 c.c. facilita l’onere della prova da parte del concorrente danneggiato, in quanto fa discendere dall’accertamento dell’atto di c. sleale la presunzione relativa della sussistenza della colpa. Se il giudice lo ritiene opportuno, può ordinare, su istanza di parte, la pubblicazione della sentenza a spese del soccombente.
La disciplina della c. sleale tutela direttamente le imprese, contro le condotte lesive poste in essere dai concorrenti. Tuttavia, la disciplina della c. sleale tutela indirettamente anche i consumatori, preservati da possibili alterazioni delle condizioni di valutazione e di giudizio nella scelta del prodotto da acquistare.
Tuttavia, legittimati a reagire contro gli atti di concorrenza sleale sono solo gli imprenditori in rapporto di consumatori e le loro associazioni di categoria, non invece i consumatori o le loro associazioni.
Va segnalato, infine, che nell’ordinamento esistono altre regole, questa volta di diritto speciale, votate alla difesa dei consumatori, quali quelle racchiuse nel d. lgs. n. 206/2005 che affidano all’Autorità garante della c. e del mercato il controllo amministrativo dei messaggi pubblicitari, al fine di sanzionare quelli ingannevoli e ammettono una tutela risarcitoria collettiva per i diritti individuali e omogenei di utenti e consumatori lesi da pratiche commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali.
L’obbligo di fedeltà (art. 2015 c.c.) posto in capo al prestatore di attività lavorativa si sostanzia come una prestazione di carattere negativo, ovvero come un obbligo a non fare, cioè ad astenersi dal trattare affari, in proprio o per conto di terzi, in c. con il proprio datore di lavoro. Il divieto così posto, trova fondamento nel contratto di lavoro individuale in essere tra i due contraenti, e ha quindi vigenza e valenza solo per la durata del rapporto, cessando la sua efficacia al termine dello stesso. A causa di tali limiti temporali, laddove si voglia estendere la portata di tale divieto occorrerà stipulare un patto di non c. (art. 2125 c.c.). Affinché ne venga riconosciuta la validità e l’efficacia, tale patto deve tuttavia possedere determinati requisiti; oltre a essere redatto in forma scritta, deve contenere determinati limiti. La durata del vincolo non può estendersi oltre i 5 anni per i dirigenti, e i 3 anni per gli altri prestatori di attività lavorativa, deve prevedere un corrispettivo a favore del lavoratore che stipula l’accordo, e non può eccedere dei limiti territoriali tali da compromettere la ogni potenzialità reddituale del lavoratore.
F.A. von Hayek definì la c. una procedura per la scoperta del nuovo, per sottolinearne la natura dinamica e indicare che l’esplorazione libera delle opportunità, anche attraverso l’innovazione, ne è il carattere principale. L’operare della c. richiede un quadro legislativo chiaro, che tuteli i diritti di proprietà e definisca le regole dell’interazione sul mercato. La nozione generale di c. si applica a ogni forma di attività economica. Si parla di c. tra beni diversi sostituibili l’uno all’altro per scopi di produzione o di consumo.
In materia di commercio internazionale si dice che vi è libera c., quando gli scambi tra paesi non sono ostacolati da vincoli legislativi o dazi doganali.
Nell’accezione teorica dei modelli economici, la c. pura o perfetta indica un mercato ideale caratterizzato dalle seguenti proprietà: a) la numerosità degli agenti economici, dal lato della domanda e dell’offerta, nessuno dei quali è in grado d’influire in modo significativo e diretto sul prezzo; b) l’apertura del mercato all’ingresso di nuovi produttori o la possibilità di uscita dal mercato e la completa mobilità della domanda e dell’offerta; c) la perfetta omogeneità, e quindi la perfetta sostituibilità delle varie unità di ciascun bene scambiato; d) la trasparenza del mercato, per cui ogni operatore è al corrente delle condizioni in cui si svolgono le contrattazioni, a parità d’informazioni rispetto a tutti gli altri; e) la mancanza di preferenze dei venditori nei confronti dei singoli compratori e viceversa; f) la mancanza di barriere di natura legale alla libertà del mercato; g) il vincolo che le imprese non possono ricorrere a coalizioni.
In c. perfetta, il prezzo di equilibrio sul mercato per tutte le unità omogenee di ogni prodotto è unico (legge di indifferenza o legge del prezzo unico di W.S. Jevons). La c. perfetta, infatti, esprime analiticamente una situazione limite del mercato, dove né imprese né consumatori hanno il potere di mercato; non possono, quindi, con la propria offerta o domanda addizionale, influire sul prezzo. La nozione di c. perfetta è, perciò, applicata nei modelli di equilibrio economico generale adottando l’ipotesi detta di price-taking, ossia l’ipotesi che gli agenti compiono le scelte ottimali, assumendo come dato all’atto della scelta il vettore che esprime i prezzi relativi di mercato. L’ottimalità del mercato di c. perfetta in condizioni di equilibrio generale è studiata nei teoremi dell’economia del benessere (➔ economia). L’ipotesi di c. perfetta si applica, inoltre, all’analisi di equilibrio parziale e impresa rappresentativa, derivata dagli studi di A.-A. Cournot e A. Marshall.
Nel mercato di un bene perfettamente omogeneo in c. perfetta, in condizioni di equilibrio parziale, il prezzo di equilibrio coincide con il costo di produzione marginale; nel lungo periodo il prezzo di equilibrio eguaglia il costo medio minimo dell’impresa rappresentativa. Per definizione, in tale mercato ogni impresa fronteggia una curva di domanda orizzontale al prezzo di mercato, per le dimensioni irrilevanti rispetto al fatturato totale. Per superare alcune ipotesi restrittive nella definizione teorica di c. perfetta, è stata definita e studiata la forma di mercato detta di c. monopolistica.
È una situazione di mercato in cui le imprese sono numerose e vi è libertà d’ingresso e uscita dal mercato, come in c. perfetta, ma ogni impresa produce un prodotto specifico, differenziato. Il mercato di c. monopolistica è caratterizzato da un numero elevato d’imprese, che producono e vendono beni simili, con stretta sostituibilità per il consumatore. In questa forma di mercato le imprese in c., che producono i beni simili e sostituti, fronteggiano ognuna la curva di domanda inclinata negativamente per il proprio prodotto specifico, anche se la differenziazione tra i beni è dovuta alla pubblicità, al marchio, alla localizzazione, più che a caratteristiche intrinseche. In c. monopolistica, il mercato si frammenta in zone e settori in cui le imprese godono di una posizione di monopolio relativo, spesso anche per rapporti privilegiati tra clienti e imprese. Si suppone che ogni impresa operi le sue scelte, ritenendo che queste sfuggano ai concorrenti e, di conseguenza, essi non adottino misure di ritorsione.
Se la struttura di mercato è caratterizzata dalla presenza di un numero ridotto d’imprese ( c. tra pochi) e, quindi, dalla stretta interdipendenza tra le scelte che ogni impresa compie sul mercato, si parla di oligopolio. In condizioni di oligopolio, la c. si esercita, se non vi sono accordi collusivi vincolanti tra le imprese, soprattutto con strategie d’innovazione tecnologica e commercializzazione, che le imprese mettono in atto per conquistare o consolidare quote di mercato. Nei mercati di oligopolio differenziato (beni sostituti, ma non identici) è specialmente vivace la c. sulle caratteristiche del prodotto o sull’introduzione di beni innovativi. La c. opera e i mercati sono detti ‘contendibili’, secondo la definizione di W.J. Baumol, se le imprese presenti sul mercato, anche in numero limitato, riconoscono la possibilità di entrata sul mercato di nuove imprese e adottano strategie di limitazione del prezzo per scoraggiare i potenziali concorrenti.
Si parla di c. dinamica o schumpeteriana (dal nome dell’economista J.A. Schumpeter che ne sottolineò l’importanza) per indicare specificamente la c. tra imprese che si esercita con l’innovazione e che impegna le imprese a investire in ricerca e sviluppo. C. operante è un concetto proposto da J.B. Clark (dall’ingl. workable competition), poi sviluppato in un indirizzo di studi e di politica economica, che mira a comporre elementi d’iniziativa privata e d’intervento pubblico. Il concetto di c. operante è usato non con riferimento alla definizione formale di c. perfetta, ma per indicare situazioni di mercato in cui non è possibile consolidare posizioni di privilegio, anche grazie all’azione dei poteri pubblici in materia di regolazione. Gli accordi tra imprese per limitare la c. sono in molti paesi ritenuti illeciti e perseguiti da leggi (➔ antitrust).
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