giòchi, teorìa dei Modello matematico per lo studio delle 'situazioni competitive', in cui cioè sono presenti più persone (o gruppi di persone, o organizzazioni) dette appunto 'giocatori', con autonoma capacità di decisione e con interessi contrastanti (➔ gioco). Tali sono i giochi di società (come bridge, poker, tressette, scacchi) che hanno dato il nome alla teoria, e ne costituiscono il più tipico esempio di applicazione perché, essendo ben precisate le norme che li regolano, possono essere facilmente schematizzati in un modello matematico.
Abstract di approfondimento da Giochi, teoria dei di Roberto Lucchetti (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Ogni essere vivente, quando deve prendere delle decisioni, lo fa sempre in modo interattivo: il risultato delle sue scelte, e quindi la sua soddisfazione, dipendono anche dal comportamento di altri. È esattamente quanto succede nella gran parte dei giochi, nei quali le scelte di un giocatore non possono non tenere conto di quelle degli altri. Sebbene il problema sia stato spesso affrontato nella storia del pensiero, l’approccio matematico è stato impiegato relativamente tardi. La teoria dei giochi, che è la parte della matematica che si occupa di analizzare il comportamento di più individui che interagiscono fra loro – e che per questo più propriamente oggi viene chiamata teoria delle decisioni interattive – è disciplina davvero recente: il suo primo risultato risale al 1913 e la cosiddetta teoria classica è giunta a maturazione solo nei primi anni Settanta. Il primo congresso internazionale si tenne a Gerusalemme nel 1965, con la partecipazione di 16 persone; oggi un tale convegno sarebbe impensabile viste le moltissime ramificazioni che tale disciplina ha prodotto. è quindi praticamente impossibile descrivere con accuratezza tutti gli aspetti sviluppati dalla teoria: possiamo tuttavia, senza pretese di completezza, dare un’idea del suo sviluppo e delle sue idee guida.
Un gioco può essere, anzitutto, descritto a parole: ogni gioco ha le sue regole. Quindi devono essere specificati uno stato iniziale, le regole di evoluzione, i possibili esiti finali e le preferenze che i giocatori hanno su tali esiti.
Matematicamente, ciò si traduce nella descrizione del gioco in forma estesa, attraverso il cosiddetto albero del gioco.
Per un’analisi sistematica delle possibili evoluzioni di una partita, è poi necessario specificare cosa ogni giocatore fa ogni qual volta potrebbe essere chiamato a prendere una decisione (a fare una mossa). Per esempio, se due individui devono votare in sequenza e a voto palese a favore o contro un certo provvedimento di legge, il primo a fare la sua dichiarazione dovrà limitarsi a decidere come votare, mentre il secondo dovrà analizzare a priori che cosa fare in funzione del voto dell’altro.
Specificare ciò significa stabilire una strategia possibile per quel giocatore. Una lista di strategie (una per ogni giocatore) determina necessariamente un esito finale. In realtà, alcune informazioni possono essere ridondanti, ovvero strategie diverse per un giocatore possono portare agli stessi esiti, qualunque siano le strategie utilizzate dagli altri.
D’altra parte, la lista delle possibili strategie dei giocatori e le loro preferenze sugli esiti finali, permettono una seconda descrizione possibile: quella in forma strategica (o normale). Queste due rappresentazioni non sono equivalenti, in quanto la forma strategica riassume i dati della forma estesa: si perde in ricchezza di descrizione, ma si può guadagnare nella sintesi del problema.
Una prima distinzione possibile è tra giochi a somma zero (o strettamente competitivi) e a somma non nulla. Nei primi, i giocatori hanno interessi sempre contrapposti: ipotizzando un gioco a due giocatori, A e B, se un esito x è preferibile per A rispetto a un altro esito y, allora B ha necessariamente la preferenza opposta. Nei secondi invece, vi sono situazioni, rispetto ad altre, in cui i giocatori possono stare entrambi meglio. Il caso a somma zero, pur essendo una situazione non comune nelle applicazioni, serve in genere come battistrada per la comprensione del caso generale.
Un’ulteriore distinzione è fra giochi non cooperativi e cooperativi: la differenza sostanziale non sta in un atteggiamento psicologico dei giocatori o in un’ipotesi aprioristica della teoria, ma nelle condizioni esogene in cui il gioco viene giocato. Nei giochi cooperativi si possano fare accordi, che si assume a priori essere vincolanti: da dove nascano questi vincoli alla teoria non interessa.
Un’ulteriore classificazione distingue tra giochi a informazione completa e a informazione incompleta (o asimmetrica): nei secondi, vi sono alcune informazioni non note a tutti i giocatori – tipicamente si assume che i giocatori non conoscano esattamente le preferenze degli altri.
Importantissima categoria è infine quella dei giochi ripetuti: sebbene la loro analisi non sia necessariamente fatta con strumenti molto diversi da quelli utilizzati per i giochi giocati una volta sola, il modello cambia in modo radicale e di conseguenza possono cambiare completamente i comportamenti razionali delle persone, a seconda che un gioco sia giocato una volta sola, oppure ripetuto.
Il modello non cooperativo I giochi strettamente competitivi godono di proprietà molto particolari. Un giocatore può trovare le sue strategie di equilibrio senza bisogno di conoscere che cosa faccia l’altro giocatore. Non c’è bisogno di coordinamento per arrivare a una situazione di equilibrio: ciascuno per conto suo risolve un problema di programmazione lineare, che non necessariamente ha un’unica soluzione. Tuttavia, anche senza unicità, ogni coppia di soluzioni rappresenta un equilibrio. È intuibile che questo non succeda se il gioco non è strettamente competitivo.
Il modello non cooperativo fu sviluppato da Nash jr., nella sua tesi di dottorato e poi pubblicato nel 1950. Si definisce gioco non cooperativo, in forma strategica, a due giocatori, come il dato di (X, Y, f: XxY→R, g: XxY→R).Dove X e Y rappresentano gli spazi di strategie rispettivamente del primo e del secondo giocatore, mentre f e g le loro funzioni di utilità. La specificazione di una coppia (detta anche profilo) di strategie (x,y) porta a una coppia di numeri reali, f(x,y) e g(x,y), che rappresentano le utilità dei due giocatori quando le due strategie sono utilizzate. Un equilibrio è allora definito come una coppia (x̅,y̅)∈XxY tale che:
(a) f(x̅,y̅) ≥f(x,y̅) per ogni x ∈X;
(b) g(x̅,y̅) ≥ f(x̅,y) per ogni y ∈ Y.
Il significato della definizione di equilibrio è chiaro: nessuno dei due giocatori ha interesse a deviare dalla strategia di sua competenza, ammesso che anche l’altro non compia deviazioni. Chiaramente, la definizione qui riportata per due giocatori può essere estesa a un numero finito qualunque, senza nessuna complicazione, se non nelle notazioni. Nash dimostra poi che ogni gioco finito ammette equilibrio in strategie miste.
L’idea di equilibrio non era del tutto nuova, come del resto dice chiaramente Nash stesso: l’aveva già utilizzata Cournot. Tuttavia è senza dubbio il lavoro di Nash che porta all’attenzione degli esperti l’idea di gioco in forma strategica, e quella associata di equilibrio. Nel 1994, a Nash, unitamente a John C. Harsanyi e Reinhard Selten, è stato assegnato il premio Nobel per l’economia, e la motivazione richiama lo straordinario numero di applicazioni che questa idea ha avuto. Naturalmente, è facile dimostrare che l’equilibrio ottenuto con il processo di induzione a ritroso per i giochi finiti e a informazione perfetta, è un equilibrio di Nash, così come è un equilibrio ogni coppia di strategie di punto sella per i giochi a somma zero. Inoltre, il teorema di von Neumann diventa un corollario di quello di Nash, che, come dicevamo in nota, può essere dimostrato in modi differenti ma che si richiamano sostanzialmente a teoremi di punto fisso, o per funzioni o per multifunzioni.
Il concetto di equilibrio ha avuto sviluppi e generalizzazioni successive. Per esempio, una generalizzazione molto interessante è stata proposta da Aumann, che ha introdotto la definizione di equilibrio correlato, che è una distribuzione di probabilità sul prodotto degli spazi delle strategie dei giocatori, tale che, se un arbitro comunica privatamente a ogni giocatore la strategia pura da giocare, in accordo all’esito dell’esperimento aleatorio condotto secondo la distribuzione proposta, nessun giocatore, aggiornate bayesianamente le proprie credenze, ha interesse a deviare su una strategia diversa. L’insieme degli equilibri correlati è un compatto convesso non vuoto, che si caratterizza con un sistema di disequazioni lineari. Su questo politopo poi i giocatori potrebbero accordarsi di massimizzare una qualche funzione obbiettivo, come per esempio la somma delle utilità.
Un modello di contrattazione Nel periodo trascorso a Princeton come studente di dottorato, Nash ha scritto anche un lavoro fondamentale sul problema della contrattazione. Il suo approccio al problema, detto assiomatico, è stato utilizzato nello stesso periodo da Lloyd S. Shapley per la definizione dell’indice di potere che porta il suo nome e da Kenneth Arrow per il suo celeberrimo teorema di impossibilità.
Un problema di contrattazione, secondo Nash, può essere descritto da un insieme compatto convesso C del piano, e da un punto d dell’insieme stesso. Un elemento x=(x1,x2)∈C rappresenta una distribuzione di utilità possibili fra i due giocatori (x1 al primo, x2 al secondo), come risultato del processo di contrattazione, mentre d rappresenta le utilità in caso di disaccordo. Una soluzione del problema della contrattazione è una funzione f che a ogni possibile problema di contrattazione (C,d) associa un (solo) punto di C, che rappresenta l’esito della contrattazione stessa. Nash propone che detta soluzione f soddisfi un certo numero di proprietà, tra le quali l’efficienza (la soluzione non può essere una distribuzione di utilità tale che ce ne sia un’altra che soddisfi maggiormente entrambi i giocatori) e la simmetria (se i giocatori hanno le stesse opportunità, devono avere anche lo stesso risultato). Infine, dimostra il teorema che esiste un’unica funzione f che soddisfa le proprietà richieste: si tratta del punto che massimizza la funzione g(u,v)=(u-d1)(v-d2) in C∩{(u,v): u≥d1, v≥d2}. A parole, e con un po’ di imprecisione, i giocatori devono massimizzare il prodotto delle loro utilità.
È chiaro che questo risultato è piuttosto astratto e ottenuto in ipotesi molto restrittive. In particolare, come dice Nash stesso, si assume che le utilità dei giocatori sui possibili esiti della contrattazione siano conoscenza comune. Ovviamente, nella pratica succede proprio il contrario, l’abilità e il senso del contrattare sta nel nascondere, almeno parzialmente, all’altro le proprie preferenze. Tuttavia la soluzione da lui proposta ha delle proprietà interessanti. Per esempio, è sensitiva all’avversione al rischio. Nel caso semplice della spartizione di una somma di denaro un giocatore più avverso al rischio rispetto a un altro ottiene una somma minore: questo sicuramente rispecchia un fenomeno che accade nella realtà. L’approccio assiomatico di Nash al problema della contrattazione è stato seguito da altri: sostituire una proprietà con un’altra può infatti individuare una soluzione differente.
Una delle più note è quella di Kalai-Smorodinski, che propone come distribuzione di utilità il punto della frontiera efficiente dell’insieme C che intercetta il segmento congiungente il punto di disaccordo con il punto utopia U, ossia il punto U del piano che ha come coordinate il massimo delle utilità che i due giocatori possono ottenere nella contrattazione (in formula: U=(U1,U2) con U15max{u: (u,v)∈C}, U2=max{v: (u,v)∈C}). Esistono anche altri approcci al problema della contrattazione, tra i quali in particolare va ricordato il modello proposto da Ariel Rubinstein.
Quello che può essere considerato il gioco più famoso di tutta la teoria dei giochi è probabilmente il dilemma del prigioniero e si può descrivere così: un giudice convoca due persone sospettate di essere complici di un grave crimine, e fa loro un discorso di questo tenore: se uno dei due confessa e l’altro no, chi confessa sarà libero per aver assicurato un irriducibile alla giustizia, l’altro sarà condannato a 10 anni di galera. Se entrambi confessassero, la pena sarebbe pari a 7 anni di galera. Se nessuno confessasse, le prove sarebbero insufficienti per provare la colpevolezza di entrambi riguardo al crimine, ma il giudice troverà il modo di condannarli a una pena detentiva di un anno, per un reato più lieve. Per descrivere un gioco come questo, è utile ricordare che giochi finiti a due persone a somma zero sono efficacemente descritti da matrici. Qui, non essendo il gioco strettamente competitivo, dobbiamo specificare per ogni esito finale non un numero, ma una coppia di numeri, che rappresentano i pagamenti, o le utilità, dei due giocatori. Si parla in questo caso di bimatrice.
Una bimatrice che potrebbe descrivere il gioco precedente è la seguente:
che può essere associata facilmente al gioco, equivalente al dilemma del prigioniero, di due giocatori cui viene chiesto se preferiscono che sia dato loro un euro, oppure dieci all’altro.
L’equilibrio di Nash, l’unico equilibrio, porta al risultato di (1,1). Il che vuol dire che entrambi diranno che preferiscono ricevere un euro. Atteggiamento che può essere definito rude, egoista, non cooperativo, in opposizione a quello amichevole, cooperativo, altruista di chi propone di dare all’altro una somma più consistente. È evidente il fatto che questa soluzione appare molto deludente dal punto di vista dell’efficienza. Infatti, i due potrebbero dividersi equamente 20 euro e decidono invece di optare per la divisione di 2. È talmente deludente, che sul dilemma del prigioniero è stato detto moltissimo, anche a sproposito. Per esempio, che i giocatori non devono poter comunicare, altrimenti potrebbero accordarsi sul non confessare. Nulla di più falso. Possono essere lasciati comunicare, anche da soli, senza la presenza del giudice. Ogni loro eventuale accordo non è vincolante: entrambi hanno interesse a violarlo. È stato detto che rappresenta la critica più efficace all’idea di equilibrio di Nash. Anche questo non è vero. Non è necessario appellarsi all’idea di equilibrio per individuarne il risultato. Basta, molto semplicemente, eliminare le strategie dominate, cioè quelle strategie che portano a un risultato peggiore di altre, qualunque sia la strategia usata dagli altri giocatori. Un’altra, pericolosa, obiezione è che un giocatore abbia interesse a giocare in maniera cooperativa per indurre un effetto virtuoso nell’altro: un modo per negare che ha perfettamente senso che giocatori razionali possano avere vantaggio personale a non collaborare, sia pure per ottenere un risultato che è socialmente disastroso. Al contrario, più in fretta si capisce che il comportamento egoista ma razionale può portare a effetti negativi per i giocatori, più presto le istituzioni potranno studiare meccanismi che incentivino la cooperazione. Un’obiezione più seria è che esperimenti mostrano come persone ritenute generalmente razionali spesso violino le previsioni della teoria. In tal senso, viene spesso citato un famoso esperimento ideato da Axelrood, in cui esperti di varie università furono chiamati a scrivere programmi per giocare ripetutamente il dilemma del prigioniero contro tutti gli altri programmi, in un torneo round robin. Il programma vincitore della prima sfida, semplice in modo sbalorditivo, fu il celebre Tit for Tat di Anatol Rapoport, che al primo passo gioca amichevolmente, e al passo n11 fa quello che l’altro ha fatto al passo n. L’esperimento è ripetuto successivamente, dopo la pubblicazione dei risultati, e con un numero molto maggiore di partecipanti ma con lo stesso risultato. Programmi creati ad hoc erano in grado di battere il TfT, salvo poi scontrarsi fra loro.
Sul dilemma del prigioniero si continuerà a scrivere, e se ne parlerà ancora. Gli economisti possono inventarsi mille esempi in cui agenti devono risolvere un dilemma come quello, per esempio, dei due bar che devono decidere il prezzo del cappuccino e si trovano di fronte a un dilemma dello stesso tipo. Ma non solo l’economia apprezza tale esempio. Gli psicologi dicono che è una delle maniere più semplici ed eleganti per descrivere conflitti fra persone, per esempio c’è chi sostiene che spesso la crisi di una coppia si basi su meccanismi psicologici descrivibili come il dilemma del prigioniero. Gruppi di animali della stessa specie, secondo famosi esperimenti, fronteggiano in certe situazioni un problema del tipo dilemma del prigioniero. La matematica dà varie risposte a questo dilemma, tutte molto interessanti. Certamente, quando giocato una volta sola, sembra difficile sfuggire alla sua logica di dilemma. Ma esistono risposte diverse, non è detto che ci si debba rassegnare a una risposta che prevede un atteggiamento aggressivo. Anche se, tutti i giorni, possiamo osservare che la nostra vita sociale è condizionata dallo stesso dilemma: l’uomo si dà delle regole di convivenza civile nella convinzione che queste migliorino le condizioni della collettività, e quindi di tutti, ma chi le viola ne ha spesso un vantaggio immediato.
La teoria classica dei giochi ha avuto in tempi recenti molti e profondi sviluppi successivi, che sono impossibili da trattare con una certa sistematicità. Per questo ci limitiamo a fornire una carrellata di alcune delle direzioni di ricerca più importanti nella teoria più recente.
Sono quelli in cui sono previsti più stadi. A ogni stadio, i giocatori giocano un gioco strategico secondo la definizione tradizionale. Il profilo di strategie dei giocatori determina il payoff degli stessi a ogni stadio e il gioco che sarà giocato allo stadio successivo (o una distribuzione di probabilità su questi). La strada ai risultati in questo ambito è stata aperta da Shapley, nel caso strettamente competitivo, che ha mostrato l’esistenza del valore e di strategie ottimali nel caso di payoff futuri scontati con un fattore di sconto fissato. Inoltre, i giocatori hanno strategie ottimali di tipo stazionario, il che significa che dipendono solo dal gioco che viene giocato al momento, e non dalla storia passata o dal momento in cui il gioco viene giocato. Questi risultati sono stati anche successivamente generalizzati al caso non strettamente competitivo.
Sta in questo tipo di giochi la risposta, o per lo meno una risposta, al problema della cooperazione osservabile in giochi tipo dilemma del prigioniero. Non è difficile capire che se due giocatori sanno di dover giocare il dilemma del prigioniero un numero prefissato e noto di volte, l’unico atteggiamento razionale è quello aggressivo. Infatti, all’ultimo stadio è chiaro che non conviene collaborare, in quanto si applica esattamente lo stesso ragionamento che nel gioco a uno stadio solo. Ma essendo questo noto a entrambi, dall’ultimo stadio l’analisi passa al penultimo, che per l’analisi precedente diventa l’ultimo in cui c’è una decisione da prendere. Dunque anche a questo stadio non conviene collaborare; uno schema di ragionamento che ricorda quello dell’induzione a ritroso. La situazione cambia radicalmente se il gioco viene immaginato a infinite ripetizioni, oppure a ripetizioni finite ma in numero ignoto, o varianti, del tipo che a ogni stadio c’è una probabilità positiva che il gioco si arresti. Il più celebre risultato in questo ambito è il cosiddetto Folk theorem: si chiami ammissibile un profilo di payoff raggiungibile dai giocatori quando si ammettano strategie correlate. Si considerino, fra i profili ammissibili, quelli individualmente razionali, cioè quelli in cui a ogni giocatore viene assegnato almeno il suo livello di sicurezza. Il teorema allora afferma che gli equilibri del gioco ripetuto infinite volte coincidono esattamente con i profili ammissibili e individualmente razionali. Ecco come l’atteggiamento collaborativo può essere osservato in pieno accordo con la teoria classica.
Robert Duncan Luce e Howard Raiffa, nel loro libro Games and decisions, che ha avuto un’enorme influenza nello sviluppo successivo della disciplina, osservano che l’ipotesi di fondo della teoria dei giochi è che ogni giocatore conosce non solo le regole del gioco, ma anche le utilità degli altri giocatori, e che questa ipotesi è una restrizione forte, raramente verificata in situazioni reali. Per ovviare a questo inconveniente, Harsanyi ha sviluppato la teoria dei giochi a informazione incompleta. Egli postula che ogni giocatore abbia conoscenza delle strategie degli altri, ma che non ne conosca le funzioni di utilità, che ciascun giocatore possa essere uno fra un certo numero di tipi differenti, e che il tipo determini per ogni giocatore la sua funzione di utilità e la distribuzione di probabilità sui tipi degli altri giocatori. Il dato dei giocatori, delle loro strategie, dei tipi, e delle distribuzioni di probabilità dei giocatori, costituisce un cosiddetto I-game; un equilibrio in un I-game consiste in una strategia per ogni tipo di giocatore, che massimizza l’utilità attesa, fissata quella proposta agli altri. Un gioco è consistente se le distribuzioni di probabilità di tutti i tipi sono ottenibili come distribuzioni a posteriori di una singola distribuzione a priori sull’ennupla dei tipi. La consistenza permette di rendere un I-game molto simile a un gioco ordinario in forma strategica, in particolare gli equilibri diventano gli equilibri di Nash del gioco strategico associato, dove la natura sceglie a caso, in accordo con la probabilità a priori, quale ennupla di tipi gioca effettivamente il gioco. Naturalmente il modello di Harsanyi è stato esteso ai giochi ripetuti.
La teoria dei giochi si fonda sull’assioma di razionalità (perfetta) dei giocatori. Basta pensare al primo suo risultato rilevante, il teorema degli scacchi. Ovviamente questa è un’ipotesi assolutamente restrittiva. Il dilemma del prigioniero ripetuto un centinaio di volte ha all’incirca 22100 strategie pure. Non ha senso pensare che i giocatori siano consci di avere a disposizione questa vasta gamma di strategie. D’altra parte, una limitazione nel numero delle strategie disponibili nel gioco rischia di cambiare drasticamente l’esito del gioco. Ci sono alcuni lavori che si occupano di questo problema. Si può pensare di definire come possibile per un giocatore solo una strategia programmabile da un automa di grandezza prefissata in maniera esogena. E ancora una volta il risultato sul dilemma del prigioniero fa da spartiacque. Abbiamo infatti dedotto che se il gioco è ripetuto un numero finito e noto di volte, solo l’atteggiamento aggressivo porta a un equilibrio. Ma ipotizzando che i giocatori nel calcolo delle loro strategie dispongano di automi finiti (per es., di grandezza polinomiale rispetto al numero di ripetizioni) allora la strategia collaborativa diventa anch’essa di equilibrio. D’altra parte, ipotesi differenti sulla natura dell’automa possono portare a risultati molto diversi.
Molti indizi e molti esperimenti portano a credere che il comportamento animale sia in genere più razionale di quello umano. John Maynard Smith ha sviluppato l’idea di strategia evolutivamente stabile, una variante del concetto di equilibrio di Nash, nell’applicazione della teoria allo studio del comportamento animale. L’interpretazione evoluzionista dell’equilibrio è che strategie pure e miste non rappresentano scelte consce dei giocatori, ma un equilibrio raggiunto da una popolazione alle prese con il problema di ottimizzare i comportamenti per la propria sopravvivenza.
Le definizioni di gioco in forma strategica, e di equilibrio a essa associata, hanno il problema di ignorare ciò che accade nella forma estesa del gioco stesso. La ragione risiede nel fatto che l’equilibrio non è sensibile ai cambiamenti al di fuori del cammino di equilibrio. In particolare, può prescrivere comportamenti non ottimali in certi nodi (ovviamente non raggiunti dall’implementazione della strategia di equilibrio). Per questo sono stati successivamente proposti vari raffinamenti del concetto di equilibrio, a cominciare dal famoso equilibrio trembling hand definito da Selten.
Pur se impossibile spiegare in poche parole che cosa propongano i vari concetti di equilibrio, si può dire, in accordo con Aumann, che tutti hanno alla radice l’idea che un potenziale comportamento irrazionale da parte dei giocatori deve essere tenuto nel dovuto conto. Questo fa sì che i giocatori considerino la possibilità che gli altri possano sbagliare, con una certa probabiltà (piccola), e ciò permette di selezionare alcuni equilibri piuttosto che altri.
Un ultimo aspetto che merita almeno menzionare è quello del mechanism design. Partendo dal fatto che gli agenti sono persone razionali, si può analizzare l’evoluzione di un gioco e il suo esito, a partire dalle regole del gioco stesso.
Un tipico esempio è il meccanismo d’asta. Questo tipo di applicazione è estremamente importante. Supponiamo che un ente (governo, istituzione) voglia ottenere determinati risultati, da un’asta pubblica, che non sono soltanto la massimizzazione dei profitti ma, per esempio, il tentativo di evitare concentrazioni oligopolistiche. Si può allora pensare a meccanismi che ottengano risultati migliori rispetto a quelli tradizionali. Un campo in cui i governi si sono sbizzarriti in questo senso è quello della vendita delle bande per i telefoni satellitari: a volte con risultati spettacolari, a volte con risultati disastrosi. Ma non è questo l’unico campo in cui merita studiare come le regole influenzano i risultati. Tenendo conto che spesso sono gli agenti stessi che devono rivelare le loro preferenze sugli esiti di un gioco, e che in situazioni complesse queste non sono evidenti, il meccanismo proposto deve invogliare i partecipanti a rivelare le loro vere preferenze: in altre parole, non ci deve essere incentivo a mentire. Recentemente, sono stati fatti modelli basati sulla teoria dei giochi, per lo scambio di reni fra pazienti con donatori incompatibili, ma compatibili nello scambio. È assolutamente ovvia l’importanza non solo di implementare meccanismi efficienti, ma anche che non inducano a mentire. Gli esempi potrebbero continuare: il legislatore potrebbe occuparsi dei meccanismi che regolano la contrattazione fra parti, in modo, per esempio, di difendere la parte più debole. Non deve allora stupire che la teoria dei giochi sia stata applicata anche allo studio delle leggi.