Meccanismo costruito per imitare i movimenti e riprodurre l’aspetto esterno dell’uomo e degli animali.
Da questo primo significato discende quello di macchina, o sistema di macchine, che svolge funzioni complesse in sostituzione dell’uomo nell’ambito di sistemi industriali o sociali (➔ automazione; robot).
Di presenza di a. già nel mondo antico dà notizia certa il trattato Sulla fabbricazione degli automi di Erone di Alessandria (forse 1° sec. d.C.); varie macchine semoventi sono poi menzionate in molte leggende. Di a. di vario tipo si ha testimonianza per tutto il Medioevo. Gli scambi fra Bisanzio, il mondo islamico – dove l’interesse per le figure meccaniche, di solito mosse idraulicamente, fu grandissimo – e l’Oriente (in Cina le prime notizie di a. risalgono al 3° sec. a.C.) dovettero essere continui. Rimasero celebri gli esemplari costruiti dall’orafo parigino G. Boucher, che verso la metà del 13° sec. lavorò alla corte imperiale cinese. I progressi nella costruzione di a. accompagnarono quelli nella realizzazione dei movimenti di orologeria (grandi orologi meccanici con più figure ad azioni complesse, come quello installato a Milano nel 1336). Complicati a. furono in voga durante il Rinascimento, in particolare alla corte dei duchi di Borgogna. Nei sec. 16° e 17° orologi da appartamento con a. furono fabbricati soprattutto in Germania. Il primo trattato moderno sugli a. (A. Ramelli, Le diverse et artificiose macchine, 1588) segna l’inizio di un’epoca in cui la loro moda divenne grandissima. Il secolo d’oro degli a. fu il Settecento. Alla metà del secolo F. von Knauss creò un a. scrivente, mentre W. von Kempelen nel 1778 iniziò a Vienna l’esperimento degli a. parlanti. Il celebre meccanico francese J. de Vaucanson fabbricò un suonatore meccanico di flauto e un canarino artificiale che mangiava e digeriva come se fosse stato vivente. I movimenti di questi a. erano ottenuti mediante una molla di acciaio chiusa in un cilindro, che si caricava con una chiave; il movimento veniva trasmesso mediante catenelle, leve, pesi e contrappesi. Per il grande costo e per lo scemare dell’interesse dopo il primo momento di curiosità, la costruzione di a. si interruppe presto. Nel 1929 fu segnalato dalle riviste un uomo meccanico prodotto a Norimberga, che si muoveva con grande naturalezza grazie a complicati meccanismi. In seguito, la costruzione degli a. si è avvantaggiata dei ritrovati della tecnica che hanno consentito la realizzazione di macchine sempre più complesse, a funzionamento elettrico o elettronico. Su questa linea è stata decisiva la confluenza delle tecniche adottate nella progettazione e costruzione di a. con quelle orientate alla realizzazione di macchine capaci di eseguire calcoli numerici e/o logici, che si è realizzata nella prima metà del Novecento.
In informatica matematica, l’a. è una classe di modelli di macchine o dispositivi, reali o ipoteticamente realizzabili, in grado di eseguire computazioni, ovvero di operare su oggetti simbolici secondo regole pre;cise di tipo logico-matematico. Servono a schematizzare e descrivere in maniera astratta formalmente precisa i comportamenti di una macchina che elabora (cioè riconosce o trasforma) una certa classe di simboli.
Evoluzione discreta nel tempo. - Un a., a differenza di una formula matematica o logica, è un modello formale che descrive macchine o dispositivi che agiscono nel tempo, come tutte le macchine o dispositivi considerati dalla fisica, e il cui comportamento è osservabile nel tempo non in maniera continua, ma solo in un numero discreto di istanti t1, t2,..., tn, a partire da una precisa origine dei tempi: il tempo definito da questi istanti non è un tempo cronometrico, ma soltanto un tempo discreto di tipo logico. In ognuno degli istanti ti deve essere definito uno stato dell’a. S1, S2,.., Sn, ossia una situazione ben descrivibile e riconoscibile da parte di un osservatore esterno all’interno di un certo repertorio di stati possibili: se gli Si sono finiti, l’a. si chiama a. o macchina a stati finiti. Questi a. ricevono anche stimoli in ingresso dall’ambiente esterno, che modificano il loro comportamento, ossia che determinano in quale stato si troveranno nel successivo istante di osservazione, all’interno di un preciso insieme di stati a cui è possibile passare partendo dallo stato attuale. Qualunque repertorio finito di segnali in ingresso provenienti dall’ambiente esterno può essere ricodificato mediante un’opportuna sequenza di caratteri di un alfabeto astratto, pertanto si può assumere in modo del tutto generale che una macchina formale accetti in ingresso stringhe (cioè successioni finite di caratteri presi da un certo insieme che si dirà alfabeto della macchina formale). La richiesta che il repertorio sia finito è motivata dall’esigenza che il riconoscimento possa avvenire in un tempo finito. Indicheremo con I1, I2,..., In i segnali in ingresso per una macchina formale.
Semiautomi, riconoscitori, linguaggi formali. - Si chiama semiautoma una macchina a stati finiti che possiede uno o più stati iniziali e uno o più stati finali. Se gli stati iniziali si riducono a uno solo, si parla di riconoscitore a stati finiti di Rabin e Scott. Il termine riconoscitore trova la sua spiegazione nel fatto che, se si immagina che la successione dei simboli in ingresso sia scritta sulle caselle di un nastro scandito da una testina di lettura di cui si intenda dotata la macchina formale, il riconoscitore finisce con il privilegiare un sottoinsieme di stringhe tra tutte quelle componibili con l’alfabeto A. Queste stringhe si diranno precisamente le stringhe riconosciute dal riconoscitore. Poiché un sottoinsieme di stringhe composte mediante i simboli di un certo alfabeto si dice linguaggio formale su A, un riconoscitore di Rabin e Scott è una macchina formale che riconosce un linguaggio formale. Un teorema dovuto a S.C. Kleene dimostra che i linguaggi riconosciuti da un riconoscitore a stati finiti di Rabin e Scott sono i cosiddetti linguaggi razionali.
Trasduttori. - La maggior parte dei dispositivi che trattano simboli non si limitano a essere influenzati dall’ambiente esterno, ma a loro volta lo influenzano, producendo segnali in uscita. Assumeremo che anche i segnali in uscita siano in numero finito, e li indicheremo con U1, U2,..., Un. Una macchina formale che accetta segnali in ingresso e ne produce in uscita si dice trasduttore. Quando si parla di a. a stati finiti si pensa, in generale, a trasduttori.
Rappresentazioni di un a. a stati finiti. -Da quanto detto risulta come sia possibile assegnare completamente il comportamento di un a. fornendo due funzioni. La prima, E («evoluzione»), fornisce per ogni possibile coppia (It–1, St–1) di segni che rappresentano un input e uno stato del sistema, un nuovo valore St per lo stato del sistema all’istante t. La seconda funzione, U («uscita»), fornisce un valore Ut+1 per ogni coppia (It, St) di valori di un segnale in ingresso e di stato interno al tempo t.
Modello teorico di elaborazione parallela sviluppato a partire dall’inizio degli anni 1960 da A.W. Burks e da altri ricercatori sulla base di alcune intuizioni di S. Ulam e J. von Neumann. Un a. cellulare si immagina realizzato replicando un a. a stati finiti in un numero infinito di copie (cellule), organizzate in una struttura spaziale definita (spazio delle cellule). Poiché ogni cellula è la copia dello stesso a., l’evoluzione degli stati interni di ciascuna cellula avverrà simultaneamente e sarà definita dalla stessa funzione; a differenza di un a. a stati finiti, in un a. cellulare questa funzione di evoluzione dipenderà, oltre che dallo stato interno della cellula stessa, anche dallo stato interno delle cellule adiacenti. Un semplice a. cellulare è illustrato nel gioco della vita inventato negli anni 1970 da J.H. Conway: un a. con due soli stati interni, 0 e 1, è replicato in uno spazio bidimensionale (in un piano); la generica cellula, Cij, è quindi identificata da due indici interi positivi e le sono adiacenti le 8 cellule, Chk, tali che |h−i|≤1 e |k−j|≤1. La funzione di evoluzione è definita in termini del numero, n, di cellule adiacenti il cui stato interno sia 1: lo stato interno 0 rimane 0 se n≠3, diventa 1 se n = 3; lo stato interno 1 rimane 1 se n = 2 o 3, diventa 0 se n = 1 o n≥4. Attribuendo uno dei due stati a tutte le cellule del piano e applicando quindi la legge sopra assegnata, si potrà osservare la comparsa e l’evoluzione di forme riconoscibili, che sembrano animate di vita propria. A. cellulari sono stati realizzati in alcuni casi con specifici processori, in altri simulati via software.