A. pubblica Con tale espressione si intendono, tradizionalmente, sia l’attività dell’amministrare pubblico sia gli apparati che la svolgono.
Storicamente, l’a. pubblica ha subito molte trasformazioni, sotto il profilo degli apparati e delle funzioni. Nel 19° sec. era composta essenzialmente dalle strutture amministrative che facevano capo al potere esecutivo, avevano dimensioni contenute e svolgevano soprattutto funzioni d’ordine (polizia e ordine pubblico, difesa, giustizia, relazioni con l’estero). Prevaleva l’idea che l’a. pubblica fosse attività esecutiva delle leggi, destinata alla cura concreta e puntuale di interessi pubblici, e svolta da apparati alle dipendenze del governo (in primo luogo, i ministeri). Nel corso del 20° sec., l’a. pubblica ha conosciuto una notevole espansione, ha moltiplicato i suoi compiti, ampliando sempre più, accanto alle funzioni d’ordine, le attività finalizzate alla promozione del benessere sociale e all’intensa disciplina dell’economia: ha così guadagnato gradualmente autonomia rispetto all’apparato di governo, tanto da configurare un potere amministrativo distinto dal potere esecutivo. Contemporaneamente, si sono sviluppate le a. territoriali, politicamente indipendenti dal governo centrale, in virtù di un processo di autonomia e di decentramento che ha interessato quasi tutti i paesi. Dagli anni Ottanta del Novecento, sono intervenute ulteriori trasformazioni. Le politiche di liberalizzazione, privatizzazione, de-burocratizzazione, fortemente praticate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, e sollecitate da organismi internazionali e dalla Comunità Europea, hanno imposto in diversi paesi un ripensamento delle dimensioni e delle funzioni dell’a. pubblica, sottolineando la necessità di un’a. più ‘leggera’ e al tempo stesso più efficace nel rendere servizi e nel regolare l’economia senza eccessive ingerenze nel funzionamento dei mercati. Il potenziamento del diritto comunitario in tante materie (dall’ambiente, alle telecomunicazioni, ai servizi finanziari) ha comportato la necessità di varare normative molto complesse, la cui formazione ha richiesto un’estesa attività di preparazione da parte di apparati amministrativi.
In Italia hanno avuto particolare importanza le riforme introdotte a partire dagli anni Novanta del 20° secolo. Si è potenziato il decentramento, fino alla riforma del titolo V della Costituzione nel 2001, che ha rafforzato i poteri normativi delle Regioni e le competenze amministrative dei Comuni (l. 142/1990; l. 57/1997; l. cost. 3/2001). Si è tentata (d. legisl. 300 e 303/1999) la razionalizzazione dell’a. centrale dello Stato, soprattutto con norme sulla presidenza del Consiglio, sui ministeri e sulle agenzie. Sono state istituite diverse autorità amministrative indipendenti dal governo, aventi anche funzioni di regolazione (per es. la CONSOB) e ‘quasi-giudiziali’ (Autorità amministrative indipendenti). Alla dirigenza amministrativa è stata riconosciuta una competenza generale a svolgere attività di gestione, mentre agli organi politici sono state attribuite funzioni di indirizzo e controllo (d. legisl. 29/1993). A seguito di queste trasformazioni, dunque, l’a. pubblica ricomprende, sul piano degli apparati, strutture dipendenti, autonome e indipendenti dal governo, centrale o locale, e distinte dagli organismi parlamentari e giudiziari; e include, sul piano delle funzioni, attività di cura concreta di interessi pubblici, di regolazione e ‘quasi-giudiziali’.
L’a. pubblica è oggetto di norme costituzionali. L’art. 97 cost. stabilisce i principi di imparzialità e buon andamento. L’art. 98 afferma che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». Ciò significa che l’a. pubblica deve essere immune da influenze di parte e deve operare senza recare discriminazioni di sorta. Il principio dell’imparzialità ha portata generale. Vale per tutti i tipi di a. pubblica, centrale e locale, direttamente collegata all’indirizzo politico (i ministeri), o separata da esso (le autorità indipendenti). L’art. 5 cost. stabilisce i principi dell’autonomia e del decentramento, che sono stati potenziati dalla riforma del titolo V (art. 117 cost. e seg.). Quanto alle attività dell’a. pubblica, l’art. 118 cost. prevede il principio di sussidiarietà, secondo cui le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, le strutture più prossime alle collettività amministrate: le amministrazioni territorialmente superiori – le Province, le città metropolitane, le Regioni e lo Stato – intervengono solo se i fini pubblici non possono essere adeguatamente realizzati dagli organismi di livello territoriale inferiore.
L’a. pubblica si articola essenzialmente in: ministeri, agenzie, enti pubblici, autorità indipendenti, imprese con partecipazione pubblica, strutture amministrative delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. I ministeri costituiscono la struttura tradizionale dell’amministrazione dello Stato. Dipendono dal ministro, che è al tempo stesso organo politico e vertice del dicastero. In origine (l. 1483/1853 e r.d. 1611/1853) tutti gli uffici ministeriali erano gerarchicamente subordinati al ministro; a seguito della distinzione fra indirizzo e controllo, da un lato, e gestione, dall’altro, i dirigenti sono stati tendenzialmente legittimati ad adottare gli atti di gestione amministrativa, e ai ministri è stato riservato il compito di definire obiettivi, programmi, direttive e di controllare i risultati (d. legisl. 165/2001). I ministeri possono essere articolati in dipartimenti, grandi strutture organizzative che comprendono al loro interno uffici
dirigenziali generali, o direttamente in direzioni generali, talora coordinate da un segretario generale (d. legisl. 300/1999, modificato dal d.l. 181/2006, convertito in l. 233/2006).
Gli enti pubblici nazionali fanno parte dell’a. pubblica, ma non rientrano nell’a. dello Stato, tanto che sono stati anche denominati ‘a. parallele’. Hanno strutture eterogenee e sono dotati di personalità giuridica. Possiedono organi propri (di regola, presidente e consiglio di amministrazione), nominati dal governo, che dettano gli obiettivi e le direttive ai loro uffici. I poteri di vigilanza spettano, in genere, all’autorità di governo, che talora è titolare di poteri di direttiva. Una maggiore autonomia organizzativa e funzionale è riconosciuta agli enti pubblici che sono espressione di comunità di settore, come le camere di commercio, o svolgono attività assistite da garanzie costituzionali, come le università e le istituzioni scolastiche.
Le autorità amministrative indipendenti si sono sviluppate soprattutto dagli anni Novanta del 20° secolo. Di regola sono sottratte al controllo politico (come avviene per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato), sebbene siano previsti poteri di indirizzo del governo in casi particolari e specificamente disciplinati (come quello dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas). I titolari degli organi direttivi sono nominati con procedure che escludono l’intervento dell’autorità di governo, o lo inseriscono in procedimenti in cui il ruolo essenziale è svolto dagli organi parlamentari. Le autorità indipendenti operano in settori ‘sensibili’, nei quali la presenza di diritti costituzionalmente garantiti richiede l’intervento di amministrazioni autonome dalla politica e dotate di particolare qualificazione tecnica.
Le imprese a partecipazione pubblica – statale o di enti territoriali – hanno prevalentemente la forma di società per azioni. Se la maggioranza del capitale è in mano pubblica, si applicano i controlli della Corte dei conti (Corte cost., 466/1993); se è in mani private, l’impresa è sostanzialmente al di fuori dell’a. pubblica. Può permanere in taluni casi l’esercizio della cosiddetta ‘azione d’oro’, che consente all’azionista pubblico di porre il veto ad acquisizioni di pacchetti azionari.
Regioni, Province e Comuni sono enti territoriali dotati, in base alla Costituzione, di autonomia politica. Sotto questo profilo, sono indipendenti dallo Stato. Sul piano organizzativo, le strutture amministrative regionali e locali sono apparati più compatti e meno disaggregati di quelli statali. Vi è maggiore continuità fra organi politici e uffici amministrativi: il che rende più arduo realizzare in concreto la distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa, prevista dalla legge anche per Regioni ed enti locali. Di norma, ciascun assessore – nominato dal vertice politico dell’amministrazione – ha alle sue immediate dipendenze il complesso degli uffici amministrativi che operano nella materia affidata alla sua responsabilità. Nei Comuni e nelle Province è previsto un segretario (comunale o provinciale): è impiegato di carriera, nominato dal vertice politico dell’ente locale tra gli iscritti all’apposito albo per una durata corrispondente al mandato politico; è revocabile; svolge compiti di collaborazione, di consulenza giuridico-amministrativa, di coordinamento dei dirigenti, di attuazione delle delibere degli organi di governo. Regioni ed enti locali possono affidare funzioni a soggetti esterni, come enti strumentali, aziende, o società in partecipazione pubblica. Gli enti strumentali delle Regioni sono sottoposti a poteri di indirizzo, direzione, controllo e nomina spettanti agli organi politici regionali.
Aziende e società regionali e locali godono di maggiore autonomia, sempre nei limiti dell’indirizzo politico dell’ente di riferimento. Una disciplina specifica è dettata in materia di servizi pubblici locali: quelli di natura economica (come i trasporti o l’erogazione dell’energia) sono affidati con procedure diverse a società di capitali; quelli non aventi rilevanza economica sono affidati direttamente dall’ente locale a società a capitale interamente pubblico, ad aziende speciali o a istituzioni dipendenti dall’ente locale stesso.
La complessità dell’a. pubblica e la compresenza di strutture statali, regionali e locali hanno richiesto lo sviluppo di apparati di coordinamento e di a. composte: fra i primi, si può ricordare la Conferenza unificata di Stato, Regioni, città e autonomie locali; fra le seconde, il Servizio sanitario nazionale e il Sistema statistico nazionale, che inglobano strutture centrali, regionali e locali. Attività di a. pubblica possono essere affidate a soggetti privati o disciplinati dal diritto privato. Soggetti privati possono svolgere funzioni o servizi pubblici: è il caso dei concessionari, che svolgono attività autoritative (come l’esazione di tributi) o imprenditoriali (come la distribuzione del gas), e dei notai, che svolgono attività costitutive di certezza pubblica.
Alta a. Attività di indirizzo politico-amministrativo e di controllo di competenza del ministro, nel cui esercizio emana atti definiti «di suprema direzione della pubblica a.» o «di raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa». Attuazione dell’art. 97 della Costituzione, l’alta a. è espressione del principio della separazione delle competenze fra organi politici e organi amministrativi. In particolare, il ministro definisce gli obiettivi e i programmi da attuare, adottando gli atti che rientrano nello svolgimento di tali funzioni, e verifica la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti; a questo fine individua le risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale. Il dirigente adotta gli atti e i provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno; si occupa della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, ed è responsabile, in via esclusiva, dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. L’alta a. si esprime attraverso atti normativi, atti di carattere generale, di programmazione e di indirizzo,
incapaci tuttavia di produrre effetti giuridici diretti nelle situazioni giuridiche soggettive. Tra gli atti di alta a. particolare rilevanza rivestono le ‘nomine’ dei titolari di una parte degli uffici dirigenziali, il cui sistema è stato oggetto di una profonda trasformazione, volta ad agevolare il collegamento fra i ministri e i funzionari, riequilibrando in tal modo il principio di separazione fra attività politica e di gestione introdotto dalla l. 165/2001.
A. apostolica Porzione del popolo di Dio che, in virtù di una serie di ragioni di carattere speciale e particolarmente gravi, non viene eretta dal sommo pontefice come una diocesi ordinaria. Anziché da un vescovo, la diocesi è quindi governata, in nome e per conto del papa, da un amministratore apostolico, cui spettano gli obblighi e la potestà del vescovo diocesano, eccezion fatta per la natura della cosa o per il diritto stesso. Parimenti assorbibile dal concetto di amministratore è la figura di amministratore parrocchiale (vicario canonico), che il vescovo è tenuto a designare quando la parrocchia sia vacante per morte del parroco titolare o quando il parroco sia impedito nell’esercizio dell’ufficio pastorale per prigionia, esilio, confino, inabilità, salute malferma o altra causa. La supplenza dura fino al venir meno dell’impedimento o alla nomina di un nuovo parroco, mentre il governo della parrocchia è assunto dal più anziano dei vicari parrocchiali.
Atti di ordinaria e straordinaria a. In diritto civile, tutti gli atti di gestione del patrimonio possono essere ripartiti tra atti di ordinaria a. e atti di straordinaria a. (o eccedenti l’ordinaria a.). L’ordinamento giuridico considera rilevante la distinzione in numerosi casi, per lo più attinenti al diritto delle persone fisiche (c.c., art. 180, 320, 394, 424), ma non fornisce un criterio discretivo. L’art. 320 c.c. elenca una serie di atti che eccedono l’ordinaria a. (atti di alienazione, accettazione o rinunzia all’eredità e così via), ma tale elenco ha carattere dimostrativo. Dottrina e giurisprudenza hanno quindi rinvenuto il criterio discretivo nell’incidenza degli atti: si ha ordinaria a. quando questa è limitata alla sfera di disponibilità e regolamentazione delle sole rendite; straordinaria a. quando invece riguarda anche il patrimonio; la distinzione importa un apprezzamento di fatto, che pertanto è riservato al giudice di merito e si sottrae al sindacato della Corte di cassazione.
A. di sostegno Istituto, introdotto dalla l. 6/9 gennaio 2004, che ha novellato il testo degli art. 404-11 c.c, che ha lo scopo di offrire assistenza a un soggetto il quale, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. L’a. offre al soggetto beneficiario una forma flessibile di protezione dei suoi interessi, distinguendo, tra le varie tipologie di atti, quelli che il beneficiario può compiere da solo senza alcuna assistenza, quelli per cui è necessaria l’assistenza dell’amministratore di sostegno ovvero, se del caso, gli atti che deve compiere l’amministratore di sostegno in nome e per conto del beneficiario; ancora, si possono disporre limiti alle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il
beneficiario ha o può avere la disponibilità. Il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario (che può essere anche minore, inabilitato o interdetto), dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero. Il ricorso va presentato al giudice tutelare, che provvede con un decreto; in proposito si è presentato il problema della necessità della difesa tecnica nel procedimento. La Corte di cassazione ha stabilito che il procedimento non richiede il ministero del difensore quando il provvedimento da emettere debba limitarsi a individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore, mentre la difesa tecnica sarà necessaria quando il decreto che il giudice ritenga di emanare, corrispondente o meno alla richiesta dell’interessato, vada a incidere sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato.
A. straordinaria Procedura concorsuale destinata a imprese che si trovino in uno stato di insolvenza e presentino congiuntamente i seguenti requisiti: a) un numero di lavoratori subordinati non inferiori a 200 da almeno un anno; b) debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi del totale dell’attivo dello stato patrimoniale e dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio (d. legisl. 270/8 luglio 1999). Alla dichiarazione d’insolvenza del tribunale segue un periodo di osservazione durante il quale un commissario nominato dal tribunale, su designazione del ministro dell’Industria, valuta se l’impresa ha concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico. Qualora l’impresa sia ammessa alla procedura, un commissario straordinario provvede ad attuare il piano di risanamento. Se questo non ha esito positivo, il tribunale dichiara il fallimento.
Procedura concorsuale abrogata per mezzo dell’art. 147 del d. legisl. 5/2006. Consisteva nella possibilità concessa a un imprenditore in temporanea difficoltà, in presenza di comprovate probabilità di risanamento (quindi, non, o non ancora, in stato di insolvenza), di ottenere una sospensione per al massimo due anni dei pagamenti verso i creditori, evitando così la soggezione al fallimento. Durante la procedura l’attività veniva svolta sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Per poterne beneficiare l’imprenditore doveva soddisfare requisiti soggettivi di meritevolezza previsti anche per il concordato (➔) preventivo. In caso di mancato risanamento, la a. controllata poteva essere trasformata in concordato preventivo o in fallimento.
A. della giustizia Con il termine a. della giustizia si fa riferimento non soltanto alla giurisdizione in senso stretto, intesa come attività di accertamento e applicazione del diritto, ma anche all’insieme delle attività funzionali alla giurisdizione propriamente intesa. In tal senso i reati contro la a. della giustizia, disciplinati dal titolo III del libro 2° del codice penale, si dividono in tre capi: a) delitti contro l’attività giudiziaria, il cui oggetto è il corretto funzionamento della giustizia (art. 361-84 bis: omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale, di un incaricato di pubblico servizio, di un cittadino, omissione di referto, simulazione di reato, calunnia, falso giuramento della parte, false informazioni al pubblico ufficiale, falsa testimonianza, frode processuale, subornazione, favoreggiamento reale e personale, rivelazioni di segreti inerenti a un procedimento penale ecc.); b) delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie, che ledono cioè l’efficacia e l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari (art. 385-91: evasione, mancata esecuzione di un provvedimento del giudice, mancata esecuzione dolosa di sanzioni pecuniarie, procurata inosservanza di pene ecc.); c) delitti inerenti la tutela arbitraria delle proprie ragioni rivolti a violare il monopolio dell’autorità giudiziaria nella risoluzione dei contrasti intersoggettivi di interessi. Di quest’ultimo gruppo sono ancora in vigore soltanto le norme ex art. 392 ed ex art. 393 c.p., che disciplinano l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone. La l. 205/1999 ha infatti abrogato, per es., norme sulla sfida a duello e sull’uso delle armi a duello. Dal punto di vista della tecnica legislativa i reati in esame ricalcano il modello dei reati di pericolo (➔ reato) in quanto, ai fini della loro consumazione, è sufficiente l’esposizione a pericolo degli interessi facenti capo all’a. della giustizia e non l’effettiva verificazione del danno.
A. finanziaria Con riferimento alla struttura organizzativa dello Stato, il complesso dei poteri esercitabili in fase di accertamento, controllo e riscossione dei tributi, attraverso cui si attua concretamente il concorso di tutti i cittadini alle pubbliche spese, e l’apparato stesso che esercita tale funzione.
Intesa in senso funzionale, l’a. finanziaria condivide le caratteristiche essenziali di ogni funzione amministrativa, sotto il profilo delle finalità generali che la ispirano (realizzazione di un pubblico interesse, in particolare quello alla «giusta imposta», ex art. 53 cost.), dei principi che la governano (principio di legalità, principio di imparzialità e buon andamento), e delle modalità di attuazione (autoritatività ed esecutività). Al tempo stesso presenta alcune peculiarità, legate alle sue finalità specifiche, presentandosi come un’attività sostanzialmente vincolata e non discrezionale (se non per alcune limitate ipotesi), connotata dall’indisponibilità e dalla irrinunciabilità.
Dal punto di vista organizzativo, l’a. finanziaria è stata sottoposta a un processo di riorganizzazione, volto a potenziarne l’efficacia, grazie anche alla progressiva separazione tra funzioni politiche e amministrative. Fino al 1991, l’apparato amministrativo era articolato su base territoriale, con compiti ripartiti tra la struttura centrale (il Ministero delle Finanze), le strutture regionali e quelle provinciali. Il Ministero era suddiviso a sua volta in dieci direzioni generali, ognuna con una competenza specifica. Le strutture regionali si articolavano in Intendenze di finanza (titolari di poteri di indirizzo e vigilanza) e Ispettorati compartimentali (con compiti di coordinamento e direzione degli uffici territoriali); le strutture provinciali, infine, erano divise in uffici distrettuali. La l. 358/29 ottobre 1991 ha avviato una significativa riorganizzazione dell’a. fiscale, al fine di potenziare la capacità operativa delle strutture periferiche e centrali, per armonizzarne l’attività dei vari uffici in funzione dei diversi compiti loro affidati. L’obiettivo di un maggiore coordinamento è stato attuato, in particolare, attraverso la formazione di tre nuovi dipartimenti: delle Entrate, delle Dogane e del Territorio. Il processo di riorganizzazione è proseguito con la l. delega 59/15 marzo 1997, che ha stabilito una netta suddivisione tra direzione politica e funzione amministrativa, per completarsi quindi con il d. legisl. 300/30 luglio 1999, e la creazione, sul modello europeo, di quattro nuovi soggetti, le agenzie (Entrate, Dogane, Territorio, Demanio), dotati di autonomia regolamentare amministrativa, contabile, patrimoniale e finanziaria rispetto al restante apparato amministrativo dello Stato. Della materia tributaria in senso proprio si occupa l’Agenzia delle entrate (➔ Agenzia).
Costituzione e procedure concorsuali di Lucio Lanfranchi