Provvedimento amministrativo con cui un organo trasferisce ad altri l’esercizio di potestà o facoltà inerenti a diritti di sua spettanza. L’istituto della d. amministrativa viene annoverato tra i meccanismi di deroga alla sfera delle attribuzioni e competenze disciplinate e individuate dal legislatore, ed è pertanto ammissibile solo nei casi in cui sia espressamente prevista dalla legge e conferita con atto scritto. Mediante la d. l’autorità delegante demanda al delegato esclusivamente l’esercizio dei poteri, senza perderne la titolarità e conservando nell’attività delegata poteri di ingerenza, quali quelli di direttiva, di sorveglianza e di avocazione. Per effetto della d., il delegato viene a trovarsi, rispetto all’esercizio del potere, nella medesima posizione del delegante, sicché esercita il potere in nome proprio e gli atti compiuti nell’espletamento dell’attività delegata sono a lui imputabili.
Si parla anche di d. interorganica, quando si verifica uno spostamento di competenze da un organo a un altro all’interno della stessa struttura amministrativa (per es., delega dal prefetto al questore; dal sindaco agli assessori), e di delega intersoggettiva quando ha luogo un trasferimento di competenze tra soggetti diversi (per es., nei casi previsti dall’art. 118 Cost., prima della riforma attuata con l. cost. n. 3/2001, in virtù del quale lo Stato poteva delegare alle regioni l’esercizio di sue funzioni amministrative, e queste, a loro volta, alle province, ai comuni e ad altri enti locali).
In base alla l. n. 59/1997 e al d.lgs. n. 112/1998 molte funzioni amministrative possono essere direttamente conferite (tramite trasferimento, d. o attribuzione) alle regioni e agli enti locali. Quest’ultima tipologia di d. rappresenta un vero e proprio decentramento di attribuzioni, con conseguente applicazione delle regole proprie di tale fattispecie organizzatoria, e non una mera delegazione amministrativa. In quest’ultima ipotesi, infatti, il delegante perde ogni potere di agire sull’attività delegata, finché il potere delegato non sia stato compiutamente esercitato, o non vi sia stata una revoca della delega.
In merito al regime giuridico applicabile agli atti posti in essere dal delegato, la giurisprudenza, al contrario della dottrina, ritiene che l’atto del delegato possa essere impugnato davanti al delegante tramite il ricorso gerarchico, e per quanto concerne la validità degli atti del delegato in presenza di un vizio dell’atto di d., sono considerati validi solo gli atti che producono effetti favorevoli nella sfera giuridica dei terzi.
Dalla d. amministrativa deve distinguersi la d. di firma, in virtù della quale un soggetto è autorizzato ad adottare un provvedimento per il delegante. In virtù di tale meccanismo, invalso nell’organizzazione ministeriale fino alla separazione delle funzioni di indirizzo, attribuite all’organo politico, da quelle di gestione, attribuite alla dirigenza, (d.lgs. n. 29/1993, art. 3), tutti gli atti potevano essere adottati anche dall’alta dirigenza «per delega del ministro».
Nella sfera dei comportamenti politici la d. indica una tecnica di trasmissione controllata del potere. In questo senso riguarda in particolare il campo dei rapporti fra società civile e istituzioni, costituendo il processo attraverso cui i membri di una collettività incaricano ad agire a nome loro determinati soggetti politici nella competizione per il potere, in vista della soddisfazione degli interessi di cui sono portatori. Alla base della d. politica c’è dunque un rapporto fiduciario, che assume anche significati di identificazione e solidarietà all’interno di un gruppo.
Il problema storico della d. politica è legato alla nascita del concetto di sovranità popolare. Nell’organizzazione dello Stato assoluto non esiste partecipazione elettiva, ma solo una forma di d. meccanica e indiretta che si realizza attraverso i ceti e i gruppi sociali incorporati nello Stato. Nello Stato moderno, che si origina dalla rivoluzione francese, la partecipazione alla vita politica si svolge secondo formule di d. individuale da parte dei cittadini che detengono originariamente la legittimità e il controllo del potere e lo trasferiscono in via elettiva a rappresentanti liberamente scelti a esercitarlo per conto della collettività sociale.