Disciplina che studia i processi dell’educazione e della formazione umana.
Con il termine pedagogo si intende il precettore, l’istitutore, la persona a cui è affidata l’educazione di un fanciullo. In origine il pedagogo era semplicemente il servo a cui si affidavano (soprattutto in Atene) i fanciulli dall’età di sette anni. A Roma il pedagogo comparve, come altre figure della civiltà greca, nel 1° sec. a.C., e vi assunse, più chiaramente, le funzioni del precettore, assistendo i giovani finché indossavano la toga virile (17 anni).
La p., come riflessione scientifica sul problema dell’educazione o della formazione dell’uomo, si afferma in Grecia con i sofisti, iniziatori del pensiero pedagogico in Occidente. Il loro impegno di maestri è volto a promuovere una cultura utile, fatta di conoscenze di vario genere (polymathia) e di quelle abilità dialettiche e retoriche di immediata efficacia pratica nella vita pubblica (assemblee cittadine e tribunali). Al contrario, Socrate è impegnato a scoprire un criterio di validità universale che concili le possibilità aperte dal soggettivismo sofistico con la saldezza di un valore oggettivo. L’educazione è intesa come un processo di autoliberazione, di conquista della consapevolezza etica. L’originalità pedagogica di Socrate è in questo motivo e nel principio connesso della maieutica (arte ostetrica), che presuppone nel discente la capacità di generare spontaneamente il vero. Il meglio dell’insegnamento morale di Socrate fu accolto e continuato da Platone e da Aristotele. Per il primo si giunge alla vera educazione soltanto con la dialettica, con la contemplazione del mondo delle idee, al vertice del quale si trova l’idea somma del bene. La dottrina dell’anamnesi o reminiscenza costituisce un aspetto decisivo della p. di Platone. L’uomo possiede già la conoscenza, nessuno deve insegnargliela; compito dell’educazione è di volgerla dal mondo del divenire a quello dell’essere e di ciò che nell’essere è più luminoso, il Bene. Nei suoi sforzi di restaurare lo Stato su basi razionali, Platone lo ha concepito come un immenso paedagogium, in cui la filosofia non deve soltanto indicare nel Bene lo scopo supremo della vita sociale, ma dirigere e regolamentare anche le manifestazioni più particolari, dai matrimoni alla proprietà privata. Così Platone si oppone consapevolmente ed energicamente al nuovo principio, cui risale la responsabilità della crisi della polis, il soggettivismo sofistico. Per Aristotele, il processo educativo consiste nel fare acquisire l’abitudine alla virtù, ciò che è compito, oltre che dell’educatore, anche del buon legislatore, poiché lo Stato per Aristotele è il supremo educatore. Con Epicuro, ideale dell’educazione diventano l’aponia e l’atarassia, la liberazione dal dolore e dal turbamento. Così l’epicureismo si avvicina al suo antagonista, lo stoicismo, che poneva come fine dell’educazione l’apatia, l’assenza di desiderio.
Roma non conta nessun pensatore che abbia fatto oggetto di indagine la sua intuizione educativa. Quando con Cicerone, e poi sotto l’Impero con Seneca e Quintiliano, si prendono a dibattere i problemi dell’educazione, lo si fa alla luce di un pensiero che non affonda le sue radici nella tradizione indigena. L’unica opera organica sui problemi tecnici dell’educazione e dell’istruzione della letteratura romana sono le Institutiones oratoriae di Quintiliano, che si propone di tracciare le linee di una sistematica educazione del futuro oratore, vir dicendi peritus, che incarna l’ideale civico-retorico dell’età imperiale.
Con il cristianesimo il problema dell’educazione veniva posto su basi nuove. L’amore e la dedizione diventano le virtù capitali della nuova comunità e l’imitazione del Cristo, che per amore ha affrontato il supremo sacrificio, diventa il caposaldo di ogni educazione cristiana. L’ideale dell’educazione cessa di essere la contemplazione teoretica o, comunque, l’inerte autosufficienza di chi ha conquistato la saggezza. L’uomo ha il dovere di impegnarsi a fondo nel dramma dell’esistenza. Ma accanto all’imperativo di collaborare infaticabilmente all’instaurazione del regno di Dio nelle coscienze, attraverso l’amore e la dedizione, sopravvivono nei Vangeli altre intuizioni: quella, per es., che tende a identificare la bontà con l’innocenza, o quella, che preannuncia già l’indirizzo ascetico-monastico dei secoli seguenti, che all’ideale di vita intesa come milizia attiva tende a sostituire quello della rinuncia all’azione, della contemplazione e della preghiera, nell’attesa fiduciosa che si compia la volontà del Padre. Questo intrinseco dualismo attraversa tutta la storia dell’etica e della p. dei popoli cristiani fino alle soglie del mondo contemporaneo.
Deciso distacco dalla tradizione classica si nota nelle istituzioni scolastiche sorte da esigenze religiose, nelle quali si vennero rapidamente determinando i nuovi principi fondamentali dell’educazione. E le fonti della più schietta p. cristiana si trovano oltre che nel De officiis ministrorum di s. Ambrogio e nel De doctrina christiana di s. Agostino, nelle opere rivolte all’educazione dei monaci e al disciplinamento della vita nei conventi e nelle epistole educative di s. Girolamo. L’intuizione religiosa della filiazione divina diventa in Agostino un concetto speculativo, la prima affermazione filosofico-teologica della soggettività e immanenza del vero: «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità». Da qui l’impostazione del problema educativo nel De magistro: c’è un unico vero maestro, il Christus docens; egli non è però un estrinseco modello da imitare, ma una fonte interna di perenne rivelazione. Gli altri maestri possono unicamente stimolare e aiutare chi è disposto ad ascoltare questa profonda voce interiore. Questa intuizione di s. Agostino è ripresa da s. Tommaso con intenti più sistematici. Per s. Tommaso, se da un lato è vero quel che afferma s. Agostino che «Dio solo è colui che interiormente e principalmente insegna», poiché nessun insegnamento umano può avere efficacia se non per virtù di quel lume, dall’altro però l’acquistare scienza da sé è «causa imperfetta», perché l’autodidatta dispone soltanto delle «ragioni seminali della scienza, le quali sono principi comuni», mentre «causa perfetta» è il maestro, in quanto possiede l’intera scienza cui deve iniziarsi l’alunno.
Con l’inizio dell’Umanesimo e del Rinascimento, anche il problema dell’educazione assume un nuovo aspetto. All’Umanesimo risale infatti la creazione della scuola di cultura disinteressata e liberale, formatrice di ‘umanità’. Nella molteplicità degli indirizzi, un motivo profondo accomuna tutti gli innovatori, il concetto cioè che l’istruzione e la cultura, «liberos homines efficit», come afferma P.P. Vergerio, e li prepara a vivere nella comunità. Lo studio delle humanae litterae ha lo scopo di portare l’uomo a perfezione e questa, per gli umanisti, si esprime soprattutto nell’azione morale e civile. I classici dell’arte e del pensiero greco-romano, che riacquistano pieno diritto di cittadinanza nella scuola umanistica e ne diventano presto i dominatori, non sono più considerati strumenti di edificazione religiosa e neppure fonti di sapere enciclopedico propedeutico agli studi sacri. Si comincia a studiarli per il loro intrinseco valore, come modelli insuperati di arte, di eloquenza, di pensiero esclusivamente ‘umani’. Nell’ambito delle idee appena accennate si muovono tutti i primi teorici italiani della p. umanistica: L. Bruni, P.P. Vergerio, M. Vegio, G. Veronese, E.S. Piccolomini, F. Filelfo, M. Palmieri e, in particolar modo, L.B. Alberti e M. Ficino.
Creazione tipicamente espressiva della p. umanistica è la Casa giocosa di Vittorino da Feltre, che nel suo insegnamento realizzò quella che era stata l’ispirazione più profonda del primo Umanesimo italiano, cioè la conciliazione, nel processo educativo, dell’etica evangelica con la cultura classica, ai fini di una formazione integrale e liberale della personalità dei discenti. Egli rivolse tutte le sue cure a promuovere e disciplinare lo spontaneo svolgimento della personalità dei suoi alunni attraverso il gioco, gli esercizi fisici, la cultura letteraria e scientifica e la musica. Tutto ciò fa di Vittorino il primo grande interprete della nuova intuizione educativa, sebbene egli non le abbia dedicato nessuna opera teoretica.
Parallela al Rinascimento e variamente intrecciandosi con esso procede in talune nazioni europee la Riforma, che presenta peraltro un duplice orientamento. Da un lato essa promuove, nell’ambito della fede, la libertà dello spirito, nella vita morale fa leva sulla buona volontà e sull’intimità della coscienza, si appella al criterio individuale nell’interpretazione dei testi sacri (suscitando un vasto moto di educazione popolare, che è stato il frutto immediato più notevole del protestantesimo nella scuola), respinge l’autorità e la mediazione del sacerdozio, i sacramenti come forze liberatrici e salvatrici dall’esterno. Dall’altro però reagisce ai principi più profondi e originali dell’Umanesimo; accentua ed esaspera la funzione della grazia nel processo di salvazione, nega all’individuo il libero arbitrio e ogni autonomia allo Stato e alla scuola. Un’interessante sintesi di motivi naturalistici rinascimentali e mistici di ispirazione riformata presenta l’opera pedagogica di Comenio. La sua Didactica magna (1657) costituisce l’esito più organico di una lunga riflessione sul tema della riforma della scuola e del metodo didattico.
Particolare interesse per la vasta influenza nell’ambito dell’organizzazione tecnica della scuola media, specialmente sulla formazione spirituale delle classi dominanti del Seicento, offre anche il pensiero educativo dei gesuiti, che tuttavia per alcuni suoi caratteri fondamentali, quali l’astratto formalismo, l’importanza eccessiva data agli esercizi di memoria e il sistema complesso e severo di disciplina, riesce a influenzare piuttosto negativamente il libero sviluppo della personalità dell’educando.
Notevole efficacia hanno anche esercitato sulla p. successiva i giansenisti. Le loro ‘Piccole scuole’ di Port-Royal sono rimaste in fama di modelli di un altissimo spirito educativo, severo e talvolta forse un po’ duro, ma a un tempo rispettosissimo della personalità dei discenti. I loro testi scolastici, in lingua francese, accurati, chiari, sobri hanno giovato a liberare definitivamente la scuola dalla letteratura scolastica. Anche dopo lo scioglimento della comunità e nonostante le persecuzioni cui fu sottoposta, il pensiero e le metodologie educative gianseniste rivelarono una sorprendente vitalità fino ai primi anni del 19° secolo.
Un’impostazione profondamente originale del problema pedagogico è avviata dal cartesianismo e dall’empirismo baconiano-lockiano, due indirizzi che, pur divergendo nel metodo, finiranno con il fondersi in una sola corrente speculativa. «Cogito ergo sum», afferma Cartesio: il pensiero che dubita non può non esistere. Ecco la prima certezza che ridà al pensiero una solidità, che nessuno scetticismo sarà in grado di scuotere. La p. dell’empirismo è rappresentata specialmente da J. Locke con i suoi Some thoughts concerning education. Tutta la sua attenzione è rivolta alla formazione della personalità del discente attraverso la sua propria esperienza. «Il fine dell’educazione», dice in Of the conduct of the understanding, «non è già di rendere gli uomini perfetti in alcuna scienza, ma di aprir loro la mente, in modo che siano capaci di riuscire in tutto ciò a cui si applicano». Di qui il suo disprezzo per le discettazioni sul metodo migliore, per le regole, per le dispute di scuola, per il formalismo e le cognizioni libresche, per il sapere che non germoglia dall’esperienza personale. La fiducia inconcussa nell’appello alla ragione anche con i bimbi, il ripudio di ogni forma di imposizione coattiva dell’intelletto e della volontà, la celebrazione della libera iniziativa nel lavoro e nel gioco, traggono ispirazione dalla fede nelle forze spontanee e nell’autonomia della ragione umana, presupposto che imprime a tutta l’opera, letterariamente frammentaria, un sapore di modernità che la distingue nettamente da tutte le precedenti.
Dopo Locke e prima di Rousseau, notevole significato riveste nella storia del pensiero pedagogico G. Vico. Il suo De nostri temporis studiorum ratione (1708) è il primo grande monumento pedagogico italiano moderno. In esso la p. di Cartesio, o meglio dei cartesiani, è assoggettata a una critica severa. Sostituire nell’educazione il criterio delle idee chiare e distinte al senso comune, all’autorità del genere umano, significa capovolgere il processo naturale e porre all’inizio il punto d’arrivo. Ciò che è comune agli uomini non è la mente, ma la memoria e la fantasia, e a ogni modo all’uso della mente ci si solleva soltanto attraverso la cultura della memoria e della fantasia. Prima di giudicare, i giovani devono avere appreso. Solo chi avrà coltivato opportunamente la memoria con lo studio delle lingue, la fantasia con le lezioni dei poeti, storici e oratori, l’ingegno con lo studio della geometria, sarà in grado di giudicare.
Nell’Émile di J.-J. Rousseau il problema è ormai quello d’intendere l’educazione come processo di autosvolgimento della personalità. Due soli maestri gli possono dare questo dominio di sé: «l’expérience et le sentiment» (cioè l’immediatezza del sentimento morale). Gli altri insegnanti debbono collaborare con essi, non sostituirsi a essi. L’educazione non deve essere ‘attiva’, ossia non deve intervenire a sproposito, violando il normale e spontaneo svolgimento del processo naturale, ma deve essere ‘negativa’, vale a dire tempestiva. Ormai l’educazione naturale non è già quella che tende a conservare l’integrità di un’ipotetica purezza originaria contrapposta alla mala influenza della vita sociale, come è stato troppo spesso affermato considerando la posizione dei Discours, ma quella che tende a salvaguardare e a promuovere la spontaneità, l’autonomia dell’educando nella vita sociale. Nonostante alcune contraddizioni del suo pensiero, Rousseau rimane il primo filosofo moderno della personalità prima di I. Kant, e Kant ha dichiarato di aver imparato da lui ad apprezzare l’umanità nell’uomo.
Con il concetto di sintesi a priori e in particolar modo con quello di autonomia della volontà, Kant poneva implicitamente le fondamenta di una p. come scienza della personalità autonoma e appagava l’esigenza più profonda dell’autore dell’Émile.
Tuttavia il pensatore che ha per primo conquistato un concetto veramente adeguato dello spirito come autonomia, inverando le esperienze filosofiche e il più profondo motivo speculativo di J.G. Fichte e F.W.J. Schelling, è stato G.W.F. Hegel. Il suo concetto del divenire e dello spirito come autocoscienza sono a fondamento della dottrina dell’autoeducazione, per quanto Hegel non ci abbia dato una trattazione sistematica del problema pedagogico. A questo stesso concetto s’ispirano anche, nella loro azione di maestri e nella loro opera letteraria, due grandi apostoli dell’educazione infantile, J.H. Pestalozzi e F. Fröbel.
La p. di Pestalozzi ha superato quasi ogni traccia di dogmatismo e di oggettivismo: non c’è sapere né moralità che non provenga dall’esperienza personale. Processo naturale per lui è quello che rispetta non già «l’homme abstrait», ma la personalità storicamente determinata del discente. Alla formazione armonica delle varie attività dell’uomo, fine immanente di ogni educazione spontanea, si perviene unicamente con l’esercizio normale di esse, con la libera attività.
L’unico discepolo veramente geniale di Pestalozzi è stato Fröbel, il creatore dei giardini d’infanzia. La sua originalità consiste nella scoperta del mondo dell’infanzia nella pienezza dei suoi interessi. Egli ha rivelato, più a fondo di Pestalozzi, l’umanità del fanciullo, come libera attività creatrice, avente in sé il proprio fine. Questa materna penetrazione degli interessi della prima infanzia gli ha rivelato il significato e il valore del gioco, cioè la profonda serietà dell’attività creatrice del bimbo. Egli, accanto a J.P. Richter e a F. Schleiermacher, si può considerare uno dei più originali interpreti dell’anima del Romanticismo.
Alla migliore tradizione pestalozziana si ricollegano anche taluni dei più acuti educatori e scrittori italiani di problemi educativi del cattolicismo liberale, nel Risorgimento italiano, e in particolar modo G. Capponi e R. Lambruschini. Il loro problema centrale fu quello della conciliazione, nell’ambito dell’educazione cattolica, della tradizione dogmatica e dell’autorità della Chiesa con l’autonomia della coscienza del credente.
Con il positivismo della seconda metà del 19° sec. (A. Comte in Francia; H. Spencer, A. Bain, T.H. Huxley in Gran Bretagna; A. Gabelli, A. Angiulli, R. Ardigò in Italia) la p., sottratta ai principi forniti dall’indagine metafisica, si costituisce come scienza, affiancandosi alla psicologia, intesa come descrizione dei fatti psichici. Ora, se, contro le astratte costruzioni aprioristiche cui indulgeva talvolta l’idealismo romantico, questo richiamo alla considerazione dei fatti aveva il merito di tener vivo il senso della concretezza e dell’esperienza, esso però aveva il torto, conseguente alla sua particolare interpretazione dei fatti psichici, di disconoscere l’originalità e la libera iniziativa della personalità spirituale. Inoltre, dalla fede nell’assoluta capacità della scienza a guidare e ordinare la vita degli individui e delle società, l’istruzione scientifico-utilitaria ricevette una sopravvalutazione a discapito di quella umanistica.
Il senso dell’inadeguatezza di molte soluzioni positivistiche ha dato luogo a un moto di pensiero pedagogico, organico e originale, promosso dall’idealismo assoluto italiano (G. Gentile, B. Croce, G. Lombardo-Radice). Questo movimento, con la rivendicazione della libertà della personalità spirituale, ha dato alla p. una base filosofica. Partendo dall’identità di pensiero e azione, ha concepito la vita dello spirito come operosità e conquista di valori e l’educazione come lo stesso atto con cui l’io si fa (autoeducazione); ha rivendicato l’autonomia del processo educativo, non come isolamento dell’educando da ogni influsso esterno (il maestro, la tradizione, la storia, la società), ma come risoluzione di ciò che immediatamente gli si presenta come limite, nel processo della propria formazione. Di qui l’importanza dell’insegnamento estetico, promotore di libera e gioiosa creatività, e dell’insegnamento scientifico, storico e religioso, il quale corregge l’unilateralità di quello.
La p. sperimentale. - Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale la riflessione pedagogica è stata caratterizzata da un profondo mutamento metodologico. In luogo delle tradizionali filosofie dell’educazione, che indicavano i metodi e i fini dell’attività educativa, si sono avuti quasi esclusivamente contributi che si sono limitati a proporre caute indicazioni generali, frutto di un lavoro di ricerca sul campo. Si è cioè accentuato sempre più quel processo avviato agli inizi del 20° sec. che ha segnato il declino della p. speculativa e la nascita di una p. scientifica e sperimentale. Tale processo si può far cominciare con l’opera di M. Montessori e di O. Decroly, iniziatori di quella ‘rivoluzione copernicana’ in p. che fu il primo risultato dell’affermarsi di una p. scientifica. Insieme a quello della p. scientifica si è fatto sentire l’influsso della prospettiva legata alla p. sperimentale sorta, anch’essa, nella prima metà del 20° secolo. La p. sperimentale poneva l’accento sul ruolo centrale dell’ambiente nell’attività educativa e sull’opportunità di una pianificazione sia delle fasi dell’apprendimento, sia delle condizioni in cui si realizza l’insegnamento. Già nella prima metà del secolo la nuova prospettiva segnata dalla p. sperimentale stimolava una molteplicità di nuovi progetti pedagogici, che si sforzavano di porre il discente di fronte a condizioni artificiali e mutevoli, capaci di stimolarne un’attiva partecipazione al processo formativo (scuole nuove e scuole attive). C. Freinet ha insistito sul valore di un’utilizzazione delle tecniche della stampa come via per impegnare gli allievi in una molteplicità di attività che rendano più concreto, spontaneo e agevole l’apprendimento. R. Cousinet ha posto l’accento sulla fertilità, da un punto di vista pedagogico, di un lavoro libero per gruppi in cui i giovani realizzassero un autogoverno integrale; laddove A.S. Makarenko poneva al centro dell’educazione la partecipazione del discente a un’attività d’interesse collettivo saldamente orientata a realizzare degli obiettivi sociali. Negli Stati Uniti il filone delle scuole nuove o attive riprende le idee principali dello strumentalismo pedagogico di J. Dewey; sono da ricordare: il metodo dei progetti di W.H. Kilpatrick, in cui attraverso una serie graduata di progetti si porta l’allievo a una crescente integrazione sociale, formandone, oltre che il bagaglio intellettuale, anche il carattere morale; il sistema di Winnetka di C.W. Washburne, che si fonda su un insegnamento individualizzato, rotante intorno a un insieme di programmi minimi e di sviluppo nei quali il discente si deve impegnare controllando i risultati ottenuti con l’aiuto di opportuni test di apprendimento.
P. e ricerca scientifica. - Lo scambio tra p. e ricerca scientifica ha in particolare interessato la psicologia e la sociologia. A un lungo periodo di ricerche psicologiche nel campo dell’apprendimento e dello sviluppo cognitivo fa seguito anche la ‘rivoluzione pedagogica’ che J.S. Bruner si è proposto di realizzare negli Stati Uniti a partire dalla conferenza di Woods Hole nel 1959. Bruner ha elaborato una concezione pedagogica proposta in alternativa a quella di J. Dewey: insiste sulla centralità dell’educazione intellettuale e ritiene che l’insegnamento e l’apprendimento debbano essere concentrati, più che sulle singole nozioni in gioco nelle varie discipline, sulle loro strutture tipiche, e che tra le varie materie siano da privilegiare quelle che, come la matematica e la logica, forniscono conoscenza astratta. Lo scambio tra p. e sociologia ha avuto come risultato un gran numero di studi sull’incidenza dei condizionamenti ambientali nel favorire o ostacolare i processi di apprendimento. I pedagogisti hanno tenuto a sottolineare con particolare insistenza che la realizzazione di mete educative ottimali non può prescindere da una programmazione che non perda di vista il momento politico e che sappia incidere sulle strutture socioeconomiche. Queste ricerche, che prendono il via dalle opere del sociologo É. Durkheim hanno avuto esiti particolarmente fruttuosi nello studio dell’influsso del condizionamento ambientale sullo sviluppo delle capacità linguistiche (B. Bernstein).
La p. cibernetica. - Un considerevole contributo alla riflessione pedagogica è venuto anche da diversi settori della tecnologia e della ricerca applicata, che hanno permesso il rapido fiorire dell’istruzione programmata e della p. cibernetica. Alla base di questo settore della p. vi è la concezione dell’educazione avanzata da I.P. Pavlov, ripresa dalla psicologia comportamentistica ed esposta con chiarezza da B.F. Skinner. L’apprendimento è visto come una modificazione del patrimonio di conoscenze di un organismo, modificazione che si realizza attraverso un’esperienza di carattere attivo ed esplorativo, dipendente in larga misura dal sistema di rinforzi e di stimoli previsto e programmato dall’educatore al fine di formare il discente. La ricerca, conseguente a un’accettazione di questi presupposti, di un processo ottimale di apprendimento ha portato a un rapido sviluppo delle tecnologie educative, che vanno dall’uso sistematico di test di vario genere, all’istruzione programmata, all’utilizzazione di strumenti cibernetici e di vere e proprie macchine per insegnare. Lo scambio tra riflessione pedagogica e ricerca applicata ha portato, inoltre, a concepire l’educazione in termini cibernetici come un processo che si propone di fare acquisire al discente una capacità di adattarsi e di rispondere, mediante un processo di riassestamento analogo al feedback delle macchine cibernetiche, ai fattori di novità presenti nella situazione.
Interessanti sviluppi ha avuto anche la p. sperimentale, che, come hanno illustrato E. Bechi e M. Laeng, ha avuto impulso soprattutto negli USA con E.F. Lindquist, L.J. Cronbach, N.I. Gage, R.M.W. Travers, B.S. Bloom, G.B. Carroll, F. Kerlinger, e in Europa con H. Taba, T.N. Postlethwaite, G. de Landsheere, G. Mialaret, A. Visalberghi, L. Calonghi. Essa si è spesso coniugata alla ricerca psicologica e, in particolare nelle indagini sul profitto scolastico attraverso la grande ricerca internazionale, International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA), si è largamente avvalsa di docimologia e statistica applicata.
Gli sviluppi in p. teorica hanno cercato di calibrare il linguaggio pedagogico alla luce della filosofia analitica inglese, come nelle opere di D.J. O’Connor, R.S. Peters, J.P. White; l’influenza si è estesa in Germania con G.F. Kneller, e in Italia con A. Granese. La filosofia tedesca ha sviluppato applicazioni alla p. del metodo fenomenologico, a partire da A. Fischer per venire a un nutrito gruppo di ricercatori come J. Derbolay, di cui ha dato conto in Italia S. de Giacinto.
Più recenti sviluppi sono venuti dall’ermeneutica, come teoria generale dell’interpretazione: i fatti educativi non sono suscettibili di spiegazione causale deterministica, ma esigono piuttosto una comprensione globale di significato; a questo indirizzo, utilizzando indicazioni di Schleiermacher e di W. Dilthey, si sono accostati molti autori in Germania, come H. Nohl, E. Weniger, A. Reble, W. Böhm. In Italia ha favorito un indirizzo fenomenologico-problematicistico P. Bertolini.
Disciplina che si occupa in sede teorica dei problemi dell’educazione musicale. Il passaggio dalle teorie alla realizzazione di modelli di insegnamento definisce invece l’ambito della didattica musicale. Pur avendo acquisito uno statuto autonomo solo nel Novecento, la p. musicale ha origini antiche: le prime riflessioni pedagogico-musicali risalgono al greco Damone di Oa, dal quale Platone apprese la dottrina degli ethoi, per cui ogni modo aveva un suo ethos specifico, che poteva incidere positivamente o negativamente sull’animo umano. Queste teorie hanno attraversato la storia dell’educazione fino ai giorni nostri. I presupposti della p. musicale moderna risalgono a teorici come Pestalozzi, J.F. Herbart, Fröbel e si possono sintetizzare nell’importanza data all’esperienza del gioco con i suoni che consente di valorizzare le nozioni di spontaneità e di operatività. Agli inizi del 20° sec. É. Jaques-Dalcroze individuò l’importanza dell’educazione dell’orecchio, in primo luogo attraverso il potenziamento dell’esperienza del ritmo, che deve essere partecipato con tutto il corpo. Anche per E. Willems l’educazione dell’orecchio deve precedere qualsiasi altro approccio alla musica. In seguito le ricerche di L. Bassi misero in evidenza la possibilità di fare esperienze sinestesiche, per es. associando parole, disegni, rappresentazioni grafiche all’ascolto musicale. L’educazione all’orecchio può inoltre passare attraverso la pratica del canto corale, come teorizzò il musicista Z. Kodály, che elaborò un metodo di lettura a prima vista basato sul do mobile, ovvero sull’altezza relativa dei suoni. Il compositore C. Orff ideò uno strumentario particolare da utilizzare con i bambini, puntando più sull’esecuzione e sull’improvvisazione che sull’ascolto. Da queste esperienze è emersa l’esigenza di legare la p. musicale ad altre discipline come la psicologia e la sociologia musicali, e di studiare l’intelligenza musicale, ponendo in primo piano la nozione di creatività nei percorsi educativi.