stoicismo Nella storia del pensiero antico, la dottrina e la tradizione che si collega a Zenone di Cizio e alla sua scuola, così chiamata perché Zenone e i suoi successori usavano adunarsi nella Stoà Poikìle.
Storicamente nella scuola stoica si possono distinguere tre grandi periodi. Il primo, detto anche dell’antica stoa, va dagli inizi del 3° sec. e si estende fino al 2° sec. a.C. inoltrato ed è rappresentato dal fondatore Zenone di Cizio, da Cleante di Asso e da Crisippo di Soli. A essi si deve l’elaborazione dei motivi fondamentali della dottrina stoica. Già a partire dal 2° sec. si afferma però la tendenza a fondere ecletticamente con le concezioni stoiche motivi platonici e aristotelici, aprendo così una seconda fase che si protrae dal 2° al 1° sec. a.C., periodo noto come media stoa o s. medio, avente come suoi maggiori esponenti Panezio di Rodi, discepolo di Diogene di Seleucia, e il suo scolaro Posidonio di Apamea, importanti entrambi per l’influenza esercitata sulla cultura romana. Il terzo e ultimo periodo della scuola, denominato anche s. tardo o dell’ultima stoa, si estende dal 1° al 3° sec. d.C. e si caratterizza per la sintesi di motivi desunti dalla tradizione cinica e di dottrine della prima stoa. Seneca, Epitteto e l’imperatore romano Marco Aurelio si annoverano fra i massimi esponenti di questa fase. La scuola stoica ebbe grande importanza nel mondo romano, dove l’etica da essa elaborata, esaltando la libertà e la dignità dell’individuo, portò alla creazione di un tipo ideale di stoico, insensibile al male fisico, capace di andare incontro a volontaria morte, quando essa si presenti come l’unico mezzo per sfuggire alle offese provenienti dal mondo esterno.
Considerata nei suoi aspetti più generali e costanti, la filosofia stoica si sviluppa in tre discipline, logica, fisica ed etica, distinte e insieme strettamente connesse fra loro. La logica insegna infatti le condizioni del pensare, cioè i modi con cui conoscere la realtà; la fisica offre la conoscenza della realtà stessa, su cui si fonda l’etica che stabilisce i canoni del comportamento umano in quanto rispondente all’ordine della realtà.
Conoscere significa per lo stoico saper pensare e il pensare significa affermare o negare qualcosa di qualcos’altro, in ultima analisi giudicare, mettendo in rapporto i dati forniti dalle rappresentazioni (fantasie), ‘impressioni’ date da qualcosa che si presenta all’anima, modificandola. Esse non sono né vere né false; verità e falsità nascono dal nostro giudizio sulla rispondenza della rappresentazione alla realtà rappresentata. Si darà l’assenso, e quindi saranno vere, a quelle rappresentazioni che si presentano con forza ed evidenza, portandoci ad affermare la realtà dell’oggetto rappresentato (fantasie catalettiche o comprensive). I dati forniti dai sensi sono poi unificati da una facoltà ordinatrice, la ragione, detta l’egemonico, raccolti e conservati nella memoria. Particolare importanza assumono nel contesto della logica stoica le anticipazioni (prolessi) o nozioni comuni, che sono idee generali comuni a tutti gli uomini. Esse hanno una origine naturale e spontanea e svolgono la funzione di preparare le esperienze future. Per ciò che concerne la dialettica o arte del ben ragionare, tutti i ragionamenti devono basarsi su premesse evidenti di per sé da cui ricavare conclusioni altrettanto evidenti.
La dottrina fisica contempla l’esistenza di un principio attivo (ragione o λόγος) e uno passivo, la materia: il primo è principio di ordine e di vita (soffio vitale, fuoco artefice, anima del mondo) ripieno delle ragioni seminali, principi vitali e razionali, da cui si originano le cose. Tutto l’accadere, in questa prospettiva, si presenta come una manifestazione di questa universale ragione che è insieme provvidenza e fato. Il λόγος-fuoco è alla base del nascere, crescere, perire e rinascere dei mondi, responsabile della vita del cosmo che al compimento del grande anno (circa ogni 36.000 anni solari) si risolve in una conflagrazione (ἐκπύρωσις) universale, per ricominciare con un nuovo ciclo, identico al precedente, nel quale riappariranno uomini e cose, in una vicenda di eterno ritorno dell’identico. La concezione fisica degli stoici si risolve dunque in una sorta di ferreo determinismo, che, nella loro prospettiva religiosa, si identifica in ultima analisi con l’azione provvidenziale dell’immanente divinità.
La dottrina etica pone al suo centro un concetto di virtù intesa come esercizio di ragione, e di vizio come passione, cioè come incapacità di pensare e ragionare. L’uomo virtuoso è colui che vive in modo razionale, comprendendo la ragione del tutto, e quindi anche secondo natura, essendo la natura espressione della ragione universale che pervade e governa il mondo. L’impegno del saggio sta quindi nell’adeguarsi al corso fatale e necessario delle cose, persuaso dell’intrinseca razionalità degli eventi, realizzando una sorta di indifferenza (adiaforia) verso i singoli aspetti della realtà. Quando gli sia impedito di seguire questi principi di comportamento, egli saprà scegliere di uscire dalla vita (suicidio) piuttosto che vivere in modo irrazionale. La libertà si realizza così nel saper pensare, adeguandosi a ciò che accade e instaurando un rapporto di simpatia con gli altri uomini e col tutto.
Nella comune patria costituita dal cosmo, tutti gli uomini sono uguali nella loro capacità di essere razionali, e quindi anche tutti i cittadini di uno stesso Stato o di una stessa città: questa è la radice del cosmopolitismo e del giusnaturalismo stoici per i quali appunto giustizia e diritto non sono frutto di una convenzione, ma hanno il loro fondamento nella stessa natura (o ragione) che fissa appunto le regole del giusto e dell’ingiusto.