Nel linguaggio filosofico e religioso, il governo del mondo e della storia degli uomini per opera di un essere divino (o di un principio superiore), il quale realizza i suoi piani secondo fini che trascendono i singoli, potendo restare incomprensibili alla ragione umana.
Il concetto di p. può essere fatto risalire all’antichità classica, in particolare allo stoicismo, per il quale esiste un ordine divino e razionale (πρόνοια) immanente all’universo e alla sua evoluzione ciclica. In questo senso la nozione di p. è indistinguibile da quella più antica di destino (μοῖρα) e, identificandosi con la necessità divina che presiede all’evoluzione dell’universo, non può che realizzare il più perfetto corso di quell’evoluzione; di qui la morale stoica, che impone di accettare con serenità il corso delle cose. L’idea di un piano provvidenziale sotteso al corso delle vicende umane è presente anche nel pensiero medievale, dove si cerca di armonizzarlo con la libera azione di Dio nel mondo. Concetto tipico del cristianesimo e della teologia cristiana, quello di p. non sarà ripreso dalla filosofia che in età moderna, all’interno delle speculazioni di filosofia della storia. Nei Discours sur l’histoire universelle J.-B. Bossuet, basandosi sul De Civitate Dei di s. Agostino, concepisce la p. come l’unica autrice della storia, i cui personaggi sono soltanto ignari esecutori dei disegni divini. Ma è soprattutto con la Scienza nuova di G. Vico che il concetto di p. assurge a matura espressione filosofica. La p. costituisce per Vico il principio in virtù del quale le azioni dei singoli realizzano inconsapevolmente quei fini universali (la famiglia, la società, la civilizzazione) che vanno al di là del loro significato particolare. In una prospettiva decisamente laica il concetto di p. ritorna nella metafora della ‘mano invisibile’ con cui A. Smith intese teorizzare l’esistenza di un ordine naturale provvidenziale che, al di là delle intenzioni dei singoli, realizza il bene comune. L’idea di una p. immanente alla storia sarebbe poi stata articolata dalla filosofia della storia di G.W.F. Hegel, il cui concetto di ‘astuzia della ragione’ intendeva evidenziare come le azioni spesso divergenti degli uomini sarebbero finalizzate alla realizzazione di progetti universali che sfuggono alla consapevolezza di coloro che li realizzano.
L’idea che la divinità intervenga attivamente nelle vicende terrestri è tra i presupposti di ogni religione: altrimenti non avrebbero senso le preghiere, i sacrifici, i riti propiziatori ecc. Ma un concetto coerente della p. non si esaurisce nella credenza in sporadici interventi divini; esso implica l’onniscienza, l’onnipotenza e particolari scopi della divinità, e perciò si forma soltanto in determinate religioni sistematiche. Come l’importanza attribuita alla p., così anche la sua negazione è un risultato dell’approfondimento riflessivo dell’esperienza religiosa: il buddhismo, per es., esclude la p., dato il concetto del karma (➔) per cui il destino dell’uomo è conseguenza ineluttabile delle sue azioni.
L’idea della divina p. è presente nell’Antico Testamento, riferita sia ai destini collettivi dell’umanità sia alle vicende particolari della storia ebraica. Nel Nuovo Testamento si matura la concezione cristiana della storia come ‘storia di salvezza’ che trova il suo punto culminante nell’incarnazione; il piano divino della salvezza, che dà senso e unità a tutta la storia e svela il disegno della divina p. (indicato nel greco neotestamentario e dei primi scrittori cristiani come οἰκονομία), trova una sua espressione tipica nel messaggio di s. Paolo e si elabora poi in concetti filosofici nella dottrina alessandrina del logos per divenire fondamento della grandiosa concezione agostiniana della storia (De civitate Dei), che resterà dominante in tutta la teologia e storiografia medievale.