scetticismo Genericamente, l’atteggiamento di chi esclude la possibilità di una conoscenza assoluta delle cose e del raggiungimento della verità. In particolare, in filosofia, la dottrina delle diverse scuole scettiche greche ed ellenistiche la cui tradizione fu iniziata da Pirrone di Elide. Il termine deriva dal gr. σκέψις, che propriamente designa l’esercizio dello σκέπτεσϑαι, del «controllo critico» circa gli oggetti del sapere, compiuto senza giungere a una conclusione definitiva.
Storicamente la tradizione scettica si sviluppa in Grecia tra il 4° sec. a.C. e il 2° sec. d.C., e in essa si distinguono tradizionalmente tre fasi. La prima (4°-3° sec. a.C.), detta anche primo s. o pirronismo dal nome del suo massimo esponente Pirrone di Elide, sviluppò una forma di s. radicale che affermava l’impossibilità di una qualsiasi conoscenza al di là dell’apparenza, unica base delle opinioni umane e quindi incapace di fornire un criterio oggettivo di distinzione del vero dal falso. Conseguentemente si affermava l’indifferenza sul piano del valore e l’incertezza delle cose, proponendo come regola di comportamento del saggio la rinuncia alla parola (afasia), il rifiuto, non già della realtà, ma della definizione di essa, e l’assunzione di un atteggiamento apatico e imperturbabile.
La seconda fase (3°-2° sec. a.C.) si richiama a due esponenti della scuola platonica, Arcesilao e Carneade (donde anche il nome di ‘accademici’ a essi attribuito) che, sviluppando motivi aporetici presenti già nel pensiero di Socrate e Platone, concentrarono la loro critica sul concetto stoico di fantasia catalettica su cui si fondava l’assenso, proponendo la sospensione del medesimo (epochè), data l’impossibilità di distinguere, nelle varie fantasie, le vere dalle false. Di qui l’invito a sospendere il giudizio definitivo, a lasciare aperto il campo alla libera discussione e alla scelta di ciò che appare più ragionevole, realizzando l’imperturbabilità (atarassia) del saggio. Notevole e incisiva fu la critica mossa da Carneade a dottrine stoiche come l’ammissione di una ragione comune a tutti gli uomini, fonte di conoscenze comuni e universali (come la credenza nell’esistenza di Dio, nella provvidenza, nell’universale razionalità), a cui oppose la diversità delle opinioni dei vari popoli, l’esistenza di uomini atei, e la presenza del male e dell’ingiustizia nel mondo.
La terza e ultima fase (1° sec. a.C.-2° sec. d.C.) ha i suoi massimi rappresentanti in Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico. A essi si deve la raccolta sistematica degli argomenti (tropi) della tradizione scettica: questi si basano sulla diversità dei modi di sentire, sulla differenza delle tradizioni e delle istituzioni che condizionano la vita umana, sull’impossibilità di fissare un criterio logico di verità universalmente valido. Questo atteggiamento scettico assunse, specialmente con Sesto Empirico, medico, oltre che filosofo, il valore di una rigorosa metodologia scientifica basata sullo studio meticoloso dei fenomeni.
Nel Medioevo lo s., almeno come specifica concezione filosofica, non ebbe particolari sviluppi. La ripresa della tematica scettica si presentò nel Rinascimento con posizioni e con esiti talora diversi: la critica della scienza e della conoscenza umana si prestava a essere utilizzata sia in senso fideistico, come rinuncia alla ricerca razionale ed esaltazione della fede, sia come strumento polemico nei confronti di un atteggiamento dogmatico, che si vedeva incarnato nell’aristotelismo, e come premessa a una nuova teoria della ragione. Espressione della prima posizione può essere considerato lo s. di G.F. Pico della Mirandola (il primo a utilizzare l’opera di Sesto Empirico conosciuta nell’originale greco), con la sua polemica contro la ‘vanità’ della ragione e la conseguente affermazione del primato della fede. Lo sbocco fideistico assume significati che vanno oltre la problematica teologica in M. de Montaigne, nei cui Essais (e soprattutto in quello intitolato Apologie de Raymond Sebond) la critica scettica investe tutte le tradizionali scale di valori etici e religiosi e sfocia in un forte relativismo, così da dare una caratteristica misura della crisi aperta nella coscienza europea dall’esperienza della diversità di culture (favorita dalla scoperta del Nuovo Mondo) e dal progressivo disfacimento così della cultura come della civiltà cristiana medievale. Sulla linea di Montaigne, lo s. divenne con P. Charron critica acuta di ogni dogmatismo e fanatismo filosofico e religioso ed ebbe larga influenza nella cultura del Seicento e in particolare negli ambienti libertini, dove l’atteggiamento scettico fu utilizzato soprattutto come arma polemica contro il dogmatismo e l’affermazione dell’universalità dei ‘valori’ morali e religiosi. Così P. Gassendi assunse lo s. come momento fondamentale di una battaglia contro la vecchia cultura scolastica e come presupposto per una nuova teoria della ragione, capace di costruire, nel suo uso empirico, un sapere descrittivo, storico, sempre provvisorio, ma utile e valido per l’uomo. In Descartes il dubbio scettico rappresenta la sospensione del giudizio e il rifiuto di tutto il sapere tradizionale, ma viene poi superato dal cogito e dall’affermazione della veracità divina. Le suggestioni dello s. continuarono a influire positivamente all’interno dell’analisi critica degli strumenti conoscitivi, come per es. nell’empirismo inglese, che ebbe il suo esito più significativo in D. Hume. Lo s. è per il filosofo inglese un utile antidoto contro le pretese della ragione a conoscenze obiettive e assolute, ma non deve risolversi in una forma di s. ‘totale’ alla maniera del ‘pirronismo’ antico, bensì in un pacato riconoscimento del carattere soggettivo dei concetti impiegati nella costruzione delle nostre conoscenze e delle limitate possibilità della nostra mente, che non comporta tuttavia la rinuncia al giudizio, sia pure provvisorio, e all’azione. In epoche più recenti i riferimenti allo s. antico si sono fatti assai tenui e lo s. si è posto piuttosto come impegno critico e antisistematico.