Stato soggettivo d’incertezza, da cui risulta un’incapacità di scelte, essendo gli elementi oggettivi considerati insufficienti a determinarle in un senso piuttosto che in quello opposto.
Il d. trova la sua più ampia applicazione presso gli scettici che lo intendono come «esitazione a affermare o negare», come quel momento cioè, nel corso dell’indagine, che, in radicale opposizione al dogmatismo, conduce poi, mediante il riconoscimento dell’«indifferenza» delle opposte ragioni, alla sospensione del giudizio. Si è tradizionalmente contrapposto a questo primo tipo di d., indicato come «scettico», il d. cartesiano, qualificato come d. «metodico»; Cartesio avrebbe inteso cioè, applicando il procedimento del d. a tutte le conoscenze in suo possesso, recuperarle poi in una superiore certezza, una volta passate a rigoroso vaglio critico. Il d. apparirebbe quindi, anche nella sua massima estensione ( d. iperbolico) allorché vengono sottoposte a esso le stesse scienze matematiche e le verità eterne, come strumentale e diretto precisamente a questo scopo. Nella filosofia contemporanea la problematica del d. nella sua forma radicale appare ormai abbandonata; ben altra ampiezza ha l’impostazione fenomenologica di E. Husserl, che pur si richiama, sotto certi aspetti, al d. cartesiano.
Il d. che raggiunge una certa persistenza e che allo stesso tempo viene autocriticato per la sua infondatezza è considerato in psichiatria come esempio di coazione (➔).