Filosofo e teologo (Breslavia 1768 - Berlino 1834); formatosi in ambiente pietistico, attraversò una fase illuministica quando nel 1787 s'iscrisse all'univ. di Halle per studiarvi teologia. Dopo essere stato precettore in Prussia Orientale (1790-93) e aiuto predicatore a Landsberg, nel 1796 si trasferì a Berlino dove conobbe F. Schlegel e divenne uno dei principali esponenti del movimento romantico collaborando anche alla rivista Athenaeum. Di quest'epoca è il suo scritto forse più celebre, le Reden über die Religion (1799), a cui seguirono i Monologen (1800) e i Vertraute Briefe über Schlegels "Lucinde" (1800). La sua adesione al romanticismo e specialmente la sua difesa del romanzo di F. Schlegel gli crearono difficoltà con gli ambienti ecclesiastici e nel 1802, costretto a lasciare Berlino, si trasferì a Stolpe come predicatore di corte. Nel 1803 pubblicò le Grundlinien einer Kritik der Sittenlehre e nel 1804 fu chiamato come professore nell'univ. di Halle, dove tenne corsi di etica; di quel periodo è lo scritto Weihnachtsfeier (1806). Costretto a lasciare Halle per l'invasione napoleonica, tornò a Berlino (1807), dove fu tra i promotori e i programmatori della nuova università, fondata nel 1810, della cui facoltà teologica divenne decano. Altre opere importanti, pubblicate postume nell'ed. Sämtliche Werke (33 voll., Berlino, 1836-64) e alcune poi anche in nuove edizioni ampliate sono: Hermeneutik und Kritik (1838, nuova ed. 1959); Dialektik (1839, nuova ed. 1942); Geschichte der Philosophie (1839); Aesthetik (1842, nuova ed. 1931); Christliche Sittenlehre (1843); Erziehungslehre (1849); inoltre: Predigten (10 voll., 1836-56) e la traduzione dei dialoghi di Platone, escluso il Timeo (5 voll., 1804-9; 6 voll., 1817-28). S. ha in comune con i romantici (e, entro certi limiti, con Hegel) la polemica contro ogni visione parziale, frammentaria, finita del reale, incapace di cogliere la vita come produttività infinita che si dispiega in un'inesauribile molteplicità di manifestazioni; ma S. sviluppa tale polemica soprattutto riguardo alla religione, che distingue tanto dalla metafisica quanto dalla morale, considerandola come intuizione e sentimento dell'infinito. Intuizione e sentimento sono poi sempre individuali e irripetibili e perciò si dispiegano in un processo incessante che coincide con la rivelazione essendo propriamente "rivelazione" ogni intuizione nuova e originaria del reale. In tal modo, S. abbandonava sia la concezione positiva e storica della rivelazione, sia la sua fondazione a opera della teologia razionale, e poneva al centro della religione la fantasia come ciò che vi è di più alto e di più originario nell'uomo. Sviluppando un tipico tema del romanticismo, S. intende la fantasia come quell'immaginazione trascendentale che, secondo l'idealismo, è alla base di ogni rappresentazione del mondo e condiziona tutte le altre facoltà conoscitive. Collegata così la fede in Dio alla fantasia, si spiega perché la religione possa giungere là dove non arriva la metafisica e, in quanto "sentimento di dipendenza" dall'infinito, possa cogliere la dialettica tra Dio e mondo come termini tra loro irriducibili e inscindibili al tempo stesso. In questa concezione unitaria e insieme aperta della presenza di Dio nel mondo, dell'infinito nel finito, s'inquadra pure la critica dell'etica dell'imperativo categorico, ritenuta, secondo una concezione vicina a quella di Schiller, espressione dell'aspetto soltanto negativo della ragione. L'etica al contrario, come dottrina dei "beni", della "virtù" e dei "doveri", deve mostrare il concreto attuarsi dell'identità di natura e di ragione in costruzioni organiche e simboliche insieme, nelle quali si realizza concretamente e storicamente l'individualità come persona. Se nell'Ottocento ha avuto particolare fortuna la filosofia della religione di S., successivamente, attraverso lo storicismo di Dilthey, l'ontologia di Heidegger e l'ermeneutica filosofica di Gadamer sono stati evidenziati notevoli spunti originali della sua concezione dell'ermeneutica che la solleva al di sopra della tradizionale funzione di scienza ausiliaria della teologia, della filosofia, della giurisprudenza ecc. e la innalza a un'arte dell'interpretazione decisiva per la comprensione storica ed estetica. Proponendo infatti un tipo di lettura storica che sappia intendere il testo come l'autore e meglio dell'autore, S. enuncia il principio fondamentale e peculiare del "circolo" ermeneutico, per cui il comprendere consiste nell'andare dal tutto alle parti e viceversa in un incessante sforzo di "ricostruzione" di senso.