Sentimento di viva affezione verso una persona, che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia.
Nella tradizione filosofica occidentale, il concetto di a. fa la sua prima apparizione con Empedocle, che lo contrappone, come principio cosmico, all’antitetico principio cosmico dell’Odio. Nella concezione platonica dell’eros, l’a. è concepito come aspirazione dell’imperfetto verso il perfetto. Eros è un δαίμων, mezzo dio e mezzo uomo, figlio della Povertà e dell’Agio: la sua aspirazione suprema è verso la bellezza, che può manifestarsi tanto nella forma fisica quanto in quella spirituale (amor platonico). La stessa idea dell’a. sta alla base della concezione teologica e cosmologica di Aristotele: Dio, come ente perfetto, non ama il mondo, ma è amato, e lo muove appunto come l’oggetto dell’a. che, attraendo, muove senza muoversi: donde il concetto di Dio come motore immobile. Un radicale capovolgimento si ha nella concezione cristiana dell’a. come attributo fondamentale della divinità, che ama gli uomini, si fa uomo e soffre e muore per essi. L’a. come caritas (ἀγάπη) acquista con ciò importanza grandissima nell’etica cristiana: s. Paolo lo celebra come suprema fra le tre virtù, fede, speranza e carità, in un passo famoso della Prima ai Corinzi (XIII). Lo sviluppo della teologia medievale è sempre più caratterizzato dal contrasto fra questo sostanziale motivo cristiano della divinità amante e agente e l’opposto motivo greco della divinità amata e inerte nella sua autocoscienza, riportato nell’ambito del cristianesimo dalla progressiva adozione delle concezioni aristoteliche. Il concetto più propriamente greco e platonico dell’eros riaffiora nel pensiero del Rinascimento (Marsilio Ficino, Leone Ebreo, Giordano Bruno); mentre un nuovo grande tentativo di conciliare la teologia cristiana dell’a. con la teologia greca della perfezione contemplante è nella concezione spinoziana dell’amor dei intellectualis. Nel pensiero posteriore, l’analisi del concetto dell’a. si trasferisce sempre più sul piano della dottrina delle passioni e dell’etica, abbandonando quello della teologia e della metafisica.
In teologia il nome di a. viene riservato all’a. di volontà, che proviene da questa, illuminata dall’intelligenza, ed è pertanto capace di preferire un bene a un altro (dilezione). In esso va distinto l’a. che desidera un bene per la stessa persona amata (a. di bramosia o di concupiscenza), il quale fa dunque del suo oggetto un mezzo, e l’a. di benevolenza, che vuole il bene della persona amata, considerato come un fine e cioè come un secondo io. Quest’ultimo tipo di a., quando è reciproco, viene detto a. di amicizia. Ma il primo, sebbene possa rivolgersi anche a beni inferiori e preferire quelli sensibili agli spirituali, non è necessariamente disordinato: anche nell’a. soprannaturale si dà un a. di concupiscenza di Dio, per cui si desidera di possederlo eternamente, come causa della felicità propria; è questa la speranza cristiana, che non è certo disordinata, benché inferiore all’amicizia soprannaturale con Dio, che è la carità.