Ogni intervento su monumenti, architetture, opere d’arte e altri oggetti di valore artistico, storico o antropologico successivo al completamento dell’opera. La logica e la finalità di questi interventi è variata sostanzialmente durante i secoli, tendendo da un lato al semplice mantenimento dell’efficienza del manufatto, dall’altro all’adeguamento dello stesso al gusto contemporaneo.
A partire dalla fine del Settecento l’affermarsi dell’ottica storicistica, ovvero della tendenza a interpretare le testimonianze artistiche del passato nel contesto culturale che era loro proprio, ha dato avvio al dibattito teorico tuttora in corso in cui si concepisce il r. come evento tecnico-critico nel corso dell’esistenza dei monumenti e dei manufatti artistici.
Le fonti antiche attestano numerosi interventi sulle opere d’arte, in genere affidati ad artisti: nel 2° sec. a.C. Damofonte di Messene restaurò lo Zeus Olimpio di Fidia riapplicando gli incarnati eburnei al supporto in legno da cui si erano staccati e rifece le lamine d’oro dell’Atena Parthènos di Fidia, rubate durante la guerra del Peloponneso. Plinio e Vitruvio ricordano numerosi trasporti di pitture murali dalla Grecia a Roma, effettuati con la tecnica del cosiddetto stacco a massello, ovvero resecando l’intera porzione di muro su cui era eseguita la pittura; ancora Plinio ricorda che a un ritratto di Alessandro fu asportata una doratura, fatta fare da Nerone, perché disturbava la ‘grazia’ della statua; inoltre, pratiche restaurative di bronzi, trattando la superficie con olio e pece diluita, e di opere lignee, con iniezioni di oli essenziali, sono menzionate dalle fonti antiche.
Nel Medioevo il valore religioso delle immagini sacre portò a un profondo mutamento dell’atteggiamento nei confronti delle opere d’arte. Accanto al riuso di numerosissime vestigia classiche, fenomeno caratteristico dei primi secoli del Medioevo, sono testimoniati, dal 6° sec., interventi diretti sulle opere d’arte di età precedente, per aggiornarle a un gusto rinnovato o a nuove esigenze liturgiche o politiche. Così i mosaici del tempo di Teodorico in S. Apollinare Nuovo a Ravenna furono ampiamente rielaborati quando, alla metà del 6° sec., la città tornò nelle mani dell’imperatore bizantino; il Crocifisso di Guglielmo a Sarzana, del 1138, venne ridipinto, limitatamente alla figura del Cristo, nel secolo successivo, così come le Storie bibliche dell’abbazia di S. Nilo a Grottaferrata, realizzate verso la metà del 13° sec. da un allievo del Terzo Maestro di Anagni, vennero rinnovate con ritocchi a secco alla fine del secolo da un seguace di P. Cavallini.
Nel Rinascimento, con il diffondersi della passione antiquaria e della coscienza del valore autonomo delle opere d’arte, ebbe avvio la pratica di intervenire sulle sculture antiche, recuperate quasi sempre lacunose, per reintegrarle spesso con materiali diversi e in forme arbitrarie; pratica diffusa anche successivamente, che seguiva nell’intervento anche reintegrativo il gusto contemporaneo, a prescindere dall’integrità figurativa originaria (i r. di Guglielmo della Porta sui marmi della collezione Farnese e di A. Algardi sui marmi della collezione Ludovisi; la complessa vicenda dei r. sul Laocoonte dei Musei Vaticani). Nel 16° sec. iniziò altresì la salvaguardia delle più considerevoli opere dell’arte contemporanea; G. Vasari ricorda lo stacco, nel 1564, del S. Agostino di S. Botticelli e del S. Girolamo di D. Ghirlandaio dall’abside della chiesa di Ognissanti. Verso la fine del 18° sec. la nascita della scienza archeologica e la nuova temperie culturale introdussero scrupolo filologico nel r. dei monumenti antichi, e con l’Ottocento prese avvio il dibattito teorico sul r., inteso ormai come disciplina autonoma.
Nel periodo attuale l’opera d’arte è considerata sia come testimonianza dello sviluppo della cultura di un certo momento e di un certo luogo, sia come espressione dotata di un’autonoma sfera qualitativa, che va sottratta a ogni tentazione di aggiornamento e di reinterpretazione. Il r. deve da un lato assicurare la sopravvivenza materiale dell’opera, dall’altro mirare alla restituzione della sua veste originaria, fermo restando il rispetto di quei mutamenti intervenuti nel tempo sull’immagine (sia essa architettura, scultura o pittura), laddove si configurino come elementi qualificanti dal punto di vista estetico e funzionale. Il r. è quindi una disciplina critica e non meramente tecnica, che trova nella dialettica tra progettista (architetto, storico dell’arte, archeologo), realizzatore (restauratore) e tecnici (chimici, fisici, biologi) la propria ragion d’essere.
Architettura. Sino all’inizio del 19° sec. gli interventi sulle architetture avevano carattere di rifacimento e di adeguamento al gusto e alla funzionalità del momento (per es., la chiesa gotica di S. Francesco a Rimini trasformata nel Tempio Malatestiano da L.B. Alberti). Nel corso dei secoli quasi tutte le grandi costruzioni subirono aggiunte, integrazioni, ampliamenti e trasformazioni, con la sovrapposizione più fasi di gusto e di funzione. Solo alla fine del Settecento (nel 1794 il decreto della Convenzione nazionale francese proclamava il principio della conservazione dei monumenti) si pose l’esigenza di un approccio ai problemi dell’edilizia antica non solo utilitaristico, ma che ne contemplasse anche la valenza storica.
La prima formulazione teorica di questa tematica, il cosiddetto r. stilistico, ebbe origine e applicazione proprio in Francia tra il 1830 e il 1870, per opera soprattutto di E.-E. Viollet-le-Duc, che considerava legittimi tutti gli interventi che miravano al ripristino di un’ideale unità formale propria dello stile del monumento. In Inghilterra intorno alla metà dell’Ottocento prese corpo una concezione del tutto opposta, quella del cosiddetto r. romantico, di cui fu massimo esponente J. Ruskin, basata sulla poetica del rudere e quindi sul rispetto della forma attuale del monumento, anche se frammentaria, e che escludeva la legittimità sia del ripristino stilistico sia di qualsiasi intervento che non fosse rigorosamente conservativo. Verso la fine del secolo due nuove posizioni si affermarono in area italiana. La prima, il cosiddetto r. storico, rifiutava la prassi del ripristino analogico del r. stilistico, e fondava la possibilità di ricostruire la forma particolare del monumento attraverso lo studio delle sue vicende; fu teorizzata da L. Beltrami (ricostruzione della Torre del Filarete al Castello Sforzesco di Milano, 1893-1911). La seconda, dovuta a C. Boito, esprimeva idee poi alla base del r. contemporaneo, fatte proprie e votate dal Congresso degli ingegneri e degli architetti italiani a Roma nel 1883: si enunciava il principio del rispetto delle aggiunte non originali, l’illegittimità dei rifacimenti in stile e la necessità che, qualora realizzati, essi dovessero risultare riconoscibili. Questi concetti del cosiddetto r. scientifico vennero accolti nella Conferenza internazionale di Atene (1931) e rielaborati da G. Giovannoni nella Carta del restauro italiana (1932), e restarono alla base delle successive elaborazioni metodologiche, nonostante nella pratica continuassero talora a essere attuati interventi di ripristino.
Pittura. Anche per le opere pittoriche l’attività di manutenzione è stata svolta costantemente, al fine di assicurare la leggibilità delle immagini (pulitura, rifacimenti in caso di danni) e di adeguarle ai mutamenti del gusto (C. Maratta fu nominato «custode» degli affreschi delle Stanze e delle Logge Vaticane e poi della stessa Cappella Sistina; restaurò i dipinti di Raffaello alla Farnesina e quelli di Annibale Carracci di Palazzo Farnese, operando sia nel consolidamento sia nella ridipintura). All’inizio del 18° sec. fu avviata la pratica del distacco dei dipinti murali non più con la resecazione del muro bensì con l’asportazione dell’intonaco dipinto (stacco, con riapplicazione su un’armatura lignea e supporto in gesso) o della sola pellicola pittorica (strappo, con riapplicazione su tela). Nate probabilmente a Napoli intorno al 1720, queste tecniche trovarono ampia applicazione con il procedere degli scavi a Pompei ed Ercolano e poi si diffusero in Francia. In Francia si sviluppò anche la pratica del trasporto su tela della pellicola pittorica di opere su tavola; sempre nel 18° sec. fu inventata la tecnica della foderatura dei dipinti su tela, per il ripristino dell’adesione della pellicola pittorica al supporto degradato con l’applicazione di una o due tele nuove sul retro del dipinto. Nel 19° sec. proseguì lo sviluppo delle tecniche messe a punto nel periodo precedente, mentre per l’aspetto figurativo continuò la pratica del ripristino, quasi sempre con pesanti adeguamenti al gusto corrente e quindi gravi travisamenti dello stile originario. Furono redatti i primi manuali tecnici del r., inteso ormai come disciplina artigianale autonoma dall’attività artistica, per opera di G. Secco Suardo (Manuale ragionato per la parte meccanica dell’arte del restauratore, 1866) e del fiorentino U. Forni (Manuale del pittore restauratore, 1866).
Solo dopo la Seconda guerra mondiale il r. trovò una convincente sistemazione teorica per opera di C. Brandi, dal punto di vista sia dell’intervento materiale, sia di quello figurativo, alla luce anche dei gravissimi problemi posti dalla necessità di ricostruire interi cicli di dipinti murali abbattuti dagli eventi bellici. Si poneva, tra l’altro, la questione del risarcimento delle lacune, comunque ineliminabili anche dopo la ricomposizione dei frammenti recuperati. A seguito di queste esperienze fu teorizzata e adottata la tecnica del tratteggio ad acquerello, consistente nella ricostruzione delle zone mancanti con linee verticali a colori scomposti, tali da restituire, a distanza, l’unità figurativa dell’originale, ma di mantenere sempre agevole riconoscibilità all’osservazione ravvicinata. I procedimenti tradizionali sono stati nel tempo integrati con l’adozione di mezzi di sintesi resi disponibili dall’industria chimica, meno soggetti di quelli di natura organica a un rapido decadimento. È stata di fatto abbandonata, tranne per i casi di straordinaria emergenza, la pratica del distacco delle pitture murali dal supporto originario, evento traumatizzante per le opere, tendendo piuttosto ad affrontare i problemi del risanamento del supporto. Parimenti abbandonata è la pratica del trasporto del colore dai dipinti su tavola.
Scultura. La scultura antica, precoce oggetto di collezionismo, dal 16° sec. fu spesso sottoposta a reintegrazioni non filologiche da parte di artisti, che, per la qualità degli interventi, possono essere considerati di rilevante interesse culturale. Pezzi antichi di provenienza diversa potevano essere inoltre giustapposti in composizioni di fantasia (pastiches: facciata di villa Medici a Roma). Nel 18° sec. a Roma si distinsero personalità dedite esclusivamente al r. e al commercio dei marmi antichi, come B. Cavaceppi, che lavorò agli acquisti più importanti dei Musei Capitolini. B. Thorwaldsen restaurò intorno al 1812 le sculture dei frontoni di Egina, adattandole, con manomissioni e integrazioni, al gusto neoclassico, mentre, nello stesso periodo, A. Canova rifiutò decisamente di porre mano ai marmi del Partenone.
Attualmente nel r. della scultura non è più praticata, in genere, l’asportazione dei rifacimenti di età moderna dei pezzi antichi, entrati a far parte della figuratività delle sculture stesse. L’intervento si limita alla revisione delle eventuali integrazioni e a interventi di pulitura superficiale, rispettosi della patina, termine con cui si intende la leggera cromia che il passaggio del tempo o l’intervento dell’uomo (attraverso trattamenti con oli e cere) conferiscono al materiale costitutivo di marmi e bronzi (ma anche sulle architetture e sulle pitture). Le sculture policrome, soprattutto lignee, che presentano spesso molti strati di ridipinture, pongono problemi critici del tutto analoghi a quelli della pittura.
Più complesso è il caso delle sculture architettoniche che ornano gli esterni dei monumenti, esposte a un più marcato degrado causato dall’esposizione al clima e soprattutto agli inquinanti aerei (molto dannosi sono quelli provocati dalla combustione dei derivati del petrolio, come i composti dello zolfo). L’inquinamento provoca infatti vere e proprie alterazioni della natura chimica dei materiali costitutivi, che perdono coesione e si disgregano. Questa fenomenologia ha posto nuovi problemi tecnici, relativi in particolare alla necessità del consolidamento dello strato più esterno delle opere, ancora di difficile soluzione. Dubbia è comunque l’efficacia dei consolidamenti e degli altri trattamenti superficiali quando non si proceda contestualmente al miglioramento delle condizioni ambientali, dato che l’indebolimento strutturale dei materiali resta sempre irreversibile. Si è adottata spesso, già in antico e sempre più di frequente, la sostituzione con copie e il ricovero dell’originale in ambienti chiusi.
Ancora più difficile è, dal punto di vista tecnico, l’intervento sui metalli, esposti al fenomeno della corrosione. In condizioni normali la corrosione produce una patina naturale molto resistente e finanche protettiva, spesso già prevista dall’artista come frutto del naturale invecchiamento, che entra a far parte della figuratività dell’opera. Particolarmente sensibili alla corrosione patologica sono i metalli archeologici e quelli, soprattutto bronzi, posti in ambienti esterni urbani, soggetti agli inquinanti e indeboliti dagli stress naturali provocati dalle variazioni del clima.
Libri. Il r. del libro ha lo scopo di consolidare e ripristinare il libro e la legatura, indagando la natura e la genesi dei danni (logorii, degenerazioni, disfacimenti, determinati da agenti fisici o biologici; menomazioni morfologiche e strutturali) e studiando rimedi idonei (disinfestazioni e disinfezioni, lavaggi, rinforzi, spianamenti, ricomposizioni, rattoppi, applicazioni di carta giapponese, plastificazione, interposizione di fogli di protezione ecc.). Dalla fine del 19° sec. il r. del libro ha assunto carattere sempre più scientifico e tecnico, quanto ai metodi e ai sistemi d’esame (analisi di laboratorio, indagini ottiche), quanto ai molteplici mezzi impiegati per rimuovere e prevenire le alterazioni. In Italia, in particolare, sono stati determinanti gli studi di F. Ehrle (1898), prefetto della Biblioteca Vaticana, che vi fondò il Gabinetto dei r., le ricerche di I. Guareschi e P. Giacosa ai primi del Novecento, l’opera, più recente, di A. Gallo e l’attività teorica e pratica svolta dai gabinetti di r. della Biblioteca Vaticana e dell’abbazia di Grottaferrata (fondato nel 1931), oltre che dall’Istituto di patologia del libro A. Gallo (a Roma, 1938).
Anche il r. del libro si propone come fine la conservazione e il consolidamento del documento e non l’arbitraria reintegrazione stilistica. La ricerca si è localizzata sia sulla sperimentazione e il perfezionamento di materiali, tecniche e strumenti di r., sia sui sistemi di prevenzione e di controllo ambientale.
Tecniche analitiche. Il r. contemporaneo si qualifica in primo luogo per la vasta applicazione di tecniche analitiche mutuate dalle moderne pratiche chimica, fisica e biologica. Le tecniche di indagine permettono di non alterare l’integrità dell’opera; possono essere impiegate a semplice scopo conoscitivo o con funzione di studio diagnostico in un progetto di r., permettono un’accurata indagine preliminare a un successivo prelievo di materiale (campionamento) per analisi strumentali più specifiche e approfondite e infine consentono, in generale, rapidità di esecuzione. Tra queste, la tecnica fotografica, che permette lo studio dell’immagine sulla base della sorgente impiegata (radiazione visibile riflessa; radiazione infrarossa riflessa; radiazione ultravioletta riflessa; radiazione di fluorescenza nel visibile ecc.); la riflettografia infrarossa; l’indagine radiografica; le tecniche spettrofotometriche ecc. Il campionamento deve essere il più rispettoso possibile dei contenuti estetici, storici e dell’integrità fisica del manufatto, limitato nel numero e nelle dimensioni dei prelievi. La caratterizzazione di un campione richiede sofisticate metodologie analitiche, basate sull’impiego di tecniche strumentali altamente sensibili e selettive (tecniche microscopiche: microscopia ottica, mineralogico-petrografica, elettronica a scansione; microanalisi a raggi X; spettroscopia infrarossa; tecniche cromatografiche).
Le successive tipologie di intervento sull’opera sono molteplici, e ogni progetto di r. può svilupparne di nuove, in relazione alle caratteristiche specifiche del manufatto. Tra di esse le più diffuse sono: la pulitura, la disinfestazione, la stuccatura e l’incollaggio, la foderatura dei dipinti su tela, il consolidamento, le reintegrazioni di dipinti, la stesura di protettivi.
Pulitura. La pulitura è una delle operazioni svolte più frequentemente nel r. e una delle più complesse. I materiali presenti sulla superficie delle opere possono essere soggetti, a causa dell’invecchiamento, ad alterazioni strutturali. Queste sono spesso associate ad alterazioni cromatiche, che possono modificare profondamente l’aspetto visivo, arrivando a comprometterne la leggibilità. Nei monumenti all’aperto (fig. A), in particolare, le tipologie di degrado riscontrabili sulle superfici sono di varia natura e aspetto: da semplici depositi di polveri incoerenti, a strutture di alterazioni stratificate, fino alla formazione di incrostazioni compatte e fortemente coese alla matrice lapidea, come è il caso delle cosiddette croste nere. Tale situazione impone un intervento di pulitura con lo scopo di eliminare tutti quei prodotti che possono essere dannosi sia dal punto di vista conservativo sia da quello estetico, preservando le patine naturali. Una pulitura ben condotta deve essere graduabile e controllabile dall’operatore, selettiva, non deve essere aggressiva nei confronti dei materiali costituenti l’opera, non deve lasciare prodotti dannosi per la futura conservazione del manufatto. Oltre ai metodi meccanici, fisici e chimici, sono ampiamente utilizzate anche tecniche di pulitura caratterizzate, a livello operativo, da una maggiore possibilità di controllo e una più elevata selettività e in grado di minimizzare l’impatto sulle strutture originarie dei materiali trattati. Questo aspetto riveste un particolare interesse anche per gli interventi di manutenzione ordinaria di superfici esposte all’esterno. Per le opere policrome la pulitura richiede tradizionalmente l’uso di soluzioni acide o basiche e di solventi organici, caratterizzati spesso da elevata tossicità e potenziale rischio per l’integrità dell’opera stessa. Si sono sviluppate ricerche applicative mirate a mettere a punto preparazioni acquose contenenti principi attivi specifici. Nel panorama dei sistemi utilizzati nelle operazioni di pulitura, si va affermando in misura crescente l’impiego di strumentazione laser.
Disinfestazione. Quando sull’opera sono presenti biodeteriogeni (ovvero batteri, funghi, alghe) si procede alla disinfestazione. Per le strutture lignee il fattore più frequente di degrado di tipo biologico è rappresentato dall’azione di insetti xilofagi, a volte così massiccia da distruggere intere parti per sbriciolamento. La scelta del tipo di biocida, da applicarsi in fase gassosa o liquida, richiede l’identificazione specifica degli organismi.
Stuccatura e incollaggio. In una fase successiva, alcuni interventi di r. possono porsi l’obiettivo di effettuare integrazioni di materia e assemblaggi, per cui possono essere previsti l’incollaggio e la stuccatura. In questi casi il prodotto dovrà presentare buona adesività, basso ritiro, buona durabilità, caratteristiche meccaniche il più possibile vicine ai materiali del manufatto. I prodotti più usati sono le resine acriliche e viniliche.
Foderatura. Per quanto riguarda i dipinti mobili, la foderatura, consistente nell’applicare sul retro dell’opera con un adesivo (colla, pasta, cera, resine termoplastiche) una tela di rinforzo, è stata in passato effettuata in modo generalizzato. Tale operazione provoca però sostanziali modifiche nell’assetto dei costituenti dell’opera, con conseguenti ripercussioni sul piano dell’estetica. Si preferisce dunque ricorrere alla foderatura solo quando il supporto è degradato e non più in grado di esercitare la sua funzione di sostegno.
Consolidamento. Nell’intervento conservativo si prevede, solo quando il materiale si presenta decoesionato, la fase di consolidamento. L’obiettivo è di ristabilire un grado sufficiente di coesione in materiali che, a causa del degrado, sono venuti a perdere la condizione di aggregazione originaria. I consolidanti vanno scelti in funzione della tipologia e della condizione del manufatto.
Reintegrazioni di dipinti. Per i dipinti (fig. B), una fase complessa è costituita dalla reintegrazione delle interruzioni pittoriche (lacune); infatti, essa comporta una scelta tra più soluzioni operative possibili (abbassamento di livello, reintegrazione imitativa, stuccatura ‘ad astrazione’, selezione cromatica) ognuna delle quali ha esiti specifici.
Stesura di protettivi. In alcuni casi la fase finale del r. può prevedere la stesura di protettivi, effettuata con materiali dotati anche in questo caso di caratteristiche specifiche, quali inerzia chimica nei riguardi del manufatto, coefficiente di dilatazione termica compatibile, buona permeabilità, stabilità alla radiazione ultravioletta, e in grado di offrire garanzie, anche dopo invecchiamento, di reversibilità dell’intervento.
R. preventivo. Il diffondersi della sensibilità ecologica ha comportato, anche nel campo del r., un’inedita attenzione per le problematiche ambientali, e quindi lo sviluppo di una ricerca scientifica rivolta allo studio delle dinamiche dei fenomeni fisico-chimici che caratterizzano l’ambiente di conservazione del manufatto. Alla valutazione di fenomeni termoigrometrici e di problemi illuminotecnici, alle indagini climatiche e all’esame degli inquinanti aerei per opere poste all’esterno, si è accompagnata una nuova consapevolezza dell’influenza dei fattori ambientali di degrado che agiscono all’esterno di edifici sullo stato di opere conservate al loro interno. Il quadro operativo tradizionale, precedentemente incentrato sull’intervento diretto sui materiali costitutivi, risulta dunque radicalmente mutato in favore del cosiddetto r. preventivo, inteso come scienza della conservazione e mirato in definitiva a ritardare il più possibile l’intervento di r. vero e proprio. In questo ambito sono stati compiuti notevoli progressi nel campo della diagnostica e in particolare delle indagini non distruttive. Un nuovo approccio, anche gestionale e amministrativo, tende alla pianificazione degli interventi, attraverso la rilevazione e la valutazione comparata dei dati territoriali sui fattori di degrado e sui fenomeni naturali, sui problemi gestionali e sullo stato di conservazione dei manufatti. Si sono raffinate sia tecniche specifiche di esame preventivo dell’opera (indagine diagnostica) sia metodologie, strumentazioni e materiali per l’intervento di r.; particolare importanza hanno anche assunto il controllo microclimatico e il monitoraggio.
Tra le questioni che hanno interessato la ricerca e l’attività di r. tra la fine del 20° sec. e l’inizio del successivo vi è quella della conservazione e del r. delle opere d’arte contemporanea che, pur in riferimento a una comune metodologia critica e agli stessi principi teorici applicati all’arte antica, presentano alcuni problemi specifici. L’arte contemporanea fa spesso uso di procedimenti estremamente diversificati, di materiali e tecniche nuovi e spesso fragili o deperibili, il cui comportamento nel tempo non è stato ancora verificato; tuttavia, anche tecniche di antica tradizione, come l’affresco o la pittura a tempera o a olio, possono essere impiegate in modo anomalo comportando quindi, in fase di r., la necessità di soluzioni specifiche. D’altra parte, il problema della vita dell’opera può essere considerato irrilevante dall’autore nell’ambito del processo creativo e, anzi, l’uso consapevole di materiali deperibili e il deterioramento e la fine materiale dell’opera possono spesso far parte integrante del progetto artistico.
Un ulteriore aspetto riguarda quelle esperienze artistiche che privilegiano l’ambito progettuale e processuale: per happening e performance la documentazione e quindi la conservazione dell’evento può essere affidata solo alla sua registrazione fotografica, filmica o video; di conseguenza, il problema della conservazione e del r. si traspone a questi media, che del resto sono mezzo espressivo primario di molta parte della ricerca artistica contemporanea.
Altri problemi sono legati al r. di opere d’arte cinetica, land art, installazioni e videoinstallazioni, così come di molti prodotti di arte concettuale, dove il criterio di conservare l’autenticità dell’invenzione artistica può non essere intaccato dalla sostituzione di alcune componenti; o ancora nel caso di opere realizzate assemblando materiali prodotti con procedimenti industriali, per le quali è prevedibile, per es., la riverniciatura con analoghi procedimenti o la sostituzione di parti. Vanno inoltre ricordati i problemi connessi con il r. di opere di un artista vivente, dagli aspetti legali ai possibili interventi da parte dello stesso autore.
A prescindere dalle diverse soluzioni studiate per i singoli casi, dal principio sempre perseguito del minimo intervento e della reversibilità fino al ripristino e alla sostituzione, risulta evidente l’importanza della conservazione preventiva e della documentazione sullo stato originario dell’opera e dei suoi materiali, accanto a una formazione specifica del restauratore d’arte contemporanea.
Alla fine del 19° sec. sorsero i primi laboratori di r. presso i grandi musei europei. Il più antico fu quello degli Staatliche Museen di Berlino (1888), seguito nel 1919 dal British Museum di Londra e dal Museo Archeologico del Cairo, nel 1925 dal Louvre, nel 1930 dal Metropolitan Museum di New York; successivamente tutti i più grandi musei e istituzioni si dotarono di laboratori di r. (laboratori di r. del Vaticano; Opificio delle Pietre Dure, Firenze). Successivamente nacquero istituzioni indipendenti, come l’Institut royal du patrimoine artistique in Belgio, e strutture specificamente finalizzate alla ricerca scientifica e alla riflessione metodologica nel campo del r., anche di carattere sovranazionale (ICCROM, International Center of Conservation and Restauration of Monuments, istituito nel 1955, attivo dal 1960). Per l’Istituto centrale del r. ➔ ICR. In Italia sono da ricordare anche, oltre al citato Istituto centrale per la patologia del libro A. Gallo di Roma, il Laboratorio del r. di disegni e stampe degli Uffizi a Firenze e il Centro di fotoriproduzione, legatoria e r. degli archivi di Stato a Roma.
Fondamentale nel caso del r. dell’arte contemporanea l’azione di istituti e dipartimenti di r. sorti presso musei di arte contemporanea, dal Restaurierungszentrum di Düsseldorf ai laboratori del Museum of modern art di New York, della National gallery of art di Washington, del Royal Ontario Museum di Toronto, della Tate Gallery e del British Museum di Londra, del Musée d’art moderne di Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam, del Museo nacional centro de arte Reina Sofía di Madrid.