Specchio d’acqua, per lo più marina, adiacente alla costa, più o meno ampio e protetto, dove le navi possono accedere e sostare con sicurezza, sia per trovarvi ricovero durante le tempeste e subire le riparazioni di cui possono aver bisogno, sia per compiervi le operazioni inerenti allo svolgimento dei traffici marittimi.
Con riguardo alle caratteristiche strutturali, si distinguono: p. naturali, seni di mare che per l’andamento dei fondali e la conformazione della costa hanno di per sé i requisiti di accessibilità e di sicurezza necessari a un p., senza bisogno dell’intervento dell’uomo; p. artificiali, quelli creati dall’opera dell’uomo con dragaggi, costruzione di frangiflutti, dighe, moli ecc.
Con riguardo alla ubicazione: p. marittimi, quelli che si aprono sul mare; p. fluviali, situati sulle rive di un fiume, ma lontano dalla foce (si tratta generalmente di importanti corsi d’acqua che anche nel loro tronco superiore hanno fondali sufficienti alla navigazione); p. di estuario, situati sull’estuario di un fiume (non vanno confusi con i p. fluviali anche se l’estuario si prolunga per molte miglia all’interno); p. lacustri o lacuali, situati su un lago interno, ossia non in comunicazione con il mare (altrimenti si tratterebbe di p. di laguna o lagunari); p. canale, formati da banchine costruite lungo l’ultimo tratto di corsi d’acqua fino alla foce, spesso prolungata artificialmente verso il mare con uno o due moli per facilitare l’ingresso delle navi e preservare la foce dagli insabbiamenti; sono generalmente di modeste dimensioni e sono utilizzati da naviglio di piccolo tonnellaggio, specie sulle coste unite, che non offrono altro genere di porti.
I primi navigatori del Mediterraneo furono i Fenici e i Greci. Già intorno all’8° sec. a.C. le loro navi percorrevano ampie distanze per commerci e per rifornimento delle colonie che nascevano lungo le rotte. L’incremento degli spostamenti via mare e via fiume fece crescere la necessità di approdi sicuri e organizzati: per questo non erano più bastevoli le insenature naturali e così nacquero i p. artificiali. Nell’antichità erano celeberrimi i p. greci di Atene, di Delo e di Rodi, il p. di Tiro in Libano, quello di Alessandria in Egitto.
L’affermazione della Roma imperiale incrementò la costruzione o il potenziamento di p. marittimi e fluviali. Tra i primi, il p. di Ostia; in seguito scali commerciali sorsero a distanze che permettevano alle navi di farvi sosta alla fine di una giornata di navigazione (Cuma, Genova, Ancona, Ravenna e Marsiglia come scalo dei traffici mercantili con le Gallie). Alla caduta dell’Impero romano d’Occidente solo gli scali del Mediterraneo orientale, che rientravano sotto il controllo dell’Impero bizantino, continuarono a rimanere efficienti. La ripresa dei traffici marittimi si ebbe con l’avvento dei primi regni saraceni, a partire dall’8° sec. d.C.
L’uso dei p., o quantomeno di scali sufficientemente protetti, iniziò a diffondersi anche nell’Europa settentrionale. La vera ripresa delle attività portuali nel Mediterraneo si ebbe però nell’11° sec. quando, sotto l’impulso del generale riavvio dell’economia, alcuni centri marittimi svilupparono flotte mercantili che potevano spingersi sia nel Mediterraneo occidentale sia in quello orientale. Il p. divenne il fulcro di una rete sempre più fitta di commerci e centro propulsore di sviluppo economico. In questo contesto si ha la nascita, a partire dall’11° sec., delle repubbliche marinare. Da centri commerciali esse si mutarono rapidamente in centri politici, dove affari e potere si incontravano e si sostenevano a vicenda.
Pochi decenni dopo la scoperta dell’America, le rotte navali mutarono profondamente: il nuovo baricentro marittimo si spostò dapprima sulle coste atlantiche, dove si svilupparono nuovi scali in Brasile, nei Caribi, nell’America Settentrionale e in Africa, e successivamente in Asia. Tra il 16° e il 17° sec. il nuovo baricentro marittimo sull’Atlantico condusse i p. dell’Europa settentrionale a un enorme sviluppo che durò fino alla seconda metà del 19° sec., quando fu aperto alla navigazione (1863) il Canale di Suez. Il Mediterraneo si aprì ai traffici internazionali diretti verso l’Estremo Oriente grazie al fatto che le navi, attraversando il canale e poi il Mar Rosso, dimezzavano il tempo necessario per raggiungere i p. dell’India, della Malacca e della Cina, evitando la circumnavigazione dell’Africa.
Oggi la leadership mondiale degli scali commerciali è detenuta dall’Estremo Oriente (Yokohama in Giappone, Hong Kong in Cina); in Europa predominano quelli di Amburgo, Rotterdam e, più distaccati, quelli di Marsiglia e di Genova; negli Stati Uniti in vetta agli scali commerciali spiccano New York e San Francisco.
I p. costituiscono i ‘nodi’ di raccordo fra i traffici per via d’acqua e quelli terrestri. Sono ubicati in posizioni strategiche sulle coste o all’interno di fiumi e lagune e devono fornire alle navi una sufficiente protezione rispetto ai fattori meteorologici e marini. I p. devono essere conformati in modo da rendere agevoli le manovre di ingresso e di uscita delle navi, nonché l’accesso alle banchine lungo le quali le navi vengono ormeggiate. Per le operazioni di carico e scarico, di deposito temporaneo delle merci, di approvvigionamento e, talvolta, di riparazione o manutenzione ordinaria, i p. devono essere provvisti di una serie di costruzioni, impianti e attrezzature particolari. Per l’espletamento delle loro funzioni i p. devono inoltre essere efficacemente collegati con le vie di comunicazione terrestre o con quelle destinate alla navigazione interna.
A seconda della finalità principale alla quale sono destinati, i p. assumono differenti denominazioni. Rada (o ancoraggio) è lo spazio di mare dove le navi possono sostare restando sufficientemente riparate dall’agitazione ondosa. Si dicono rade foranee quelle che offrono riparo dalle onde provenienti da determinate direzioni e rade protette quelle che offrono ripari dalle onde provenienti da tutte le direzioni. Esempi di rade foranee sono, in Italia, le rade di Gaeta, di Vado Ligure, di Siracusa; rade protette sono invece quelle di Taranto, di Olbia, di Brindisi. I p. di rifugio (o di ridosso) hanno la funzione di offrire un asilo alle navi di piccolo tonnellaggio sorprese, non lontano dalla costa, da fortunale o da avaria. Oltre alle opere interne di approdo, i p. di rifugio debbono essere provvisti di mezzi adeguati per soccorsi e riparazioni di urgenza. I p. militari, sono esclusivamente destinati alla marina da guerra; la loro ubicazione è perciò scelta con criteri strategici. Essi debbono essere provvisti di amplissimi bacini, ben protetti dall’agitazione ondosa. La loro posizione deve anche risultare facilmente difendibile dalle offese nemiche provenienti dal mare, dall’aria e dalla terra. Sono perciò generalmente situati in fondo a profonde rade naturali. Particolarmente favorevole è il caso in cui la costa ha pendici che si elevano rapidamente, sulle quali trova adatta postazione la difesa contraerea e nei cui fianchi si possono sviluppare sistemazioni in caverna. Grande sviluppo hanno pure, nei p. militari, gli impianti per la riparazione delle navi danneggiate e in particolare i bacini di carenaggio. I p. commerciali, destinati essenzialmente al traffico di merci, necessitano di efficaci collegamenti con il retroterra, talvolta facilitati dalla presenza di interporti, cioè di aree specialmente attrezzate per deposito e smistamento delle merci.
La moderna tendenza alla specializzazione dei traffici e delle navi ha fatto nascere p. specializzati, adibiti cioè all’accoglimento di particolari categorie di navi. L’insieme di più p. specializzati costituisce il cosiddetto sistema portuale, che può comprendere p. di regioni vicine. Fra i p. specializzati possono citarsi quelli per traffico di container, di merci alla rinfusa, di merci speciali. Esistono p. destinati esclusivamente ad accogliere navi traghetto, navi per traffico ferroviario ecc. Si distinguono anche i p. di testata, grandi p. in generale adibiti a tutti i tipi di traffico, e i p. di cabotaggio, destinati all’accoglimento di navi minori provenienti dai p. principali. I p. per passeggeri (o di velocità) sono caratterizzati dalla ricerca della maggiore brevità possibile dei percorsi e dalla rapidità di sbarco ed imbarco dei passeggeri. Hanno perso molta importanza per quanto riguarda i collegamenti intercontinentali. Dagli anni 1980, invece, ha assunto un ruolo crescente il trasporto crocieristico, effettuato mediante grandi navi particolarmente attrezzate. Tra i p. crocieristici, il più importante in Europa è quello di Barcellona, seguito da quelli di Civitavecchia, Savona e Venezia; negli Stati Uniti grande rilevanza hanno quelli di Miami e di San Francisco. I p. industriali sono destinati prevalentemente al servizio di aree industriali ubicate in prossimità del p., dove i prodotti trasportati possono subire quanto meno un primo processo di trasformazione. In generale quindi in essi entrano navi trasportanti materie prime (rinfuse solide o liquide), da essi escono navi trasportanti prodotti finiti. A volte i p. industriali sono al servizio di un’unica industria e assumono il nome di terminali. Particolari tipi di p. industriali sono quelli siderurgici e quelli petroliferi. In ambedue i casi le navi possono anche essere ormeggiate in mare aperto, lungo pontili opportunamente attrezzati. Le navi petrolifere possono essere anche ormeggiate a campi di boe, o a monoboe, o a torri fisse. I p. turistici sono quelli attrezzati per ricevere le imbarcazioni da diporto. Devono essere provvisti di accosti numerosi, facilmente accessibili, e dei servizi indispensabili alle attività connesse con il turismo nautico (impianti di varo e alaggio, rifornimento di carburanti, officine di riparazione, servizi elettrico, idrico e telefonico, pronto soccorso, rifornimento viveri). I p. pescherecci, attrezzati per ricevere imbarcazioni adibite alla pesca, devono essere dotati degli impianti per la conservazione e la commercializzazione del pescato, nonché di edifici per il deposito di attrezzi da pesca e di officine meccaniche e scali di alaggio. Devono essere concepiti tenendo conto delle esigenze di diverse categorie di imbarcazioni, adibite alla pesca locale o in luoghi distanti dal p., e degli orari particolari in cui le imbarcazioni sono ormeggiate o in mare.
In rapporto alla posizione rispetto alla linea del litorale, i p. si distinguono in esterni e interni. Sono p. esterni quelli formati proteggendo con opere artificiali uno spazio di mare libero, come la maggior parte dei grandi p. italiani; p. interni sono invece quelli che si addentrano con i loro bacini nel retroterra rispetto alla linea del litorale.
Per il progetto di un p., elementi essenziali sono da un lato le caratteristiche quantitative e qualitative del traffico cui il p. deve servire, dall’altro le caratteristiche topografiche, idrografiche e meteorologiche della località. Le prime, determinabili in via di previsione con un studio accurato tecnico-economico, danno i criteri per fissare l’ampiezza del p., la profondità dei fondali, lo sviluppo delle calate e delle banchine. Dalle caratteristiche fisiche dell’ambiente dipendono invece la disposizione, la forma, le dimensioni e la struttura delle opere di difesa e, parzialmente, di quelle interne. Gli elementi fisici che hanno preponderante importanza in questa determinazione sono: la natura e l’andamento del fondo marino, il regime dei venti e delle correnti, il moto ondoso, le oscillazioni di lungo periodo, il trasporto litoraneo di sedimenti.
Per quanto riguarda il fondo marino, si verificano situazioni in cui la costruzione di opere di difesa risulta di costo proibitivo o altamente sconsigliabile. È il caso, per es., di fondali con pendenze molto accentuate, o caratterizzati da profonde incisioni con presenza di depositi instabili, o di terreni di caratteristiche geomeccaniche molto scadenti. Anche se ormai è tecnicamente possibile risolvere problemi complessi del tipo richiamato, è talora conveniente ricercare localizzazioni alternative per i p. o diverse disposizioni delle opere. Il vento può essere condizionante nei riguardi delle manovre delle navi e delle operazioni di carico e di scarico. Viene normalmente suggerita la disposizione degli ormeggi parallelamente ai venti dominanti (più frequenti e più intensi). Ancora più condizionanti dei venti possono risultare le correnti che agiscono sull’opera viva delle navi con azioni che assumono valori rilevanti per velocità anche modeste.
Sono quelle strutture che, limitando lo specchio acqueo portuale verso il mare aperto, impediscono l’ingresso dell’agitazione ondosa nei bacini interni. In qualche caso hanno anche il compito di difendere il p. dagli interrimenti; sono chiamate talvolta frangionda o frangiflutti. Vengono di solito denominate dighe antemurali (o semplicemente antimurali) le opere del tutto staccate da terra; moli le opere radicate a terra.
La disposizione delle opere di difesa varia grandemente tra i p. interni e i p. esterni. Nei p. interni esse possono essere del tutto assenti o limitarsi a due moli guardiani che fiancheggiano l’imboccatura e si protendono verso il largo. Dei due moli guardiani quello sopraflutto, cioè esposto ai mari da traversia principale, viene generalmente prolungato alquanto più al largo dell’altro (fig. 1) per proteggere meglio le navi in entrata e per attenuare la propagazione del moto ondoso nell’interno del canale. Nei p. esterni si possono avere diversi schemi nella disposizione delle opere di difesa, i principali sono: a) moli convergenti con bocca rivolta verso la traversia, disposizione che combatte efficacemente gli interrimenti sulle coste, soprattutto in presenza di una forte escursione di marea. Assicura inoltre un facile ingresso delle navi anche in condizioni di mare agitato e consente pertanto di ridurre la larghezza dell’imboccatura ai valori minimi compatibili con la sicurezza. Per ottenere una conveniente riduzione dell’agitazione ondosa interna è necessaria comunque l’aggiunta di ulteriori opere di difesa all’interno del bacino principale, delimitato dai moli convergenti, oppure si dispone il porto interno in posizione defilata rispetto al bacino principale, che costituisce in tal caso un avamporto; b) moli convergenti con bocca protetta da antemurale, è lo schema classico di alcuni porti antichi. L’antemurale delimita un avamporto e impedisce l’ingresso dell’agitazione ondosa. Le manovre di ingresso e di uscita risultano difficoltose e l’interrimento portuale è molto più facile che nel caso di assenza di antemurale. Lo schema è ormai quasi del tutto abbandonato; c) moli disposti l’uno a protezione dei mari provenienti dal settore di traversia principale (molo di sopraflutto), l’altro (molo di sottoflutto), in direzione grosso modo ortogonale al primo, a protezione dei mari provenienti dal settore secondario; i p. assumono allora la denominazione di p. a bacino. Talora il molo di sottoflutto è assente, talora invece esso è integrato, per delimitare l’imboccatura, da un pennello contrapposto radicato al molo di sopraflutto. L’imboccatura portuale deve quindi essere affrontata dalle navi ricevendo al traverso le sollecitazioni combinate delle onde e del vento; spesso inoltre la rotta di accesso deve essere curvilinea, il che rappresenta un inconveniente soprattutto nel caso di grandi navi; d) unica diga isolata, parallela alla riva (fig. 3). Questa disposizione, sensibile ai fenomeni di interrimento, si presta specialmente in caso di coste rocciose con acque profonde e settore di traversia ristretto, con direzione perpendicolare alla riva. È però applicabile anche in circostanze diverse e si presta assai bene a successivi ampliamenti.
Dal punto di vista della struttura le opere di difesa si dividono in due categorie fondamentali, le opere a gettata (o a scogliera) e le opere a parete verticale: le prime dissipano l’energia del moto incidente provocandone il frangimento, le seconde provocano la riflessione del moto ondoso e quindi sono sottoposte a modeste sollecitazioni dinamiche. A volte le opere a parete verticale possono essere investite anche da onde frangenti, nel qual caso le azioni esercitanti su di esse sono di entità molto elevate. Esistono anche opere, dette di tipo composto, costituite da opere verticali su imbasamento a scogliera, o da opere verticali rinfiancate da una scogliera. Infine esistono opere di difesa di tipo non tradizionale, quali le opere galleggianti ancorate, le opere parzialmente immerse, le opere completamente sommerse, le difese pneumatiche o idrauliche. Tali tipi si usano per lo più in località naturalmente ben protette, o a difesa di p. provvisori (militari, di lavoro). Le opere a gettata (fig. 4) possono essere costituite interamente da massi naturali, di dimensioni diverse a seconda della zona in cui ricadono. I massi (scogli) di dimensione minore costituiscono il cosiddetto nucleo, mentre i massi di dimensioni maggiori costituiscono i rivestimenti esterni e i filtri di passaggio con il nucleo. La zona sottoposta a maggiori sollecitazioni ondose viene detta mantellata e a volte è realizzata in modo da poter assumere una configurazione di equilibrio stabile sotto l’azione del moto ondoso (frangiflutti a berma). Spesso le opere comprendono zone costituite da massi artificiali, dalle forme più varie. Le opere a parete verticale sono state realizzate in passato per mezzo di blocchi di calcestruzzo di dimensioni medie accostati e sovrapposti, o di blocchi di grandi dimensioni (detti ciclopici), con una dimensione pari a quella trasversale dell’opera, o di blocchi cavi (detti cellulari) riempiti con getto di calcestruzzo in acqua. Vengono ormai impiegati quasi esclusivamente cassoni cellulari di calcestruzzo armato, realizzati in bacini o con l’ausilio di piattaforme, indi varati, trasportati e affondati sul luogo d’impiego e ivi riempiti di materiale inerte o, almeno parzialmente, di calcestruzzo. Al fine di ridurre gli effetti di riflessione del moto ondoso, che producono inconvenienti dal punto di vista delle quote di sormonto, degli scalzamenti al piede e della navigazione nello spazio marino antistante, sono stati introdotti i cassoni a parete forata e camere di smorzamento. Sono state impiegate anche opere a parete discontinua, verticale cioè fino circa al livello medio marino, inclinata al di sopra di questo in modo da ridurre le forze orizzontali trasmesse dal moto ondoso.
Delimitano gli specchi acquei destinati alla manovra delle navi e alla loro sosta (darsene). A loro volta sostengono i terrapieni portuali, sui quali si svolgono le operazioni di trasferimento delle merci. Nonostante si sia registrato un cospicuo incremento delle dimensioni delle aree marittime e terrestri, in conseguenza dell’aumento di dimensioni delle navi e delle modifiche intervenute nelle modalità di deposito e smaltimento delle merci, le lunghezze complessive dei fronti di banchina non sono aumentate, essendosi notevolmente incrementata la capacità unitaria di smaltimento delle merci, anche a causa del processo di specializzazione dei traffici e dei mezzi di carico e scarico. Vi è invece una tendenza all’allungamento dei singoli fronti di banchina, così da renderli più flessibili, adatti cioè all’accosto di più navi di diverso dislocamento, con possibilità di trasferimento dei mezzi di carico e scarico nelle posizioni più opportune. La dimensione trasversale delle darsene, quando queste sono delimitate da banchine destinate all’accosto di più navi, varia al variare del tipo di nave. Per le merci liquide sono normalmente impiegati i pontili e il deposito dei prodotti avviene anche a distanza dal punto di attracco, essendo il trasporto eseguito via tubo. Pontili o banchine di modesta larghezza sono anche impiegati per le navi porta-rinfuse; l’area di deposito (parco), di dimensioni generalmente molto elevate, può essere collocata, anche in questo caso a distanza dal punto di attracco, essendo il trasporto eseguito via nastro. Minori esigenze di larghezza di terrapieno hanno alcune merci speciali, quali le granaglie (depositate entro silos), la frutta, il caffè ecc. Per i passeggeri è necessaria la presenza di una stazione marittima, d’importanza diversa a seconda del numero di passeggeri annuo e della presenza o meno di collegamenti internazionali. Caratteristiche diverse e del tutto peculiari hanno le opere interne nel caso dei p. specializzati pescherecci e turistici (marina). Nel p. vi sono spesso bacini destinati alle operazioni di manutenzione e riparazione navali.
Le opere di delimitazione delle darsene portuali, dei ponti sporgenti e delle banchine di riva sono dette muri di sponda. Sono fondamentalmente muri di sostegno delle terre e sottoposti a forze derivanti dai sovraccarichi accidentali, dall’accosto e dall’ormeggio delle navi. I muri di sponda sono muniti di parabordi di materiali diversi e di dimensioni tali da assorbire l’urto delle navi in fase di accosto, e di bitte (di acciaio, di ghisa sferoidale) per sopportare il tiro dei cavi di ormeggio.
Nell’ordinamento italiano, i p., annoverati dall’art. 822 c.c. fra i beni appartenenti al demanio pubblico dello Stato, costituiscono la categoria più importante dei beni del demanio marittimo (art. 28 c. nav.). Oltre al p. vero e proprio sono demaniali tutte le costruzioni e le altre opere accessorie (banchine, moli, darsene ecc.), che sono considerate pertinenze del p. stesso. La legislazione in materia è stata completamente riordinata con la l. 84/1994 che disciplina l’ordinamento e le attività portuali per adeguarli a una visione dinamica del p. come luogo di attuazione di attività concernenti la navigazione, come per es. il carico e lo scarico delle navi. La legge classifica i p. marittimi nazionali nelle categorie e classi: categoria I, p., o specifiche aree portuali, finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato; categoria II, classe I, p., o specifiche aree portuali, di rilevanza economica internazionale; categoria II, classe II, p., o specifiche aree portuali, di rilevanza economica nazionale; categoria II, classe III, p., o specifiche aree portuali, di rilevanza economica regionale o interregionale. La legge, inoltre, individua le organizzazioni portuali (art. 2) e prevede, nei p. caratterizzati da maggiore volume di traffico, l’istituzione delle autorità portuali, dotate di personalità giuridica di diritto pubblico. L’autorità portuale è sottoposta alla vigilanza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e ha il compito di direzione, programmazione e controllo delle attività portuali. Per il principio di separazione delle funzioni, non può esercitare operazioni portuali commerciali. Ferme restando le competenze attribuite alle autorità portuali, spettano alle autorità marittime le funzioni di polizia e di sicurezza previste dal codice della navigazione e dalle leggi speciali, e le rimanenti funzioni amministrative.
Essendo i p. parte integrante del territorio dello Stato, questo può esercitare su di essi la sua sovranità non diversamente da come la esercita su ogni altra parte del suo territorio, e in modo più intenso di quanto non possa farlo sul mare territoriale. Infatti, mentre non può normalmente impedire il transito inoffensivo delle navi straniere nelle sue acque territoriali, sarebbe invece libero di ammettere, o di non ammettere, le navi stesse nei suoi p., a meno che non vi cerchino rifugio a causa di avarie, di cattivo tempo o, in genere, di forza maggiore. Tale principio, comunemente ammesso fino all’inizio del 20° sec., sembra tuttavia essersi modificato, nel senso che il potere dello Stato di chiudere i suoi p. viene oggi riconosciuto soltanto per esigenze della sicurezza pubblica, per motivi sanitari, o per rappresaglia, limitando peraltro la chiusura stessa al più breve tempo possibile. Per es., la Convenzione di Londra del 9 apr. 1965 sulle facilitazioni al traffico marittimo internazionale detta una normativa uniforme, applicabile al traffico commerciale e al trasporto dei passeggeri, in materia di entrata nei p., soggiorno e partenza delle navi, imbarco e sbarco di merci e passeggeri, servizi portuali, disposizioni sanitarie. La Convenzione consente peraltro agli Stati contraenti di adottare misure più restrittive, in caso di necessità, per salvaguardare l’ordine pubblico, la salute o la sicurezza della comunità territoriale. La disciplina prevista dalla Convenzione di Londra può inoltre essere integrata da accordi bilaterali di commercio e navigazione, destinati a stabilire le condizioni per il traffico commerciale marittimo tra due Stati.
La nave approdata in un p. straniero si trova a essere cumulativamente sottoposta a una duplice potestà: a quella dello Stato della bandiera e a quella dello Stato territoriale. Il criterio generale di delimitazione e di coordinamento delle due potestà è costituito, secondo la più autorevole dottrina, dalla distinzione tra fatti interni e fatti esterni alla nave.
P. franco Città marittima che gode della franchigia doganale, in cui cioè le merci estere possono liberamente entrare ed essere quindi consumate e manipolate o anche rispedite all’estero; se però le merci stesse lasciano la città marittima per entrare nel territorio dello Stato ed essere ivi consumate, allora vengono assoggettate al dazio nella condizione in cui al momento si trovano. L’istituto dei p. franchi fiorì soprattutto nel 17° e 18° sec. in Francia, in Italia e in Spagna e andò declinando nel 19° sec. (gli ultimi, Trieste e Fiume, furono aboliti nel 1891), in rispondenza soprattutto all’esigenza di eliminare ingiustificate sperequazioni tra i cittadini dello stesso Stato e di ridurre il contrabbando, oltre che per tutelare l’interesse di alcune industrie locali. Si sviluppò in sua vece la più progredita istituzione del puntofranco (➔).