Arte e tecnica dello scolpire, cioè di raffigurare il mondo esterno, o meglio di esprimere l’intuizione artistica per mezzo di materiale opportunamente modellato; con valore concreto, l’opera stessa. Nella denominazione di s. si comprende ogni opera plastica (statue, gruppi, rilievi), sia essa scolpita (nella pietra, nel legno, nell’avorio), plasmata in materia cedevole (argilla, cera), fusa (metalli, plastica) o ottenuta dalla saldatura di pezzi metallici o dall’aggregazione di materiali diversi tridimensionali. Si parla tradizionalmente di s. a tutto tondo o tridimensionale, se produce statue, gruppi, oggetti autonomamente posti nello spazio; il rilievo è invece un’opera di s. legata a un piano di fondo, dal quale la figurazione emerge con maggiore o minore risalto (altorilievo, bassorilievo, stiacciato).
Soprattutto per la s. in pietra, salvo i casi meno frequenti nei quali lo scultore affronti direttamente la materia – eventualmente, secondo il sistema più arcaico, facendo uso di un disegno delle vedute principali sulle facce del blocco – l’opera è preceduta da un modello, generalmente in creta, poi formato in gesso con il sistema del calco. La sua traduzione nel marmo avviene con il sistema del riporto delle misure, o della messa ai punti (v. .): si fissano sul modello i punti più sporgenti che, con le medesime coordinate spaziali, mediante l’uso del filo a piombo o di altri semplici mezzi di misurazione spaziale (come la crocetta o macchinetta, in uso dal 19° sec.), vengono individuati e riportati nel blocco di marmo (anche con l’uso di trapani) togliendo poi, con mazzuolo e scalpelli, la materia eccedente e sbozzando così l’opera, anche in più fasi successive. La s. sarà poi rifinita con ferri più piccoli, raspe, trapani ecc., smerigliata e lucidata. È da ricordare, nella s. antica e di varie epoche, la finitura delle s. sia attraverso una patinatura a base di cere, sia con l’uso della policromia, applicata su una sottile imprimitura sulla superficie della pietra; il gusto per la policromia si esprime anche nell’accostamento in una stessa s. di varietà di pietre e materiali diversi.
Per quanto concerne il bronzo, la traduzione dal modello avviene con i procedimenti tradizionali della cera persa o in terra (➔ metallo). Limiti particolari presenta la s. in legno, derivanti dalle limitate dimensioni del blocco, il cui superamento impone la lavorazione separata di pezzi da montare attraverso giunzioni, e dalla struttura non omogenea del materiale, che ostacola un trattamento diversificato delle superfici analogo a quello operabile sulla pietra. Comune, in antico, la finitura tramite policromia. Problemi tecnici analoghi, legati alla scelta del materiale, presenta anche la s. in avorio (➔), impiegato per la s. di piccole dimensioni sin dalla preistoria. Difficoltà tecniche specifiche comporta inoltre la s. in materiale plastico sintetico (politene, plexiglas ecc.). Tali considerazioni assumono un significato totalmente diverso nella scultura moderna, laddove il materiale sia impiegato e valorizzato nelle sue proprie qualità intrinseche di struttura, colore, proprietà.
Nell’ambito della plastica, specifiche tecniche prevede la s. in cera (➔) e la lavorazione delle terre, per la produzione di s. in terracotta e ceramica. La modellazione delle terre avviene a mano, al tornio (per oggetti di forma tendente al giro), a stampo, rifinita con appositi strumenti. Nel caso di statue o altri oggetti di grandi dimensioni, anche la tecnica a stampo prevede l’uso della sutura, in quanto l’oggetto è in genere eseguito in due parti; la terra, in sfoglie, viene fatta aderire sulla superficie interna o esterna della forma. Alla modellazione seguono l’essiccazione e la cottura. Utilizzata ampiamente per piccoli oggetti o per vasellame, la terracotta ebbe un uso importante anche nelle s. di grandi dimensioni, cave, rifinite generalmente dalla policromia.
Notizie su materiali e tecniche si ritrovano nelle fonti antiche (Plinio) e medievali (Teofilo, C. Cennini); dal 15° sec. la s. diviene oggetto di specifici trattati: tra i più noti si ricordano il De statua di L.B. Alberti (1435 ca.), il De sculptura (1504) di P. Gaurico, il Trattato della scultura (1568) di B. Cellini, le Réflexions sur la sculpture (1761) di É.-M. Falconet e l’Istruzione elementare per gli studiosi della scultura (1802), primo manuale appositamente scritto per l’insegnamento da F. Carradori (1747-1824), maestro all’Accademia di Firenze.
La civiltà cicladica sfruttò già le cave di marmo delle isole egee, creando idoli più o meno schematici, e il marmo fu adoperato nell’arte mesopotamica insieme con la diorite, il calcare, l’alabastro e la terracotta smaltata. Le dure pietre vulcaniche come i graniti, i porfidi, i basalti furono lavorate con grande perizia tecnica e levigate con lo smeriglio dagli artisti egiziani, che usarono altresì vari tipi di legni, e anche l’avorio e la terracotta. L’arte minoico-micenea adoperò per i rilievi steatite, marmi colorati e alabastro; modellò nella creta e seppe anche fondere nel bronzo piccole statuette, ma non arrivò alla creazione della statua monumentale, che fu invece una delle caratteristiche espressioni dell’arte greca. Quando ebbe inizio l’uso di plasmare un modello nella cera o nell’argilla, questo si traduceva nel marmo con misurazioni e con il sistema dei punti, ma in genere non si trattava di un lavoro meccanico, sia perché probabilmente i modelli erano di dimensioni ridotte, sia perché lo stesso artista eseguiva e perfezionava la propria opera nel marmo. Quando si affermò e si moltiplicò invece l’uso delle copie dei capolavori del passato, soprattutto per la clientela romana nel tardo periodo ellenistico e imperiale, il lavoro dello scultore divenne sempre più meccanico e impersonale, e si ricorse anche ai calchi. Statue pervenuteci in vari stadi di lavorazione documentano l’uso di scalpelli, gradina, raspa, mentre raro anche nell’ellenismo è il trapano, che invece sarà molto adoperato nella scultura romana. La statua greca si levigava con la pomice ed era poi dipinta. In Grecia una tecnica particolare fu quella dell’acrolito con parti nude in marmo e il resto in vari materiali, e più preziosa poi fu la tecnica criselefantina. La s. etrusca usò largamente varie pietre locali (nenfro, peperino, pietra serena, bronzo, alabastro, terracotta). Oltre che in ambito etrusco, la coroplastica assume notevole importanza in tutto l’ambiente italico. La statuaria in bronzo fu eseguita in Grecia e raggiunse una grande perfezione nello stile severo della prima metà del 5° sec. a.C.; l’agemina con rame, argento, oro serviva a sottolineare alcuni dettagli dell’immagine (sopracciglia, labbra, seni ecc.) e spesso smalti ravvivano gli occhi. I Romani adoperarono largamente il bronzo per le statue onorarie e preferirono spesso dorarle per un effetto più appariscente. I metalli preziosi erano riservati alle immagini imperiali o a una statuaria di piccole dimensioni, come pure l’ambra o il cristallo di rocca. Nella tarda antichità è testimoniato il commercio di sarcofagi, sia grezzi, lavorati sul luogo di arrivo, sia già in tutto o in parte lavorati, e statue-ritratto, da completare con le fattezze del committente.
Con le statue imperiali costantinopolitane, attestate con certezza fino a Giustiniano e con una probabile ripresa con Eraclio e con Giustiniano II, e con la caduta dell’impero sasanide cessa in Occidente e nel Vicino Oriente qualunque forma di s. a tutto tondo. Sono tipici di questo periodo i bassorilievi decorativi (a intrecci, motivi schematici vegetali e animali), ma non mancano raffigurazioni più complesse (stucchi di Cividale; porte bronzee di Aquisgrana; sbalzi d’argento di Costantinopoli, di Milano, di Roma; avori intagliati). Nel 10° e 11° sec. si hanno s. a tutto tondo (crocifisso di Gerone a Colonia, Madonna di Essen, croci di Vercelli, Pavia, Casale Monferrato). Grande importanza nel periodo romanico ha l’elaborazione della decorazione scultorea di portali (Autun, ca. 1130; Vézelay, ca. 1130) e facciate (Saint-Sernin a Tolosa, prima del 1118; San Pietro di Moissac, 1120; Santa Fede a Conques, Santiago de Compostela, 1105-20), con diverse tendenze nelle varie regioni d’Europa; correnti diverse caratterizzano anche il rapporto fra s. e architettura nelle Puglie e nell’Italia settentrionale. Nicola Pisano lavora su un approfondimento della figura isolata, opposto alla concezione gotica che si elabora nell’Île-de-France, benché egli stesso e più ancora il figlio Giovanni siano investiti dalla nuova concezione francese della s., di cui si osserva l’evoluzione dal duomo di Strasburgo a quelli di Chartres e Reims.
La s. in legno fu praticata assai largamente, sia come decorazione di mobili sia per sculture a sé stanti (crocifissi e statue di culto). Nella s. lignea emergono le scuole del Nord (altari intagliati nei Paesi Bassi dal 14° al 16° sec.).
Per l’evoluzione della s. in terracotta è importante, dal 16° sec., con l’apprezzamento crescente dell’attività creativa dell’artista, l’uso di cuocere i modelli in creta, per cui la terracotta assume un particolare rilievo artistico in quanto ‘bozzetto’. Nel 20° sec. la rivalutazione del ‘primitivo’ nella coroplastica etrusca portò a una differente considerazione di quel materiale.
Della s. in cera, praticata specialmente nella produzione di ex voto, poco è rimasto; ma nel 16° sec. si diffuse l’uso della cera per ritratti di tipo miniaturistico. Dal 18° sec. in poi la cera si affermò come mezzo duttile in cui fissare l’ispirazione dell’artista; straordinari i risultati nell’uso del materiale da parte degli impressionisti (Degas, M. Rosso).
Nel Rinascimento notevole sviluppo ebbero le tecniche del rilievo, connesse con la tendenza a una resa geometrico-spaziale della rappresentazione. La tecnica del bronzo raggiunge altissima perfezione (porte del battistero fiorentino di L. Ghiberti; Perseo di B. Cellini); rinasce su modello dell’antico la statua equestre di bronzo, mentre si diffonde il ‘bronzetto’, che diviene oggetto di collezionismo. Nuovo sviluppo assume la tecnica della terracotta invetriata, grazie all’attività dei della Robbia. La tecnica del marmo trova in Michelangelo una trattazione di grande sicurezza, nella lavorazione diretta con lo scalpello del blocco, senza riferimenti da un modello. Con il Rinascimento e il Barocco emerge un nuovo apprezzamento del valore naturale dei marmi e delle pietre rare, di cui furono partecipi in particolare le corti di Praga, sotto Rodolfo II, e dei granduchi di Toscana. Nella ricerca di un virtuosismo tecnico e di effetti sempre più insoliti, risorse e si perfezionò l’intaglio in cristalli di rocca (di cui erano stati maestri gli artisti fatimidi). Già dal 18° sec. si pose il problema di una produzione seriale, legata al mobilio (alari da camino, applicazioni d’ottone ai mobili di legno ecc.), mentre le nuove risorse tecniche consentivano la produzione di monumenti di proporzioni insolite (statua equestre di Pietro il Grande, di E.-M. Falconet, a San Pietroburgo). Con l’Ottocento si affrontò il problema della produzione in serie, con l’uso di nuove leghe, con nuove forme di organizzazione del lavoro ecc. Dalla prima metà del 20° sec. le nuove tendenze d’avanguardia da una parte usufruiscono delle tecniche tradizionali, con particolare attenzione allo studio dei materiali, dall’altra tendono a superare i limiti tra s. e altre arti o propongono l’uso di materiali o oggetti di recupero (ready made, objet trouvé). Le stesse modalità proseguono dalla seconda metà del 20° sec. in avanti, anche con l’uso di nuovi materiali e tecnologie, strumenti e oggetti, interventi sull’ambiente ecc.