Nome sotto il quale si comprendono alcune miscele complesse di origine vegetale, animale, minerale e anche sintetica (dette anche ceridi).
Chimicamente le c. di origine animale e vegetale sono miscele di esteri di acidi grassi superiori con alcol monovalenti pure a elevato numero di atomi di carbonio, aciclici o ciclici (differiscono perciò dai grassi per la presenza in questi ultimi di un alcol sempre trivalente, la glicerina). Generalmente entrano a costituire le c. gli acidi carbossilici saturi a catena lineare aventi da 24 a 36 atomi di C (acido palmitico, stearico, melissico, cerotico ecc.) oltre a piccole quantità di acidi ramificati, e gli alcol miricilico, cerilico, stearilico. Si presentano a temperatura ordinaria come solidi untuosi, insolubili in acqua, poco solubili in genere in alcol e acetone (a freddo), interamente solubili in benzene, cloroformio ecc.; hanno punto di fusione variabile, a seconda della natura dell’acido, fra 40 e 80 °C; massa specifica oscillante fra 0,8 e 0,9 g/cm3; sono stabili agli agenti chimici ed enzimatici, si saponificano lentamente con gli alcali. Si distinguono a seconda della loro origine e di solito sono contraddistinte dal nome dell’animale che le secerne o del vegetale da cui si estraggono.
Negli animali le c. sono prodotte da speciali ghiandole e si trovano, in genere, nei tessuti di rivestimento. Possono avere funzione protettiva, come per es. la c. secreta dalla ghiandola steatopiga degli uccelli che rende le penne impermeabili all’acqua; funzione plastica, come nelle api; o funzione di galleggiante, come lo spermaceti che si trova nella testa del capodoglio. La c. d’api è il prodotto di secrezione di ghiandole addominali ( ghiandole ceripare) della comune ape e di altre specie di Apidi; costituisce la sostanza con cui sono formate le cellule esagonali dei favi degli alveari, dai quali si estrae fondendoli con acqua calda per separare le sostanze estranee (miele ecc.); si chiama allora c. vergine, ha odore leggermente aromatico, è untuosa al tatto, plastica al calore della mano, con colore variabile dal giallo chiaro al rosso bruno; le varietà più pregiate sono quelle più chiare che si imbianchiscono più facilmente. Si distinguono diverse varietà a seconda del luogo di provenienza, del metodo e trattamento di depurazione.
Le c. vegetali hanno composizione chimica simile a quella delle c. animali e sono usate in sostituzione della c. d’api. Hanno solitamente la forma di microscopici granuli o bastoncini, che ricoprono la cuticola; hanno funzione protettiva, limitano l’evapotraspirazione e riflettono parte della radiazione solare. Fra le più importanti vi sono la c. candelilla, ricavata da Pedilanthus pavonis della famiglia Euforbiacee; la c. carnauba, che essuda dalle foglie della palma della cera (Copernicia cerifera); la c. di canna da zucchero che si estrae con solvente dai sottoprodotti di lavorazione dello zucchero di canna; le c. di cotone, di canapa, di lino, presenti nelle sostanze che incrostano le fibre di tali piante e dalle quali si possono ricavare a mezzo di solventi organici; la c. di palma, detta anche cerossilina, che trasuda dall’inserzione delle foglie e scola lungo il tronco di alcune palme dell’America Meridionale, come Corypha cerifera, Ceroxylon andicola ecc.: trova impiego locale per la fabbricazione di candele e per la lucidatura del legno.
Notevole importanza pratica hanno le numerosissime c. artificiali o sintetiche, prodotti artificiali usati nei vari rami della tecnica in sostituzione delle c. naturali in cui piuttosto che la costituzione chimica dei composti naturali si cerca di imitare le proprietà fisiche e chimico-fisiche. Le principali c. sintetiche si possono raggruppare in: a) chetoni superiori di consistenza cerosa; b) esteri formati da glicoli (a 2-4 atomi di carbonio) o alcol superiori (monovalenti o polivalenti) con acidi alifatici superiori (stearina ecc.); c) ammidi e immidi di acidi grassi; d) idrocarburi sintetici sia alifatici sia aromatici (difenilbenzene ecc.) e miscele di idrocarburi alifatici con 15-30 atomi di carbonio, ottenute con il processo Fischer-Tropsch; e) policloroderivati della naftalina, del difenile ecc., contenenti dal 30 al 70% circa di cloro; f) derivati idrogenati di oli minerali e vegetali (per es., dell’olio di ricino).
Le c. naturali trovano impiego nella preparazione di isolanti elettrici, nella fabbricazione di lucido da scarpe e per pavimenti, inchiostri da stampa, cosmetici, preparazioni farmaceutiche, prodotti antiruggine, impermeabilizzanti, lubrificanti ecc. Le c. sintetiche hanno un campo più vasto d’applicazione di quello delle c. naturali in quanto presentano esaltate le proprietà d’impiego tipiche delle c. (resistenza all’acqua e al vapor d’acqua, durezza, emulsionabilità, ritenzione di solvente, lucidità, rigidità dielettrica ecc.) e si usano nell’industria della carta (per la fabbricazione di contenitori per sostanze commestibili varie e di fogli per copertura di cibi diversi), nell’industria elettrica (per applicazioni nelle vernici isolanti, nelle vernici resistenti all’arco, nei condensatori ecc.), nella fabbricazione di carta carbone, di lucidi, di colori da stampa ecc.
L’arte di modellare figure in c., o ceroplastica, fu comune nell’antico Egitto, in Grecia e a Roma, in relazione a riti magici o funebri. Presso i Romani, erano di c. le figure votive delle are dei Lari, le maschere e le immagini dei defunti trasportate nelle cerimonie funebri o conservate nelle case (dette cerae pictae, in quanto colorate). Le qualità della c., che facilmente simula la consistenza e il colore dell’incarnato, ha determinato la costante preferenza, nei secoli, di tale materiale per la riproduzione delle sembianze di morti o di personaggi celebri. Di qui l’uso di rivestire le figure di c. di paramenti, attestato dalla metà del 14° sec. alle corti di Francia e d’Inghilterra, in occasione dei funerali, e quello di eseguire in c. statue votive o ex voto. Per le stesse ragioni la c. fu usata spesso per modellare bambole. Dal Medioevo in poi gli scultori se ne servirono per plasmare figure e oggetti da fondere in metallo o per bozzetti di piccole dimensioni; dal 16° sec. essa fu adoperata anche per l’esecuzione di ritratti-medaglioni, specialmente nei paesi del Nord. Nel 17° sec. si usò per il raggiungimento di effetti di crudo realismo e nella preparazione di pezzi dimostrativi anatomici, e dal 18° sec. si ebbero i primi musei delle c., con statue a grandezza naturale di personaggi storici (quello di Madame Tussaud fu fondato a Londra nel 1802). Adatta a rendere in scultura effetti pittorici, fu molto usata dagli impressionisti nel 19° sec., e continua a essere adoperata per bozzetti, figure ecc.
Con c. (d’api, vegetale, ozocerite) disciolta in acqua ragia, distesa per lo più con feltri o con stracci e strofinando poi a lungo, si esegue la ceratura, trattamento superficiale di finitura dei legni lavorati che sostituisce la verniciatura, adatto per legni scolpiti o porosi (quercia ecc.) ma non per legni compatti a grana fine (faggio, pero e legni resinosi); la superficie legnosa assume una lucentezza cerea, non brillante, ma gradevole. Alla miscela, detta encausto, si aggiungono sostanze coloranti, secondo la tinta che si vuol dare al legno, ed eventualmente resine o colofonia per ottenere maggiore brillantezza. La ceratura è rovinata dall’acqua.
Nelle costruzioni automobilistiche, la ceratura è un’operazione di protezione della scocca per renderla più resistente alla corrosione; consiste nell’iniettare, nei punti critici degli scatolati, c. con alto potere di penetrabilità e di aderenza, così da ricoprire anche le intercapedini non raggiunte con la verniciatura.