Prodotti destinati a essere applicati sul corpo allo scopo di igiene, profumazione, protezione, modificazione dell’aspetto estetico. La normativa stabilisce che i c., non essendo medicamenti, non possono vantare nella presentazione e nella pubblicità alcuna attività terapeutica.
In Oriente. - L’uso dei c. era diffuso presso quasi tutti i popoli delle antiche civiltà orientali, favorito dal fatto che in Oriente crescevano la maggior parte degli ingredienti vegetali e minerali adoperati per l’igiene del corpo, come oli, profumi, tinture. I ‘profumi d’Arabia’ e della Palestina orientale, che le carovane trasportavano sino alla costa della Siria, l’antimonio, l’olio profumato, gli unguenti, prima di diffondersi nella civiltà greco-romana venuta a contatto con l’Oriente, erano già noti presso Egizi, Medi, Fenici, Ebrei. Per questi ultimi la Bibbia abbonda di testimonianze circa l’uso di ungersi e profumarsi (per es. gli episodi evangelici di Maria Maddalena che cosparge d’olio profumato i piedi e il capo di Gesù).
Antichità classica. - L’uso dei c., penetrato dall’Oriente nella Grecia e di lì nel mondo romano, appare molto diffuso fra i popoli dell’antichità classica e rispondente a esigenze varie dell’igiene maschile e femminile. Poiché il sapone era sconosciuto, gli antichi impiegavano a questo scopo la soda (nitrum), ovvero della creta finissima, o anche farina di fave (lomentum); nell’antica Roma le signore e i giovani eleganti si lavavano con il latte d’asina che dicevano rendesse bianca e morbida la pelle. L’uso dell’unguento deriva dalla consuetudine, dopo il bagno, di spalmarsi il corpo con olio d’oliva; dall’abitudine di correggerne l’odore con varie essenze derivarono le diverse specie di unguenti: di rosa, di gelsomino, di nardo, prezioso profumo arabico e molti altri. Le donne e gli uomini usavano nascondere la canizie con speciali tinture per capelli. Paste depilatorie (psilothrum, dropax) a base di olio, pece, resina e sostanze caustiche, servivano a liberare dai peli e a rendere liscia la pelle. Fra i belletti femminili figuravano il nero per ciglia e sopracciglia; il rossetto per colorire la pelle (fucus, purpurissum) e soprattutto la cerussa che donava freschezza alle guance delle donne e consisteva in una crema a base di biacca (carbonato di piombo, ottenuto per mezzo dell’acetato di piombo). La biacca per uso cosmetico si trovava in commercio in forma di pasticche che provenivano dai centri in cui fioriva l’industria del piombo.
Dal Medioevo all’Età moderna. - L’uso dei c. fu subito condannato dagli scrittori cristiani. Più tardi la vita di corte e l’importanza data nel mondo cavalleresco all’esteriorità dell’aspetto e all’avvenenza della donna ne estesero l’uso al punto che nacque tutta una letteratura, che dalla riprovazione religiosa alla didattica moraleggiante si scagliò contro questa manifestazione di vanità, prettamente femminile, e tuttavia a volte frequentata anche dagli uomini. Viso, capelli, braccia e mani erano oggetto di cure cosmetiche, soprattutto per imbiondire i capelli con lozioni e pomate minerali e vegetali, e fare liscia e bianca la pelle. Gli strumenti per la cura delle orecchie, dei denti e delle unghie erano comuni a donne e uomini. Né mancavano bizzarrie come quella di annerirsi i denti. Le materie prime più adoperate erano l’antimonio o il nerofumo per il bistro per sopracciglia e ciglia, il minio e lo zafferano per i rossetti che colorivano guance e labbra, la salvia per i denti; la biacca, il sublimato d’argento, il borace, l’allume, accanto a mandorle e fave, a limone, aceto e chiara d’uovo per polveri e creme.
Il Rinascimento, con la sua opulenza di vita e la sua ammirazione per la bellezza corporea, ebbe per i c., come per i profumi, una vera mania. Centro dell’eleganza diventò l’Italia con nuove mode e ricette. Imbellettarsi fu presto una necessità sociale che ogni classe di persone interpretava a suo modo. Alcuni sistemi cosmetici prevedevano l’applicazione notturna di carne cruda o di maschere astringenti sul viso o il sublimatoir, apparecchio per esporre il viso a vapori di mercurio. La grande mania, soprattutto veneziana, era quella d’imbiondire i capelli, con la semplice esposizione al sole del capo tenuto umido per mezzo di spugnette, oppure con svariate tinture. Anche gli uomini partecipavano di questa moda.
Dal Seicento la Francia, seguita dalla Spagna, diventò il centro della vita elegante e della moda. Alla corte imbellettarsi divenne una necessità di etichetta: era indispensabile utilizzare polveri odorate per i capelli, incipriarsi la testa, cospargersi viso e spalle di nei. L’operazione del truccarsi richiedeva almeno un’ora e veniva ripetuta anche la sera prima d’andare a letto. Il viso si preparava con poca acqua e con spirito profumato, pasta di mandorle e grasso di montone. Quindi si segnavano di nero gli occhi e le sopracciglia, di azzurro le vene, poi su un primo strato di biacca si spalmava con un grosso pennello il rosso liquido, in 12 diverse sfumature, sul viso – gote, mento, fronte, narici, lobo delle orecchie – sulle spalle e sulle mani nella palma e fra un dito e l’altro.
Fu la Rivoluzione francese, con i grandi predicatori e i filosofi, a iniziare una crociata contro il lusso, che doveva rapidamente essere bandito. Le ultime aristocratiche s’imbellettarono per salire il patibolo. La moda dei c. sarebbe ripresa con la raffinata eleganza di madame Tallien prima, famosa per i suoi bagni di fragole, poi di Giuseppina Bonaparte. Il romanticismo abolì il rosso: rimasero la cipria e le creme che davano il pallore sentimentale. I nei ebbero nella Vienna imperiale un nuovo momento di voga. Dalla fine del 1800 il livellamento dei costumi estese enormemente anche l’uso dei c., per produrre i quali si sviluppò un ramo specializzato dell’industria, con centro a Parigi, dove nel 1890 fu fondato da madame Lucas il primo istituto di bellezza.
Sviluppatasi dalla fine del 19° sec., ha assunto sempre maggiore importanza. Essa fornisce un elevato numero di prodotti con finalità estetica, igienica ed eutrofica (mantenimento delle migliori condizioni funzionali e anatomiche delle zone su cui vengono applicati, purché prive di alterazioni patologiche). Dal punto di vista scientifico e tecnologico, l’industria dei c. è simile per alcuni aspetti, come le metodiche di formulazione, il controllo di qualità, la confezione, a quelli propri dell’industria farmaceutica; sono così minimizzate le incidenze tossicologiche, sensibilmente ridotte rispetto al passato.
L’attività di ricerca, di base e applicata, nel settore dei c. è dedicata ai temi seguenti: a) valutazione dell’attività cosmetologica e conoscenza dei meccanismi biochimici; b) valutazione farmaco-tossicologica delle materie prime; al riguardo da parte delle autorità internazionali, sempre più attente all’impatto dei c. sulla salute pubblica, si è avviata la definizione delle prove di mutagenesi, tossicologia, farmacologia e tollerabilità cutanea per arrivare a una completa identificazione e codifica delle materie prime per la produzione dei cosmetici; c) individuazione di nuove materie prime, con spiccata preferenza verso le sostanze di origine vegetale; d) messa a punto di processi produttivi alternativi, quali le biotecnologie, a minor impatto ambientale ed economicamente competitivi; in questo contesto particolare attenzione è data ai metodi di estrazione dei principi attivi con anidride carbonica in condizioni supercritiche. Durante la preparazione di un c., agli ingredienti attivi, cioè tali da indurre effetti funzionali sulla cute, vengono associate molte altre sostanze (emulsionanti, ispessenti, additivi reologici, stabilizzanti ecc.) capaci di interagire in modo sinergico con i componenti funzionali; per es., grande importanza ha assunto l’uso di sistemi veicolanti atti a favorire e a regolare l’assorbimento cutaneo delle sostanze attive, diminuendone il dosaggio e aumentandone la stabilità.