Componimento letterario destinato alla rappresentazione sulla scena; comprende quindi, oltre al d. propriamente detto, la tragedia, la commedia, la farsa ecc.
Antica forma di rappresentazione drammatica greca (σατυρικὸν δρᾶμα o Σάτυροι), in cui il coro era composto stabilmente di ‘satiri’ e che i tragici, da Eschilo in poi, presentavano ai concorsi drammatici dopo la trilogia tragica. Sono rimasti un d. satiresco di Euripide, intero, il Ciclope, uno mutilo di Sofocle, ᾿Ιχνευταί («I cercatori di tracce») e molti frammenti e titoli. La struttura è la stessa della tragedia, l’argomento e i personaggi sono della mitologia popolare, la conclusione è lieta. La danza caratteristica del coro era detta sicinni (σίκιννις).
Le origini del d. satiresco sono incerte; secondo Aristotele, nella Poetica, la tragedia si sviluppò, presso i Dori di Sicione nel Peloponneso, da una forma satiresca, disciplinata da Arione di Metimna. Ma ‘l’inventore’ del d. satiresco fu considerato Pratina di Fliunte, verso il 500 a.C.; tutti i tragici scrissero poi d. satireschi (tra i minori, ebbe fama Acheo). Nel 4° sec. a.C. un solo d. satiresco apriva la serie delle rappresentazioni, poi il genere cominciò a perdere d’importanza; in Roma fu accetto alla società romana dell’età augustea, come si desume dall’Arte poetica di Orazio. Il d. satiresco fu ripreso nel 16° sec. da G.B. Giraldi con la sua Egle.
Il d. s’inserisce nel 18° sec. fra la tragedia e la commedia classiche, rielaborate dal classicismo dei secoli 16°-17°. Esso si fa nascere propriamente in età illuministica (Miss Sarah Sampson di G.E. Lessing, 1755; Le fils naturel di D. Diderot, 1757, primo teorizzatore della nuova forma teatrale) e nacque, in sostanza, come una commedia seria o, secondo alcuni, come tragedia borghese, configurandosi propriamente come rappresentazione d’una vicenda umana non straordinaria, come considerazione dei problemi dell’uomo vivente concretamente nel seno della società moderna. Ne consegue un’assai minore tensione linguistica e stilistica: il verso tragico è abbandonato per la prosa; sono aboliti i toni aulici ed eroici, le magnificenze retoriche; si ammette la mescolanza di serio e comico; si desidera la massima possibile schiettezza e semplicità sia nei testi sia nella recitazione; il che da lontano apre la via al realismo romantico.
Il primo Romanticismo, con la sua predilezione per la storia, sembra paradossalmente arrestare per un momento l’evoluzione del d. nel senso accennato, ma presto le correnti realistiche, già interne al Romanticismo e che sviluppano l’eredità dell’Illuminismo, la riprendono, come mostrano i temi dei d. di A. Dumas figlio o di P. Ferrari e dei loro coetanei e successori: le unioni illegittime, la prostituzione, il duello, il divorzio ecc. ( d. borghese per antonomasia); finché i d. di H. Ibsen vengono a costituire veramente il corrispettivo moderno dell’antica tragedia, tanto talvolta i problemi concreti della vita quotidiana s’innalzano per forza di poesia a problemi universali ed eterni. Nel d. moderno la parola ha perduto quasi un suo specifico significato, se così sono comunemente e giustamente chiamate le opere teatrali di L. Pirandello.
La funzione religiosa ha, anche in sé e per sé, del drammatico; comunque, la liturgia romana (imposta da Carlo Magno) contiene già piccole scene tra coro e chierico isolato o di parti del coro tra loro. Da qui trae probabilmente la sua prima origine il d. liturgico, che preesiste dunque all’invenzione del tropo (parole nuove, con relativa nuova musica, aggiunte al testo canonico), avvenuta nel 9° sec. nell’abbazia svizzera di San Gallo: ciò non toglie che il tropo ne costituisca il nucleo genetico prossimo e storicamente sicuro. I tropi vennero sempre più diffondendosi e staccandosi dal vero e proprio culto. Da testi latini (o greci, nel mondo bizantino) si passa a testi sempre più misti di volgare e quindi a testi volgari; dalla prosa si passa ai versi (per lo più trocaici); dalla chiesa, anzi, dall’altare il d. liturgico esce sul sagrato, quindi sulla piazza; da semplice frase, il tropo si evolve verso il dialogo, la scena, l’episodio e si articola in successione di scene; oltre la Natività e la Resurrezione, che furono i primi soggetti, l’attenzione si volge ad avvenimenti evangelici, a episodi dell’Antico Testamento e infine delle vite dei santi. A questo punto il d. cessa di essere strettamente liturgico, ammette in sé anche il comico, confluendo nella sacra rappresentazione.
Il d. liturgico ebbe anche in Italia cospicua fioritura, sino al pieno Trecento, ma raggiunse le sue forme più complesse fuori d’Italia, specie in Francia, nel 12°-14° secolo.
Forma musicale religiosa in stile rappresentativo, cantata o declamata su testo latino (talvolta misto al volgare), nata intorno al 10° sec. dalla consuetudine di drammatizzare gli episodi salienti del Vecchio e Nuovo Testamento. Si ritiene che un primo breve ed embrionale esempio di d. sacro possa essere stato il dialogo, interpolato nella messa di Pasqua, tra l’angelo e le pie donne che trovano vuoto il sepolcro di Cristo.
Per il d. musicale (o in musica) ➔ opera.
Istituto nazionale del d. antico Ha il fine di rievocare nel teatro greco di Siracusa, o in altri luoghi di particolare interesse classico, le opere teatrali della classicità greca e latina. Creato nel 1924, ebbe nuovo ordinamento con statuto del 1929, modificato nel 1939; dopo l’interruzione dovuta alla guerra riprese nel 1946 la sua attività. Ha sede a Roma e a Siracusa, possiede una biblioteca specializzata e pubblica dal 1929 la rivista Dioniso.