Drammaturgo norvegese (Skien 1828 - Cristiania 1906). Tra i maggiori autori teatrali, ha elaborato nei suoi poderosi drammi l'idea dell'impossibilità dell'uomo di realizzare la sua aspirazione al sublime. Ai capolavori giovanili Brand (1866) e Peer Gynt (1867), centrati su tematiche esistenziali, seguirono le acute e disincantate analisi della realtà borghese di Samfundets støtter ("Le colonne della società", 1877) e Et dukkehjem ("Casa di bambola", 1879), mentre l'ultima fase della sua produzione è percorsa da una vena intimista e si colora di simbolismi e toni elegiaci: Vildanden ("L'anitra selvatica", 1884), Rosmersholm (1886) e Hedda Gabler (1890).
Figlio di un commerciante, dopo il fallimento del padre nel 1836, dovette rinunciare al sogno di fare il pittore per adattarsi, appena quindicenne, a un lavoro di apprendista nella farmacia di Grimstad. E qui, mentre si preparava, studiando di notte, all'esame di maturità, scrisse, mosso dalla lettura di Sallustio e dagli entusiasmi quarantotteschi, il dramma Catilina, nel quale è già prefigurato il suo tema fondamentale del contrasto fra l'aspirazione al sublime e l'incapacità dell'uomo a conseguirlo. Lasciati gli studî per dedicarsi alla letteratura e al teatro, fu direttore artistico del Nationaltheater a Bergen (1851-57); si trasferì poi a Cristiania (1857-64), dove diresse fino al 1862 il Norske Theater. Già nei primi testi (Fru Inger til Østraat "La signora Inger di Østraat", 1854; Hærmændene paa Helgeland "I guerrieri ad Helgeland", 1857; Kjærlighedens komedie "La commedia dell'amore", 1862; Kongsemnerne "I pretendenti alla corona", 1863) si possono cogliere il carattere e i temi della sua più tarda drammaturgia. Fallito il teatro, lasciò la Norvegia, e dopo il matrimonio con Susannah Thoresen, con una borsa di studio, andò in Italia, dove scrisse i già citati Brand, dramma dell'assoluta coerenza ideale, e Peer Gynt, dramma dell'assoluta assenza di ideali, e insieme la più alta espressione della gioia del sognare e del vivere. Da Dresda e poi da Monaco e - alternativamente - da Roma (1875-91), ogni nuovo dramma di I. (Kejser og Galilær "Cesare e Galileo", compiuto nel 1873, è ancora un'ultima eco del primo soggiorno romano e dei connessi problemi ideali) fu una battaglia. Riunite in un volume le sue liriche (Digte "Poesie", 1871), a cui nel corso degli anni non molte altre si aggiunsero, abbandonò per sempre nel suo teatro le forme metriche, e per combattere nella realtà si servì della lingua parlata, quotidiana. Il primo dramma che riflette questo mutato atteggiamento spirituale è De unges forbund ("La lega dei giovani", 1869), rappresentazione caricaturale della nuova generazione radicale e progressista. Seguirono i già citati Samfundets støtter, spietata denuncia delle menzogne sociali e morali che si nascondevano dietro le "magnifiche sorti" del secolo progressista, e Et dukkehjem, in cui affrontò il delicato problema dell'emancipazione della donna, con spirito di anarchica intransigenza; in Gengangere ("I morti che tornano", 1881, conosciuto in Italia col titolo Spettri) non solo trasportò nel campo morale e sociale il problema dell'ereditarietà, ma creò il primo suo dramma "fatalistico" che sembra ispirato alla concezione religiosa del teatro eschileo, soprattutto all'Orestea. In En folkefiende ("Un nemico del popolo", 1882) il protagonista nel suo estremo e astratto idealismo resta a mezza strada fra l'eroico e il fanatico. Indubbiamente la polemica vizia ancora questi drammi; ma, quando l'indignazione contro il male del mondo cede alla pietà per l'umana sofferenza, nascono i già citati capolavori: Vildanden, Rosmersholm e Hedda Gabler. Ormai per I. il dramma - tutto interiorizzato nell'uomo vanamente ansioso di realizzare i suoi sublimi ideali e perciò sempre deluso e frustrato - si risolve in una graduale svestizione dell'individuo mediante la classica retrospettiva del "discoprimento" e il sapiente impiego d'una raffinata simbologia (il sole negli Spettri, l'anitra selvatica nel dramma omonimo, i cavalli bianchi in Rosmersholm, ecc.). Le opere che seguirono al suo ritorno in patria, nel 1891, hanno qual più qual meno un'ispirazione elegiaca: Bygmester Solness ("Il costruttore Solness", 1892); Lille Eyolf ("Il piccolo Eyolf", 1894); John Gabriel Borkman (1896); Naar vi døde vaagner ("Quando noi morti ci destiamo", 1899) e s'intendono tutte o sul piano del puro simbolo o alla luce di vicende biografiche. Esse, anche nelle parti in cui non sono grandi per forza d'arte, restano alti documenti di umanità.