Stato dell’Europa nord-occidentale, affacciato per i 3400 km del suo perimetro costiero sull’Oceano Atlantico e sui mari dipendenti (di Barents, di N., del Nord), mentre per via di terra confina a NE con la Russia (per 120 km) e la Finlandia (per 800 km), a E con la Svezia (per 1650 km).
Il territorio presenta particolarità spiccate e nel complesso unitarie, nonostante la sua notevole estensione nel senso della latitudine: si compenetrano vicendevolmente i due elementi morfologici fondamentali, i fiordi da una parte e le Alpi Scandinave dall’altra. Geologicamente il nucleo di base della N. è costituito da terreni precambriani (graniti e gneiss), che affiorano soprattutto nel settore meridionale e settentrionale. I rilievi caledoniani, logorati e spianati dagli agenti esogeni, costituiscono le Alpi Scandinave. Queste hanno subito un’intensa fase di sollevamento verso la fine del Terziario, che si è manifestata con maggiore intensità nella sezione sud-occidentale. La soglia di Trondheim, una depressione che dal fiordo omonimo si prolunga in terraferma, divide la montagna in due sezioni. Quella meridionale è la zona dei fiellen, come i Norvegesi chiamano i monotoni e nudi pianori cosparsi di laghi e di torbiere; alcuni di essi sorgono in corrispondenza dei principali fiordi e s’innalzano fino a superare i 2000 m s.l.m.
La zona settentrionale presenta un rilievo più complesso e in generale meno elevato, con qualche sommità occupata da ghiacciai (lo Svartisen, 1594 m, scende fino in prossimità della costa). All’estremità nord la montagna è invece più uniforme, digradando verso i freddi e aridi ripiani del Finmark.
La costa atlantica si sfrangia nei fiordi, antiche valli di escavazione glaciale successivamente sommerse: i maggiori (Sognefjord, Hardangerfjord, Nordfjord) si incontrano nel tratto costiero di Sud-Ovest e appaiono orientati perpendicolarmente a esso; più a N si fanno, al contrario, paralleli alla costa (come il Trondheimsfjord); analogamente il Vestfjord con l’Ofotfjord, e l’Andsfjord, tra le isole Lofoten e le Vesterålen da un lato e la terraferma dall’altro. Notevoli fiordi si aprono ancora lungo il litorale oltre Capo Nord (Porsangen, Laksefiord, Varangerfiord), più aperti rispetto a quelli precedenti. Orla il contorno costiero una miriade di scogli, isolette, isole. La N. di Sud-Est comprende una serie di ripiani, incisi da ampie e lunghe vallate di erosione in cui scorrono, all’incirca paralleli, cospicui corsi d’acqua dal profilo estremamente irregolare.
L’andamento e la lunghezza dei fiumi sono connessi alla presenza e alla posizione dei rilievi. Si spiegano così la brevità e il profilo precipite di quelli tributari del Mar di N.; la discreta lunghezza e la pendenza più dolce del Tana e dell’Alta, che sfociano nel Mar Glaciale Artico; il tratto ancora più lungo di quelli che drenano il versante orientale della montagna e di quelli che, a SE, sfociano nello Skagerrak, tra cui il Glomma (610 km ca.), il maggiore del paese, tuttavia interrotto, come molti altri, da rapide e cascate che lo rendono per lo più inutilizzabile per la navigazione. I corsi d’acqua hanno grande importanza per la fluitazione del legname e soprattutto per la produzione di energia idroelettrica. Numerosi i laghi dalla forma allungata e talvolta molto profondi, per lo più di escavazione fluvio-glaciale, che fungono da regolatori del deflusso idrografico: tra essi il Mjøsa, il maggiore, e il Hornindalsvatn, il più profondo.
Beneficata dalle tiepide acque della Corrente del Golfo e soggetta agli influssi dei venti di S-SO, la facciata atlantica della N. gode di un clima oceanico, più mite e umido che non quello della N. meridionale e orientale. Le temperature invernali sono, sulla costa atlantica, più elevate di quanto non consentirebbe la latitudine, benché in diminuzione procedendo verso N. Quanto alle precipitazioni (sia piovose sia nevose), sono più abbondanti sul versante atlantico, dove, nel tratto costiero fra Stavanger e il Nordfjord, superano i 2000 mm (Bergen, 2300 mm), mentre sul versante orientale e meridionale scendono a valori molto più bassi, inferiori talvolta ai 300 mm.
La flora è data da vari elementi: subartico (occupa le vallate e gli altipiani umidi), atlantico (nei dintorni di Bergen ed è caratterizzato da agrifoglio, digitale), subatlantico (si trova nei territori bassi della prov. di Oslo, con Gentiana pneumonanthe, Sanguisorba officinalis, Petasites albus) e artico (nelle alte montagne rappresentato da Dryas, Salix reticulata e da altre specie). I boschi sono dati da pino silvestre e abete rosso; frequenti la betulla e l’ontano; il faggio non sorpassa i 61° lat. N.
La fauna include elementi caratteristici di quella dell’Europa settentrionale. Fra i Carnivori, la lince, la volpe, il lupo, la martora, l’ermellino, la lontra comune; tra gli Ungulati, il cervo, il daino, l’alce; tra i Roditori, la lepre di N., vari topi. Tra gli Uccelli, la gru, il francolino, il fagiano di monte, l’aquila di mare e altri rapaci, il colombaccio, il cuculo, l’upupa ecc. Scarsi i Rettili, tra gli Anfibi sono presenti la rana temporaria e qualche specie di rospo. Numerosi gli Insetti, specialmente i Coleotteri Carabidi. Discretamente rappresentati i Molluschi terrestri.
Al principio del 18° sec. la N. contava 700.000 abitanti. Questi aumentarono sensibilmente nel secolo successivo, salendo a oltre 2 milioni nel 1900 e raddoppiando poi nell’arco di tempo che porta alla fine del 20° secolo. L’eccessivo incremento rispetto alle risorse locali, unitamente alle gravi crisi agricole che dal 1865 al 1905 colpirono il paese, spinse parecchi Norvegesi a emigrare oltre oceano, soprattutto nell’America Settentrionale: in 50 anni (1870-1920) più di 625.000 persone lasciarono il paese. Questo flusso proseguì poi attenuato durante la crisi economica degli anni 1930. Dagli anni 1970 si sviluppò il fenomeno immigratorio, con flussi crescenti provenienti soprattutto da Asia, Africa e America Meridionale.
Le dinamiche demografiche del paese sono sostanzialmente allineate con le medie europee, pur mantenendo una certa vitalità: il tasso di natalità si valuta al 10,9‰ (2009), la mortalità è dell’9,2‰, per effetto dell’invecchiamento della popolazione, e l’incremento naturale annuo è pari al 0,3‰.
La N. costituisce una delle realtà più progredite del mondo ma presenta, come gli altri paesi nordici, un divario tra regioni settentrionali e meridionali che privilegia decisamente queste ultime: il Sud, grazie al clima migliore e alla vicinanza dell’Europa centro-occidentale, è la regione con maggiore densità demografica e concentrazione delle attività produttive, cui fa da contrappunto un Nord debolmente popolato, meno dinamico e con rilevanti condizionamenti ambientali. Questi contrasti si riflettono sulla distribuzione della popolazione, concentrata nella fascia litoranea delle regioni meridionali.
Tra le città spicca, per peso demografico oltre che per importanza economica e funzionale, la capitale Oslo. Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Mare del Nord ha dato nuova linfa vitale ai già importanti centri urbani costieri di Stavanger e Bergen (la seconda città norvegese), che, insieme a Trondheim, costituiscono gli altri nodi forti dell’armatura urbana ed economica della N.; Trondheim riveste poi la funzione di cerniera fra il Sud e il Nord del paese. Nella sezione settentrionale la popolazione si concentra in poche località portuali di modeste dimensioni, fra cui spiccano Bodø, Narvik e Tromsø.
La popolazione è composta quasi esclusivamente da Norvegesi, con piccole minoranze di Lapponi e Finni. Religione dominante è la protestante (88,4%).
La chiave di lettura dell’organizzazione territoriale norvegese è la marittimità. Se nel passato il mare è stato la principale fonte di risorse alimentari, il vettore di esplorazioni e di attività mercantili, nonché la principale via per le comunicazioni interne, oggi esso rappresenta una sorta di estensione fisica del territorio nazionale. Dal mare proviene, infatti, anche la principale e più recente risorsa della N., i ricchi giacimenti di idrocarburi off-shore, che costituiscono la prima voce delle esportazioni (2565 milioni di barili al giorno di petrolio estratti nel 2007 e 99.300 milioni di m3 di gas naturale stimati nel 2008). Nei cantieri di Stavanger, di Oslo e di altri porti le strutture si sono adattate alla costruzione e alla manutenzione delle piattaforme necessarie per l’estrazione del petrolio in mare. La solida economia norvegese trova i suoi punti di forza tanto nei settori tradizionali quanto in quelli di più recente sviluppo, ma è indubbio che la risorsa degli idrocarburi risulta fondamentale per l’attivo della bilancia commerciale.
Nell’ambito del settore primario, l’agricoltura occupa il peso minore, in particolare il settore agrario, mentre quello zootecnico (bovini e ovini nel Sud, renne e animali da pelliccia nel Nord) riveste un certo rilievo. Ancora più importante, anche se inferiore a quelli svedese e finlandese, è il patrimonio forestale (21,7% del territorio) che alimenta i comparti industriali del legno e della carta. La N. eccelle nella pesca grazie a una flotta tecnicamente evoluta, che le permette di occupare il decimo posto nel mondo per entità di pescato (soprattutto merluzzo e aringhe). Nonostante il divieto imposto dall’IWC (International Whaling Commission) e la forte opposizione dell’opinione pubblica internazionale, la N. pratica ancora la caccia alle balene.
La ricchezza energetica è stata all’origine dell’industrializzazione del paese, in cui spiccano la lavorazione dell’alluminio, la cantieristica, le industrie petrolchimiche e alimentari e alcuni settori ad alta tecnologia di recente affermazione.
Una voce forte dell’economia nazionale è rappresentata dal turismo, che ha conosciuto una notevole espansione, grazie a una politica di valorizzazione efficiente anche dal punto di vista ambientale: 3.859.000 ingressi nel 2005. Nel complesso, la situazione economica norvegese appare solida, anche se occorre affrontare alcuni problemi come quelli dell’eccessiva dipendenza dal petrolio del Mare del Nord, del gigantismo dell’assistenza statale e dello squilibrio regionale tra Nord e Sud.
Al tempo delle grandi migrazioni, tribù germaniche entrarono in N. formando numerosi raggruppamenti politici, in cui furono incorporati gli aborigeni di razza forse finnica. Dall’8° sec. cominciò, con le spedizioni vichinghe, la grande espansione dei Norvegesi all’esterno (Scozia, Inghilterra, Irlanda, Islanda ecc.; ➔ Normanni); i vari gruppi politico-sociali norvegesi si unirono sotto la sovranità degli Ynglinger, la cui prima figura storica è nel 9° sec. Halvdan Svarte (il Nero). Olaf II detto il Santo, divenuto re nel 1016, conquistò tutta la N. e completò la cristianizzazione iniziata da Olaf I. Dopo un periodo di assestamento, alla morte di Sigurd Jorsalfar (1130) ripresero le lotte per il trono, non essendovi precise norme di successione. Si acquietarono verso il 1240, con il rafforzamento del potere sovrano sotto il regno di Haakon IV (m. 1263) e con la riorganizzazione amministrativa e giudiziaria di Magnus VI il Legislatore (1274).
A un lungo periodo (11°-13° sec.) di sviluppo economico e culturale fece seguito la dissoluzione (14°-15° sec.) dell’unità nazionale: per i rapporti intercorrenti tra le corone di N., Svezia e Danimarca (Magnus, nipote di Haakon V, fu dal 1319 re di Svezia e di N., Olaf dal 1380 re di Danimarca e di N., Erik di Pomerania dal 1389 re di Svezia, di Danimarca e di N.) fu facile ai signorotti svedesi e danesi impadronirsi dei beni e del potere in Norvegia. Nel 1397 si costituì fra Svezia, Danimarca e N. l’Unione di Kalmar, da cui la Svezia si staccò nel 1448. La N. e la Danimarca rimasero unite sotto Cristiano I di Oldemburgo (1450-81), dalla cui morte datano i primi tentativi indipendentistici norvegesi. La guerra contro la Hansa (1500-1520) e quelle contro la Svezia (1563-70; 1611-13; 1641-43; 1657-60) non diminuirono la prosperità del paese.
Nel 18° sec. la politica estera danese-norvegese fu orientata verso la Russia contro la Svezia. Ma anche tra N. e Danimarca comparvero contrasti – di tipo economico, dettato soprattutto da opposte scelte sui partner commerciali (Inghilterra per la N., Francia, America Settentrionale, Germania per la Danimarca) – che si fecero più acuti durante le guerre napoleoniche quando, dopo il bombardamento inglese di Copenaghen (1807), fu stretta l’alleanza con la Francia. J. Bernadotte, designato a succedere al trono svedese con il nome di Carlo Giovanni, ottenne con la pace di Kiel (1814) la cessione della N., riconoscendo da parte sua lo statuto che la N. si era data a Eidsvold nello stesso anno. Dal 1830 il paese conobbe una rapida espansione economica, che però approfondì i contrasti sociali.
L’unione tra Svezia e N. provocò continui contrasti, sia per la posizione preminente della Svezia sia per i successi in N. di un forte partito di sinistra, al potere dal 1884. Nel 1905 la N. dichiarò sciolta l’unione ed elesse a suo re costituzionale il principe Carlo di Danimarca che prese il nome di Haakon VII. Lo sviluppo economico industriale, accompagnato da un moderato riformismo sociale, si accentuò durante la Prima guerra mondiale, favorito dalla neutralità. Nel 1920 fu riconosciuta alla N. la sovranità sulle isole Svalbard; nel 1928 si annetté l’isola Bouvet e l’isola di Pietro I, nell’Antartico; nel 1929 l’isola Jan Mayen, nell’Atlantico. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, la N. fu occupata nel 1940 dalle truppe tedesche e sottoposta a una amministrazione di occupazione, cui fu affiancato nel 1942 il governo collaborazionista di V. Quisling.
Liberata nel 1945, nel 1949 la N. aderì al Patto atlantico, pur nella tradizionale politica di solidarietà nordica, confermata nel 1952 dalla creazione di un Consiglio nordico, composto dai rappresentanti di Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda e Finlandia. A due riprese, nel 1972 e nel 1994 un referendum popolare bocciò, invece, la proposta di adesione prima alla Comunità economica europea, poi all’Unione Europea. Sul piano interno il paese ha conosciuto nel dopoguerra una grande stabilità economica e politica garantita dalla ricchezza derivante dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Mare del Nord e dai governi laburisti che l’hanno ininterrottamente guidato fino al 1997, attuando una politica sociale tra le più avanzate d’Europa. Proprio la necessità di rivedere le politiche del welfare, per fronteggiare le difficoltà economiche attraversate dal paese, ha contribuito alla sconfitta dei laburisti e alla vittoria della coalizione di centro-destra. Guidata da K.M. Bondevik, quest’ultima è rimasta al potere (salvo una breve parentesi tra il 2000 e il 2001) fino al 2005, quando le elezioni legislative hanno dato nuovamente la maggioranza ai laburisti. Ne è seguita la formazione di un nuovo governo presieduto da J. Stoltenberg. Nel 2006 il governo ritirò il piccolo contingente che nel 2003 era stato inviato in Iraq con compiti di peace keeping, confermando però l’impegno futuro della N. nelle missioni internazionali di pace. Nel 2009 la coalizione guidata da Stoltenberg ha vinto nuovamente le elezioni, anche se con un ridotto margine di vantaggio, mentre le consultazioni legislative svoltesi nel settembre 2013 hanno riportato il centro-destra al potere dopo otto anni di governo laburista: la coalizione di centrodestra guidata da E. Solberg, ha ottenuto 96 dei 169 seggi del Parlamento contro i 65 del Partito laburista. A capo di un governo di minoranza composto dal suo partito e dal partito del Progresso, la premier Solberg è stata riconfermata nella carica a seguito delle consultazioni svoltesi nel settembre 2017, alle quali il blocco guidato dalla donna politica ha ottenuto 89 su 169 seggi, mentre alla coalizione di centrosinistra sono stati assegnati 80 seggi. A seguito della vittoria elettorale alle politiche del settembre 2021, il leader del Partito laburista J.G. Støre è stato incaricato di formare un nuovo governo di coalizione, subentrando nella carica a Solberg.
La Scandinavia ebbe in antico una lingua scritta comune (il ‘nordico comune’ o ‘runico’). Con l’età vichinga la lingua colta della N. e delle sue colonie si venne distinguendo (come lingua norrena) da quella della Danimarca e della Svezia. Il tardo Medioevo (1350-1525), mentre registrò profondi mutamenti linguistici (dissoluzione del vecchio sistema flessionale e conseguente minore libertà sintattica; prestiti, soprattutto basso-tedeschi), vide la decadenza politica e culturale della N., che perse la propria lingua letteraria, sostituita dal danese diventato, con la Riforma, la lingua della Chiesa e della cultura (anche se pronunciato alla norvegese). Il ritorno al norvegese è avvenuto secondo due direttrici diverse: la prima è rappresentata dalle Fiabe norvegesi di P.C. Asbjørnsen e J. Moe (la cui lingua, fondata sull’uso popolare, fu subito presa a modello), e, soprattutto, da scrittori come H. Ibsen, B. Bjørnson, A.L. Kielland e J. Lie, con i quali il bokmål («lingua libresca») acquisì una sua classicità, ben distinta dalla forma danese; la seconda direttrice, romantica populista, fa capo a I. Aasen, promotore del landsmål («lingua paesana», oggi detta nynorsk «neonorvegese») che intese essere un comune denominatore dei dialetti più ‘puri’ e cioè più arcaici. Questa lingua ‘costruita’, sia pure con materiali autentici, ebbe un immediato successo e nel 1892 fece ingresso ufficiale nella scuola. Entrambe le lingue sono state riformate ripetute volte e la situazione sembra volgere verso un graduale ravvicinamento.
Il norvegese appartiene genealogicamente alla famiglia delle lingue germaniche e perciò ne conserva le innovazioni essenziali (la mutazione consonantica; la fissazione dell’accento sulla prima sillaba; la flessione ‘debole’ dell’aggettivo e del verbo). Come lingua ‘nordica’ riflette poi le innovazioni caratterizzanti di questo gruppo (l’articolo determinativo affisso alla fine del nome; formazione di un passivo in -s, -sk; nuovi pronomi ecc.). Un forte accento musicale (in cui si distinguono, come nello svedese, due specie principali) ha conservato bene il vocalismo. Le occlusive sorde sono ben conservate e, al pari dello svedese, il norvegese possiede consonanti rafforzate. A partire dal 1938 il norvegese è tornato al sistema (arcaico) dei 3 generi grammaticali. La semplificazione della flessione nominale è parecchio progredita: il genitivo è moderatamente usato; il dativo sopravvive solo in formule e modi di dire.
La letteratura che fiorì in N. dall’età vichinga, cioè circa dal 9° al 14° sec., non è separabile da quella delle colonie norvegesi stabilite sulle isole dell’Atlantico settentrionale. Nell’Islanda, anzi, dopo la grande immigrazione dei Norvegesi ribelli all’assolutismo politico di Harald Bellachioma (9°-10° sec.), la cultura sopravanzò presto quella della madrepatria, tanto che molti studiosi hanno a lungo chiamato norvegese antico (o islandese antico) la letteratura e insieme la lingua, da un punto di vista filologico più esattamente chiamata oggi norrena. Tale letteratura, oltre a riflettere cultura, storia e società del mondo nordico attraverso più di 500 anni, costituisce una preziosa fonte d’informazione per la conoscenza, nelle forme più antiche, delle leggende (a cominciare dalle nibelungiche), della mitologia e dei modi di vita dei popoli germanici, prima della conversione al cristianesimo. Essa si espresse attraverso forme peculiari come il carme dell’Edda e il carme scaldico in poesia, e la saga in prosa. Forse alcuni carmi eddici furono composti in N., come norvegesi furono gli scaldi più antichi da Bragi Boddason (9° sec.) a Thorbiœrn Hornklofi, da Thjódholfr da Hvin a Øyvindr Skáldaspillir. Comunque la cultura norrena non sopporta moderne circoscrizioni nazionali, che sarebbero piuttosto deformazioni nazionalistiche. Discorso analogo va fatto per i canti popolari o ballate epico-liriche, che sono la novità epica maggiore del tardo Medioevo, cioè a partire dal 13° sec., e fanno parte della tradizione comune scandinava.
Trascurabile, da un punto di vista artistico, la letteratura religiosa in lingua latina, sia del Medioevo sia della Riforma, anche se materialmente ricca di traduzioni e rifacimenti. Dall’unione del 1397 con la Danimarca fino al 19° sec. la N., anche nella cultura, dipese da Copenaghen. Ci furono certo Norvegesi di talento, come per es. il prete e poeta popolare P. Dass, e soprattutto L. Holberg (17°-18° sec.), nativo di Bergen, ma pur sempre il massimo scrittore e letterato nordico di apertura europea dell’inizio del 18° sec. danese; né J.H. Wessel (18° sec.) può essere astratto da Copenaghen e dalle tradizioni letterarie della Danimarca. Dal 15° al 18° sec. esistono dunque scrittori norvegesi, ma non una letteratura norvegese distinta dalla danese.
Una letteratura norvegese incomincia invece dopo il 1814, cioè a partire dallo scioglimento dell’unione con la Danimarca. I Norvegesi, i cui spiriti nazionali avevano trovato espressione, entro cerchie accademiche, nella Lega norvegese fondata a Copenaghen nel 1772, collaborarono allora alla creazione di una letteratura che riflettesse la loro volontà di indipendenza e si distinguesse il più possibile da quella danese. Se ne distingue infatti per la tematica locale e nazionale storica e descrittiva e soprattutto per l’impegno sociale. Tuttavia, anche lo scrittore più dotato nella prima metà del 19° sec., H.A. Wergeland, mostra nella sua eterogenea opera le difficoltà degli inizi, subito messe in evidenza dal suo antagonista J.S. Welhaven, formatosi alla scuola dei Francesi e di H. Heine, e certamente dotato di maggior senso storico. Wergeland aveva ereditato non poco dal 18° sec. e dal barocco klopstockiano. Il contrasto fra il suo macchinoso poema cosmico Skabelsen, Mennesket og Messias («La creazione, l’uomo e il Messia», 1830) e le fiabe di Asbjørnsen e Moe che, messe insieme sul modello dei Grimm, sono l’opera di maggior rilievo artistico verso la metà del secolo, non potrebbe essere maggiore. Sulla via del recupero del patrimonio nazionale si mise anche un filologo, Aasen, il quale proprio nel 1848 pubblicò la grammatica e poco dopo il vocabolario del neonorvegese (landsmål), da lui ricostruito sulla base dei dialetti più conservativi della costa orientale. In quello stesso anno usciva quel Catilina con cui Ibsen iniziava la serie dei suoi drammi storici che sarà chiusa dai Kongsemnerne («I pretendenti alla corona», 1863). Con essi la N. pagava il suo debito alla moda romantica del dramma storico.
Dei due diversamente grandi che dominarono il secondo 19° sec. norvegese, Ibsen e Bjørnson, quest’ultimo si staccò per primo dai temi storici con il racconto paesano Synnøve Solbakken («La fattoria del sole», 1857). Nel 1866 con il kierkegaardiano Brand e l’antikierkegaardiano Peer Gynt, anche Ibsen volgeva le spalle al dramma storico; e con i Samfundets støtter («Le colonne della società», 1877) inaugurò il suo anticonformismo in chiave naturalistica. Ma a partire da Vildanden («L’anatra selvatica», 1884), al pugnace idealista subentra l’amaro simbolista religioso, dal segno scabro, monumentale, profetico.
L’età del naturalismo, in cui la N. si affermò nella letteratura teatrale europea, vide anche una ricca fioritura di romanzi. Va ricordato anzitutto Amtmandens døttre («Le figlie del prefetto», 1855) di J.C. Collett, che introduce il dibattito sui problemi del femminismo. Ma soltanto dopo il 1870 il romanzo segue con il dramma il generale corso europeo. Un realista di fondo romantico è Lie, mentre per l’età naturalistica vanno ricordati, oltre a Bjørnson e a A.O. Vinje, primo notevole scrittore in landsmål, la scrittrice B.A. Skram, A.L. Kielland, A. Garborg, H.H. Jaeger, scrittori tutti impegnati ideologicamente e socialmente.
Gli anni dopo il 1890 videro anche in N. il tramonto del naturalismo e il fiorire di correnti irrazionalistiche, idealistiche e religiose. Accanto al drammaturgo G. Heiberg, che si muove sulla scia di Ibsen, emergono nella prosa i nomi del neoromantico H.E. Kink e del sottile critico N. Kjaer, ma dominante, fin dal primo romanzo Sult («Fame», 1892) è la personalità romantico-aristocratica di K. Hamsun, autore di fama mondiale destinato all’isolamento per la sua adesione all’ideologia nazista. Sulla scia di Hamsun e di S. Obstfelder, che introduce nella lirica e nella prosa cadenze musicali e simboliche mutuate da R.M. Rilke e da J.P. Jacobsen, nuove generazioni di poeti cercano nella lirica un più stretto contatto con la vita. Accanto a O. Bull , che consegue il risultato più alto, vanno ricordati O. Aukrust, H. Wildenwey, T. Orjasaeter. Parallelamente, fiorisce una letteratura paesana a opera di scrittori come P. Egge, J. Bojer, G. Scott, J. Falkberget, i cui romanzi, a volte vere epopee familiari e locali, conquistano per la prima volta alla letteratura intere regioni del paese. Di maggior respiro e profondità le opere, in neonorvegese, di O. Duun, tra le quali domina la poderosa serie Juvikfolke («Gente di Juvik», 1918-23). La città di provincia, nel Nord della N. contemporanea, è invece il centro tematico delle opere di C. Sandel, segnate peraltro dall’esperienza cosmopolita dell’autrice, mentre la scrittrice cattolica convertita S. Undset rievoca con religiosa epicità il medioevo norvegese nel romanzo Kristin Lavransdatter (1920-22). Non rimangono senza conseguenze, anche nel campo della letteratura, i nuovi fermenti che scuotono la N. socialdemocratica. Scrittori sensibili alla suggestione del movimento comunista internazionale s’impegnano per il rinnovamento della società: S. Hoel, che introduce nei suoi romanzi la psicanalisi e promuove la diffusione della moderna letteratura inglese e americana; H. Krog, che mette provocatoriamente in scena conflitti privati e politici; N. Grieg, protagonista della lotta contro l’occupazione nazista. La voce più alta e meditata della resistenza è quella del poeta A. Øverland, già figura dominante del radicalismo norvegese, la cui fede nell’arte a servizio della vita, in nome di un convinto umanesimo aconfessionale, trova esemplare testimonianza in Vi overlever alt («Sopravviviamo a tutto», 1945).
Nei difficili anni del dopoguerra, segnati dall’incertezza, da forti contrasti politici e sociali e dalla recrudescenza di questioni mai sopite (come quella del bilinguismo), mentre fiorisce una vasta produzione diaristica e memorialistica, spesso di carattere contingente, la narrativa riceve un nuovo impulso da scrittori già noti, come Hoel, che affrontano il tema della responsabilità individuale. Con il romanzo in neonorvegese Huset i mørkret («La casa nel buio», 1945), T. Vesaas offre una potente rievocazione simbolica della cupa atmosfera della N. del dopoguerra; A. Sandemose mette in luce le forze irrazionali che scuotono gli uomini, valendosi di spregiudicati montaggi narrativi; J. Borgen analizza l’individuo sullo sfondo della più generale crisi della società borghese in romanzi abilmente intessuti di realtà e di simbolismo.
Nella lirica, dove la corrente modernista si annuncia in ritardo e in forme meno estreme rispetto alla Danimarca e soprattutto alla Svezia, si affermano negli anni 1950 gli esperimenti formali di R. Jacobsen e di C. Gill, la cui eredità viene raccolta da P. Brekke, traduttore di T. S. Eliot.
Dalla fine del 20° agli inizi del 21° secolo. - L’impossibilità di un semplice ritorno alla tradizione nella poesia è indicata con evidenza, all’inizio degli anni 1960, dal debutto di G. Johannesen e ancor più di S. Mehren, la cui rigorosa ricerca di essenzialità, tuttavia fondata su simboli e metafore, consegue i risultati più alti in Corona. Formokelsen og dens lys («Corona. L’eclissi e la sua luce», 1986) e in Fortpart i verden. Syngende dikt («Perso nel mondo. Canto poetico», 1988). Sensibile al rinnovamento in senso modernistico è anche, nell’ambito della narrativa degli anni 1950, la prosa di F. Carling, fortemente permeata di simbolismi, mentre più legato all’ambiente tradizionale e un po’ angusto del Nord del paese rimane T. Stigen. Una decisa frattura avviene comunque con l’irruzione nella letteratura di fermenti sociali e di contenuti politici che oltrepassano i confini nazionali. Mentre il periodico Vinduet, fondato nel 1947, resta fedele all’originaria vocazione di apertura al mondo e di diffusione di stimoli provenienti dall’estero, nel 1966, dalla rivista studentesca Profil, si leva una protesta contro il modernismo come fenomeno borghese, e si annuncia l’impegno a scrivere in uno stile vicino al realismo sociale. Si privilegiano generi letterari come il documento, il rapporto, l’intervista, sentiti come più immediati e adatti ad intervenire criticamente sulla realtà. Nel gruppo di Profil si sono formate personalità come D. Solstad, di cui si ricorda Roman 1987 («Romanzo 1987»), e come E. Haavardsholm, che ha poi dimostrato maggiore attenzione ai valori formali nel metaromanzo Roger, gult («Roger, giallo», 1986). Dal gruppo di origine si è invece distaccato E. Økland, per dirigere insieme a K. Fløgstad il periodico Bazar, dove si contrappone al realismo socialista un ‘modernismo sociale’ altrettanto critico verso la società ma più aperto alla sperimentazione e sorretto da una moderna consapevolezza linguistica. Ancora diversa la via seguita da J.E. Vold, autore di un’aspra requisitoria contro la ‘sindrome’ poetica della nazione (Det Norske syndromet «La sindrome norvegese», 1980), che dal concretismo alle sperimentazioni con l’uso del computer è approdato nelle sue opere a una semplicità un po’ ironica e nostalgica. Tra gli scrittori in neonorvegese si segnala E. Hoem, impegnato senza forzature ideologiche e con umorismo discreto nella difesa dei valori tradizionali in romanzi come Anna Lena (1971), o nel più complesso e drammatico Ave Eva (1987).
Il ripensamento critico dei valori sociali negli anni 1960 non aveva certo tralasciato il ruolo della donna, ma in N. dove è presente una lunga tradizione di scrittrici interessate alla posizione della donna nella società (si pensi a T. Nedreaas), tali riflessioni danno l’impulso a una diversa consapevolezza dei valori da contrapporre a quelli maschili. In questa linea si inserisce B. Vik, benché il suo malinconico realismo la allontani da quello crudo e intensamente evocativo di H. Wassmo, e dai toni aggressivi e provocatori di L. Køltzow e T. Nielsen. Unica a non seguire la via del realismo psicologico è C. Løveid, radicale in politica e modernista nella scrittura, impegnata in una personale ricerca espressiva in testi narrativi (Sug «Affanno», 1979) e drammaturgici (Vintaren revner «L’inverno frantuma», 1981). Tutti i temi cari alla letteratura femminile sono presenti, ma in chiave maschile e ironica, nel discusso romanzo Bryllupsreise («Viaggio di nozze», 1982) di K. Faldbakken, autore attento ai mutamenti d’interesse del pubblico, primo ad affrontare temi ecologici in Uår («Anni grami», 1974-76).
Una loro riconoscibilità offrono ancora le operazioni narrative di T.A. Bringsvaerd, che dopo libri di fantascienza e per ragazzi tenta la strada del grande romanzo storico d’avventura, e di J. Kjaerstad, autore di labirintici metaromanzi, ma la sovrabbondanza della produzione e la pluralità delle tematiche e delle soluzioni formali adottate rendono difficile individuare singoli percorsi nell’ambito della più recente narrativa, in parte effimera e d’intrattenimento seppure ricca di fermenti vitali: basti citare il caso di J. Gaarder, autore di successo a livello internazionale con opere come Sofies verden (1991; trad. it. Il mondo di Sofia, 1994) o Appelsinpiken (2003; trad. it. La ragazza delle arance, 2004).
Nel territorio della Norvegia si ritrovano grandi figurazioni rupestri dell’arte paleolitica e numerose testimonianze per il periodo dell’età del Bronzo e del Ferro. Una fioritura dell’arte e dell’artigianato artistico risale al tempo delle grandi migrazioni (400-800 ca.) e a quello seguente dei Vichinghi (800-1050 ca.), con una produzione basata soprattutto sul motivo di animali fantastici intrecciati: esempio rilevante è la nave di Oseberg con il suo ricco corredo, conservata insieme alle navi di Gokstad e Tune nel Museo delle Navi vichinghe di Oslo.
L’alto livello nell’arte della carpenteria e il medesimo gusto decorativo si ritrovano anche nei primi edifici di culto cristiano, le stavkyrkor (chiese a pali portanti), diffusissime dall’11° sec. (ne rimangono ca. 25; notevoli quelle di Urnes e Borgund). Alla seconda metà dell’11° sec. risalgono i primi edifici romanici in pietra e dalla prima metà del 12° sec. iniziò la costruzione della maggior parte delle cattedrali norvegesi, terminate o ricostruite nel periodo gotico, che risentono dell’architettura dei paesi dell’Europa occidentale: S. Maria (12° sec., con coro gotico) a Bergen; S. Magno a Kirkwall nelle Orcadi; le cattedrali di Hamar (12-14° sec.; in rovina), di Stavanger (coro gotico, ricostruito dopo il 1272), di Trondheim (ingrandita dopo il 1248). Nell’ambito dell’architettura civile, i più antichi esempi in pietra sono costituiti a Bergen dalla residenza (1247-61) di Haakon Haakonsson e dalla torre Rosenkrantz (1300 ca.), ristrutturata nel 16° sec., come la fortezza di Akershus a Oslo.
La scultura in pietra o quella lignea furono prevalentemente connesse con l’architettura (statua di re Olaf, 12° sec., Bergen, Museo). Importante reliquia dell’arte medievale è l’arazzo di Baldishol (fine 12° sec., Oslo, Kunstindustrimuseet).
Dal 13° sec. fiorì anche la pittura, con dossali (Museo di Bergen) e soffitti dipinti (chiesa di Torpo). Dalla metà del 14° sec., l’influsso tedesco crebbe col crescere della dipendenza dai paesi anseatici. L’arte popolare mantenne nel tempo le caratteristiche dell’età romanica, dando un carattere di continuità all’arte norvegese. I centri abitati si organizzarono secondo una struttura modellata sulle fattorie ‘aperte’ del Telemark, di Nurnedal ecc., vale a dire in un tessuto di unità liberamente organizzate intorno al cortile con un lato aperto.
Tra gli artisti del 17° sec. emergono lo scultore A. Smith e il ritrattista E. Fiigenschoug. Con il 18° sec. sopraggiunse un periodo di prosperità economica che si rispecchiò nella produzione architettonica (chiesa di Kongsberg, 1740-61, di J.A. Stuckenbrok), che propose forme rococò anche in importanti costruzioni in legno (Stiftgarden a Trondheim; Damsgaard a Bergen). Nelle tradizionali case di legno si tende a nascondere l’intelaiatura con pannelli, che offrono nuove possibilità decorative (notevoli esempi a Bergen, Stavanger, Trondheim). Nel campo della pittura si distinsero M. Blumenthal, H.C.F. Hosenfeller, P. Aadnäas.
Nella prima metà del 19° sec. dominò lo stile neoclassico: gli esponenti più notevoli furono gli architetti H.D.F. Linstow (Palazzo reale a Oslo) e C.H. Grosch (università di Oslo). Fu lo stesso Grosch a iniziare nell’ultima fase della sua attività il movimento romantico che ebbe i massimi rappresentanti nei tedeschi H.E. Schirmer e A. de Châteauneuf (S. Trinità a Oslo). Tra gli altri artisti norvegesi del 19° sec.: lo scultore B. Bergslien (statua equestre di Carlo XIV); i pittori ritrattisti J. Munch e M. Stoltenberg; e soprattutto il paesista J.C. Dahl. Allievi di Dahl furono T. Fearnley e H. Gude, il quale introdusse in N. i principi artistici della scuola di Düsseldorf, seguiti anche da altri paesisti quali H.A. Cappelen, F. Eckersberg, L. Munthe e L. Hertervig, di un temperamento assai personale. Un’impronta più naturalistica diedero ai loro quadri F. Collet, il primo pittore norvegese che operò en plein-air, e C.A. Nielsen. Ritrassero invece soggetti desunti dalla vita del popolo A. Tidemand e i suoi seguaci C. Sundt-Hansen e O. Isachsen.
Dal 1875-80 la pittura all’aria aperta e l’impressionismo divennero la caratteristica dell’arte in N.: esemplari, tra gli altri, H. Heyerdahl, E.T. Werenskiold, C. Krohg, F. Thaulow, H. Backer. Nel campo dell’illustrazione, preminente è l’opera di T. Kittelsen e di O. Gulbranson, assiduo collaboratore del giornale umoristico-satirico Simplicissimus; molti, al volgere del secolo, ricercarono effetti decorativi e ritmici riallacciandosi alla tradizione, come G. Munthe, mentre cominciavano a prevalere anche tendenze simboliste. Primeggia la figura di E. Munch ma altri artisti significativi sono M. Egedius, il paesista T. Erichsen, A.C. Svartstad. Oltre a L. Karsten, che risentì molto di Munch, si ricordano gli allievi a Parigi (1908-10) di H. Matisse, N. Sørensen, A. Revold, L.P. Krohg, che con A. Rolfsen si dedicarono, intorno al 1920, prevalentemente alla decorazione ad affresco. Rifugiatosi in N. dal 1933, R. Nesch ebbe notevole influenza con il suo sperimentalismo materico. Esponenti notevoli nel campo della scultura furono S. Sinding, influenzato dal naturalismo francese, G. Vigeland, potente personalità tendente verso l’espressionismo; tra quelli delle successive generazioni, G.T. Janson, S. Fredriksen, O. Bast, A. Gunnerud e A. Haukland, esponente della corrente non figurativa. Il modernismo nelle forme dell’espressionismo astratto e del costruttivismo ha rappresentanti significativi nei pittori J. Weidemann, G.S. Gundersen, G. Groth che dalla fine degli anni 1980 si è espresso anche con opere scultoree. Il surrealismo, mai troppo presente in N., si è imposto attraverso l’opera di K. Rose negli anni 1970 e, in quegli stessi anni, forti connotazioni politiche hanno informato la ricerca P. Kleiva.
Pur rimanendo fedele al costante rapporto con la natura e con la tradizione, la N. è andata sempre più uscendo dal suo isolamento, inserendosi nelle ricerche più avanzate in campo internazionale (installazioni di P.I. Biørlo; S. Tolaas; con i video di M. Heske). Tra i principali rappresentanti della pittura figurativa norvegese: K. Rose; O. Nerdrum, vicino alla grande tradizione europea; B. Carlsen; O.C. Jenssen, con opere apparentemente astratte animate da strutture molecolari e biomorfiche. Così come nella pittura, il riferimento alla natura è presente nella scultura, insieme all’attenzione per le qualità dei materiali: B. Breivik, P.I. Bjørlo, P. Barclay; nelle fotografie di P. Maning; nei ricami di H.H. Rasmussen; nel campo dell’installazione, della grafica, della fotografia, del video: B. Bjarre; B. Melgaard; M. Heske; A.K. Dolven; K. Åsdam; A. Tomren; K. Wager; J. Kvie; V. Sjøvoll.
Nell’architettura, che nella seconda metà del 19° sec. aveva seguito soprattutto i modelli tedeschi, all’inizio del 20° sec. si affermò una corrente di carattere prevalentemente nazionale, già iniziata da H. Munthe e proseguita da A. Arneberg e M. Poulsson, J.O. Nordhagen, mirante a riscoprire, sotto lo stimolo delle Arts and Craft, il passato norvegese, mentre si faceva strada una precoce sensibilità per i problemi sociali.
Nel secondo dopoguerra la N. dovette affrontare i problemi della ricostruzione e dell’aumento della popolazione. Una severa limitazione dell’attività speculativa e un serio aiuto all’edilizia popolare hanno contribuito in generale a un buon livello qualitativo, sorretto dall’ideale di sobrietà e da precise istanze sociali radicate nella tradizione nazionale. A. Korsmo e K. Knutsen, attivi anche nel campo del design, sono le personalità più incisive del periodo e hanno contribuito alla formazione della generazione di architetti quali S. Fehn e K. Lund. La produzione degli anni 1990 ha mantenuto vivo il caratteristico dialogo tra localismo e internazionalismo, fra tradizione e modernità: centrale è rimasta la figura di Fehn (Museo Aukrust ad Alvdal, 1996; Museo Ivar Aasen a Ørstad, 1999). Anche per le successive generazioni di architetti, nonostante il rafforzamento degli influssi internazionali, resta in primo piano la tradizione locale, unita allo studio delle potenzialità dei materiali, della topografia, delle condizioni climatiche: tra i vari, A. Henriksen; K. Jarmund; N.M. Askim e L. Lantto; J. O.Jensen e B. Skodvin. In campo internazionale, in particolare, si è distinto lo Studio Snøhetta (Ambasciata norvegese a Berlino, 2000; Nuova Biblioteca di Alessandria d’Egitto, 2001), cui si deve anche la nuova Opera House di Oslo (2008).
La musica popolare norvegese ha origini remote nel Medioevo vichingo; è legata all’uso di strumenti primitivi comuni a molti popoli nordici, ma con caratteri di vigore e di intensità che la distinguono da quella dei popoli vicini, di solito più elegiaca. Gli inizi di una pratica musicale come arte elaborata si riscontrano alla fine del 18° sec. e al principio del 19°, soprattutto per opera della famiglia dei Lindemann, eminenti organisti, tra i quali Louis Mathias (1812-87) che pubblicò una fondamentale raccolta di danze e canti popolari norvegesi, e di Waldemar Thrane (1790-1828), autore di cantate e ouvertures d’intonazione popolare.
Solo nel 19° sec. la N. entra a far parte della civiltà musicale europea, per influsso del romanticismo tedesco, a cui si ispirarono molti musicisti norvegesi. Altri, di contro, si spinsero a un’ulteriore ricerca di motivi nazionali e popolari, nell’intento di sottrarsi così all’influsso straniero. Questo movimento ebbe tra i suoi esponenti Halfdan Kjerulf (1815-1868), il violinista Ole Bull (1810-1880) ed E. Grieg, il più noto di tutti. Tra i suoi eredi, C. Sinding, che portò alle estreme conseguenze il linguaggio romantico. Le tendenze novecentesche (Debussy, atonalismo) hanno trovato seguaci in F. Valen (1887-1952), David Monrad Johansen (1888-1974), A. Kleven (1899-1929), L.I. Jeensen (1894-1969); la musica elettronica ha un suo alfiere in A. Nordheim (n. 1931), mentre alla giovane avanguardia appartengono O.A. Thommessen (n. 1946) e J. Persen (n. 1941).
Mare di N. (o Mar di Groenlandia; norv. Norskehavet). Spazio di mare (ca. 1.550.000 km2) tra la N. a E, l’isola degli Orsi e le Svalbard a NE, le Faerøer e le Shetland a S, l’Irlanda a SO, la Groenlandia a O. Collega la parte settentrionale dell’Oceano Atlantico e il Mar Glaciale Artico. L’acqua calda e salata dell’Atlantico (Corrente del Golfo, a 4-8 °C) penetra tra le Faerøer e le Shetland e lambisce le coste norvegesi in direzione nord. Dal Mar Glaciale Artico una corrente di acqua fredda (normalmente sotto 0 °C) che porta con sé numerosi iceberg segue la costa groenlandese e penetra nell’Oceano Atlantico tra Groenlandia e Islanda (Canale di Danimarca).