Corrente artistica sviluppatasi in Francia nel 19° secolo.
Il nome i. deriva dall’epiteto, inizialmente usato in senso spregiativo contro i pittori del gruppo, tratto dal titolo di un quadro di C. Monet, Impression: soleil levant (1873, Parigi, Musée Marmottan).
Il movimento trova le sue fonti di ispirazione nella pittura romantica (E. Delacroix), nel verismo di G. Courbet, nell’osservazione del vero dei paesisti di Barbizon, nel lirismo pittorico di J.-B.-C. Corot. Si oppone alla pittura accademica ufficiale operando per la costruzione di una diversa e precisa concezione dell’arte. Il riferimento esplicito a teorie scientifiche sulla visione, come le indagini di M.-E. Chevreul sul complementarismo dei colori, o all’arte giapponese (conosciuta attraverso le incisioni di Hokusai e Hiroshige), prova come gli impressionisti ricercassero nuovi e più attuali valori della visione, in un assunto essenzialmente naturalistico e antiaccademico, rifiutando ogni nozione acquisita dell’oggetto per affidarsi all’immediata impressione del vero. Essi tendono a cogliere gli effetti di luce, come l’impressione più immediata della visione; negano l’illuminazione artificiosa dell’atelier, sostenendo la pittura all’aria aperta (en plein-air), rinunciando al chiaroscuro artificiale in favore di ombre colorate, usando una maniera rapida e sciolta. Il risultato è una fusione totale di oggetto e spazio, inteso come fenomeno cromatico e luminoso. Emerge l’interesse per la realtà attuale, la ricerca di una libertà totale, nel soggetto e nell’espressione, nel rifiuto di ogni processo ideologicamente canonico di rappresentazione; donde lo scandalo suscitato da dipinti come Le déjeuner sur l’herbe di E. Manet (1863, Parigi, Musée d’Orsay) o le Impressions di Monet.
Facevano parte del gruppo, oltre a Monet e a Manet, J.-F. Bazille, A. Sisley, C. Pissarro, A. Renoir, P. Cézanne, E. Degas, B. Morisot e altri. L’inizio dell’i. risale almeno al 1862, quando Sisley, Bazille, Monet, Renoir si conobbero legandosi al gruppo di Courbet, E. Boudin e J.B. Jongkind, a sua volta in rapporto con C. Baudelaire. In quell’anno Manet dipinse Musique aux Tuileries (1860, Londra, National Gallery) e conobbe Degas, che iniziava a eseguire i quadri ispirati alla corsa dei cavalli abbandonandovi ogni premessa accademica, e Cézanne giunse a Parigi incontrando Pissarro. A una seconda mostra nel 1876 seguirono, fino al 1886, una serie di manifestazioni periodiche, cui aderirono anche B. Morisot, G. Caillebotte, M. Cassatt.
Benché fin dalle prime opere di Manet, Monet e Renoir la poetica dell’i. potesse dirsi pienamente formulata, il decennio 1870-80 fu quello nel quale l’opera dei vari artisti del gruppo presentò maggiore omogeneità. Ciascuno di essi sviluppò poi con originalità il proprio stile dalle premesse comuni. Monet nelle opere intorno al 1890 giunse a ridurre la rappresentazione a un’abbagliata variazione coloristica su un tema dominante; Renoir ritrovò una pienezza quasi classica di forme nella luminosità intensa dei colori; Degas, che sostenne ma rimase estraneo al movimento, ricercò un’intensità espressiva e un’acuta individuazione psicologica; Cézanne si volse a una totale rappresentazione della forma e dello spazio per mezzo del colore; Pissarro elaborò la tecnica del divisionismo, poi ripresa e sviluppata da Seurat e dal neoimpressionismo (➔).
L’i. ebbe, alla fine del secolo, una grande diffusione in Europa: riflessi dell’i. si ebbero soprattutto in Germania, Belgio, Inghilterra; in Italia, a parte la concreta adesione all’i. di personalità come E. Reycend e F. Zandomeneghi, si accostarono variamente a ideali dell’i. i macchiaioli toscani e, più debolmente, talune correnti della pittura napoletana e lombarda.
L’i. come principio di visione si estese anche alla scultura, modificandone profondamente motivi e forme, e dando luogo a un modellato vivo e sensibile, che fonde la forma allo spazio. Opere plastiche di alta qualità lasciarono E. Degas e A. Renoir; molti elementi dell’i. furono accolti nella scultura di A. Rodin e A. Bourdelle e, con grande efficacia, dall’italiano Medardo Rosso.
Per estensione del significato pittorico, si intende per i. una rappresentazione del reale o di stati d’animo ottenuta mediante notazioni rapide, vivaci, di un gusto accentuatamente visivo, e anche sintatticamente sciolte, quasi staccate. In particolare, il termine qualifica quella forma di prosa lirica, e quel gusto per il ‘frammento’, per il ‘giornale di bordo’, per il ‘taccuino’, che furono propri degli scrittori della Voce (A. Soffici, il primo G. Papini ecc.), ai quali del resto si deve la divulgazione in Italia della pittura impressionistica francese. Anche in certe poesie di G. Pascoli e in alcune parti del Notturno di G. D’Annunzio più vicine alla notazione diaristica si possono riscontrare esempi di tale gusto e di tale tecnica.
Per qualche analogia con la sensibilità dei pittori e scultori impressionisti, si è voluto comprendere in tale corrente anche C. Debussy (che secondo altri musicologi andrebbe invece assimilato alla corrente del simbolismo) e qualche altro compositore suo contemporaneo. La relazione tra l’arte debussyana e quella dei Monet, Manet, Renoir ecc. è reperibile soprattutto nell’amore per la libertà dalle forme preesistenti, nella prevalenza degli elementi armonici e timbrici su quelli melodici, e nella preferenza che viene data alla dissolvenza, alla sfumatura.