Genericamente, la tendenza a riprodurre quanto più fedelmente possibile, nell’opera d’arte, la natura o il reale: lo scrittore tenta di vietare a sé stesso, più o meno radicalmente, ogni intervento personale o passionale; analogamente, l’artista mira a rappresentare la realtà oggettiva rifuggendo da ogni stilizzazione o astrazione. In questo senso n. è dunque usato impropriamente come sinonimo di realismo o di verismo, per quanto nelle arti figurative vi sia una certa graduazione fra i tre termini: il ‘realismo’ consiste nell’accentuazione di certi aspetti che appaiono più vicini alla concezione della realtà naturale, in contrasto con le norme di una certa espressione artistica, talvolta con espliciti riferimenti alle condizioni della vita sociale e quasi sempre con intento polemico; il ‘verismo’ è lo sforzo di rappresentare il reale con esattezza e imparzialità, fino all’inganno ottico; il n. implica invece un certo grado di distacco, di serenità, di idealizzazione, poiché non è in contraddizione con i caratteri stilistici generali di una data opera o di una data epoca. Così si può parlare di n. classico o del Rinascimento, di n. ellenistico, specialmente in contrasto con l’astrazione medievale, mentre si dirà ‘realista’ un quadro di G. Courbet, ‘realisti’ gli iniziatori del movimento moderno nelle Fiandre, nel 15° sec., e ‘verista’ certa pittura del tardo 19° sec. che, muovendo da premesse filosofiche positivistiche, tende a una rappresentazione per quanto possibile oggettiva della realtà, non tacendone gli aspetti sociali più tristi e contraddittori.
In senso stretto, il n. è una corrente letteraria che nacque e fiorì in Francia tra il 1870 e il 1890 circa, confondendosi agli inizi e succedendo al realismo (inteso questo termine nel suo significato ristretto, cioè come designazione propria di un’altra determinata corrente letteraria, che ebbe per esponenti principali H. de Balzac e G. Flaubert). Sotto la spinta del positivismo comtiano e del correlativo culto per le scienze esatte, il n. dà una netta e rigorosa configurazione alla tendenza, propria di tutto il Romanticismo, ad aprire all’arte il grande dominio del vero; fa propri i dati della scienza biologica (ereditarietà) e sociologica allora in auge; si propone scopi di progresso sociale e umano; è convinta di segnare una tappa importante nel processo di progressiva identificazione tra poesia e scienza, anzi scienza sperimentale. Il maggior teorico e critico del n. è H. Taine; il maggior rappresentante nel romanzo É. Zola (Thérèse Raquin, 1867 ecc.): intorno a lui i fratelli Goncourt, A. Daudet, molti giovani, tra i quali emerge presto G. de Maupassant; nel teatro, H. Becque e A. Antoine. Il n. si diffonde dalla Francia dappertutto, ma assumendo in ciascuna civiltà letteraria caratteri propri: così in Germania, con G. Conrad, A. Holz, G. Hauptmann; in Scandinavia, con G. Brandes, J.A. Strindberg e, in certo modo, H. Ibsen; in Russia, dove s’incontra e si fonde con forti tendenze autoctone; in Italia, dove, temperato dalla tradizione letteraria nazionale, esso domina con il nome di verismo, tutt’altro che incontrastato, sullo scorcio del 19° secolo.
Tendenza a non ammettere nulla oltre e fuori della natura, posta come esistente per sé stessa, senza l’intervento di principi soprannaturali o spirituali che comunque la trascendano, e quindi a spiegare ogni fenomeno, compresi quelli dello spirito, con le sole leggi naturali.
In etica è la tendenza a concepire la vita morale come espressione di bisogni e istinti biologici e a far ricorso al metodo positivo proprio delle scienze naturali.
Nella teologia, n. è la dottrina che, affermando la bontà della natura umana, nega o limita fortemente la necessità della grazia; suo opposto è il soprannaturalismo.
Il n. sociologico e storico è la tendenza a ricavare le forme e gli istituti della civiltà umana dalle sue naturali condizioni d’ambiente.