Genere letterario, estesosi poi al cinema, in cui l’elemento narrativo si fonda su ipotesi o intuizioni di carattere più o meno plausibilmente scientifico e si sviluppa in una mescolanza di fantasia e scienza.
Sebbene nella storia della letteratura non manchino esempi di opere che possano costituire dei precedenti della f. (si pensi a Frankenstein di M. Shelley del 1818, in cui appare l’uomo creato in laboratorio dallo scienziato), è evidente che gli inizi della f. come genere letterario coincidono all’incirca con lo sviluppo del tecnicismo quale si annuncia nella seconda metà del 19° secolo. È allora infatti che nasce la voga del romanzo avveniristico ed è allora che si affermano quelli che si possono considerare i veri fondatori della f.: J. Verne e H.-G. Wells, seguiti da una folla di modesti imitatori (tra cui anche E. Salgari e A.C. Doyle). Oltre a mettere a fuoco la maggior parte dei temi, degli spunti, delle trovate, dei meccanismi narrativi tipici di questo genere letterario (dai viaggi nel tempo alle guerre tra pianeti, dall’esplorazione spaziale al prevalere della macchina sull’uomo), Verne e Wells si spartirono, per così dire, le occasioni tecniche e teoriche peculiari della f., caratterizzandone per primi i due grandi filoni in cui ancora oggi essa si divide: l’uno, che si può far risalire a Verne (Voyage au centre de la Terre; De la Terre à la Lune; Vingt mille lieues sous les mers; Robur le conquérant ecc.), tende all’avventuroso, al meraviglioso, al cosmico, e mostra verso il progresso tecnico un minuzioso e affascinato interesse; l’altro, che discende da Wells (The time machine; The invisible man; The war of the worlds; The island of Dr. Moreau ecc.), guarda al futuro con occhio assai più critico e pessimistico, e trae dalle conquiste dell’uomo moderno apocalittici o sarcastici presagi.
La f. statunitense nacque nel 1926, quando H. Gernsback, fondò la rivista Amazing stories; la qualità letteraria dei racconti e dei romanzi apparsi nelle prime annate di questa rivista è naturalmente bassissima, ma non c’è dubbio che Amazing e le altre effimere pubblicazioni che subito la imitarono ebbero il merito di circoscrivere il campo d’azione della f., d’identificare e coltivare un pubblico e di spianare la via ai sofisticati autori della f. anglosassone. È in questo periodo pionieristico che conosce la sua massima fortuna la cosiddetta space-opera, dove, nel corso d’interminabili saghe (talvolta sceneggiate per la radio, il cinema o i fumetti), indomiti eroi errano da un capo all’altro dell’Universo. Oltre a E.R. Burroughs (il creatore di Tarzan), si possono ricordare in questo filone E.E. Smith, E. Hamilton e J. Williamson (autore del ciclo The legion of space, 1934). A parte le isolate figure dello statunitense S.G. Weinbaum (New Adam, 1939; Martian odyssey, 1949, entrambi postumi) e del visionario inglese W.O. Stapledon (Last and first men, 1931; Star maker, 1937), si può dire che la f. non raggiunga lo stadio adulto che nel 1947, quando J.W. Campbell junior prende la direzione della rivista Astounding science fiction (poi Analog) e porta la nuova narrativa a un livello letterariamente dignitoso. Durante gli anni 1940 subentrò la consapevolezza della dignità letteraria del genere, e negli anni 1950, sulle pagine della rivista Galaxy, emersero definitivamente le tendenze più mature del genere.
Caduto in gran parte l’accento epico, di scoperta e d’azione, alla letteratura di f. di marca realistica e oggettiva si viene ad affiancare, a partire dagli anni 1960, un filone più maturo incentrato sui cambiamenti dell’inconscio individuale e collettivo determinati dalle trasformazioni tecnologiche e sociali. In particolare J.G. Ballard e P.K. Dick incentrano la loro opera sugli effetti alienanti prodotti sull’uomo dalla società contemporanea, tema inserito da Ballard all’interno di romanzi ‘di catastrofe’ come, per es., Disaster area (1967). L’avvento del nuovo modello di sviluppo tecnologico e consumistico, che ha come conseguenza la falsificazione del reale o la confusione tra immaginario e realtà, permea fortemente la letteratura di f.: oggetti comuni, di uso quotidiano, diventano creature vive e si ribellano all’uomo in Mad house (1963) di R. Mateson. L’androide del romanzo di P.K. Dick Do androids dream of electric sheep? (1968), da cui è stato tratto il film Blade runner di R. Scott (1982), è il simbolo della caduta di ogni distinzione tra umano e artificiale e insieme rispecchia la deformazione dell’uomo contemporaneo e il suo stesso fallimento. Androide che è l’antesignano del cyborg, dell’uomo con innesti artificiali del romanzo di M. Crichton The terminal man (1974).
La f. è oggi, nelle sue prove migliori, una letteratura di idee, che tende a interpretare con inquietanti, paradossali estrapolazioni la realtà contemporanea o che diviene critica, spesso angosciata, nei confronti dei limiti della ricerca scientifica più avanzata, premonitrice di catastrofi cosmiche o ecologiche. La narrativa diviene pretesto per allegorie parafilosofiche e metafore politico-sociali (molti autori inglesi hanno infatti proposto per questo tipo di narrazioni fantascientifiche il termine speculative fiction).
Tra gli autori di f. più noti si possono ricordare: R. Bradbury (autentico innovatore del genere e autore dei celebri The martian chronicles, 1950, e Fahrenheit 451, 1953), I. Asimov (creatore di memorabili robot), A.C. Clarke (The sands of Mars, 1952; Islands in the sky, 1952), C.D. Simak (City, 1952), J. Russ (Female man, 1975), J. Varley (Titan, 1979; Mammoth, 2005; Red lightning, 2006), W. Gibson (fondatore del filone cyberpunk in Pattern recognition, 2003). In Italia, dove la f. si è diffusa soprattutto grazie alla collana editoriale Urania lanciata da Mondadori nel 1952, sono da citare R. Rambelli, R. Vacca, S. Sandrelli, M. Lo Iacomo, R. Guerrini, L. Morpurgo, U. Malaguti, L. Aldani.
Il cinema di f. è con l’avventura, la fantasy, l’horror, uno dei filoni del fantastico. Una definizione più circoscritta vede la f. come il luogo narrativo dove l’ordinario e lo straordinario si incontrano dando esito al soprannaturale. Sicuramente si può parlare di genere fantascientifico nel cinema ogni volta che il fantastico si proietta in ambiti scientifici o parascientifici, proponendo, per es., scenari di laboratori dove gli scienziati sfidano la natura, cercando di controllarla con gli esperimenti più arditi, come nel caso di Frankenstein (1931) e L’uomo invisibile (1933), entrambi di J. Whale, film che, secondo definizioni più rigorose, rientrerebbero nel filone horror o fantastico gotico. Anche Il viaggio nella luna del 1902 di G. Méliès è f., sebbene Méliès, maggior precursore del genere e inventore di una serie di trucchi cinematografici, i primi effetti speciali, resti legato soprattutto al genere del fiabesco, attingendo dal repertorio della favola e del magico, preoccupato di destare stupore negli spettatori senza curarsi troppo del confine tra realtà e spettacolo. Nel corso del 20° secolo, grazie agli sviluppi della tecnologia che ha consentito una riproduzione fotografica sempre più sofisticata della realtà, la f. si è consolidata in una sorta di ‘immaginario tecnologico’ cui sia il cinema sia la letteratura ricorrono per esprimersi in molteplici forme e con reciproci scambi.
La nascita del cinema di f. coincide con quella del cinematografo stesso (è del 1895 Charcuterie méchanique dei fratelli Lumière), che da subito porta sugli schermi non solo storie tratte dalla realtà quotidiana, ma anche i sogni, le fantasie e le paure proprie di ogni essere umano. Negli anni 1920 la cinematografia espressionista tedesca si impose con P. Wegener e F. Lang. Tutti e due, il primo in Der Golem (1920), il secondo in I ragni (1919), fecero ricorso alla f. come metafora del destino umano, per raccontare il difficile rapporto dell’uomo con la scienza. Metropolis di Lang (1926) è considerato il vero prototipo del cinema di f.: Lang propone il tema dello sfruttamento capitalistico dell’uomo sull’uomo attraverso il progresso tecnologico, sullo sfondo di complotti orditi da personaggi assetati di potere. Gli anni 1930 furono un periodo fecondo per la produzione di film di f., ispirati spesso ai classici della letteratura. È questo il caso del citato Frankenstein di Whale, tratto dal romanzo del 1818 di M. Shelley. Il successo del film indusse il regista a riproporne il tema in La moglie di Frankenstein (1935). Nella serie delle pellicole ispirate allo scienziato pazzo rientra anche il già citato L’uomo invisibile, sempre di Whale, tratto dal romanzo del 1897 di H.G. Wells. Tra i più significativi esempi di adattamento cinematografico di opere letterarie è da ricordare Il dottor Jekyll, realizzato nel 1932 da R. Mamoulian e poi nel 1941 da V. Fleming. Espressione del genere fantastico è King Kong (1933), di M.C. Cooper ed E.B. Schoedsack, metafora spettacolare dell’irrazionalità e dell’animalità della società occidentale. Da menzionare, in coincidenza con l’uscita dei popolari fumetti sulle avventure spaziali, Flash Gordon (1936) e Buck Rogers (1939). Nel 1936 W.C. Menzies realizzò La vita futura, con la sceneggiatura di H.G. Wells: storia ambientata nel futuro incentrata sulla nuova umanità che sarebbe sorta dopo le guerre e le devastazioni provocate dagli uomini.
Nel dopoguerra, con l’affinarsi dei mezzi tecnologici, la f. si affermò nel cinema come genere autonomo. La Guerra fredda e la paura del pericolo atomico diedero notevole impulso all’immaginario fantascientifico, per es. in L’invasione degli ultracorpi (1956) di D. Siegel, o Il pianeta proibito (1956) di F. McLeod Wilcox. Nella produzione di quegli anni vanno citati: Ultimatum alla Terra di R. Wise, La cosa da un altro mondo di H. Hawks, entrambi del 1951, Red planet Mars di H. Horner (1952), La guerra dei mondi (1953) di B. Haskin, L’astronave atomica del dottor Quatermass (1955) di V. Guest, Radiazioni BX: distruzione uomo (1957) di J. Arnold. Anche in Giappone il cinema di f. cominciò a diventare popolare con Godzilla (1954) e Radon (1956), entrambi di Ishiro Honda. In conseguenza del legame venutosi a creare tra narrazione fantascientifica e concreta preoccupazione per lo scenario sociopolitico internazionale, il genere di f. da una parte guadagnò spessore e profondità, dall’altra perse il fascino e la leggerezza che erano stati caratteri salienti della dimensione ingenua e ‘neomitologica’ dei suoi primordi. L’ultima spiaggia (1959) di S. Kramer è forse il primo film a rivelare questo cambiamento sostanziale. Va’ e uccidi (1962) di J. Frankenheimer, che prefigura l’assassinio del presidente degli Stati Uniti un anno prima della morte di J. Kennedy, e A prova di errore (1964) di S. Lumet sono poi gli esempi più significativi di un filone che si innesta in un genere che sembrava nato più per distrarre il pubblico dalle urgenze del quotidiano che per farlo riflettere su di esse. Nella stessa tendenza si inseriscono alcuni autori europei come J.-L. Godard con Agente Lemmy Caution - Missione Alphaville (1965), A. Resnais con Je t’aime, je t’aime (1968), M. Ferreri con Il seme dell’uomo (1969) e soprattutto F. Truffaut con Farhenheit 451 (1966). In Italia il genere fantascientifico più classico trova in M. Bava e A. Margheriti i registi di maggiore sensibilità, il primo con Terrore nello spazio (1965), il secondo con Space men (1960) e con I criminali della galassia e I diavoli vengono da Marte, entrambi del 1966.
Dopo la serie televisiva Star Trek e alcune pellicole di autori nuovi, come Viaggio allucinante (1966) di R. Fleischer, Il pianeta delle scimmie (1967) di F.J. Schaffner rappresenta una pietra miliare per il cinema di f., dove la specie umana è regredita a uno stadio primitivo, sopraffatta dalle scimmie. Ma è S. Kubrick, nel 1968, a imporre la f. come laboratorio del cinema d’autore, completando un percorso che si era snodato nel corso degli anni 1960 e approdando a un’affermazione assoluta con 2001: Odissea nello spazio, che rappresenta una vera e propria rivoluzione nel genere fantascientifico. Kubrick (ispirandosi al racconto La sentinella di A.C. Clarke), innesta nell’iconografia della f. spaziale dei primordi la tecnologia più moderna, con il trionfo degli effetti speciali, realistici e curati in ogni dettaglio, e porta alle estreme conseguenze la ricerca sperimentale che in tutto il decennio aveva prodotto esiti importanti. Nella prima metà degli anni 1970 la visione apocalittica e negativa del futuro dell’uomo, sempre più violento e irresponsabile, fu ripresa in numerose pellicole, come 2022 I sopravvissuti (1973) di R. Fleischer, Zardoz (1973) di J. Boorman, Rollerball (1975) di N. Jewison.
Alla fine degli anni 1970 l’erosione delle ideologie di ispirazione totalitaria e la crisi del modello comunista determinano una crescente e generalizzata inquietudine circa i rischi di una guerra come estremo rimedio all’incombente implosione del sistema che faceva riferimento all’Unione Sovietica. Nel 1977 esce Guerre stellari di G. Lucas, il primo dei tre film (1980; 1983) della trilogia originale, cui ne seguirà una seconda (1999; 2002; 2005). Nello stesso 1977 S. Spielberg, con Incontri ravvicinati del terzo tipo, descrive in maniera originale il tema dell’incontro dell’uomo con gli alieni. Il suo successivo E.T. L’extra-terrestre (1982) svilupperà ulteriormente il tema dell’alieno buono e indifeso. Del 1979 è il capolavoro di R. Scott, Alien, un classico della f.-horror. Nello stesso anno R. Wise diede inizio con Star Trek a una gloriosa saga di avventure intergalattiche riallacciandosi alla fortunata serie TV.
Gli anni 1980 videro la f. al primo posto tra i successi commerciali del cinema: Blade runner (1982) di R. Scott, La cosa (1982) di J. Carpenter, Tron (1982) di S. Lisberger, Terminator (1984) di J. Cameron, La mosca (1986) di D. Cronenberg, Robocop (1987) di P. Verhoeven. Blade runner, introduce la figura del replicante, umanoide clonato e dotato di una durata rigorosamente limitata nel tempo: dopo quattro anni la sua esistenza avrà fine. È la metafora di un mondo in cui la tecnica ha preso il sopravvento sull’umanità. Al viaggio nel tempo si ispira invece la trilogia di R. Zemeckis Ritorno al futuro (1985; 1989; 1990).
Gli anni 1990 sono segnati dal trionfo degli effetti speciali, i cui costi grazie alle tecniche digitali diventano alla portata di diverse società di produzione. Vanno ricordati: nel 1994 L’esercito delle 12 scimmie di T. Gilliam, nel 1995 Urla dallo spazio di C. Dubai, nel 1996 Independence day di R. Emmerich, nel 1997 Gattaka: la porta dell’universo di A. Niccol, nel 1998 Dark city di A. Proyas. Nel 1999 The matrix (Matrix) di A. e L. Wachowski propone la novità dei temi cyberpunk, che coniugano il sentimento del disagio rispetto alla società contemporanea e l’influsso delle nuove tecnologie digitali e informatiche. Matrix ha rappresentato un’anticipazione dei fenomeni di tendenza del genere fantascientifico del nuovo millennio, che ha visto la riscoperta da una parte del supereroe, dall’altra della carica profetica e visionaria propria, per es., delle opere di Dick, scrittore già noto al grande pubblico grazie a Blade runner e da cui sono state tratte altre importanti realizzazioni come Minority report (2002) di Spielberg e Paycheck (2003) di J. Woo.
La f., nelle sue espressioni migliori, continua a proporsi come commento in termini simbolici, ma estremamente efficaci, dei pericoli della realtà quotidiana: è il caso di The Truman show (1998) di P. Weir, esempio di un cinema che spietatamente analizza una società o un sistema per metterne in evidenza i limiti e i rischi in modo macroscopico e angosciante. Al tempo stesso, però, i film di f. non rinunciano alla caratteristica originale del genere: stupire lo spettatore con effetti visivi spettacolari, potenziati ancora di più dall'uso del 3D (Avatar, di J. Cameron, 2009).