sinistra Nel Parlamento, i settori dell’emiciclo che sono alla s. del presidente (il cui seggio è posto di fronte all’emiciclo stesso). Per estensione, l’insieme dei deputati che occupano ordinariamente quei settori, e anche i partiti o i gruppi politici (generalmente i partiti di carattere popolare e progressista, originariamente di matrice liberale e successivamente d’ispirazione socialista e comunista) da essi rappresentati.
Il termine è entrato nel lessico politico (insieme al suo corrispettivo destra) con la Rivoluzione francese, quando nell’Assemblea costituente (1789-91) i deputati di idee più radicali si sedettero a sinistra, rispetto al presidente. Nel tempo le forze politiche hanno dato espressione a esigenze e obiettivi diversi, sicché vi sono stati vari tipi di s. e di destra (a volte anche opposti tra loro). In linea molto generale, i partiti e i movimenti politici che si definiscono di s. si richiamano prioritariamente a ideali di eguaglianza o equità sociale e di progresso. S. storica Nella storia d’Italia, è così chiamato il raggruppamento sorto dall’unione della s. del parlamento subalpino, guidata da A. Depretis, con esponenti della tradizione mazziniana e garibaldina (B. Cairoli, F. Crispi, G. Nicotera, G. Zanardelli). Interprete delle istanze della piccola e media borghesia del Nord e di settori della proprietà terriera e della borghesia meridionale, la s. storica propugnava l’allargamento del suffragio, il decentramento politico-amministrativo e l’avvio di una politica protezionistica; dopo il suo avvento al governo nel 1876 furono varate diverse riforme: l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita (1877), misure protezionistiche a sostegno dell’industria (1878), l’abolizione della tassa sul macinato (1880), l’allargamento del suffragio elettorale (1882), l’introduzione di un dazio sul grano (1887), l’eleggibilità dei sindaci (1888). Nuova s. Espressione usata in Italia e in altri paesi occidentali per indicare l’insieme dei movimenti e dei gruppi politici di s. sviluppatisi fra gli anni 1960 e 1970. Alla nascita della nuova s. contribuirono, tra l’altro, la crescita numerica delle masse studentesche, lo sviluppo di una cultura giovanile di massa, l’elaborazione e la diffusione di nuovi contributi teorici di ispirazione marxista, l’influenza esercitata presso ampi strati dell’opinione pubblica dalle lotte di liberazione dal dominio coloniale, dai movimenti rivoluzionari operanti nel Terzo mondo e dai nuovi modelli di socialismo proposti da paesi come Cuba o la Cina. Dal concorso di questi e altri fattori trassero alimento, durante gli anni 1960, correnti di opinione e movimenti di protesta che raggiunsero il massimo della diffusione e intensità verso la fine del decennio; in particolare nel 1968 una forte ondata di agitazioni studentesche investì contemporaneamente numerosi paesi occidentali, riuscendo in alcuni casi a estendersi anche ad altri strati sociali e giungendo in Francia a innescare una grave crisi politica. Queste vicende favorirono la nascita di piccole organizzazioni alternative alle tradizionali forze di s., che tuttavia non riuscirono quasi mai a conquistare il consenso di una parte consistente del movimento operaio, mantenendo in generale un’influenza circoscritta agli studenti o a particolari settori della popolazione. La spinta che alimentava i movimenti e i gruppi politici della nuova s. era connessa con la convinzione, variamente diffusa in quegli anni, che l’Occidente capitalistico fosse destinato a subire, in tempi relativamente brevi, una crisi di fondo, economica, politica e culturale, e che un esito rivoluzionario di tale crisi fosse possibile. Quando il venir meno di una tale prospettiva (insieme a una serie di fattori specifici operanti nei diversi paesi) portò al riflusso dei movimenti di lotta, alcuni gruppi si sciolsero, altri diedero vita ad attività di carattere prevalentemente culturale, altri cercarono di rinnovare la propria strategia o furono riassorbiti dalle organizzazioni tradizionali della s.; alcune frange, infine, soprattutto in Germania e in Italia, diedero vita a forme di lotta armata che, isolate dalla grande maggioranza della popolazione, si risolsero essenzialmente in episodi di terrorismo. Alla fine degli anni 1970 l’esperienza della nuova s., almeno nelle forme conosciute in precedenza, appariva sostanzialmente esaurita.
Dopo la fine degli anni 1970 la crisi della nuova s. fu portata a compimento dall’intensificazione dei processi di ristrutturazione economica e produttiva e dai profondi mutamenti sociopolitici. Negli anni successivi, tuttavia, la sua eradità fu raccolta, in Italia più che in altri paesi, sia da settori della s. politica e sindacale, sia da nuovi movimenti come quello pacifista, sia presso un’area di opinione variamente diffusa e articolata (riviste, radio libere, associazioni culturali e professionali), sia da esperienze di aggregazione giovanile sul piano territoriale, come i ‘centri sociali’, sviluppatesi in alcuni quartieri di grandi città.