(gr. ᾿Απόλλων) Divinità della religione greca, figlio di Zeus e di Leto (Latona). La sfera nella quale esercita la sua sovranità è costituita principalmente dalla musica, dalla medicina, dalla mantica; di qui A. è connesso anche con la sapienza filosofica e religiosa, con l’istituzione delle leggi, con la fondazione di città.
Il nome, di origine incerta, è ignoto al pantheon miceneo (13° sec. a.C.) e al posto di esso è invece Paiawon (Peone), che incorpora le qualità sanatrici che saranno poi caratteristiche di Apollo. Al problema dell’etimologia è legato quello della sua origine etnica. Si tende ormai ad accogliere la teoria di una origine microasiatica e precisamente licia di A. e del nome della madre Leto, che parrebbe connesso con il lada delle iscrizioni licie. Si è pensato anche a un’origine settentrionale per le relazioni con gli Iperborei, presso i quali secondo le tradizioni delfiche A. si ritirava durante l’inverno, e per i molti luoghi di culto che aveva a Settentrione. Ma indipendentemente dall’origine, A. ci si presenta storicamente come divinità del tutto greca.
Intorno al luogo di nascita di A. molte città che erano sedi di santuari del dio pretendevano di avergli dato i natali. Tutte queste tradizioni vennero messe in ombra dall’autorità del mito di Delo, suggellato dall’inno omerico: Leto, respinta da tutte le isole dell’Egeo, viene finalmente accettata da Delo e partorisce dopo 9 giorni di doglie, alla presenza delle grandi dee; A., subito dopo aver gustato il nettare e l’ambrosia, si libera dalle fasce e proclama la sua natura e i suoi attributi essenziali: la lira, l’arco, l’attività oracolare. La prima e fondamentale impresa di A. è l’uccisione di un serpente a Delfi e la fondazione in questo luogo del suo culto oracolare. I mitografi e le testimonianze parlano di un serpente maschio, Pitone, da cui il nome della Pizia, ma secondo l’Inno omerico A. uccide invece un serpente femmina (Delfine). Il nome del luogo, Δελϕοί, è connesso con δελϕύς «utero»; Delfi era ritenuta l’ombelico della terra; ben le si addiceva quindi il carattere di località germinale primordiale, abitata dal ‘serpente-utero’, sullo sfondo della quale si era elevato il tempio del nuovo ordine ‘apollineo’. Il santuario non sorse sul nulla; la stessa tradizione antica e gli scavi archeologici attestano l’esistenza di culti oracolari preesistenti. L’oracolo di Delfi rimase per secoli l’oracolo apollineo panellenico.
La sapienza divina di A. si manifesta nella mantica, nella medicina e nella catartica (per quest’ultimo aspetto A., già in Omero Φοῖβος «puro», è per eccellenza l᾿ἀλεξίκακος l’«allontanatore del male», e Παιάν «guaritore»). I modi divinatori nella religione di A. sono quelli per ispirazione diretta di un medium (per solito una donna), che si manifesta sotto il segno del furore profetico.
Attraverso le colonie greche e gli Etruschi, A. giunse in Italia e fu accolto a Roma molto presto, senza alcuna identificazione con una precedente divinità romana e con le caratteristiche peculiari di divinità guaritrice e vaticinante (A. medicus, A. Paean); gli vennero dedicati un Apollinar fuori della Porta Carmentalis, un tempio dopo l’epidemia del 433 a.C. e finalmente (28 a.C.) un tempio sul Palatino, mentre sempre più si identificava con il Sole, secondo una tendenza che già si era manifestata in Grecia nell’età classica.
Nell’arte arcaica greca, il dio è raffigurato nudo, simile al tipo del κοῦρος, ma anche nel tipo barbato, panneggiato; l’arte dello stile severo e classico preferì il tipo efebico nudo, con arco e alloro (A. di Piombino, dell’onfalo, del Tevere, di Pompei ecc.); laddove il tipo citaredo è quasi sempre panneggiato e sarà preferito dagli artisti del 4° sec. a.C., fra i quali Scopa che ce ne dà la più bella formulazione in quello Palatino. Prassitele, oltre che il citaredo, crea anche il Sauroctono in atto di uccidere la lucertola, mentre Scopa lo rappresentò nell’atto di scherzare con un topo in quello Sminteo, a Crisa. Il tipo efebico con arco trova nel 4° sec. a.C. una grandiosa interpretazione nella statua del Belvedere, attribuita a Leocare. L’ellenismo rielabora soprattutto il tipo del citaredo semipanneggiato. L’arte etrusco-italica si ispirò ai tipi greci. A modelli ionici della fine del 6° sec. a.C. si riallaccia la vigorosa statua fittile policromata di Veio. L’arte romana copiò in genere i tipi greci classici ed ellenistici. Il Medioevo rappresentò A. come dio salvatore e medico, o gli dette una posizione preminente nello zodiaco come dio solare. Il Rinascimento e l’età barocca lo posero al centro dell’armonia universale e amarono rappresentarlo come musico.