Il poeta più antico della Grecia continentale (forse inizî sec. 7° a..C.), e il primo la cui personalità ha carattere storico. Le notizie, non leggendarie, che la tradizione antica ci ha conservato, sono desunte dai suoi scritti, specialmente dal poema le Opere. Il padre era di Cuma eolica di dove si recò in Beozia ad Ascra, vicino all'Elicona; e qui E. probabilmente nacque. Ad Ascra il padre aveva delle terre che lasciò a E. e all'altro figlio, Perse. L'eredità fu causa di una lite: i giudici di Tespie, corrotti, diedero ragione a Perse. Quando E. scriveva le Opere, Perse, già quasi in rovina per avere sperperato i beni, minacciava E. di un altro processo: il poeta lo invitava a risolvere pacificamente la controversia. Che E. fosse un rapsodo di professione si ricava dai vv. 654 segg. delle Opere, della cui autenticità, negata in antico da Plutarco, la critica moderna non dubita. Gli antichi non sapevano nulla del tempo in cui E. era vissuto; noi possiamo solo dire che egli è posteriore all'Iliade e all'Odissea, e anteriore ad Archiloco, che lo imita. Ad E., come ad Omero, gli antichi attribuivano un gran numero di opere: oltre alla Teogonia e alle Opere, lo Scudo, il Catalogo delle donne, le Eee, le Grandi Opere, le Grandi Eee, una Ornitomanzia, una Melampodia, una Astronomia, gli Ammaestramenti di Chirone, il poema epico Egimio, e altro ancora. Essi non dubitarono mai dell'autenticità della Teogonia e del Catalogo oltre che delle Opere. In seguito agli studî omerici del Wolf, sorse accanto alla questione omerica una "questione esiodea". Fu negata ogni unità alla Teogonia e alle Opere, e queste furono definite un "conglomerato di poesie". La critica moderna non ha risolto tutto; non sempre è possibile distinguere, specie nella Teogonia, le parti di sicura attribuzione, ma si è ormai d'accordo nel riconoscere l'unità fondamentale della Teogonia e delle Opere e la loro appartenenza a un solo poeta. Nella Teogonia (Θεογονία), un poema in 1022 versi che sembra incompiuto, E., dopo aver cantata brevemente l'origine dell'universo, enumera le generazioni degli dèi corrispondenti ai tre periodi della storia del mondo: Urano, Crono, Zeus (non autentiche sono la seconda parte della Titanomachia, la descrizione del Tartaro, la lotta contro Tifeo). Difficile è il problema delle fonti; E. si servì di Omero, di inni, di ἱεροὶ λόγοι (racconti sacri), e forse di cosmogonie e teogonie più antiche, che però dovevano essere soltanto cataloghi e genealogie. Le Opere (῎Εργα) sono un poema di 828 versi; nei codici è citato come ῎Εργα καὶ ἡμέραι, Opere e giorni, ma l'elenco dei giorni (vv. 765-828) è un'aggiunta molto antica, forse ancora della fine del 7° sec. a..C., e sono un'aggiunta anche i precetti di superstizione (vv. 724-764). L'epilogo del poema è perduto. Ma le Opere sono anche più unitarie della Teogonia. Hanno la forma di lungo ragionamento raccolto intorno ai due concetti fondamentali di lavoro e giustizia, esposti coi due miti di Prometeo e delle cinque età degli uomini, con esortazioni alla giustizia e al lavoro, consigli di morale e di economia; seguono i precetti sui lavori agricoli e sulla navigazione e infine i consigli per il matrimonio e i rapporti con gli amici. Nella controversia con Perse i precetti morali di E. trovano la via della concretezza, elevandosi sempre al disopra dell'arida didascalia. Lo Scudo (᾿Ασπίς; tale è il titolo, non Scudo d'Eracle) è un mediocre poemetto di 480 versi, dapprima ritenuto di E. ma già da Aristofane di Bisanzio non attribuito a lui; è un'imitazione della descrizione omerica dello scudo di Achille (nel libro 18° dell'Iliade) e racconta il combattimento di Eracle con Cicno, figlio di Ares, descrivendo lo scudo di Eracle. I primi 54 versi sono tolti dalla parte riguardante Alcmena nel Catalogo delle donne e messi come introduzione. Questo, diviso non sappiamo quando in 5 libri, conteneva miti originarî di varie regioni greche, incentrati sul nome di ciascuna eroina. Ne abbiamo molti frammenti. Con il Catalogo, o almeno con i due ultimi libri di esso, sembra potersi identificare l'opera intitolata Eee o Eoie (᾿Ηοῖαι) da ἢ οἵη "o quale", formula di transizione dal mito di un'eroina all'altro; se ne hanno varî frammenti; diverse, e forse una redazione ampliata, erano le Grandi Eee (e così, analogamente, le Grandi Opere rispetto alle Opere). Il Catalogo, che fu imitato da molti poeti lirici e drammatici anche alessandrini, non può essere esiodeo per ragioni storiche, geografiche, linguistiche e metriche. ▭ E. fu apprezzato dai Greci dell'età classica per la sua morale, superiore a quella di Omero, e ancor più dai poeti alessandrini per lo stile sobrio e la lingua rustica e pittoresca (fu imitato da Arato e, nelle Georgiche, da Virgilio). Il Certame (᾿Αγών) di Omero ed E., compilazione del sec. 2° d. C., che sviluppa temi romanzeschi molto più antichi, racconta di una gara poetica tenuta in Calcide, tra Omero ed E., conclusasi con la vittoria di quest'ultimo. I moderni lo apprezzano meno ripetendo spesso il raro assurgit Hesiodus di Quintiliano: ma fu caro al Leopardi che ne tradusse la Titanomachia, e al Pascoli. Certo nuoce a E. il paragone con Omero, il poeta del passato eroico, mentre E. è il poeta del presente aspro e squallido; Omero vuol raccontare, E. insegnare e giovare agli uomini. Il sentimento della natura in E. è più concreto e immediato che in Omero; E. è incline al pessimismo, ma nella fede della giustizia divina, nel senso della vita concepita come fatica e dolore, nell'ingenuità e freschezza di certi quadretti, appare piena e limpida la sua poesia.