Scrittore greco (Cheronea, Beozia, 50 d. C. - ivi dopo il 120). Studiò ad Atene presso il platonico Ammonio, e dopo alcuni viaggi tornò nella sua città, donde però si allontanò ripetutamente per incarichi politici. Fu più volte a Roma, dove ebbe amici illustri tra cui Gaio Minucio Fundano e Aruleno Rustico. Fu arconte in Cheronea, poi sacerdote del tempio di Delfi (dal 95 alla morte). A P. sono stati attribuiti circa 250 titoli e se alcune opere certamente non sono autentiche, di altre si dubita. Ne vengono distinte tradizionalmente due categorie: Opere morali (τὰ ἠϑικά) e Vite parallele (Βίοι παράλληλοι). Le opere morali, raccolte in Corpus da Massimo Planude (1296), si sogliono distinguere in dialoghi e diatribe; il titolo tràdito Moralia è alquanto riduttivo, perché accanto a problemi di specifico carattere etico-filosofico vengono affrontati e discussi moltissimi e varî argomenti di storia della filosofia, di politica, letteratura, scienze, musica, che sono la testimonianza della vastità degli interessi di P., un erudito tipico rappresentante della cultura greca della sua età. È difficile individuare le fonti delle sue opere e scorgere un chiaro sviluppo del suo pensiero per l'assenza di sistematicità nell'accogliere idee altrui ed enunciare le proprie; perciò è impossibile definire una cronologia delle sue opere, sebbene si possa affermare che quelle sulla religione delfica sono posteriori al suo sacerdozio. La posizione filosofica di P. è una espressione tipica della cultura della tarda età ellenistico-romana, nella quale in un comune e spesso generico sfondo platonico rifluiscono suggestioni e influenze di varia origine, così filosofica (aristotelismo, stoicismo, neopitagorismo) come religiosa (in particolare religioni misteriche orientaleggianti). In campo etico, P., seguendo le concezioni aristoteliche, distingue nell'anima tre aspetti e pone il canone della condotta nella medietà delle passioni dominate e controllate dalla parte razionale. Da ciò deriva la tranquillità spirituale (εὐϑυμία) elevata a virtù suprema. Lo stesso principio deve ispirare anche la politica che è, per P., l'arte di placare le folle e di conservare la pace. Perciò egli accetta il dominio romano, in cui vede adempiute le esigenze di una politica di pace. Da tale atteggiamento politico verso Roma è guidata la costruzione delle Vite parallele scritte per dimostrare le analogie, ma anche le differenze, fra gli eroi greci e romani. Oltre a 4 biografie isolate (quelle di Artaserse II, Arato di Sicione, Galba, Otone) sono esaminate le vite di 22 coppie di personaggi, uno greco e uno romano (Teseo e Romolo, Licurgo e Numa, ecc.), di cui all'inizio, nel Proemio, sono messe in luce le affinità, e alla fine, nel paragone (σύγκρισις) le differenze. La tradizione dei rapporti fra Greci e Romani era già nelle Imagines di Varrone e nelle Vitae di Cornelio Nepote; ma la novità di P. consiste nell'accentuare nel confronto l'esistenza di due mondi, due culture, due civiltà che si integrano reciprocamente nell'Impero Romano. Bisogna però osservare che, se in generale l'atteggiamento di P. è imparziale, egli era un greco giustamente impegnato a recuperare e far rivivere la passata grandezza della Grecia. Il tratto caratteristico delle Vite è l'indagine dell'intera storia di Roma e della Grecia attraverso l'ethos dei personaggi, che sono sì protagonisti di grandi imprese, ma si impongono alla nostra attenzione anche per particolari di minor rilievo e per aspetti poco conosciuti della loro personalità e umanità. Se la cronologia delle Vite è oscura, le fonti invece sono, in generale, più riconoscibili: per le vite romane P. attinge quasi sempre direttamente agli storici o comunque a fonti di prima mano (Dionisio di Alicarnasso, Sallustio, Livio, Polibio, ecc.); le fonti delle vite greche sono in generale ancora biografie, anche se per lo più incerte, ma possiamo riconoscere Ermippo (per Solone), Filarco (per Agide e Cleomene) e poi Erodoto, Tucidide, Senofonte, Ctesia, Teopompo. ▭ P. ebbe fortuna già tra i contemporanei; nel Medioevo bizantino fu apprezzato più come filosofo che come storico, e la sua fama si diffuse anche in paesi di lingua non greca. L'Umanesimo guarda a P. tanto come testimonianza di una tradizione della filosofia religiosa antica, quanto come maestro di vita e di virtù civili; si inizia così una nuova fortuna di P., autore di "vite" esemplari (egli stesso affermava di scrivere "non storie, ma vite"): l'etica dell'onore e della magnanimità trovò in lui i suoi modelli. La traduzione delle opere di P. fatta da I. Amyot (1559) fece testo presso i Francesi (Montaigne, Corneille, Racine) e, ritradotta, presso gli Inglesi (fino a Shakespeare). Nel sec. 18° si cercarono fra i personaggi di P. gli eroi della libertà, e a essi si ispirarono tanto Rousseau che Alfieri; minore la fortuna di P. in Germania, ove già si delineava una forte tendenza anticlassicistica, e in Inghilterra, in cui attraverso Th. Macaulay si svalutava la sua importanza di fonte storica.