(gr. Πολύϕημος, lat. Polyphemus) Nome di due personaggi della mitologia greca:
1. Uno dei Lapiti, figlio di Elato; partecipò alla lotta fra Lapiti e Centauri e alla spedizione degli Argonauti; fondò in Misia la città di Cio (poi detta Prusia), e morì combattendo contro i Calibi.
2. Ciclope, figlio di Posidone e della ninfa Toosa, figlia di Forcide. Nel 9° libro dell'Odissea è un rozzo e bestiale pastore monocolo, che, dopo aver ucciso e divorato alcuni compagni di Ulisse, fu da questo ubriacato e accecato con un palo aguzzo e arroventato; non riuscì perciò a prendere Ulisse e i compagni, che uscirono dalla sua grotta abbrancati al ventre dei montoni, né a far capire ai Ciclopi, che aveva chiamato in aiuto, il nome di chi lo aveva accecato, perché Ulisse, nel precedente colloquio, anziché Odyssèus (᾿Οδυσσεύς) si era nominato Ùtis (Οὖτις) "Nessuno". Da allora cominciò la collera di Posidone, padre di Polifemo, contro Ulisse. Nella poesia comica (e così nell'11° Idillio di Teocrito) Polifemo divenne l'innamorato ingenuo e sentimentale della ninfa Galatea. Fu spesso rappresentato nella pittura vascolare (vaso di Aristonoo) e in pitture o rilievi ellenistici.
Il mito del ciclope Polifemo e di Galatea è stato ripreso, nell'epoca moderna, da L. de Góngora nel poemetto Fábula de Polifemo y Galatea (1611), e da A. Samain nel dramma postumo Polyphème (1901).
Tra le varie opere musicali eccelle l'oratorio profano Acis and Galatea di G. F. Händel (1720).