Stato dell’Europa centro-orientale, che si affaccia per circa 500 km sul Mar Baltico. I confini terrestri corrono a S lungo la linea spartiacque delle catene montuose dei Sudeti e dei Beschidi, che separano la Polonia dalla Repubblica Ceca e dalla Slovacchia; a O, lungo il corso dell’Oder e del suo affluente di sinistra Neisse che la delimitano dalla Germania; a E e NE, lungo una linea convenzionale, corrispondente solo in parte al corso del Bug, che la divide dall’Ucraina, dalla Bielorussia, dalla Lituania e dall’oblast´ di Kaliningrad, exclave della Russia.
Il territorio polacco è costituito in gran parte da un vasto bassopiano (il nome stesso della Polonia deriva da un antico termine slavo con il significato di pianura) solcato da deboli ondulazioni collinari, che in vicinanza del Baltico raggiungono circa 300 m di altitudine. Il paesaggio è stato plasmato dai ghiacciai che agli inizi del Quaternario coprivano l’Europa settentrionale e che, con i loro depositi morenici, diedero origine a una serie di colline, tra le quali si formarono, in epoca successiva, numerosi laghi. Si possono distinguere alcune grandi regioni morfologiche. A N, il litorale baltico, che si presenta pianeggiante e nell’insieme rettilineo, se si prescinde dalle due grandi insenature del Golfo di Pomerania a O e del Golfo di Danzica a E. Si tratta di una costa sabbiosa con dune ben sviluppate, in parte orlata da lagune. Inoltre, la sezione settentrionale del paese è caratterizzata dalle estese regioni lacustri della Pomerania e soprattutto della Masuria. In tali regioni, la morfologia di tipo glaciale è contraddistinta da rilievi morenici di altitudine poco elevata (200-300 m), disposti frequentemente in modo disordinato. La parte centrale del paese è occupata da estese pianure percorse da ampi solchi glaciali (pradoliny). Vi si distinguono, a O, il bassopiano della Grande Polonia, che si estende a N a comprendere la pianura della Cuiavia, e la Bassa Slesia, bagnata dall’Oder e dai suoi affluenti; a E, il bassopiano della Masovia, attraversato dalla Vistola e dai suoi numerosi affluenti. Quest’ultimo continua verso NE con la regione pianeggiante della Podlachia, in gran parte paludosa e coperta di immense foreste al cui interno si trova il Parco nazionale di Białowieża, a cavallo del confine con la Bielorussia. Nella Polonia meridionale s’incontrano i maggiori rilievi, in parte modellati dall’erosione glaciale, fra i quali spicca il versante settentrionale della catena ercinica dei Sudeti, che raggiunge mediamente altitudini di poco superiori ai 1000 m, culminando a 1602 m nel massiccio della Śnieżka (Monti dei Giganti). L’alta valle dell’Oder, in corrispondenza grosso modo della Porta Morava, rappresenta il limite fra i Sudeti e l’importante catena carpatica dei Beschidi, di origine terziaria, che presenta un’altitudine media più elevata della precedente. A N di questi rilievi si distingue una regione pedemontana, la cui sezione occidentale corrisponde all’Alta Slesia, ricca di giacimenti carboniferi. Procedendo verso E s’incontrano altri altopiani, come quelli di Cracovia-Częstochowa e della Piccola Polonia, delimitati a S dal pedemonte carpatico; a questi si aggiunge l’altopiano di Lublino, avvantaggiato dal punto di vista agricolo dalla presenza di una consistente coltre di löss.
La Polonia è caratterizzata da condizioni di transizione tra quelle atlantiche e quelle continentali, risentendo peraltro assai più dell’influenza russo-siberiana che di quella atlantica. Il grado di continentalità del clima polacco e, di conseguenza, le escursioni annue, sempre notevoli, si accentuano a mano a mano che si procede verso oriente. Le condizioni climatiche sono più miti lungo il litorale, anche se l’influenza del Baltico, mare poco aperto e poco profondo, è piuttosto debole e stenta a penetrare nell’interno del paese. Le precipitazioni, assai variabili e in prevalenza estive, non sono molto abbondanti (500-700 mm annui) e aumentano sui rilievi montuosi meridionali (oltre 1200 mm annui).
Oltre agli innumerevoli bacini lacustri disseminati nelle regioni settentrionali e soprattutto nord-orientali, sono notevoli alcuni pittoreschi laghetti nel massiccio degli Alti Tatra, all’estremità meridionale del paese. Il territorio è interessato da una fitta rete di corsi d’acqua, caratterizzati da lievi pendenze e direzione prevalente SN, verso il Mar Baltico. I bacini dei due maggiori fiumi, la Vistola e l’Oder, e dei loro numerosi affluenti coprono pressoché tutto il territorio. Nonostante le lunghe gelate invernali e le piene stagionali, i fiumi sono in gran parte navigabili fin dal tratto superiore, pur richiedendo notevoli lavori di regimazione. Alcuni canali artificiali collegano i vari corsi d’acqua e quindi i due bacini maggiori, consentendo anche di allacciarsi alle reti fluviali della Germania, della Bielorussia e dell’Ucraina.
L’attuale popolazione polacca è di origine slava. Dal punto di vista linguistico, i Polacchi, assieme ai Cechi e agli Slovacchi, rappresentano propriamente gli Slavi occidentali. La mancanza di confini naturali a O e a E, rendendo vulnerabile il territorio polacco di fronte alle continue invasioni di popoli dominatori, è stata all’origine di profonde modificazioni nella composizione etnica della popolazione. Nel Medioevo e nei secoli successivi migrarono in Polonia numerose popolazioni germaniche, che ne colonizzarono una parte del territorio e fondarono città, primi focolai di diffusione della lingua e della cultura germaniche. Fin dall’epoca medievale, gruppi consistenti di Ebrei si insediarono soprattutto nelle maggiori città. Nelle regioni orientali affluirono in numero rilevante Lituani, Russi Bianchi e Ucraini. La compattezza etnica relativamente scarsa della popolazione polacca, perdurata fino alla Seconda guerra mondiale (gli alloglotti, nel periodo interbellico, costituivano circa un terzo della popolazione totale), è stata una delle cause che hanno influito sulle vicissitudini storico-politiche del paese. Il periodo di occupazione tedesca (1939-45) è stato fra i più tragici della storia polacca. Le perdite umane per motivi bellici furono stimate intorno a sei milioni di individui, fra militari, civili e soprattutto internati nei campi di concentramento nazisti. Le variazioni di confine postbelliche influirono sensibilmente sulla composizione etnica della popolazione: dalle regioni occidentali e settentrionali furono espulsi più di 3 milioni di Tedeschi e di cittadini di altri gruppi etnici, per poter ospitare gli oltre due milioni di Polacchi provenienti dai territori orientali o rimpatriati dall’estero. La nuova Repubblica popolare di Polonia divenne così uno Stato etnicamente più omogeneo. In conseguenza delle pesanti devastazioni della guerra e delle migrazioni di massa postbelliche, la popolazione polacca si ridusse a circa 24 milioni di ab., contro i 34,5 milioni raggiunti nel 1937, e solo nella seconda metà degli anni 1970 è ritornata ai livelli prebellici.
Le minoranze straniere sono piuttosto esigue: Tedeschi (4%), Ucraini (4%), Bielorussi (0,5%). Un’analoga compattezza si può notare anche dal punto di vista religioso: di fronte alla stragrande maggioranza di cattolici (90,1%), gli ortodossi costituiscono lo 0,4% della popolazione, gli Ebrei superstiti sono circa 1500. Nel dopoguerra, la Polonia ha conosciuto un aumento costante di popolazione, sia per cause naturali sia per motivi sociali. Il tasso di natalità, già molto elevato nella prima metà del 20° sec. (37‰ nel 1911, 25‰ nel 1938), negli anni 1950 era ancora attorno al 30‰, tanto da collocare il paese fra i primi in Europa. Nel corso degli anni 1960 si è registrata una forte flessione delle nascite, accompagnata peraltro da una diminuzione della mortalità (anche infantile) e da un generale prolungamento della vita media, soprattutto femminile. A partire dagli anni 1990 il ritmo di crescita della popolazione si è notevolmente ridotto, stabilizzandosi intorno allo 0%.
La Polonia è stata paese di grande emigrazione, sia negli anni di dominazione straniera a cavallo fra 19° e 20° sec., sia nel periodo interbellico: si trattava in prevalenza di manodopera agricola e di minatori diretti oltreoceano (Stati Uniti, Canada, Brasile, Argentina ecc.) o verso l’Europa occidentale (Germania, Francia ecc.). All’emigrazione, diminuita nel dopoguerra, si sono succedute le migrazioni all’interno del paese, dirette da un lato a ripopolare i territori occidentali e settentrionali abbandonati dai Tedeschi, dall’altro ad assecondare le esigenze di ricostruzione delle città distrutte e quelle di sviluppo industriale. Tali movimenti hanno provocato una ridistribuzione della popolazione fra le aree rurali e quelle urbane. Il fenomeno dell’inurbamento è stato molto intenso soprattutto a partire dall’ultimo dopoguerra. La popolazione urbana (61% nel 2008) era pari a un terzo di quella totale nel 1946 (poco più di un quarto nel 1931) e aumentò progressivamente negli anni successivi (nel 1966 superava quella delle campagne). La rete urbana polacca è tra le più equilibrate d’Europa e si appoggia su diverse metropoli regionali, che sono spesso anche importanti città industriali, ben distribuite nel paese: Danzica a N, Stettino a NO, Poznań e Breslavia a O, Cracovia e la vasta conurbazione alto-slesiana che fa capo a Katowice a S, Lublino a E, Bydgoszcz e soprattutto Łódź (la maggiore) al centro. La capitale, Varsavia, accentra la maggior parte delle funzioni di servizio di livello superiore esistenti nel paese.
Le modificazioni territoriali postbelliche contribuirono a trasformare radicalmente le strutture e le funzioni economiche della Polonia, paese prevalentemente agricolo fino al secondo conflitto mondiale. Dopo la prima fase di ricostruzione dalle devastazioni belliche, il nuovo governo socialista emanò importanti provvedimenti riguardo alla nazionalizzazione dell’industria e del commercio e alla riforma agraria. La pianificazione economica e territoriale assunse, fin dalle origini, i caratteri di una forte centralizzazione, in conformità con il sistema economico sovietico e con quello delle altre Repubbliche popolari dell’Europa centro-orientale. La riforma agraria postbellica coinvolse soprattutto i territori annessi nella parte occidentale e in quella settentrionale, dove venne così a predominare il settore ‘socializzato’ dell’agricoltura, rappresentato dalle aziende statali e cooperativistiche di grandi e medie dimensioni. Nelle altre regioni, al contrario, continuava a dominare il settore privato, costituito in prevalenza da piccole aziende (2-5 ha in media) e in diversi casi addirittura da unità di estensione inferiore ai due ettari. Alla fine degli anni 1980, i radicali mutamenti politico-economici che coinvolsero l’Unione Sovietica e di conseguenza i paesi dell’Europa socialista interessarono anche la Polonia, innescando dal punto di vista economico una complessa e difficile fase di transizione dal sistema produttivo e distributivo di tipo statalizzato o socializzato a quello del libero mercato e promuovendo l’afflusso di cospicui investimenti dai paesi tecnologicamente più avanzati dell’Occidente. In particolare, sono state favorite la riconversione dei grandi settori dell’industria pesante strutturalmente in crisi e la privatizzazione di vari comparti della produzione socializzata, con lo scopo di incrementare la ripresa economica, e quindi di attenuare il consistente flusso migratorio delle classi giovanili verso l’Europa occidentale e l’America Settentrionale. A partire dagli anni 1990, la Polonia ha realizzato un ampio e complesso piano di conversione e di sviluppo dell’economia nazionale, al fine di promuovere l’inserimento del paese sulla scena internazionale e il suo ingresso nell’Unione Europea (avvenuto nel 2004). Il commercio è stato liberalizzato e lo Stato ha varato misure volte ad aprire gradualmente il mercato ai capitali esteri.
L’agricoltura ancora svolge un ruolo importante nell’economia: poco meno della metà del territorio è destinata ai seminativi e circa il 17,4% della popolazione attiva è occupata nel settore primario (2009). La Polonia è un buon produttore di grano, orzo e avena ed è il primo produttore mondiale di segale, dopo la Russia. Rilevante è anche la produzione di patate, alimento fondamentale per i Polacchi. Fra le colture industriali spicca in particolare la barbabietola da zucchero, che assicura una produzione di zucchero greggio fra le maggiori d’Europa. Meno importanti sono i prodotti orticoli e le colture arboree (notevole tuttavia la produzione di mele). Assai diffuso è l’allevamento, soprattutto dei suini (18.800 milioni di capi), ma anche dei bovini e degli animali da cortile, ed è praticata con profitto la pesca marittima.
Le variazioni territoriali postbelliche hanno contribuito a modificare sia il potenziale energetico sia le risorse minerarie della Polonia. A occidente, essa ha inglobato i distretti minerari e industriali della Slesia tedesca; a oriente, al contrario, ha dovuto cedere all’Unione Sovietica la maggior parte dei giacimenti petroliferi e di gas naturale della regione carpatica settentrionale, e le miniere di sali potassici. Il distretto alto-slesiano è uno dei più ricchi bacini carboniferi europei (143,5 milioni di t di carbone estratte nel 2008) e fornisce quasi tutta la produzione nazionale, destinata in buona parte all’esportazione nonostante i cospicui consumi interni per scopi industriali e domestici. Anche la lignite abbonda (59,4 milioni di t), mentre la produzione di petrolio e gas naturale è scarsa. Ottime le posizioni della Polonia nelle graduatorie europee dei produttori di minerali metallici (piombo, rame, zinco) e anche di metalli preziosi come l’argento, di cui il paese è uno dei maggiori fornitori mondiali. La produzione di energia elettrica continua a basarsi largamente sulla combustione del carbone, mentre una battuta di arresto si è avuta nel ricorso al nucleare.
Grazie alle sue ricchezze minerarie, la Polonia è dotata, segnatamente nella sua parte meridionale, di un’importante industria siderurgica, metallurgica e meccanica; di quest’ultima è particolarmente sviluppato il settore della costruzione di mezzi di trasporto (impianti per la produzione di materiale ferroviario e autoveicoli, nonché cantieri navali, questi ultimi nel Nord: Danzica, Gdynia e Stettino). Un’altra industria tradizionale polacca che si va rapidamente modernizzando è quella tessile, concentrata nell’area di Łódź per il cotone e nella Polonia meridionale per la lana. Non manca una robusta industria chimica, legata alla produzione del carbone, all’importazione del petrolio e anche a vari giacimenti di sali. Sviluppate anche le industrie alimentari. Non trascurabile è la crescita di altri settori, come quello elettromeccanico, della lavorazione del legno, della carta e del vetro.
Questo complesso di attività economiche alimenta un ben articolato commercio estero, che vede all’esportazione soprattutto prodotti industriali, ma anche materie prime come carbone e minerali metallici. I principali partner commerciali della Polonia sono i paesi dell’UE (in particolare, Germania, Francia e Italia) e la Russia. Il turismo è indirizzato in prevalenza verso i centri storico-culturali, le montagne meridionali, le regioni dei laghi e le stazioni balneari sul Baltico.
Le annessioni territoriali postbelliche contribuirono ad ampliare, a N, lo sbocco marittimo della Polonia: allo scalo artificiale di Gdynia, realizzato nel periodo interbellico per dotare il paese di un’apertura sul Baltico, si aggiunsero i porti di Danzica e Stettino. Lo spostamento del confine occidentale lungo la direttrice fluviale Oder-Neisse contribuì notevolmente al miglioramento della navigazione interna: la rete di idrovie, tra fiumi navigabili e canali artificiali, raggiunge i 3660 km (2008) e facilita i trasporti pesanti, che hanno in Koźle, sull’Oder, il maggiore scalo minerario. Per quanto concerne la circolazione, è in fase di realizzazione un piano di miglioramento della rete stradale (383.053 km nel 2007) – con la costruzione di superstrade e autostrade, di cui il paese è carente – e della rete ferroviaria (20.196 km di cui 11.924 km elettrificati nel 2008). I principali aeroporti sono quelli della capitale, di Łódź, Cracovia e Breslavia.
Rari ritrovamenti (bifacciali e industrie su scheggia) attribuiti all’Acheuleano e a contesti levalloisiani attestano la presenza del Paleolitico inferiore. A partire dal Würmiano, però, le testimonianze sono numerose, sia per il Paleolitico medio sia per il superiore, che pare cominciare molto presto (grotta Nietoperzowa). Sono attestati anche l’Aurignaziano, forse il Perigordiano, e il Maddaleniano. Numerose sono le industrie del Paleolitico superiore finale. Il Mesolitico, con industrie microlitiche, cede il posto verso il 4200-4000 a.C. al Neolitico, nella cui ultima fase si formano vari gruppi culturali a partire da elementi preesistenti e da influenze esterne. L’uso del metallo diventa comune solo a partire dall’età del Bronzo; dal 1200 a.C. fino al 5° sec. a.C., un’unica entità culturale, la cultura lusaziana, contrassegna in modo unitario buona parte dell’attuale territorio della Polonia e alcune zone confinanti. Nel pieno periodo di La Tène (4°-1° sec. a.C.) arrivano in Polonia popolazioni celtiche che si stanziano nella Slesia e nella Piccola Polonia occidentale; esse praticano la sepoltura a fossa, senza urne.
Dopo il 1° sec. a.C. alla foce della Vistola comparvero popolazioni germaniche (Goti e Gepidi) che tra il 2° e il 3° sec. d.C. si trasferirono verso il Mar Nero; durante il 5° e il 6° sec. nella Polonia nord-orientale si stabilirono popolazioni baltiche (Lituani, Prussiani, Iatvingi, Masuriani ecc.), mentre nei secoli successivi nel territorio fra la Vistola e l’Elba si insediarono i Polani, i Pomerani, i Polabi (o slavi elbani); nella Slesia (dall’alta Vistola sino all’Oder) gli Slesiani.
La prima formazione statale si ebbe con Mieszko I (m. 992), con cui emerse la dinastia nazionale dei Piasti, che a volte contrastò l’espansione germanica e a volte agì in coincidenza con essa ai danni delle tribù slave occidentali, stanziate negli ampi bacini della Vistola e dell’Oder sino al Baltico. La conversione al cristianesimo (966), la formazione di una gerarchia ecclesiastica strettamente polacca, la ‘donazione’ della Polonia alla Santa Sede fatta da Mieszko I, contribuirono a legare i Polacchi direttamente al centro della cristianità. Con il figlio di Mieszko, Boleslao Chrobry (992-1025), la Polonia iniziò l’espansione verso E e la lotta contro l’imperatore Enrico II, nel corso della quale l’alleanza fra l’Impero e la Russia di Kiev ai danni della Polonia rappresentò l’inizio di una costante di tutta la storia polacca. Boleslao concluse la Pace di Bautzen (1018) con l’Impero e favorì la missione di s. Adalberto; intervenne nei contrasti interni dello Stato di Kiev e, per i successi conseguiti, nel 1024 cinse la corona reale. Erosa a occidente dalla pressione teutonica, tormentata all’interno da contese fra i diversi principi, nel 1241 la Polonia fu investita a oriente dalle orde mongoliche di Bātū, con conseguente dissoluzione dello Stato. Tuttavia la dinastia nazionale dei Piasti continuò a mantenere una certa unità politica tra le varie parti del regno, tenute insieme anche dall’organizzazione ecclesiastica. Nel 14° sec. il principe Ladislao Łokietek (m. 1333) riuscì a porre fine alla divisione regionale della Polonia, ma nel 1309 perdette l’accesso al Baltico con l’incorporazione della Pomerania da parte della Prussia. Con il re Casimiro III il Grande (1333-70) la Polonia acquistò la fisionomia di Stato fra i più progrediti dell’Europa centro-orientale: in politica interna riforma dell’amministrazione, liberale protezione degli Ebrei e dei contadini, creazione a Cracovia della prima università polacca (1364); in politica estera espansione a oriente, collaborazione con la Lituania contro l’Ordine teutonico, rapporti di buon vicinato con l’Impero e la Boemia.
Alla morte di Casimiro, l’unione con l’Ungheria sotto Luigi d’Angiò salvò la continuità della corona polacca, che alla morte di Luigi (1382) passò alla figlia Edvige. Nel 1385 questa sposò il granduca di Lituania Jogaila che, con l’atto di Krewo del 14 agosto, unì le sue terre a quelle della Polonia, abbracciando il cristianesimo: tre nazioni, la polacca, la lituana e la rutena, si associavano così in una sorta di vincolo federativo destinato a durare sino alle spartizioni di età moderna. I risultati si fecero vedere subito nelle relazioni con l’Ordine teutonico, sconfitto a Grunwald nel 1410, e in quelle con la Moscovia: l’unione polacco-lituana, nello spingere molto verso E le sue frontiere, vide sorgere grandi problemi di relazione con il mondo russo, mentre la pressione del germanesimo nei suoi vari aspetti (Ordine teutonico, Prussia, poi anche Asburgo) continuava a condizionare gli sviluppi della Polonia. Nel contempo, ebbe inizio per la Polonia anche il problema turco: Ladislao III (eletto al trono di Ungheria nel 1440) morì nel 1444 nella battaglia di Varna contro i Turchi.
Con Casimiro IV Iagellone (1447-92), successore di Ladislao, la Polonia raggiunse la massima espansione territoriale e la più alta influenza politica per i legami con la Boemia e l’Ungheria, rette dal re Ladislao Iagellone, e con gli Stati vassalli della Moldavia e dell’Ordine teutonico. Dalla seconda metà del 15° sec. la monarchia aristocratica si trasformò in un regime monarchico fondato sugli ordines, nobiltà e clero. Gli ulteriori sviluppi dal 16° sec. in poi portarono a un sempre maggior predominio della nobiltà nel Sejm (Camera), che divenne infine arbitro dell’elezione del re e quindi del potere regio. Si generalizzarono inoltre metodi più razionali di conduzione agricola; i nuovi rapporti di produzione condussero a una sorta di rifeudalizzazione, con forme di sfruttamento della classe contadina ignote in altre parti d’Europa. Contemporaneamente la Polonia si impegnò a difendere i suoi confini, fronteggiando a N la Prussia e gli Svedesi, a O gli Asburgo, a S i Turchi, a E i Russi. La fine della dinastia iagellonica con Sigismondo Augusto e l’inizio della monarchia elettiva (1572) avevano messo frattanto il potere regio alla mercé della nobiltà e degli intrighi delle potenze.
L’emergere di grandi figure come quella di Giovanni III Sobieski (1674-96) ridiede temporaneamente alla Polonia il perduto prestigio, ma la vittoria di Vienna contro i Turchi (1683), se giovò a tutta la cristianità, lasciò spossata la Polonia, con una nobiltà sempre più decisa a difendere i propri privilegi e contraria a un forte potere del governo. Sull’anarchia nobiliare ebbe facile sopravvento la politica delle tre potenze confinanti, Austria, Russia e Prussia, che imposero come re Augusto II di Sassonia (1697-1733). Le guerre contro la Svezia a fianco di Pietro il Grande accelerarono la crisi interna. Pietro il Grande appoggiò Augusto II contro Stanislao Leszczyński (re dal 1706) sostenuto dal Sejm, imponendo alla Polonia di non tenere un esercito superiore ai 24.000 uomini, e si eresse a protettore, insieme alla Prussia, dei dissidenti e degli ortodossi delle regioni orientali (Trattato di Potsdam, 1720).
Dopo il regno di Augusto III (1733-63), durante il quale l’anarchia e la rovina economica raggiunsero il massimo grado, nel 1764 Prussia e Russia si accordarono per porre sul trono Stanislao Augusto Poniatowski. Pur intenzionato ad avviare un processo di riforma, egli non riuscì a sottrarsi alle pressioni dei potenti vicini, specie della Russia, che impose e garantì, mediante l’appoggio dato alla confederazione stretta dai nobili polacchi a Radom (1767), il ripristino delle leggi fondamentali del regno (liberum veto ➔; libera elezione del re; diritto di rifiutare obbedienza al re ecc.). L’insurrezione nazionale, nota come confederazione di Bar (1768), fu troppo legata agli interessi sociali delle classi dirigenti tradizionali per opporsi vittoriosamente alla crescente pressione esterna, nonostante il concorso della Francia e dell’Austria. Conseguenza di tale situazione interna e internazionale furono le tre spartizioni del territorio polacco, succedutesi in poco più di un ventennio: la prima nel 1772 (la Russia si impossessava del paese al di là della Dvina e del Dnepr; Federico II della Prussia occidentale senza Danzica e di una parte della Grande Polonia; l’Austria della Galizia); la seconda nel 1793 (alla Russia andavano questa volta la parte orientale della Lituania, parte della Volinia, la Podolia; la Prussia si impossessò di Danzica e della restante Grande Polonia); la terza nel 1795 (la Russia ottenne la parte residua della Lituania e della Volinia; la Prussia arrivò sino al Niemen, incorporando Varsavia; l’Austria si impadronì della Piccola Polonia).
Il Congresso di Vienna (1815) sanzionò il passaggio della parte maggiore del ducato di Varsavia alla Russia con il titolo di Regno di Polonia; nel novembre 1830 Varsavia si sollevò contro l’autocrazia di Nicola I, ma il mancato aiuto delle potenze estere, il dissidio fra elementi radicali e conservatori, la non risoluzione della questione contadina facilitarono la repressione russa. Da allora una grande emigrazione si riversò in Occidente, mantenendo in vita una ‘questione’ polacca. Dopo l’infelice rivoluzione del 1863, verso la fine del secolo una vivace attività politica caratterizzò la Polonia russa, divisa tra i socialisti di J. Piłsudski e i democratici-nazionali di R. Dmowski.
Al termine della Prima guerra mondiale la Polonia risorse come Stato indipendente guidato da Piłsudski. Negli anni immediatamente successivi contenziosi territoriali la contrapposero alla Germania, alla Cecoslovacchia, alla Lituania e soprattutto alla Russia, in seguito all’invasione polacca di parte dell’Ucraina e della Bielorussia, cui seguì un conflitto, concluso nel 1921 dalla Pace di Riga, che riconobbe la sovranità polacca sulle regioni occidentali delle due repubbliche. Sul piano interno, nel 1926 si ebbe un colpo di Stato militare guidato da Piłsudski, alla cui morte (1935) una nuova Costituzione raf;forzò ulteriormente i poteri presidenziali, in un quadro politico sempre più caratterizzato da tendenze di tipo fascista e antisemita. Sul piano economico gli effetti della grande depressione aggravarono i problemi del paese, legati sia alle difficoltà dell’integrazione fra le tre zone precedentemente separate, sia alla mancata soluzione della questione agraria e alla permanenza di un assetto sociale di tipo feudale.
Nel 1939 all’invasione tedesca delle regioni centro-occidentali seguì lo scoppio della Seconda guerra mondiale e nel 1941 le regioni orientali del paese, occupate dalle forze sovietiche, furono invase dai Tedeschi. La dominazione tedesca si espresse in uno spaventoso sistema di sterminio: nei campi di annientamento furono eliminati milioni di uomini, donne e bambini, fra cui quasi l’intera comunità ebraica. Fin dal 1939 si costituì in Francia un governo polacco in esilio, spostatosi nel 1940 a Londra. Nel paese si sviluppò un forte movimento di resistenza che diede vita a due forze militari distinte, l’Armia krajova (Esercito nazionale), legata al governo in esilio, e l’Armia ludowa (Esercito popolare), espressione delle forze di sinistra. Queste ultime formarono nel 1944 a Chelm un Comitato di liberazione nazionale che si costituì in governo provvisorio sotto la guida del socialista E. Osóbka-Morawski; l’intero territorio polacco fu liberato dall’avanzata delle forze sovietiche nel 1945. Alla fine del conflitto i territori già tedeschi a oriente dei fiumi Oder e Neisse (Bassa Slesia, Brandeburgo orientale e Pomerania) furono posti sotto l’amministrazione polacca; il confine a E venne spostato lungo la cosiddetta linea Curzon, mentre la frontiera con la Cecoslovacchia fu riportata alla linea anteriore al 1938. Un governo di unità nazionale procedette alla riforma agraria e nazionalizzò le medie e piccole industrie.
Le elezioni politiche del 1947 portarono a un’ampia vittoria dei partiti comunista e socialista, legati da un patto di unità d’azione. La Polonia divenne in tal modo un paese di stampo sovietico, pienamente integrato nel sistema politico e militare dell’URSS, nonostante le ampie manifestazioni contro il regime che si svilupparono nei decenni successivi, in particolare dopo l’avvio della ‘destalinizzazione’ nella seconda metà degli anni 1950. Il nuovo esecutivo, presieduto dal socialista J. Cyrankiewicz varò un primo piano triennale, mentre alla presidenza della Repubblica fu eletto il comunista B. Bierut. A partire dal 1948 il regime politico subì un irrigidimento in senso stalinista e il partito socialista e quello comunista si fusero nel Partito Operaio Unificato Polacco (POUP) sotto la leadership di Bierut. Nel 1952 fu proclamata la Repubblica Popolare di Polonia e varata una nuova Costituzione. L’integrazione della Polonia nel campo so;cialista fu rafforzata dall’adesione al COMECON (1949) e al Patto di Varsavia (1955).
Nel corso degli anni 1960 il consenso popolare andò progressivamente calando, mentre il regime si irrigidiva in senso autoritario. Nel 1970 una rivolta operaia scoppiata a Danzica, Gdynia e Stettino portò all’elezione di E. Gierek a primo segretario del POUP, mentre Polonia Jaroszewicz divenne presidente del Consiglio dei ministri. La prima metà degli anni 1970 fu caratterizzata da un miglioramento del livello di vita e da una maggiore stabilità politica, ma poi l’economia polacca dovette far fronte a una crescente crisi finanziaria. Nel 1980 una nuova ondata di contestazioni operaie costrinse il governo a riconoscere il diritto di sciopero e la libertà sindacale. Sorse allora il sindacato di Solidarność che, con il suo leader L. Wałesa, divenne il motore della lotta contro il regime, con il sostegno del papa polacco Giovanni Paolo II. Il governo di W. Jaruzelski introdusse la legge marziale e mise fuori legge Solidarność, ma negli anni successivi tali misure furono attenuate, soprattutto dopo l’ascesa al potere in Unione Sovietica di M.S. Gorbačëv (1985). Questo processo culminò, nel 1989, nella celebrazione delle prime elezioni pluripartitiche che segnarono la piena affermazione di Solidarność (Wałesa fu eletto nel 1990 presidente) e, di fatto, la fine del regime.
I governi di centrodestra e di centrosinistra che si alternarono alla guida dell’esecutivo nel corso degli anni 1990 non riuscirono a dare stabilità politica ed economica al paese, che pure aveva raggiunto alle soglie del 2000 alcuni importanti obiettivi, consolidando le strutture democratiche con il varo di una nuova Costituzione (1997), creando un’economia di mercato che aveva attratto capitali stranieri. La ripresa economica non era stata tuttavia accompagnata da benefici diffusi: il tasso di disoccupazione era cresciuto ed erano venuti a mancare i sostegni offerti dai servizi sociali, ridotti dai tagli alla spesa pubblica. Le elezioni legislative del settembre 2001 mutarono radicalmente lo scenario politico della Polonia, segnando la disfatta di Azione elettorale di Solidarność; venne formato un governo di centrosinistra presieduto da L. Miller, deciso fautore dell’integrazione europea. Nel 2004 avvenne l’entrata ufficiale della Polonia nella UE insieme ad altri 9 Stati, cui seguì un avvicendamento alla guida del governo tra Miller e il socialdemocratico M. Belka. Nelle elezioni europee di quell’anno emerse la formazione di centro Piattaforma civica (Platforma Obywatelska, PO). Dopo le elezioni legislative del 2005, in cui prevalse il conservatore Partito per il diritto e la giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PIS), alla guida del governo salì l’economista K. Marcinkiewicz. Le successive elezioni presidenziali videro l’affermazione del sindaco di Varsavia e fondatore del PIS, L. Kaczyński. Nel 2006 fu varato un governo di maggioranza di centro-destra guidato da Marcinkiewicz, che tuttavia nel luglio si dimise in seguito a gravi contrasti con il presidente, che al suo posto nominò premier il fratello gemello J. Kaczyński. La posizione nazionalista ed euroscettica della nuova maggioranza originò viva preoccupazione nella UE. Nell’estate 2007 la coalizione di governo naufragò e le nuove elezioni sancirono la sconfitta dei Kaczyński e la vittoria della Piattaforma civica. Alla guida del governo fu chiamato D. Tusk, il quale per affrontare le pesanti ricadute sull’economia polacca della crisi globale del 2008-09 ha richiesto l’intervento del Fondo monetario internazionale. Nel giugno 2010 sono state indette elezioni presidenziali anticipate, a causa del tragico incidente occorso nell'aprile, in cui ha perso la vita il presidente L. Kaczyński, a bordo dell'aereo diretto in Russia per commemorare i soldati polacchi uccisi a Katyń nel 1940. La guida del paese è stata assunta ad interim dal liberale B. Komorowski (n. 1952), che nel luglio successivo è stato eletto presidente dopo un ballottaggio con J. Kaczyński. Alle elezioni politiche tenutesi nell’ottobre 2011 il partito della Piattaforma civica ha ottenuto il 37,5% delle preferenze, risultato che ha consentito alla coalizione di governo di conservare la maggioranza in parlamento e a Tusk di permanere in carica, divenendo il primo premier polacco a ottenere un secondo mandato consecutivo dalla caduta del comunismo. Le consultazioni hanno segnato una nuova sconfitta per lo sfidante J. Kaczyński e registrato il 10% delle preferenze accordate al Movimento Palikot, gruppo radicale e anticlericale che ha presentato un programma di riforme sociali su temi quali l'aborto, le unioni omosessuali e la legalizzazione del consumo di droghe leggere. Nel 2014 Tusk, dopo essere stato nominato presidente del Consiglio europeo, si è dimesso e Komorowski ha affidato a E. Kopacz, già presidente della Camera bassa e militante del partito Piattaforma civica, l'incarico di formare un nuovo governo. Al primo turno delle elezioni presidenziali tenutesi nel maggio 2015 il presidente uscente Komorowski ha ottenuto il 32,2% dei consensi, contro il 34,8% aggiudicatosi da A. Duda, del partito della destra nazionalpopulista Diritto e Giustizia ed ex assistente di L. Kaczyński, che al ballottaggio ha riportato una vittoria di misura (51,5% delle preferenze contro il 48,5%), subentrando nella carica al presidente uscente. Il partito Diritto e Giustizia ha confermato la sua avanzata con la netta affermazione alle consultazioni legislative dell'ottobre 2015, ottenendo il 37,6% dei consensi e la maggioranza dei seggi con la candidata premier B. Szydlo, mentre la formazione Piattaforma civica del premier uscente Kopacz ha ricevuto il 24,1% dei suffragi. Dimessasi nel dicembre 2017, alla premier Szydlo è subentrato M. Morawiecki. Le elezioni europee svoltesi nel maggio 2019 hanno registrato l'affermazione di misura del partito Diritto e Giustizia di Kaczynski (43%), seguito dalla Coalizione europea (38%), composta dai centristi di Piattaforma civica, dal Partito popolare polacco, dall'Alleanza della sinistra democratica e dai Verdi, mentre alle consultazioni politiche tenutesi nell'ottobre 2019 il partito Diritto e Giustizia si è nettamente affermato, aggiudicandosi con il 43,6% dei consensi la maggioranza assoluta, contro il 27,4% ottenuto dalla forza di opposizione Coalizione civica. Alle elezioni presidenziali del giugno 2020 il presidente uscente Duda non è riuscito a ottenere la maggioranza dei voti al primo turno, ricevendo il 44% dei consensi contro il 30% aggiudicatosi dall'esponente di Piattaforma civica R.Trzaskowski, dal confronto al ballottaggio con il quale è uscito vincitore, conquistando il 51,21% dei voti ed essendo riconfermato nella carica presidenziale. Nel giugno 2023, in vista delle consultazioni politiche fissate in autunno, una gigantesca manifestazione di piazza organizzata dall'opposizione guidata da Tusk ha protestato contro una legge volta a interdire gli incarichi pubblici agli esponenti politici sospettati di diffondere influenze russe sulla sicurezza interna. L'incremento dei dissensi contro l'esecutivo al potere è stato evidenziato anche dai risultati delle elezioni legislative, svoltesi nell’ottobre 2023 con un’affluenza record alle urne del 73% degli aventi diritto, alle quali si è registrata una netta flessione del partito Diritto e giustizia, che ha ottenuto il 37 circa % dei suffragi a fronte del 43,6% aggiudicatosi nelle precedenti consultazioni, seguito dalla Piattaforma civica di Tusk (circa 31%), dalla Terza via (14%) e da Sinistra (8%), la cui coalizione di maggioranza otterrebbe 248 seggi dei 460 seggi in Parlamento, sufficienti a formare un esecutivo filoeuropeo in netta discontinuità con l’esecutivo del premier uscente Morawiecki, peraltro privo di possibili alleati di governo.
Il polacco fa parte, con il serbo-lusaziano superiore e inferiore, il casciubo, il ceco, lo slovacco e l’estinto polabo, del gruppo occidentale delle lingue slave. I dialetti polacchi si distinguono in cinque gruppi: a) dialetti della Grande Polonia (nel Medioevo compresa fra l’Oder a O, la Pomerania a N, la Vistola a E e la Pilica a S); b) dialetti della Cuiavia e delle terre di Chełmno-Dobrzyń; c) dialetti della Piccola Polonia (compresa, nel 14° sec., fra Grande Polonia, Slesia, Masovia e Rutenia); d) dialetti slesiani; e) dialetti masoviani.
La lingua letteraria, fondata sui dialetti della Piccola Polonia, ma in seguito, per la mancanza di un centro politico, divenuta notevolmente eclettica rispetto ai dialetti, è documentata sin dal 14° sec. da annali, cronache e canti: su di essa hanno esercitato un notevole influsso il latino e il ceco nel Medioevo e nel Rinascimento, l’italiano nei sec. 16° e 17°, il francese nel 18° sec. e infine il tedesco, particolarmente nel lessico. Le fondamentali caratteristiche fonologiche che individuano i dialetti polacchi all’interno del gruppo slavo occidentale sono: la continuazione ro lo del gruppo tautosillabico or ol che in russo è continuato da oro olo e in ceco, come nelle lingue meridionali, da ra la (pol. błoto «palude» da *bolto, di fronte al russo boloto, ceco bláto), e soprattutto la conservazione delle vocali nasalizzate ą ed ę (pol. swięty «santo», di fronte al russo svjatoj, ceco svatý).
La cultura polacca entra nell’orbita della tradizione latino-germanica durante il Medioevo, con la progressiva acquisizione di modelli letterari medio-latini e il loro adattamento alla lingua e alle esigenze di un pubblico in grande maggioranza appartenente al ceto ecclesiastico. La letteratura ‘alta’ è scritta in latino: le opere cronachistiche e storiche a partire dal cosiddetto Gallus Anonymus (12° sec.) e da Kadłubek (Vincentius magister, 12°-13° sec.) fino a Janko da Czarnków (14° sec.) e J. Długosz (Longinus, 15° sec.); i trattati filosofico-teologici, come quelli dei fondatori e riformatori dell’Accademia cracoviana (poi Università iagellonica), Matteo di Cracovia, Stanisław da Skarbimierz e Polonia Włodkowic (tutti 14°-15° sec.), e degli esponenti del cosiddetto conciliarismo polacco; le prime opere a carattere politico (J. Ostroróg, 15° sec.) e quasi tutta la poesia religiosa. I documenti in polacco sono rari fino al 15° sec., e testimoniano l’adozione come modelli degli schemi latini e poi cechi: è il caso dell’inno Bogurodzica («Madre di Dio»), perfetto nella forma e nell’elaborazione del contenuto teologico, poi assurto al rango di carmen patrium della dinastia iagellonica. Altre opere di contenuto religioso sono adattamenti popolari di soggetti, forme e motivi cari alla letteratura del Medioevo latino: testi sia a carattere omiletico, come le Kazania Świętokrzyskie («Prediche di Santa Croce», 14° sec.) e le Kazania Gnieźnieńskie («Prediche di Gniezno», inizio 15° sec.), sia a carattere liturgico, come il famoso Psałterz Floriański («Salterio di s. Floriano», 14° sec.), o comunque devozionale, come il Lament Świętokrzyski («Lamento di Santa Croce»), planctus Mariae del 15° sec., il Zołtarz Jesuzow («Salterio di Gesù», 1488) di Władysław da Gielniów, primo e più fecondo poeta religioso della Polonia medievale, o l’anonimo Rozmowa Mistrza Polikarpa ze Śmiercią («Dialogo del Mastro Policarpo con la Morte», 15° sec.). Fra le poche opere di tema profano sono Wiersz Słoty o zachowaniu się przy stole («Poema di Słota sul comportamento a tavola», 1400) e il pamphlet socio-politico Wiersz o zabiciu Andrzeja Tęczyńskiego («Poema sull’uccisione di Andrzej Tęczyński», 1462).
Intorno alla metà del 15° sec. si fanno forti le nuove sollecitazioni dell’Umanesimo, sia attraverso l’opera di immigrati italiani come F. Buonaccorsi o tedeschi come C. Celtis, sia grazie al mecenatismo dei locali cultori degli humaniora studia, come l’arcivescovo di Leopoli Gregorio di Sanok e il cardinale Z. Oleśnicki. In questa fase, e soprattutto nella prima metà del 16° sec., la poesia latina registra la sua massima fioritura con le opere, anche assai profane, del primate A. Krzycki (Cricius), di J. Dantyszek (Dantiscus), di K. Janicki (Janicius) e di M. Hussowski (Hussovius). Nella stessa tradizione umanistica si colloca anche l’opera di N. Copernico.
Il bilinguismo latino-polacco, l’influenza della Riforma protestante, l’italianismo (favorito dai sempre più frequenti studi in università come Padova e Bologna) e in genere il confronto con la situazione degli altri paesi sono gli elementi catalizzatori del rapido sviluppo della letteratura in lingua nazionale nell’epoca rinascimentale. Soltanto in polacco scrisse M. Rej z Nagłowic, calvinista, la cui opera può essere considerata una sorta di summa della vita, dei costumi e della cultura del primo Cinquecento; accanto a lui un altro simpatizzante della Riforma, M. Bielski, autore della prima storia universale in polacco, a metà fra enciclopedismo di stampo ancora medievale e modelli storiografici più recenti (J. Nauclerus). Il pensiero politico ebbe le sue espressioni più significative negli scritti latini di A. Modrzewski Frycz e in quelli bilingui di S. Orzechowski. L’italianismo, connesso anche all’influenza della regina Bona Sforza, trovò un convinto assertore in Ł. Górnicki, che con il suo Dworzanin polski («Cortigiano polacco», 1566), ispirato all’opera di B. Castiglione, segnò i modi e i limiti dell’adattamento della moda italiana in Polonia.
Punto di arrivo dell’elaborazione poetica cinquecentesca è l’opera di J. Kochanowski, scrittore bilingue, che nella sua produzione più tarda (Treny «Lamenti», 1580) preannuncia la temperie successiva: la sua opera sarà un punto di riferimento obbligato fino a tutto il 17° sec. e oltre, sia per quanto riguarda lo stile (come è evidente per il coevo M. Sęp Szarzyński, che introduce nella lirica polacca un’involuzione sintattica di chiaro gusto manieristico) sia per la tematica, sempre più segnata dal progressivo affermarsi della Controriforma, come nelle opere dei ‘metafisici’ S. Grochowski, K. Miaskowski e K. Twardowski. Influenzato da Kochanowski è anche l’uso di forme e soggetti tratti dalla poesia orale e popolare e raffinatamente rielaborati, che si ritrova negli idilli di S.F. Klonowic, S. Szymonowic e S. Zimorowic. Nella prosa, la Controriforma dà il suo frutto migliore nella possente retorica del gesuita Polonia Skarga, mentre in generale è da rilevare l’influenza decisiva che la Compagnia di Gesù ebbe nella cultura artistica e letteraria della Polonia tardocinquecentesca e barocca. Punto d’arrivo dell’italianismo cinquecentesco e modello indiscusso per la grande poesia del secolo successivo fu l’ottima traduzione della Gerusalemme liberata condotta da Polonia Kochanowski e intitolata Goffred (1618), che assurse quasi a epos nazionale, anche perché le vicende politiche interne sembravano trasformare il poema tassiano in una sorta di allegoria della situazione contemporanea. In queste condizioni ebbero libero gioco nel ceto della szlachta (➔) ideologie come il sarmatismo, l’esaltazione del regime di ‘democrazia nobiliare’ e della Polonia come antemurale christianitatis, che divennero quasi dogmi culturali nel 17° secolo.
La letteratura barocca fu ancora più segnata da differenze relative alla derivazione sociale e geografica degli scrittori. Dai ceti plebei e medio-bassi delle città provenivano i poeti popolareschi e satirici, spesso nascosti dietro l’anonimato o bizzarri pseudonimi, facenti parte della cosiddetta literatura mieszczańska («letteratura borghese») o della literatura sowiżdrzalska (dal nome di Sowiźdrzał, l’Eulenspiegel polacco). A esse si opponeva la letteratura ‘alta’, sia nella sua variante nobiliare-sarmatica, rappresentata da H. Morsztyn, W.H. Kochowski, S. Twardowski e soprattutto dal prolifico W. Potocki, sia nella variante magnatizia e cortigiana, cui appartengono scrittori di estrazione alto-nobiliare come J.A. Morsztyn e S.H. Lubomirski. Questi ultimi, assieme all’anonimo traduttore dell’Adone, possono essere peraltro considerati i maggiori rappresentanti del marinismo che influenzò, anche indirettamente, parte della poesia polacca del Seicento, come testimoniano D. Naborowski per la lirica e S. Twardowski per l’epica. Al modello di G. Marino si richiamò anche, nei suoi trattati di retorica e poetica, il gesuita M.K. Sarbiewski, poeta latino di fama europea, tanto da meritare l’appellativo di Orazio sarmatico, e, assieme a E. Tesauro e B. Gracián, fra i maggiori teorici del concettismo barocco. Nello stesso periodo, mentre le numerose opere storico-politiche di S. Starowolski tentavano di presentare all’Europa l’immagine di una nuova Polonia culta, prendeva piede l’ideologia del sarmatismo, con i suoi eccessi (il francescano W. Dembołęcki era certo che Adamo ed Eva parlassero in polacco), ma anche con i suoi frutti letterari più belli, come i Pamiętniki («Memorie») di J.C. Pasek, riscoperti in età romantica e da allora venerati come monumento della mentalità e della civiltà della piccola nobiltà sarmatica. Anche la produzione satirica di due magnati come i fratelli K. e Ł. Opaliński (pur con accenti da taluni ritenuti preilluministici) è in fondo variante ‘alta’ di quella stessa cultura e mentalità.
Il periodo del tardo 17° sec. e del primo 18°, detto spregiativamente notte sassone (la casa di Sassonia regnava allora anche in Polonia con Augusto II e Augusto III) e denigrato dagli intellettuali del successivo periodo stanislaviano, specie per il maccheronismo dominante nella prosa, è stato poi rivalutato come fase di ricerca e di sperimentazione preilluministica. Nelle opere di E. Druźbacka e W. Rzewuski si fa sentire l’influsso dell’Arcadia italiana, mentre il modello metastasiano influenza i drammi di J.A. Załuski, fondatore della prima biblioteca pubblica polacca. Altre istituzioni culturali, scientifiche e letterarie del periodo annunciano la nuova età dei Lumi, come la nascita di una nuova editoria e del teatro ‘borghese’, che avrà la sua migliore espressione nelle commedie di F. Zabłocki. Di particolare importanza è la fondazione, per opera dello scolopio S. Konarski, del Collegium nobilium (1740), tappa fondamentale nel dibattito pedagogico settecentesco che sfociò nella creazione della Commissione per l’educazione nazionale (1773), primo ministero per l’Istruzione pubblica in Europa. Nei trattati politici del ‘re filosofo’ Stanislao Leszczyński troviamo temi utopistici cari a tutto l’illuminismo europeo.
Con l’ascesa al trono di Stanislao Augusto Poniatowski (1764) furono il re stesso e la sua cerchia a farsi portavoce del partito delle riforme e di una letteratura impegnata, moralistica e didattica, improntata ai dettami di un’estetica classica non dogmatica, teorizzata per esempio nell’opera, ispirata a N. Boileau, di F. Dmochowski. A questo programma aderirono F. Bohomolec, A.S. Naruszewicz e S. Trembecki, mentre massimo esponente della letteratura illuminista polacca, al di sopra delle sue varie correnti, è da considerarsi I. Krasicki, che tra l’altro con i suoi romanzi utopistici diede avvio alla narrativa polacca moderna. Al classicismo propugnato dalla corte varsaviana si contrapposero, non solo letterariamente, scrittori come F. Karpiński, J. Szymanowski e F.D. Kniaźnin, legati ai Czartoryski della corte di Puławy e rappresentanti della nuova temperie sentimentalista e rococò, non aliena tuttavia da suggestioni classiciste e perfino tardobarocche. Queste ultime si rafforzarono, con un significativo ritorno al sarmatismo nelle Pieśni Konfederacii barskiei («Canti dei Confederati di Bar», 1768-71), allorché, alla vigilia delle tre successive spartizioni del regno, la situazione politica andò precipitando; la letteratura si propose allora come baluardo della stessa indipendenza nazionale. L’illuminismo assunse una vena marcatamente patriottica nelle opere di S. Staszic e H. Kołłątaj; nell’agitazione giacobina di J. Jasiński; nel teatro di W. Bogusławski, che trasformò il suo melodramma Krakowiacy i górale («I cracoviani e i montanari», 1794) in un vero e proprio incitamento all’insurrezione; nei canti dei legionari polacchi all’estero, fra i quali il più celebre è Mazurek Dąbrowskiego («Mazurka di Dąbrowski», 1796), che diventerà poi l’inno nazionale polacco; nei canti storici di J.U. Niemcewicz, nel messianesimo slavofilo della poesia di J.Polonia Woronicz, con il quale si annuncia l’imminente rivoluzione romantica.
La letteratura immediatamente successiva alle spartizioni del regno si divise fra suggestioni tardo- o neoclassicistiche, evidenti in K. Koźmian, e preannunci del Romanticismo, soprattutto nell’opera di K. Brodziński, primo professore di letteratura polacca nell’università di Varsavia, fondata nel 1816. La catastrofe politica del 1795 non riuscì dunque a soffocare del tutto lo spirito dell’illuminismo, almeno nella ricerca scientifica e storica. A partire dal 1800, anno di fondazione dell’Associazione degli amici delle scienze, la generazione sopravvissuta all’ultima spartizione cercò con passione e tenacia di salvare e rafforzare i fondamenti della nazionalità, a cominciare dalla lingua e dai monumenti della cultura. Di questa generazione fecero parte J. Potocki, celebre come narratore ma autore anche di notevoli opere di archeologia e antropologia, e S.B. Linde, che tra il 1807 e il 1814 pubblicò il suo Słownik ję zyka polskiego («Dizionario della lingua polacca», 6 vol.). La letteratura prese via via coscienza del valore patriottico insito nel richiamo alle tradizioni popolari; la raccolta di Ballady i romanse («Ballate e romanze», 1822) di A. Mickiewicz, con cui si è soliti datare l’inizio del Romanticismo polacco, è una rivendicazione del profondo attaccamento del popolo polacco alla propria terra. Il Romanticismo favorì peraltro lo sviluppo di scuole letterarie regionali, fra cui primeggiò la scuola ‘ucraina’ dei tre giovani poeti A. Malczewski, S. Goszczyński e J.B. Zaleski.
La brutale repressione dell’insurrezione del 1830-31 segnò una svolta fondamentale anche nella vita culturale e artistica, dando avvio al fenomeno dell’emigrazione di letterati e uomini di cultura. Nella ‘grande emigrazione’, soprattutto parigina, si ritrovano i vati della triade romantica Mickiewicz, J. Słowacki e Z. Krasiński, che in vari modi comunicarono all’Europa la frustrazione e al tempo stesso l’orgoglio della nazione-martire. Nel suo solitario esilio di Bruxelles lo storico J. Lelewel proseguì i suoi studi sull’origine autoctona del sistema ‘democratico’ polacco, mentre in Francia i filosofi J.M. Wroński-Hoene e A. Towiański approfondirono la dottrina del cosiddetto messianismo polacco. Autore isolato, il più giovane dei grandi poeti romantici, C.K. Norwid resterà sconosciuto fino all’inizio del 20° sec., quando sarà riscoperto da Z. Przesmycki, redattore della rivista modernista Chimera. La letteratura ‘interna’ del periodo 1831-63 si distingue da quella dell’emigrazione per il minore slancio e il minor rilievo delle personalità artistiche: se il filone messianico è rappresentato da K. Ujejski, quello popolaresco da T. Lenartowicz e il regionalismo poetico da W. Pol, è forse con il teatro di costume di A. Fredro e i romanzi storici di H. Rzewuski e del prolifico J.I. Kraszewski che la letteratura romantica interna conosce i suoi momenti migliori, preannunciando nel contempo i limiti e le linee della propria evoluzione successiva.
La fallita insurrezione del 1863 distrusse le illusioni del Romanticismo eroico, costringendo gli uomini di cultura a un impegno più pragmatico e minuto. Il maggior teorico del positivismo polacco fu A. Świętochowski, e se in filosofia fungevano da referenti il pensiero di A. Comte e il darwinismo, in campo storico dominava un certo scientismo realistico (e lealista), mentre in letteratura prevaleva l’ideologia di un moderato patriottismo, da coltivare soprattutto attraverso il romanzo. Così, mentre la poesia nell’opera di A. Asnyk e M. Konopnicka abbassava il volo rispetto al misticismo e al tirtaismo tipici dell’età romantica, nei romanzi di B. Prus ed E. Orzeszkowa le questioni più spinose dell’epoca postinsurrezionale vennero affrontate con finezza di analisi e di scrittura, e nel romanzo storico eccelse H. Sienkiewicz, autore del celebre Quo vadis? (1896) e primo premio Nobel per la letteratura polacca (1905).
Se il positivismo si connotò come reazione al Romanticismo, la corrente successiva, che dominò dall’ultimo decennio del 19° sec. fino alla Prima guerra mondiale e che va sotto il nome di Młoda Polska («Giovane Polonia»), fu a sua volta una reazione al positivismo caratterizzata da aspetti neoromantici, decadenti e simbolisti. Referenti filosofici divennero A. Schopen;hauer, F. Nietzsche e H.-L. Bergson, mentre principale esponente del pensiero polacco di questo periodo fu S. Brzozowski. La poesia e il teatro ripresero il sopravvento sulla narrativa, che ebbe i maggiori rappresentanti in S. Żeromski, W. S. Reymont, W. Berent e W. Orkan; nelle loro opere il realismo del romanzo positivistico assume tinte naturalistiche o lirico-pietistiche, soprattutto nella rappresentazione della vita dei ceti più umili. Caratteristica della Giovane Polonia fu tra l’altro la riscoperta delle culture contadine e montanare e l’ambientazione nei Tatra di molte opere. Nella poesia, accanto alla profonda ansia morale di J. Kasprowicz, si manifestò la tendenza, evidente in K. Tetmajer Przerwa, verso un impressionistico pessimismo, che giunse fino a un decadentistico amoralismo nell’opera di S. Przybyszewski, vero teorico della nuova corrente (Confiteor, 1899) con le sue dottrine dell’«anima nuda» e dell’arte per l’arte. Nello stesso periodo scrivevano già due poeti come B. Leśmian e L. Staff, che in modi diversi segnarono tutta la lirica del Novecento polacco. Nel teatro dominò la figura di S. Wyspiański, celebre anche come pittore.
Benché alcune tendenze d’avanguardia fossero già presenti prima del 1918 – come l’espressionismo di Poznań’, di cui fu portavoce la rivista Zdrój («La sorgente») e che ebbe il maggiore rappresentante in J. Wittlin – è con la fine della Prima guerra mondiale e il ritorno all’indipendenza che la vita culturale conobbe una svolta, segnata dalla nascita di nuove riviste, nuovi gruppi e nuove correnti. I caffè e i cabaret letterari, dominati dalla figura del poliedrico T. Żeleński Boy, divennero i centri della creazione artistica. Se la breve esperienza dei due gruppi futuristi, capeggiati a Cracovia da B. Jasieński e a Varsavia con inclinazioni quasi dadaiste da A. Wat, è rappresentativa del rivolgimento in atto anche in campo letterario, è il gruppo della rivista Skamander che attira attorno a sé i maggiori poeti del ventennio tra le due guerre: M. Pawlikowska Jasnorzewska, J. Tuwin, K. Wierzyński, J. Iwaszkiewicz, A. Słonimski, J. Lechoń. Dal 1923, al tradizionalismo di Skamander si oppose, con maggior fortuna che non il futurismo, la rivista Zwrotnica («Lo scambio»), organo dell’avanguardia cracoviana guidata da T. Peiper; alla sua poetica costruttivista aderirono poeti la cui influenza si protrarrà fin dopo la Seconda guerra mondiale, come J. Przyboś e J. Brzękowski.
Il continuo peggioramento della situazione sociopolitica dopo il putsch del 1926 chiuse definitivamente esperienze di stampo rivoluzionario come quella dei poeti comunisti capeggiati da W. Broniewski. Il conseguente clima di sfiducia e pessimismo sfociò negli anni 1930 nel catastrofismo della ‘seconda avanguardia’, rappresentata dalla rivista Żagary («Fascine») di Vilnius, dove pubblicarono J. Zagórski e il giovane C. Miłosz, nonché dal visionarismo profetico di un grande isolato come J. Czechowicz. La prosa tra le due guerre è dominata da S.I. Witkiewicz, B. Schulz e W. Gombrowicz, che affrontano, in modi assai diversi, questioni centrali della letteratura primo-novecentesca: l’identità e le angosce dell’individuo di fronte alla società massificata, il difficile rapporto con la tradizione, la nostalgia per l’infanzia. Di stampo più tradizionale è l’opera delle narratrici Z. Nałkowska, M. Dąbrowska e M. Kuncewiczowa, mentre un fenomeno di cassetta non privo di qualità letterarie è rappresentato dai romanzi di S. Piasecki. Nel teatro la figura principale è ancora Witkiewicz, che con il suo mondo stralunato e distorto e con i suoi personaggi archetipi di un’umanità insaziabile e disperata esercitò un enorme influsso su tutto il dramma polacco del Novecento.
La letteratura clandestina del periodo 1939-45 diede avvio a temi (la guerra, l’antifascismo e l’anticomunismo, la questione ebraica e la shoah) che ricorsero poi quasi ossessivamente nelle migliori opere dei decenni successivi. Fra i poeti che esordirono in questo periodo si segnala K.K. Baczyński, morto sulle barricate nell’insurrezione di Varsavia.
Tale periodo fu caratterizzato in primo luogo dalla divisione fra una ‘letteratura interna’ (che non si è potuta esimere da un confronto, a volte servile, più spesso conflittuale, con il potere comunista) e una letteratura dell’emigrazione (anch’essa con evidenti, ma non sempre vincolanti, implicazioni politiche). I maggiori centri dell’emigrazione furono in Europa Parigi e Londra, dove gli scrittori fuoriusciti pubblicavano su periodici e in volumi che arrivavano poi più o meno clandestinamente in Polonia. A partire dalla seconda metà degli anni 1970 sorse invece un circuito editoriale clandestino all’interno del paese che, oltre a pubblicare scrittori dissidenti o comunque non allineati al regime, ristampava anche opere apparse all’estero.
Dopo il primo periodo di assestamento del nuovo regime (1945-49), la storia letteraria della Polonia popolare (e, fatte le dovute distinzioni, della stessa letteratura dell’emigrazione) si può suddividere in tre fasi, scandite da eventi storico-politici che ebbero impatto decisivo anche sulla vita culturale: il primo periodo (1949-56) dominato dalla poetica coatta del realismo socialista, il cui canone fu fissato dal congresso di Stettino dell’Associazione dei letterati polacchi (1949); il secondo (1956-76) costituito dalla fase del ‘disgelo’ e da un susseguirsi di aperture e di chiusure del regime nei confronti della cultura, e di conseguenti compromessi e rotture da parte degli scrittori; il terzo (1976-89) segnato dal progressivo affrancamento degli scrittori dalle pressioni della censura (abolita nel 1990) e dalla frequente sperimentazione, sia in prosa sia in poesia, di generi ‘bassi’ e ‘parlati’ (diario, reportage, intervista ecc.).
Nella prosa dell’immediato dopoguerra i temi della guerra, dell’occupazione e della persecuzione antisemita furono ovviamente dominanti, né in fondo cessarono di esserlo almeno fino alla pubblicazione del capolavoro di M. Białoszewski Pamiętnik powstania warsawskiego («Diario dell’insurrezione di Varsavia», 1970), trovando poi echi in alcuni romanzi di A. Szczypiorski. I racconti e i romanzi prima di Iwaszkiewicz, della Nałkowska e poi di J. Andrzejewski, A. Rudnicki, G. Herling-Grudziński, R. Bratny, T. Borowski e H. Grynberg rappresentano il meglio della narrativa polacca su questi temi, mentre i problemi della società postbellica vennero toccati con finezza aliena dal dogmatismo dominante in alcune opere di I. Newerly e K. Brandys, quest’ultimo poi evolutosi verso una narrativa psicologica assai varia per forme e per temi. Nello stesso periodo T. Parnicki elaborò un nuovo tipo di romanzo storico. Nella poesia i dettami del realismo socialista si tradussero in un certo classicismo d’intonazione elegiaca nei versi di K.I. Gałczyński, già ottimo poeta satirico nel periodo tra le due guerre, di Staff, J. Tuwim e altri poeti della vecchia generazione, mentre fra quelli della generazione successiva si distinse T. Różewicz, tuttora considerato tra i massimi poeti polacchi. Nel teatro i nomi principali furono quelli di L. Kruczkowski e J. Szaniawski.
Oltre a dar adito a una ‘letteratura della resa dei conti’, in cui rientra per es. il celebre Poemat dla dorosłych («Poema per adulti», 1955) di A. Ważyk, la successiva fase portò anche a una serie di debutti reali o ‘ritardati’: è il caso della pubblicazione in Polonia delle opere di Gombrowicz, del ritorno alla poesia dell’ex futurista Wat, ora dolente esistenzialista, e del profilarsi all’orizzonte della triade principale della poesia polacca contemporanea, formata da Miłosz, W. Szymborska e Z. Herbert. Nella prosa si affacciarono anche i nomi di scrittori in seguito universalmente riconosciuti, come A. Kuśniewicz, J. Stryjkowski e M. Hłasko. Un fenomeno a sé stante è costituito dal successo, anche internazionale, di S. Lem, maestro della letteratura di fantascienza, e di S.J. Lec, con i suoi graffianti e raffinati aforismi. Nel teatro è sempre nella fase del disgelo che iniziarono la loro sperimentazione due capiscuola come T. Kantor e J. Grotowski, mentre nel cinema cominciarono a emergere A. Wajda e R. Polański. A dominare la drammaturgia di questo periodo è S. Mrożek, che nelle sue commedie satirico-grottesche riesce a elevare miserie e pregi della Polonia contemporanea ad allegorie universali.
Gli anni 1970 e 1980, se in poesia segnano il ritorno alla sperimentazione linguistica, soprattutto nei versi ‘ribelli’ dei poeti del gruppo Nowa fala («Nuova ondata»), capeggiati da S. Barańczak e A. Zagajewski, hanno lanciato anche bagliori imprevisti: è il caso della poesia religiosa e umanissima di J. Twardowski e della prosa memorialistica del vecchio Wat, dell’ormai quasi italiano Herling-Grudziński e dello stesso Miłosz. Ma anche scrittori e poeti delle generazioni più giovani hanno imboccato una strada in prevalenza memorialistica e ‘dialogica’, testimoniando in questo modo la propria partecipazione al difficile processo di rimozione delle ferite del recente passato e di costruzione di un avvenire assai incerto.
La letteratura polacca della fine del 20° sec. ha contribuito al processo di trasformazione culturale e sociale che ha segnato la transizione dal regime comunista alla Polonia postcomunista. Il conferimento del Nobel prima a Miłosz nel 1980 e poi, nel 1996, a Szymborska ha fatto conquistare definitivamente alla poesia polacca contemporanea una posizione di rilievo internazionale. Dopo la disfatta elettorale del regime (4 giugno 1989) e l’instaurazione di un sistema politico democratico e pluralista, per lo sviluppo del sistema letterario contemporaneo ha giocato un ruolo importante la cancellazione, quasi completa, della distinzione fra la letteratura polacca interna e quella dell’emigrazione; in tal modo scrittori dell’emigrazione come Wat o Herling-Grudziński hanno definitivamente recuperato il loro ruolo di maestri per gran parte delle generazioni più giovani. Negli anni 1990, tuttavia, è l’emigrazione per ragioni economiche a divenire un tema ricorrente nella letteratura, nel cinema e nel teatro, come testimonia il dramma esistenzialista Antygona w Nowym Yorku («Antigone a New York», 1992) di J. Głowacki. Nella prosa, oltre al nuovo interesse per la memorialistica e alla fortuna di generi paraletterari come il reportage, che trova la sua migliore espressione nelle opere di R. Kapuściński (Imperium, 1993), emergono opere narrative di impianto e tematiche ancora tradizionali, come la ‘prosa contadina’. Mantiene invece vitalità anche nell’ultima generazione di scrittori, proseguendo una tradizione ormai plurisecolare, la tematica dei kresy, le multietniche terre orientali perdute dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale, rievocate con nostalgia nei romanzi di A. Kuśniewicz e I. Newerly. Anche la letteratura di ambientazione ebraica mantiene un notevole rilievo, non solo sullo sfondo della memoria degli eventi bellici, come nella prosa di H. Krall, A. Szczypiorski, H. Grynberg, J.M. Rymkiewicz, ma affrontando anche la questione dell’ebraismo polacco in termini esistenziali e ontologici, come nel romanzo di B. Wojdowski Chleb rzucony umarlym («Pane gettato ai morti», 1971), o sviluppando motivi biblici e giudaici, come nelle opere narrative di Kuśniewicz o di Stryjkowski.
Nell’ambito della generazione più giovane si impone progressivamente una narrativa spesso definita postmoderna. In questo contesto si collocano il romanzo di successo Panna Nikt («Signorina Nessuno», 1994) di T. Tryzna, da cui Wajda ha tratto il film omonimo (1996), e i romanzi brevi di M. Gretkowska, My zdies´ emigranty (in russo, «Noi qui siamo emigranti», 1992), Kabaret metafizyczny («Cabaret metafisico», 1994). Accanto a Gretkowska emergono altre esponenti della nuova prosa femminile degli anni 1990: I. Filipiak e O. Tokarczuk, provenienti dall’ambiente legato alla rivista underground bruLion («Brutta copia»); M. Świetlicki (Zimne kraje «Paesi freddi», 1992; Schizma «Scisma», 1994) e R. Tekieli (Nibyt «Quasi essere», 1993). La loro lirica, che si ispira al minimalismo del poeta statunitense F. O’Hara, si contrappone sia alla poesia impegna;ta della precedente generazione poetica nata sull’onda della contestazione del Sessantotto polacco, sia al neoclassicismo di altri notevoli poeti nati tra il 1960 e il 1972, quali J. Mikołajewski, K. Koehler, J. Klejnocki, R. Mielhorski, e in particolare W. Wencel, la cui poesia (Wiersze «Poesie», 1995; Oda na dzien sw. Ceczlii «Ode per la ricorrenza di Santa Cecilia», 1996) ha suscitato grande attenzione. Nel panorama della poesia, insieme a Szymborska e Miłosz, hanno un posto di rilievo Z. Herbert, con le sue raccolte poetiche, tra cui l’ultima Epilog burzy («La fine della tempesta», 1998), e T. Różewicz (Zawsze fragment «Sempre un frammento», 1996). In campo drammaturgico si segnala ancora la produzione di Mrożek (rientrato nella sua Cracovia dopo un lungo, volontario esilio), che dopo aver scritto nei primi anni 1980 pièces d’impegno civile e morale (Ambasador «L’ambasciatore», 1982; Alfa, 1984) è passato a un tipo di commedia più meditativa ed esistenziale (Kontrakt «Il contratto», 1986), approdando al filone epico-lirico con la commedia in tre atti sulla Russia novecentesca Miłość na Krymie («Amore in Crimea», 1994), continuando tuttavia a percorrere le strade degli esordi in cifra comico-grottesca, come nella commedia I reverendi, rappresentata in anteprima mondiale a Genova nel febbraio del 2001 con la collaborazione di J. Stuhr.
Le più antiche testimonianze artistiche risalgono al Paleolitico e al Mesolitico (figurine femminili, oggetti d’osso con incisioni). Dell’età del Bronzo sono stati scoperti agglomerati con case di legno. Oggetti di metallo provengono dalla Scizia e dai Celti insediatisi nelle terre boeme. Nei primi secoli d.C. si importavano anche prodotti romani; verso il 5° sec. le invasioni barbariche portarono un notevole accrescimento di opere d’arte e di opere costruttive. Sorsero villaggi fortificati e le tracce delle costruzioni dimostrano una notevole tecnica lignea. Esiste anche una produzione locale di argenteria e di oreficeria (filigrane), che si distingue da quelle degli altri popoli barbarici.
Dal 966, con la conversione ufficiale del paese al cristianesimo, cominciarono a sorgere chiese di pietra: la fase preromanica dura fino al 1040; sorsero cattedrali di tipo basilicale (resti a Poznań, a Cracovia), chiese a pianta centrale (cappella rotonda e resti di un palazzo a Przemyśl). Il periodo romanico dura fino alla metà del 13° secolo. Influssi artistici giunsero dalla Sassonia, dalla Renania e dalla Mosa, dalla Borgogna, dall’Italia. Il romanico si arrestò sulla linea Vistola-San, confine più orientale raggiunto da tale stile: chiese di Czerwińsk, Łęczyca, Opatów, Płock, Strzelno; la più significativa è la seconda cattedrale di Cracovia (1090-1142), di cui si conserva la bella cripta di S. Leonardo. Tra le notevoli costruzioni cistercensi del 13° sec., che introdussero in Polonia la volta a costoloni, figurano le abbazie di Sulejów e Mogila. La chiesa di S. Giacomo a Sandomierz costituisce l’esempio più antico di costruzione e decorazione lombarda in Polonia. Fra il 14° e il 16° sec. si sviluppò lo stile gotico, d’influsso francese a S e a Cracovia, tedesco a N; esso influì anche sulle chiese di rito greco, di regola in stile bizantino, e sulle chiese rustiche in legno, risalenti ad antiche tradizioni slave.
Tra i monumenti della scultura romanica sono da ricordare le porte bronzee del duomo di Gniezno (1129-37), provenienti da Magdeburgo; gotici (14°-15° sec.) sono i sepolcri della dinastia dei Piasti a Breslavia, Cracovia ecc. Nel 14° sec. fiorì la scultura in legno; dal 1477 al 1496 V. Stoss lavorò a Cracovia, che divenne un importante centro artistico. I più antichi monumenti di pittura sono codici miniati dell’11° sec. (codice detto di Pułtusk e due evangelari di Gniezno); nel 15° sec. si distinse in questo campo la scuola di Cracovia, sensibile a influssi tedeschi e fiamminghi oltre che boemi. Sotto l’influsso italiano si sviluppò la pittura murale nel 14° secolo. Nel castello di Lublino (1415) e nella cattedrale armena di Leopoli vi sono opere di pittori bizantini che però non influirono sullo sviluppo dell’arte polacca, rimasta sempre occidentale.
All’inizio del 16° sec. la Polonia fu uno dei primi paesi ad accogliere il Rinascimento italiano e i suoi artisti (Palazzo reale di Cracovia, di Franciscus Italus, 1510-16, e B. Berecci, 1522-37; Palazzo Vescovile di Cracovia di G.M. Mosca detto il Padovano ecc.). Monumenti del Rinascimento polacco sono i palazzi comunali di Tarnów, Sandomierz, Pabianice ecc. Nel 16° sec. fioriva ancora a Cracovia la miniatura, mentre Hans Süss von Kulmbach dipingeva grandi trittici per le chiese della città; numerosi gli scultori fiamminghi e italiani (G. Cini, G.M. Mosca, G. Canavesi, l’intagliatore G.I. Caraglio, S. Gucci, B. Ridolfi).
L’influsso italiano caratterizzò anche la produzione barocca: numerosi furono gli architetti italiani attivi a Leopoli (Polonia Romano, chiesa greca); a Cracovia (G. Bernardone, A. Spezza), con seguaci locali (B. Wąsowski, G. Zaor, A. Przybylski); ultimo monumento del barocco italiano è la chiesa di S. Anna a Cracovia (F. Solari). Notevole anche l’attività di architetti tedeschi e fiamminghi (cappelle di S. Casimiro a Vilnius, di Dankerts de Ry, 1656). L’architettura del tardobarocco (1700-40) si rivela sotto l’influsso di Dresda, per opera di architetti quali M.D. Pöppelmann, G. Chiaveri ecc. Sono anche attivi architetti italiani come G. Bellotto, Giuseppe Fontana e il polacco K. Bażanka, educato a Roma. Influenzato da F. Borromini è Polonia Ferrari da Roma. La Francia influì sull’architettura degli interni (boiséries di J.-A. Meissonier per i palazzi Bieliński a Varsavia e Czartorysky a Pułavy). Il rococò (1740-63) conta gli architetti G. Fontana, figlio di Giuseppe, J.Z. Deybel e il romano F. Placidi. Importante è l’architettura rococò di Leopoli (B. Merettini, Jan de Witte), di Vilnius (J.K. Glaubitz e A. Osikiewicz). In età barocca è da ricordare l’opera di C. Tencalla e C. Molli (colonna di re Sigismondo a Varsavia, 1644), dei tedeschi H. Horst e J. Pfister, mentre nel periodo rococò lavorarono specialmente decoratori polacchi. Nei sec. 17°e 18° furono attivi in Polonia numerosi pittori stranieri, fra cui gli italiani G.B. Lampi e B. Bellotto, ma non mancarono polacchi, specialmente ritrattisti, ricollegantisi in parte alle scuole italiane, in parte a quelle francesi (T. Konicz, G. Peszka ecc.).
Nel periodo dell’‘illuminismo polacco’ (regno di Stanislao Augusto Poniatowski, 1764-95), affiorarono contatti con le tendenze neoclassiche francesi (neoclassicismo polacco o stile Stanislao Augusto). Tra gli architetti neoclassici, notevoli W. Gucewicz (cattedrale di Vilnius), J. Kubicki (palazzo del Belvedere a Varsavia), e gli italiani A. Corazzi (teatro di Varsavia), M. Bacciarelli, D. Merlini. E. Szreger e S.B. Zug lavorarono soprattutto per l’aristocrazia e la ricca borghesia, elaborando il tipo dell’abitazione borghese di Varsavia e della villa suburbana moderna. Nei sec. 19° e 20° si praticarono poi gli stili storici. Nella scultura del 19° sec., a un neoclassicismo ispirato a B. Thorvaldsen e A. Canova (M. Guyski) seguì un realismo di stampo francese. Dall’inizio del 19° sec., la pittura tese a contenuti patriottici (M. Stachowicz, A. Orłowski, Polonia Michałowski, J. Matejko) e pose l’accento sul motivo folcloristico, pur non escludendo l’influsso dell’arte dell’Europa occidentale. Più tardi anche gli impressionisti polacchi ricercheranno temi nazionali.
Dopo le tremende distruzioni della Seconda guerra mondiale si ebbero vaste realizzazioni urbanistiche, sia di restauro (centri storici di Varsavia, Breslavia, Danzica) sia di creazione di nuovi complessi residenziali, edifici, zone industriali, talora discutibili (come il grattacielo del palazzo della Cultura e delle Scienze, a Varsavia), più spesso assai apprezzabili, come le numerose opere di M. Nowicki, J. Nowicki, H. Skióniewska, T. Zieliński, J. Soltan, Z. e O. Hansen. Tra tali realizzazioni: la stazione centrale e l’asse di scorrimento Trasa Łazienkowska a Varsavia, il palazzo dello Sport a Katowice, la città universitaria a Toruń, il restauro del Castello Reale e del castello di Ujazdow a Varsavia, il complesso religioso S. Spirito a Nowe Tychy-Zwakowo. Venute meno le influenze esercitate sul linguaggio architettonico dal sistema socialista, la Polonia godette dell’arrivo di nuove committenze: ricomparvero archetipi della tradizione costruttiva polacca, come pure linguaggi formali neocubisti e neomoderni, interpretazioni dell’espressionismo e realizzazioni ispirate al simbolismo. Tra gli esponenti delle tendenze postmoderne, decostruzioniste o neomoderniste si ricordano: R. Loegler (porta della Città dei morti a Cracovia, 1998, e accademia di Economia, università di Cracovia, 1999); Studio DDJM (formato nel 1991 da M. Dunikovski, A. Jasinski, W. Mieczinkovski, A. Necinski, J. Loos, J. Kutniowski, Polonia Uherek: complesso di abitazioni a Cracovia, 1994; filiali di Tarnov e di Cracovia della Banca Handlowy Varsavia, 1996 e 1997); Studio JEMS (J. Dzikowski, O. Jagiello e M. Milobedzki: complesso per uffici Victoria a Kasprzaka, 1998; complesso residenziale, 1993; Sede Centrale Agora, 2002, a Varsavia).
Dopo la Prima guerra mondiale il contributo polacco all’arte contemporanea fu notevole. Il gruppo «Formismo» (Cracovia, 1917-22), in parte influenzato dal futurismo e dal cubismo, reagì alla ‘Secessione’ viennese; seguirono i gruppi Rytm (1921) e Blok (1924, M. Szczuka, W. Strzemiński, H. Stażewski, H. Berlewi, K. Kobro), continuato dal gruppo Prezens e da quello dei giovani di Cracovia, d’indirizzo astrattista. Nei primi anni 1930, l’inaugurazione del Museo di arte moderna di Toolz e l’attività dei Kapisti, che avevano studiato a Parigi, allargarono l’orizzonte del paese in senso decisamente moderno. Notevole in questo periodo il rinnovamento dell’artigianato tessile, la cui tradizione risale al 16° sec., di quello della ceramica, dell’incisione in legno.
Dopo la Seconda guerra mondiale, accanto a un’arte rigidamente legata al nuovo regime socialista, la pittura polacca mantenne una pluralità di linguaggi ispirati in parte dalla cultura occidentale. Anche se alcuni artisti continuarono sulla via del figurativismo e del colorismo di gusto naturalistico, l’espressionismo astratto si impose con T. Brzozowski, S. Gierowski, T. Dominik ecc. Vari gruppi d’avanguardia proseguirono, dagli anni 1940, le ricerche che tra le due guerre si erano polarizzate intorno alle figure di W. Strzemiński e S. Witkiewicz: Grupa młodych plastyków («Gruppo di giovani artisti»), 4F+r (forma, colore, fattura, fantasia+realismo), St 53 di Katowice, Grupa 55 di Varsavia, una scuola di surrealisti (K. Mikulski). Ma sempre più numerosi furono gli artisti che si dedicarono a happenings, spettacoli processo, emballages, alla problematica dell’ambiente. Un fenomeno analogo si verificò nel campo della scultura, che da opere di gusto classicistico e realistico passò a creazioni artistiche spaziali, plastiche pure, cinetiche, astratte, surrealiste, di pop art. Oltre a H. Stazewski, che continuò la sua ricerca sempre aperta a nuove esperienze, e a T. Kantor, ricordiamo J. Beres con i suoi ‘utensili’ ispirati alla quotidianità di riti e tradizioni, R. Opalka con quadri-rilievi monocromi riempiti di elementi omogenei, E. Krasinski, Z. Jurkiewicz, A. Starczewski, interessato alla serialità di unità (lettere, segni, oggetti), I. Pierzgalski, autore di environments con oggetti e proiezioni di diapositive, A. Strumillo, che al materiale pittorico unisce elementi fotografici e topografici, R. Winjarski, nelle cui opere gioca un ruolo importante il caso, J. Kucz, A. Ryszka. M. Abakanowicz, autrice di environments che hanno come mezzo espressivo fibre e tessuti, ha continuato la sua ricerca negli ultimi decenni del 20° sec. creando grandi sculture in legno, pietra e metallo.
La ricerca artistica, caratterizzata da un’intensa sperimentazione, si svolse negli anni 1970 lungo due direttrici: accanto alla nuova figurazione e al fotorealismo di J. Siennicki, di J. Switka e del gruppo Wprost («Direttamente», 1966) si svilupparono esperienze concettuali che trovarono nelle azioni filmate del Warsztat formy filmowej («Laboratorio della forma cinematografica», 1970) e nell’opera di J. Kozlowski, K. Wodiczko e Z. Kulik le espressioni più intense. Il tratto caratteristico del decennio successivo, segnato da profondi fermenti sociali, fu il rinnovato impegno politico che si condensò nel rifiuto del linguaggio della propaganda comunista e negli accenti di rivolta generazionale e ideologica segnati dal progressivo abbandono delle sedi espositive istituzionali o dalle azioni contestatrici di Pomaranczowa Alternatywa («Alternativa arancione»), spettacoli organizzati in strada e con la partecipazione popolare a Breslavia e a Varsavia (1986-88).
Il panorama dell’arte polacca della fine del 20° sec. appare ancora dominato da artisti i cui lavori sono profondamente radicati nell’avanguardia storica e nella neoavanguardia degli anni 1960. K. Wodziczko, che lavora soprattutto nell’America Settentrionale, costituisce un modello per la sua attenzione per il contesto sociale e per le sue singolari soluzioni visive. Negli anni 1980 gli artisti partecipano al dibattito sul postmodernismo e sviluppano il proprio interesse per nuovi mezzi espressivi: J. Robakowski, a Łodź, produce i primi video sperimentali e Z. Warpechowski, uno dei più significativi esponenti della performance europea, trova in quegli anni la sua maturità espressiva; I. Gu;stowska, pittrice, approda a un linguaggio multimediale con l’elaborazione di videoinstallazioni e videoperformance. L’orientamento verso nuovi mezzi espressivi (fotografia, video, cartelloni elettronici, televisione) comporta anche un’attenzione per la cultura di massa, i cui stereotipi sono rifiutati in modo provocatorio nell’opera di Z. Libera. L’interesse per la corporeità, altro elemento centrale della ricerca artistica, è alternativo allo stereotipo proposto dalla realtà virtuale dei mezzi elettronici. Le radici di questo atteggiamento rimandano alla performance e all’influenza di artisti quali W. Borowski, E. Cieslar e lo scultore G. Kowalski, allievo di O. Hansen, autore della teoria della ‘forma aper;ta’ (1959), che ha formato alcuni tra gli ar;tisti più significativi: Polonia Althamer, A. Zmijewski, K. Kozyra, i quali hanno spesso assunto atteggiamenti estremi nei confronti di convenzioni sociali o religiose. Nel complesso panorama dell’arte polacca va anche ricordato l’innovativo contributo all’arte grafica dato da artisti come Polonia Młodozeniec o M. Sobczyk.
Già dall’inizio del 2° millennio d.C., la musica in Polonia si sviluppò sia in ambito popolare sia in quello colto, soprattutto religioso. Risalgono al 13° sec. i primi testi in polacco di canti religiosi (natalizi, pasquali, mariani ecc.) e i primi documenti di una polifonia polacca (soprattutto organa). Tra i rari testi tramandati è il canto Bogurodzica (fissato nel 1408), divenuto l’inno dei cavalieri polacchi, che lo cantarono nella battaglia di Grünwald contro l’Ordine teutonico (1410). Nel Rinascimento un ruolo importante fu svolto dalle università e dalle corporazioni di musici (istituite dal 1549). Tra i primi autori polacchi vi furono Mikołaj Radomski (metà 15° sec. ca.), autore di musica sacra a più voci; Jan di Lublino (metà del 16° sec. ca.), redattore di un’importante intavolatura organistica, al quale dobbiamo inoltre danze di corte e popolari e un fondamentale trattato; Wacław di Szamotuły (1529-1572), le cui Lamentationes (Cracovia, 1553) hanno segnato l’avvio dell’editoria musicale polacca; Marcin Lwowczyk (1540-1589), autore di messe e mottetti. A corte furono spesso accolti musicisti stranieri, quali L. Marenzio, maestro di cappella di Sigismondo III, mentre un ruolo di rilievo fu svolto anche dalla cappella dei Rorantisti del castello di Wawel, a Cracovia.
Il melodramma barocco italiano approdò in Polonia con un certo ritardo, grazie alle opere di F. Caccini e M. da Gagliano; un melodramma polacco poté invece svilupparsi solo in seguito, soprattutto grazie all’impulso dato da Augusto II, che nel 1724 fece costruire a Varsavia il primo teatro d’opera pubblico. Nel corso del Settecento in Polonia si registrarono nuovamente importanti presenze straniere, quali quelle di G. Legrenzi; fiorente fu ancora la scuola locale degli organisti, alcuni dei quali furono allievi di G. Frescobaldi a Roma. Verso la fine del Settecento, in una Polonia divenuta terra di conquista e ormai prossima a perdere la propria indipendenza, apparvero le prime opere liriche nazionali, firmate da M. Kamieński e J. Stefani.
Ai primi dell’Ottocento si imposero i nomi di J. Elsner, autore di melodrammi e sinfonie, e di K. Kurpiński, direttore d’orchestra e compositore di melodrammi. Si svilupparono scuole musicali di canto e violino, nonché la letteratura pianistica, particolarmente gradita alla borghesia e ispirata a polacche e mazurche; prima virtuosa nazionale della tastiera fu Maria Szymanowska (1789-1831). Importante centro musicale divenne il conservatorio di Varsavia, istituito (1820) e diretto da Elsner, che fu anche maestro di F.F. Chopin. Quest’ultimo dimostrò sempre grande curiosità per il folclore della propria terra, come ampiamente testimoniato dalla sua straordinaria opera pianistica. Le difficili condizioni politiche resero problematica intorno alla metà del 19° sec. la vita musicale; tuttavia, lo spirito di resistenza e il patriottismo animarono l’opera di alcuni compositori, tra i quali emerse S. Moniuszko. A fine secolo si affermarono il compositore e virtuoso di violino H. Wieniawski, il pianista I.J. Paderewski e la clavicembalista W. Landowska.
Grandi fermenti di rinnovamento attraversarono i primi anni del 20° sec.; nel 1901 nacque la Filarmonica di Varsavia, mentre il teatro Wielki, sotto la direzione di E. Mlynarski, accolse anche la produzione contemporanea estera. Dal gruppo Młoda Polska («Giovane Polonia») emersero K. Szymanowski, aperto ai contemporanei esiti stilistici della musica europea del tempo, ma anche al folclore del suo paese, e L. Różycki. Il ritorno all’indipendenza politica nel 1918 segnò un’ulteriore ripresa nella vita musicale. Nel 1927 fu istituito il Concorso pianistico internazionale F. Chopin che ha visto laurearsi alcuni tra i maggiori concertisti contemporanei; nel 1935 nacque il Concorso violinistico H. Wieniawski. Nel secondo dopoguerra, con la Repubblica popolare seguita alla liberazione si ebbe una poderosa ripresa: nacquero le Edizioni musicali polacche, che vararono l’opera omnia di Chopin, e la casa discografica Polskie Nagrania, mentre la radio di Stato offrì un prezioso contributo alla diffusione della musica contemporanea. Tra i compositori, ottenne grandi riconoscimenti W. Łutosławski, creatore originale e linguisticamente aggiornato. Il crescente interesse per la musica contemporanea sfociò nel 1956 nell’istituzione del festival internazionale Autunno di Varsavia, voluto dai compositori T. Baird e K. Serocki (1922-1981). Un ruolo a parte ricopre, per la sua fama internazionale, K. Penderecki, autore di opere di grande ispirazione religiosa. Tra i compositori delle generazioni successive si sono infine distinti M. Stakowski, Z. Bargielski e Polonia Szymanski.