Stato dell’Asia sud-occidentale. Il territorio si affaccia sul Mediterraneo con un tratto costiero di 160 km e si allarga all’interno verso E e verso S per più di 600 km; confina con la Turchia a N, con l’Iraq a E, con la Giordania a S; a SO, in corrispondenza della costa orientale del Mare di Galilea e delle alture del Golan, tocca i territori occupati dallo Stato di Israele; a O, circonda per due lati il Libano.
Il territorio dello Stato partecipa a tre unità geomorfologiche ben distinte e cioè alla regione costiera mediterranea, all’altopiano arabico e al bassopiano della valle superiore dei fiumi Tigri ed Eufrate (Mesopotamia). La regione costiera, che si spinge all’interno da 60 a 100 km, è formata da una stretta pianura lungo il Mediterraneo e dalle alture che prolungano verso N le pieghe del Libano e dell’Antilibano: le altezze maggiori si registrano nella catena dei Monti Ansariyya con una media di 1200-1500 m; i rilievi interni sono solcati, da N a S, dal prolungamento settentrionale della fossa tettonica del Giordano e del Mar Morto e sono separati da una valle (al-Ghab), percorsa dal fiume Oronte. Il clima della regione costiera è di tipo mediterraneo, con precipitazioni che si attestano sui 700 mm annui nella pianura litoranea, mentre superano i 1000 mm nella parte montuosa. L’altopiano arabico, nella sezione meridionale del paese, è limitato a O dai rilievi del Golan, del Monte Hermon (2814 m) e dell’Antilibano, mentre a S, al confine con la Giordania, è dominato dal massiccio del Gebel Druso (1800 m). L’altopiano ha possibilità di irrigazione solamente nella sezione compresa fra l’Antilibano e il Gebel Druso, mentre il resto è per gran parte arido, con una vegetazione naturale di tipo steppico. La regione più interna del bassopiano percorso dai due grandi fiumi mesopotamici (la S. è interessata al bacino dell’Eufrate, che attraversa quasi al centro il bassopiano, mentre il Tigri segna solamente, per un breve tratto, il confine con l’Iraq e la Turchia) è completamente arida, con deserti di rocce laviche o di dune sabbiose, e può essere coltivata solamente nelle aree rivierasche del Tigri, dell’Eufrate e dei loro tributari, tra cui il più importante è il Khabur.
Gruppo etnico e culturale dominante è quello arabo (86,2%); tra le minoranze, il ceppo più numeroso è quello dei Curdi (7,3%), stanziati nell’area nordorientale del paese, cui seguono gli Armeni (2,7%), insediati prevalentemente nelle città. Il tasso annuo di accrescimento della popolazione è elevato (2,1% nel 2009), anche se in costante diminuzione rispetto ai decenni passati (4,4% negli anni 1980 e 3,4% negli anni 1990). Notevole, anche se più contenuto di un tempo, il flusso migratorio in direzione dei paesi europei industrializzati, dei paesi arabi produttori di petrolio e del continente americano. In costante crescita è la popolazione urbana, che ha raggiunto nel 2008 il 54% del totale. La distribuzione demografica si presenta decisamente squilibrata: a Damasco (la cui agglomerazione nel 2006 ospitava 2.875.000 ab.), alle grandi oasi, ai bacini irrigui del versante interno dei rilievi della regione costiera e della valle dell’Eufrate si contrappone un’alta percentuale di territori del tutto disabitati o popolati soltanto da nomadi. Oltre alla capitale, altri centri importanti sono Aleppo, Laodicea e Homs.
Accanto all’arabo, lingua ufficiale, sono diffusi il curdo e l’armeno, parlati dalle rispettive minoranze, mentre l’antico linguaggio aramaico è utilizzato ormai solamente in pochi villaggi. Religione largamente prevalente è l’islamismo sunnita (praticato dal 74% della popolazione), cui si affiancano le sette islamiche dei drusi (3%) e quella di rito sciita degli alauiti (12%); tra le minoranza non islamiche, i cristiani (5,5% in totale, fra cattolici romani, cattolici greci, cattolici armeni, nestoriani, greco-ortodossi, armeno-ortodossi, giacobiti, maroniti), e piccoli gruppi di Ebrei.
L’economia siriana è pesantemente condizionata da un lato dalle difficili condizioni ambientali, dall’altro dall’instabilità politica della regione mediorientale e dalla perdurante tensione con Israele, che ha portato le spese militari ad assorbire larga parte del bilancio nazionale. Con l’avvento al potere del partito Ba‛th (1963), la S. ha impostato un programma economico di tipo statalista, caratterizzato da piani quinquennali di sviluppo e dalla nazionalizzazione dei principali settori produttivi. Negli anni 1970, con il presidente H. Assad, si è manifestata una prima apertura all’iniziativa privata e agli investimenti stranieri, apertura accentuatasi dopo il crollo dell’URSS, principale partner economico del paese. Tra la fine del 20° e l’inizio del 21° sec., la S. ha attuato un progressivo smantellamento dell’economia pianificata, tradotto nella privatizzazione di aziende statali, nella creazione di banche private, nell’abolizione di alcune barriere doganali. Nel marzo 2009 è diventata operativa la Damascus Stock Exchange, la prima borsa valori siriana.
Il settore primario (che nel 2008 occupava il 19,2% della popolazione attiva e contribuiva al PIL per il 18,5%) rappresenta una voce importante dell’economia del paese. Colture principali sono ortaggi, agrumi, olive e tabacco nella pianura costiera, cotone e barbabietola da zucchero nella valle dell’Oronte, cereali (orzo e frumento) nella pianura di al-Jazirah. L’allevamento più diffuso è quello ovino. Notevole impulso allo sviluppo dell’agricoltura è stato dato dai grandi progetti di irrigazione realizzati tra la fine degli anni 1960 e l’inizio dei 1970: valorizzazione della valle dell’Oronte e delle valli dell’Eufrate e del Khabur, realizzazione della diga di Ṭabqa, sul fiume Eufrate, che ha dato origine al Lago al-Asad, la riserva idrica più importante della Siria. La carenza d’acqua rimane tuttavia un problema ricorrente, anche a causa di un eccessivo sfruttamento della falda freatica tramite pompe a motore, pratica che ha prodotto gravi fenomeni di salinizzazione del suolo.
Il settore estrattivo è incentrato sul petrolio (Qarah Shuk, Suwaidiyya, Rumilan, Tayyem), che costituisce oltre il 60% delle esportazioni. Un oleodotto collega i campi petroliferi del NE con Homs e con il porto di Baniyas, mentre nella parte meridionale del paese passa l’oleodotto al-Qatif-Sayda. Altre risorse del sottosuolo sono i fosfati (Homs), l’asfalto naturale (Kafria), il salgemma (Dayr az-Zawr) e il gas naturale (Palmira e Homs). L’industria (14,5% della popolazione attiva e 26,9% del PIL) si fonda sulla lavorazione delle materie prime (raffinazione del petrolio a Homs e a Baniyas, produzione di fertilizzanti chimici a Homs) e dei prodotti locali (industria molitoria, dell’olio di oliva, della birra, dello zucchero, tessile). Di grande rilevanza l’artigianato tradizionale (tessuti damascati, broccati, tappeti). Il settore dei servizi (66,3% della popolazione attiva e 54,6% del PIL) è rappresentato principalmente dalla pubblica amministrazione. Promettenti possibilità di sviluppo provengono dal turismo, che può contare sulle attrattive paesaggistiche e su un ricchissimo patrimonio archeologico e architettonico. Il commercio estero è pesantemente condizionato dalla difficile posizione politica della S. e dalle tensioni esistenti con paesi dell’area mediorientale, in particolare con Israele, e con gli Stati Uniti, che nel 2003 hanno approvato contro la S. l’Accountability act, che vieta gli investimenti statunitensi in S. e ogni forma di esportazione dagli USA alla S. esclusi farmaci e alimenti. I principali partner commerciali della S. sono i paesi dell’Unione Europea (soprattutto Italia, Francia e Germania), l’Arabia Saudita, la Russia e la Cina.
Il paese ha una buona rete stradale (97.401 km, di cui tuttavia solo il 20% asfaltato). La rete ferroviaria (2052 km) è utilizzata soprattutto per il trasporto merci. I porti più importanti sono quelli di Laodicea e Ṭarṭus. Scali aeroportuali nelle principali città.
Nel Paleolitico medio si distinguono in S. vari complessi industriali tipologicamente distinti, legati ad attività economiche diverse, e rappresentati nei ripari di Jabrud (raschiatoi, bulini). Dal 12° millennio a.C., con il passaggio dal Mesolitico al Neolitico, si intensifica la raccolta di cereali, sebbene la caccia continui a svolgere un ruolo importante. Le condizioni ambientali della S., favorevoli all’impianto dell’‘agricoltura secca’ e dell’allevamento, agevolarono dall’8° millennio a.C. l’instaurarsi di fenomeni precoci di culture neolitiche preceramiche, che hanno fornito alcune tra le più antiche attestazioni di villaggi. Risale a questo periodo il sito di Mureybet, sull’Eufrate: un villaggio di case circolari dalle mura di argilla impastata con paglia, talora pavimentate con lastre calcaree; non vi erano animali domestici, si praticavano la caccia e la raccolta di graminacee selvatiche. Nella seconda metà del 7° millennio a.C., siti neolitici si sviluppano a Tell Ramad, a Bouqras, a Mureybet stesso, a Ras Shamra; verso la fine del millennio compare la ceramica. In questa fase si manifestano influssi provenienti dalla Mesopotamia settentrionale, che si intensificano nel successivo periodo detto di Halaf. In seguito, mentre in Mesopotamia si sviluppa la cultura di al-‛Ubaid, cominciano contatti (attestati dal sito di Brak, vicino al confine con l’Iraq) con le città del basso Eufrate: rapporti che diventano stretti poco prima del 3000 a.C., quando si determina uno sviluppo della cultura urbana, probabilmente conseguenza di un processo di colonizzazione da parte dei Sumeri della Mesopotamia meridionale, del medio e alto corso dell’Eufrate. Ceramica tipica di al-‛Ubaid, oltre che a Brak, si ritrova anche nel sito di Ras Shamra (Ugarit), sulla costa: caratterizza un livello nettamente diverso da quelli precedenti e successivi, dovuto forse all’arrivo di nuove genti provenienti da oriente.
Durante il 3° millennio a.C. si collocano gli esordi di una cultura propriamente siriana con caratteri autonomi, sia nella Giazira (Tell Khuwēra), già da allora forse con popolazione prevalentemente khurritica, sia nella S. settentrionale (Tell Mardīkh), con popolazione in maggioranza cananaica. Dal ritrovamento dell’archivio statale di Tell Mardīkh, costituito da circa 15.000 documenti in sumerico antico e in canananico antico, redatti in scrittura cuneiforme sillabica su tavolette di argilla, risulta che Ebla, il nome antico di Tell Mardīkh, fu tra il 2400 e il 2250 a.C. il centro di un importante impero che contrastò dapprima l’espansione verso il Mediterraneo dei re mesopotamici di Akkad e fu infine distrutta verso il 2250 a.C. Malgrado la demolizione di Ebla, che subito risorse, fino al 2000 a.C. i Cananei furono protagonisti di una grande cultura urbana della S. settentrionale e centrale, i cui centri maggiori erano Armi (Aleppo), Uràhu, Carchemish e Biblo.
Intorno al 1500 a.C. iniziò al nord la penetrazione dei ‘popoli dei monti’ Ittiti e Urriti; soprattutto gli Ittiti premevano sulla regione, scontrandosi con gli Egiziani che controllavano il centro-sud: in seguito alla battaglia campale a Qadesh (1296), il faraone Ramesse II stipulò con il re ittita Khattushilish II un trattato che segnò la pace tra le due potenze. All’incirca nel 1200 a.C. l’invasione dei ‘popoli del mare’ alterò il raggiunto equilibrio, distruggendo l’Impero ittita e costringendo quello egizio entro i confini: si creò in S. un vuoto storico nel quale s’inserirono nuove popolazioni semitiche provenienti dal deserto, gli Aramei. Divisi in piccoli Stati, tra cui emersero Soba, Damasco, Ḥamān, Aleppo, Sam’al, s’impadronirono della regione. Nel 9° sec. però l’Impero assiro iniziò la sua espansione verso ovest, e nel secolo successivo a uno a uno gli staterelli siriani caddero nel suo dominio. Con la conquista di Carchemish, nel 717 a.C., la S. passò interamente sotto il dominio assiro, che esercitò un’amministrazione diretta intollerante di qualsiasi forma di autonomia. In tali condizioni, la S. passò dagli Assiri ai Babilonesi: nel 605 il re di Babilonia Nabucodonosor II sconfisse a Carchemish le truppe del faraone Nekao II, spintesi all’est in un ultimo tentativo di conquista. Quando i Persiani di Ciro, nel 538 a.C., s’impadronirono di Babilonia, la S. divenne una satrapia del nuovo Impero.
Conquistata da Alessandro Magno (332 a.C.), la S. divenne una satrapia dell’Impero greco-macedone; sullo scorcio del 4° sec., ebbe impulso il processo di fusione tra elementi orientali e greci, da tempo in atto sulle rive mediterranee della regione. Dopo la morte di Alessandro (323), la S. fu stabilmente dominata da Seleuco, capostipite della dinastia dei Seleucidi (➔) che regnò sino al 64 a.C., e dell’Impero seleucidico fu il centro amministrativo (qui era Antiochia, la capitale, fondata da Seleuco dopo il 301) e anche la regione militarmente, politicamente e culturalmente più sensibile, confinando a sud con l’Egitto, a nord in origine con i domini di Lisimaco, poi con il regno di Pergamo; il Mediterraneo, su cui la S. si affacciava con ottimi porti, offriva l’opportunità di contatti, e non solo politici, con la penisola ellenica. La storia della S., sotto i Seleucidi, è caratterizzata inizialmente da una forte affermazione territoriale: dapprima Seleuco fu signore delle sole satrapie orientali dell’impero di Alessandro (esclusa la S. propriamente detta), dalla Sogdiana, Battriana, Aracosia, Gedrosia, sino alla Mesopotamia; dopo la vittoria di Ipso (301) su Antigono Monoftalmo, s’impadronì della S. e di una esigua area dell’Asia Minore; nel 281, dopo la battaglia di Corupedio, il regno di Seleuco si estendeva a gran parte dell’Asia Minore. La decadenza fu egualmente rapida: verso il 240, al tempo di Seleuco II, la Sogdiana e la Battriana erano perdute da tempo, mentre si affermava a ovest di queste regioni il regno dei Parti; altre regioni avevano o conquistavano l’autonomia: la Media Atropatene, l’Armenia, la Galazia, la Bitinia, la Paflagonia, la Cappadocia; si consolidava il regno di Pergamo, mentre l’Egitto conquistava la Cilicia, la Licia e varie piazzeforti in Ionia. Antioco III tentò una ripresa, ma alla sua morte il regno si era ancora ristretto comprendendo solo S., Cilicia, Mesopotamia, Media, Babilonia e Susiana; le ultime tre regioni erano già perdute nel 133, e nel 62, quando Pompeo istituì la provincia di Syria, dell’antico Impero di Seleuco non restava che un territorio assai limitato attorno alla capitale Antiochia.
Al progressivo indebolimento dell’Impero dei Seleucidi contribuirono da un lato l’eccessiva estensione e l’impossibilità per i sovrani di contrastare fughe centrifughe e tentativi autonomistici di regioni e città; dall’altro l’estenuante contesa con l’Egitto per il dominio della Celesiria (➔ siriache, guerre), e, successivamente, la lotta contro Romani e Parti che finirono con lo spartirsi il vasto regno di Seleuco. Anche l’ellenizzazione dei territori sottomessi, nella quale i Seleucidi furono più illuminati rispetto agli altri sovrani ellenistici, non sempre conseguì i fini che i promotori si erano ripromessi e la resistenza dei Giudei ai tentativi di Antioco IV (➔ Maccabei) fu causa dell’indebolimento del regno.
Nella organizzazione interna, dei due pilastri di ogni regno ellenistico, l’esercito (per lo più mercenario) e la burocrazia, la seconda era meno efficiente rispetto al modello egizio. Il territorio constava di ‘terra regale’ e città, la prima amministrata e sfruttata dal sovrano con il sistema del latifondo, le seconde con statuti e obblighi particolari. Il territorio era diviso in satrapie e queste in eparchie (province). Il potere del re, cui i sudditi dovevano culto divino, era assoluto, solo temperato dal consiglio composto di ‘amici’ del sovrano.
La provincia romana di Syria (62 a.C.) comprendeva, oltre la S., parte della Cilicia. La provincia aveva una funzione essenzialmente militare come zona di confine, e di attrito, verso il regno dei Parti, combattendo contro il quale morì Crasso (53), governatore della provincia. La provincia augustea di Syria, comprendente anche Cilicia, Panfilia e Cipro (poi distaccate), per la sua importanza militare fu saldamente organizzata ed ebbe periodi di notevole sviluppo, soprattutto al tempo di Adriano. Il pericolo dei Parti (poi Persiani) sussisteva sempre: nel 161 d.C. invasero di nuovo la S., frenati da Avidio Cassio; nel 256 i Persiani di Sapore I conquistarono Antiochia; poco dopo (260) lo stesso imperatore Valeriano cadde nelle loro mani. Ragioni di opportunità avevano frattanto indotto i Romani a successivi mutamenti amministrativi nella S.: divisa dapprima in 2 province (Coelesyria o Syria maior a nord e Syria Phoenice a sud) da Settimio Severo nel 194, poi in 3 (con la creazione della Augusta Euphratensis nei distretti di nord-est della Coelesyria) da Costanzo II, infine in 5 agli inizi del 5° sec.: Syria I, Syria II (o Salutaris), Phoenicia, Phoenicia Libanensis, Augusta Euphratensis.
In S. il cristianesimo si diffuse fin dall’inizio e nella capitale Antiochia i suoi seguaci furono per la prima volta detti cristiani. Nel 5° sec. la Chiesa siriaca, imperniata sul patriarcato di Antiochia, si estendeva da Cipro fino alla Persia inclusa. Cominciarono a staccarsi, per ragioni di giurisdizione, la Persia e Cipro, poi quelle comunità che seguirono il nestorianesimo e il monofisismo, finché nel 543-44 si costituirono in Antiochia due patriarcati distinti, uno monofisita, detto anche giacobita (da Giacobbe Baradeo), l’altro cattolico, detto melchita, cioè imperiale.
L’arabizzazione della S., iniziata nel 2° sec. a.C. con l’infiltrazione di elementi arabi attraverso il limes, sboccò nella conquista armata nel 7° secolo. Nel 661 ci fu l’avvento al trono califfale della dinastia omayyade, il cui capostipite Mu‛āwiya ibn Abī Sufyān, fissò in S. la sua sede e, per quasi un secolo, Damasco fu la capitale dello Stato arabo e la S. la provincia preferita. Quando, nell’8° sec., gli Abbasidi fissarono la loro residenza nell’Iraq e fondarono Baghdad, la S. rimase base della guerra santa contro l’Impero bizantino e, poco dopo, sostituì al legame con Baghdad la dipendenza dall’Egitto o la formazione di emirati indipendenti. Nell’11° sec. il frazionamento del paese continuò sotto gli emiri selgiuchidi (atābeg) di stirpe turca; le crociate che seguirono diedero luogo alla creazione degli Stati franchi. Non tardò però a svilupparsi la controffensiva musulmana, guidata prima dall’atābeg di Aleppo e Damasco Nūr ad-Dīn (Norandino), poi dall’ayyubita Ṣalāḥ ad-Dīn e, per ultimo, dai primi sultani mamelucchi succeduti alla dinastia ayyubita. Nel 13° sec., espulsi gli ultimi Franchi, la S. tornò musulmana e si riunì alla Palestina e all’Egitto sotto la sovranità dei Mamelucchi.
Nel 16° sec. avvenne la conquista dei Turchi Ottomani (1516-17), destinata a durare sino alla Prima guerra mondiale. È questo il periodo di maggior decadenza politica, economica e culturale del paese; tentativi di autonomia o indipendenza sotto l’emiro druso Fakhr ad-Dīn (17° sec.) e sotto Dahir signore di Acri (18° sec.) non si rivelarono durevoli. Né la spedizione napoleonica (1799), né l’occupazione egiziana del paese (1832-40) incisero profondamente sulla vita politica siriana.
Restaurato il dominio ottomano, la S. entrò in un periodo di forti tensioni interne, caratterizzato da frequenti rivolte contro l’autorità centrale e dalla crescente rivalità tra le minoranze cristiane, sostenute da Francia e Russia, e le comunità musulmane. In particolare, il contrasto tra musulmani Drusi e cristiani Maroniti sfociò in guerra e nei massacri dei cristiani a Damasco del 1860, a seguito dei quali venne concessa l’autonomia amministrativa al Monte Libano. Sul finire del 19° sec. la S. si aprì sempre più all’influenza occidentale, in particolare francese, mentre l’opposizione al potere ottomano si accentuò dopo la rivoluzione dei Giovani Turchi (1908). Durante la Prima guerra mondiale i gruppi nazionalisti siriani combatterono contro la Turchia nella legione araba guidata da Faiṣal, figlio dello sceriffo della Mecca al-Ḥusain, partecipando alla campagna siriana e alla presa di Damasco.
Al termine della guerra, creata a Damasco un’amministrazione militare araba guidata da Faiṣal, la Gran Bretagna rimise il controllo della S. alla Francia. Ostilità presto scoppiarono tra Francesi e Siriani che, nel marzo 1920, proclamarono la nascita del regno indipendente della Grande S. (comprendente anche il Libano e la Palestina) sotto Faiṣal. Ottenuto il mandato sulla S. (formalmente assegnato dalla Società delle Nazioni nel luglio 1922), la Francia attaccò Faiṣal e conquistò Damasco (1920), costringendo il sovrano all’esilio. Dopo aver distaccato il Libano, le autorità francesi divisero il resto del territorio siriano in 4 parti: Aleppo e Damasco (unificati nel 1924), lo Stato degli Alawiti e il Gebel Druso; il sangiaccato di Alessandretta fu reso autonomo. Nel 1930 fu imposta una Costituzione che organizzava lo Stato di S. (Aleppo e Damasco) in repubblica, mantenendo quindi la divisione del territorio sotto mandato, mentre il trattato franco-siriano del settembre 1936, che prevedeva l’indipendenza entro tre anni, non fu ratificato da Parigi; nel giugno 1939, infine, la Francia cedette alla Turchia il sangiaccato di Alessandretta.
Invasa dalle truppe britanniche e della Francia libera nel 1941, la S. venne proclamata indipendente e nel 1942 unificata. L’anno seguente fu eletto alla presidenza della Repubblica Shukrī al-Quwwaṭlī, leader del partito nazionale che, insieme al partito popolare, aveva dato vita al Blocco nazionale, protagonista della resistenza ai Francesi. Il tentativo della Francia di mantenere il controllo politico sulla S., che dal febbraio 1945 era stata ammessa all’ONU, determinò nuovi violenti scontri; tuttavia la pressione britannica indusse Parigi a ritirare le sue truppe.
Le radicate divisioni etnico-religiose e i forti squilibri economici e sociali presenti nel paese gravarono sulla vita politica dopo l’indipendenza, contribuendo a determinare una lunga fase di instabilità; accentuata dagli aspri contrasti che divisero la classe dirigente siriana nelle scelte di politica internazionale. Dopo la sconfitta nella guerra arabo-israeliana (1948-49), la Repubblica siriana subì l’ingerenza politica dei militari. Nel 1958 la fazione panaraba crebbe sino a portare all’unificazione con l’Egitto di Nasser nella Repubblica Araba Unita (RAU). La RAU si dissolse però nel 1961, con un colpo di Stato dell’esercito siriano che, nel 1963, portò al potere il partito nazionalista Ba‛th, di ispirazione socialista (Partito socialista dalla rinascita araba).
Nel 1967, persa la guerra dei Sei giorni, la S. subì l’occupazione israeliana delle alture del Golan. Nel 1970 prese il potere con un colpo di Stato il generale ba‛thista Hāfiz al-Assad, che instaurò una dittatura quasi personale, sostenuta dal partito-guida. L’obiettivo di recuperare le alture del Golan spinse poi la S. a migliorare i rapporti con Egitto e Giordania (inaspritisi nel 1970-71, per la repressione antipalestinese di Amman) e a rafforzarsi militarmente, grazie a un accordo con l’URSS. Nel 1973, il paese partecipò alla guerra del Kippur contro Israele, senza però riconquistare il Golan; dal 1976 inoltre interferì militarmente e politicamente nella guerra civile libanese, istituendo in Libano una sorta di protettorato di fatto durato sino al 2005. Nemico del regime iracheno, Assad appoggiò Teheran nella guerra fra Iran e Iraq (1980-88), entrando in seguito nella coalizione militare antirachena guidata dagli USA durante la prima guerra del Golfo (1991); riallacciò però stretti rapporti con Baghdad, in chiave antisraeliana, nel 1997.
Alla morte di Assad (2000), gli succedette alla presidenza il figlio Bashar. A seguito del suo ambiguo rapporto con una serie di gruppi considerati terroristici e al rifiuto di appoggiare le guerre in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003), la S. subì le sanzioni di Washington. Data questa posizione di isolamento internazionale, Bashar cercò la normalizzazione dei rapporti con la Turchia (tradizionale antagonista regionale della S.) e una rilanciata alleanza strategica con l’Iran. Nel 2005, a seguito dell’assassinio dell’ex premier libanese R. al-Hariri, Damasco dovette ritirare, su pressione popolare libanese e internazionale di ONU, USA e Francia, le sue truppe dal Libano. Per sfuggire all’accerchiamento diplomatico cercò da un lato di rafforzare la cooperazione con l’Iran e dall’altro di mostrarsi favorevole alla stabilizzazione dell’Iraq, con il quale nel novembre 2006 furono riallacciati i rapporti diplomatici; questa linea prudente portò alla ripresa delle relazioni con la UE.
Riconfermato presidente nel 2007, nel 2011 Assad si è trovato a dover affrontare violente proteste di piazza che hanno coinvolto vari centri urbani, trasformandosi in una guerra civile in cui si sono affrontate le forze del regime e l’opposizione armata, composta in prevalenza dalla maggioranza sunnita. Il sostegno fornito al regime dal gruppo sciita libanese Hezbollah e dall’Iran ha internazionalizzato il conflitto, provocando l'intervento di potenze come Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Turchia, che hanno sostenuto l’opposizione, mentre Iran e Iraq hanno appoggiato Assad. Sul piano internazionale, Assad ha ricevuto l’aiuto della Russia di Putin, mentre dalla fine del 2013 l’opposizione interna ha contato sul sostegno politico dell’Occidente (Usa, Francia e Gran Bretagna); il regime è apparso in vantaggio sia militarmente sia diplomaticamente, ciò che ha costituito una garanzia di continuità di potere per Assad, il quale alle presidenziali tenutesi nel giugno 2014 è stato riconfermato in carica con l’88% dei consensi, ma nei mesi successivi l’aggravarsi dei conflitti e l’espandersi dei territori caduti sotto il controllo del gruppo jihadista IS e di altre fazioni ribelli hanno prodotto fughe di massa verso l’Europa. Nel 2015 il regime di Assad ha subìto gravi sconfitte sia a opera dei ribelli sia dell'IS, e il pericolo di un collasso definitivo del regime ha spinto la Russia a intervenire, effettuando nel settembre 2015 i primi raid aerei dopo aver riattrezzato le basi militari di Tartus e Latakia; a novembre, all’indomani degli attentati di Parigi rivendicati dall’IS, i partecipanti al Gruppo internazionale di supporto per la S. hanno raggiunto un accordo a Vienna per procedere alla convocazione di un tavolo negoziale tra governo e opposizioni siriane, e il mese successivo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una risoluzione per definire una road map sul processo di pace nel Paese. Nel corso del 2016 – mentre le consultazioni per il rinnovo del Parlamento tenutesi ad aprile hanno registrato la vittoria del partito Baath di Assad, che con la coalizione Unità nazionale ha ottenuto 200 dei 250 seggi - il conflitto è comunque proseguito, concentrandosi nella città di Aleppo, tornata sotto il controllo siriano nel mese di dicembre grazie all'azione delle milizie sciite irachene sostenute dall’Iran, coadiuvate dai bombardamenti compiuti dagli aerei russi. Nell’aprile dell’anno successivo, a seguito del massacro perpetrato attraverso l'uso di armi chimiche nel villaggio di Khan Shaikun, per la prima volta gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco diretto contro le forze armate del Paese; l'intervento statunitense ha provocato dure reazioni da parte del Cremlino e generato una forte tensione sul piano degli equilibri geopolitici mondiali, e solo nel luglio successivo Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco parziale, limitato all'area sud-occidentale del Paese. Nei mesi successivi l’IS ha continuato a perdere terreno: a ottobre le Forze democratiche siriane (alleanza curdo-araba sostenuta dagli Usa in funzione anti-IS) hanno riconquistato la città di Raqqa, storica roccaforte del Califfato, e il mese successivo l'esercito siriano e i suoi alleati hanno ripreso il pieno controllo delle città di al-Qaim e Deir ez-Zōr, ultimo bastione urbano dell'IS nella S. orientale; nel mese di dicembre il presidente russo Putin ha annunciato la completa sconfitta dell'IS su entrambe le rive dell'Eufrate.
Le elezioni legislative svoltesi nel luglio 2020, in un Paese ancora martoriato dalla guerra e dalla crisi economica, hanno registrato la prevedibile vittoria della lista composta dal partito Baath e da altre formazioni minori al potere da decenni, che si è aggiudicata 177 dei 250 seggi dell'Assemblea del popolo. Alle consultazioni presidenziali svoltesi nel maggio 2021 Assad è stato prevedibilmente confermato nella carica, ottenendo il 95,1% delle preferenze. Nel giugno 2022, in un quadro geopolitico mondiale profondamente segnato dal conflitto bellico russo-ucraino, il Paese ha formalmente riconosciuto l'indipendenza delle repubbliche popolari separatiste del Doneck e del Luhansk (Ucraina orientale), seconda nazione al mondo a farlo dopo la Russia, seguita nel mese successivo dalla Repubblica Popolare Democratica di Corea.
Nel febbraio 2023 l'area settentrionale del Paese e il sud della Turchia sono stati interessati da una serie di eventi sismici che hanno raggiunto magnitudo 7.8, provocando oltre 40.000 morti e ingentissimi danni a infrastrutture e insediamenti.
Nel maggio 2023 il Paese è stato reintegrato nella Lega Araba, da cui era stato espulso nel novembre 2011 a seguito dell'esplosione della guerra civile, a determinate condizioni, tra cui il rientro in patria senza ritorsioni dei rifugiati, l'avvio di un processo politico democratico e la cessazione del traffico di stupefacenti.
Dialetto aramaico orientale, parlato a Edessa nell’Osroene e nelle regioni confinanti della Mesopotamia, largamente affermatosi perché adottato come lingua letteraria dalla Chiesa siriaca. Era parlato e scritto già prima del cristianesimo, e si distingueva soltanto di poco dagli altri dialetti del gruppo aramaico orientale. Per quanto concerne il vocalismo, si hanno due varietà di siriaco: l’occidentale o giacobitico e l’orientale o nestoriano. Nella morfologia poche sono le differenze dall’aramaico comune. Tratti assai peculiari ha invece la sintassi, in cui, specie per influsso del greco, si determinano una maggiore libertà di costruzione e uno sviluppo delle proposizioni subordinate; notevole è anche la frequenza delle coniugazioni perifrastiche. La conquista da parte degli Arabi dell’area di diffusione della lingua s. determinò la crisi progressiva di quest’ultima, che nel 13° sec. era ormai quasi estinta. Varietà dialettali isolate, tuttavia, si sono conservate fino ai nostri giorni in Mesopotamia e in Armenia.
È il complesso delle opere letterarie in lingua siriaca scritte dai cristiani della Mesopotamia, della S. e dell’Impero persiano. Condivide le qualità caratteristiche delle letterature dell’Oriente cristiano ed è quindi essenzialmente religiosa; si estende dal 2° al 14° sec. (dopo il 14° sec. si parla di letteratura s. tarda e quindi di letteratura neosiriaca). Nel suo periodo iniziale, fino al 4° sec., ha uno sviluppo prevalentemente autonomo e originale; segue un’epoca d’influsso greco, in cui ha larga parte l’imitazione della letteratura cristiana di lingua greca; dopo la conquista musulmana subentra l’influsso della letteratura araba, che aumenta progressivamente sino alla fine della letteratura siriaca. Al 2° sec. dovrebbe risalire la versione ‘semplice’ (Pĕshiṭtā) dell’Antico Testamento, di poco posteriori sono le prime versioni del Nuovo (Taziano, versione ‘separata’) e della fine del 4° sec. la Pĕshiṭtā del Nuovo Testamento.
La prima grande figura di scrittore è Bardesane di Edessa (2°-3° sec.), autore di probabile orientamento gnostico e protagonista del dialogo intitolato Libro delle leggi dei paesi, della sua scuola; nella prima metà del 4° sec. emerge Afraate il Persiano, autore di numerose esposizioni di contenuto morale e teologico; massimo tra gli scrittori dell’epoca è Efrem, poeta, polemista, esegeta di grande fecondità e vigore. Tra la fine del 4° sec. e gli inizi del 5° compaiono i primi scritti spirituali monastici: l’anonimo Liber graduum e le opere di Giovanni di Apamea.
Il periodo che va dal 5° sec. alla conquista araba è caratterizzato dalla fondazione di scuole di studi esegetici e teologici a Edessa, Nisibi e Seleucia, presto divenute famose. Alla prima di queste scuole appartiene Rabbūlā, traduttore di Cirillo d’Alessandria e autore di scritti teologici. Si formano in quest’epoca le due grandi Chiese giacobita e nestoriana, secondo l’appartenenza all’una o all’altra delle quali si classificheranno d’ora in poi gli autori della letteratura siriaca. Emergono tra i nestoriani: Narsai, poeta e riformatore della scuola di Nisibi; Mār Ābā, autore di omelie ed esegeta; Abramo di Kashkar, autore della regola del grande monastero del Monte Īzlā; Bābai il Grande, monaco dello stesso monastero e compositore di una novantina di opere, tra le quali il trattato cristologico Sull’unione. Tra gli scrittori giacobiti dello stesso periodo emergono: Giacomo di Sarūg, autore di famose omelie metriche; Filosseno di Mabbūgh, teologo e trattatista vigoroso; Simeone di Bēt Arshām, abilissimo dialettico, detto il Sofista persiano; Sergio di Reshaina, medico e filosofo; Giovanni di Efeso, autore di una Storia ecclesiastica e di un libro delle Vite dei beati orientali.
Dopo la conquista araba, la letteratura nestoriana prosegue non meno ricca. Si distinguono in essa: Īshō‛yahb III, trattatista, predicatore e poeta; gli autori di scritti spirituali monastici (Giuseppe Ḥazzāyā, Dadīshō‛ Qatraya, Isacco di Ninive, Simone di Taibūteh, e, più tardi, Giovanni di Dalyāthā); ‛Enānīshō‛, il cui Paradiso dei padri contiene una serie di storie e di sentenze; Timoteo, scrittore di decisioni di diritto, canoni e lettere; Teodoro bar Kōnai, celebre per un commento a tutta la Bibbia dal titolo Libro degli scolii; Īshō‛ bar Nūn, studioso dell’esegesi e del diritto; Tommaso di Marga, storiografo; Ḥunain bar Isḥāq, Bar Bahlūl e altri lessicografi. Nella letteratura giacobita si distinguono: Severo Sēbōkt, filosofo e scienziato; Giacomo di Edessa, scienziato, teologo e grammatico; Giorgio delle Nazioni, traduttore dell’Organo aristotelico; Dionisio di Tell Maḥrē, storico; Mosè bar Kēfā, autore di un Paradiso d’Eden e di un Esamerone.
Intorno all’anno 1000 ha inizio la decadenza della letteratura s. e gli scrittori divengono sempre più semplici compilatori. Tra i nestoriani emerge ‛Abdīshō‛ bar Bĕrīkā (Ebed-Iesu), tra i i giacobiti Dionisio bar Ṣalībī, autore di commenti alla Sacra Scrittura; Giorgio Wardā di Arbela, poeta; Gregorio Barebreo, gloria della Chiesa giacobita per la sua estesissima e varia produzione.
È indubbio che sullo sviluppo della letteratura siriana abbiano avuto grande peso non solo gli influssi di quella libanese e palestinese, ma anche e soprattutto le condizioni storiche che li hanno determinati. Tuttavia, nel vasto panorama letterario arabo, la S. è riuscita a trovare una propria espressione originale. La poesia, l’arte letteraria araba per eccellenza, ha assunto forti connotazioni nazionaliste e socialiste con S. al-‛Īsā, membro del partito Ba‛th, che ha descritto la miseria e la disperazione dei campi profughi palestinesi. L’impegno politico di tendenza marxista emerge con S. Baghdādī, W. Qurunfulī, ‛A. al-Giundī e M. Safedī, i quali nei loro versi rivolgono l’attenzione alle classi più povere. L’individualismo è invece una caratteristica della poesia di N. Qabbānī (➔), tutta volta alla descrizione dell’immagine femminile. M. al-Māghūṭ (al-Āthār al-kāmila «Opera completa», 1973), anche autore di opere teatrali, allontanatosi dai canoni poetici tradizionali è stato uno dei primi ad avere adottato il verso libero (Ghurfa bi malāyīn al-giudrān «Una camera di milioni di muri»). Originale è l’opera poetica di Adonis (➔), annoverato già tra i poeti libanesi, ma nato in S., iniziatore di un linguaggio poetico moderno, non conformista, che tuttavia non tradisce lo stile classico.
La prosa, attraverso il romanzo, ma soprattutto con il genere della novella, ha raggiunto in S. una grandissima diffusione con ‛Abd as-Salām ‛Ugiailī (Qanādil Ishbiliyya, 1956; trad. it. Le lampade di Siviglia,1995) e con Ḥ. Kayyālī, giornalista e traduttore, autore anche di romanzi (Makātib al-gharām «Lettere di passione», 1956) ma soprattutto di racconti (Ma‛a an-nās «Con la gente», 1952; Tilka al-ayyām «Quei giorni», 1977) in cui descrive in tono sarcastico le sofferenze delle classi più misere. Inoltre, F. Zarzūr, autore anch’egli di novelle, caratterizzate da un profondo realismo (al-Ḥufāt «Scalzo», 1971), Z. Tāmir, che, pur cogliendo gli influssi del surrealismo francese, si esprime con una profonda purezza di stile (Dimashq al-ḥarā’iq «Damasco degli incendi», 1973). Della stessa generazione sono lo scrittore Ḥ. Mīnah, A. Naḥawī, che si è occupato dei problemi del mondo contadino (Matā ya‛ūd al-maṭar «Quando torna la pioggia», 1958), e ‛Ā.A. Shanab, novellista. Personaggio di rilievo nel panorama siriano è sicuramente S. Ḥuraniyya, che, insieme a Baghdādī, ha fondato negli anni 1950 la Rabiṭat al-kuttāb as-suriyyin «Lega degli scrittori siriani», poi divenuta Rabiṭat al-kuttāb al-‛arab «Lega degli scrittori arabi» (1951-59); nelle sue opere il sentimento nei confronti della lotta per la libertà della S. si mescola con quello del panarabismo, con riferimenti alla questione palestinese. Vicine al realismo di Tāmir sono le novelle di G. Sālim (ar-Raḥīl «La partenza», 1970), che si è occupato anche del romanzo arabo (al-Mughāmara ar-riwā’iyya «L’avventura del romanzo», 1973). Alla generazione degli anni 1960 appartengono anche Y. Rifa‛iyya che, come Sālim, denuncia i tabù e le ingiustizie della società, W. Ikhlāṣī, autore di racconti (Ma ḥadatha lī ‛Antara «Quello che è successo ad ‛Antara», 1992) e Ḥ. Ḥaidar, che esordì con la raccolta di novelle (Ḥikayāt an-nawras al-muhāgir «Racconti del gabbiano migratore», 1968), cui seguirono az-Zaman al-mutawaḥḥish («Il tempo selvaggio», 1974) e al-Fahd («La pantera», 1977).
Nell’ambito femminile sono da ricordare U. ‛U. al-Īdlibī, considerata una delle pioniere della letteratura siriana, famosa per Yadhḥak ash-Shaiṭān («Il diavolo ride», 1970); W. Sakākīnī, nata in Libano, ma vissuta in S. (Nufūs tatakallam «Anime che parlano», 1962); C. S. al-Khūrī, la quale ha tentato di raccontare la realtà non più secondo l’ottica maschile (Ayyām ma‛ahū «Giorni con lui», 1959) e G. as-Sammān, nota per la sua copiosissima produzione.
Tra gli autori nati negli anni 1950, uno degli scrittori più significativi è I. Samuel, che per motivi politici ha trascorso alcuni anni in carcere, dove ha scritto Rā’iḥat al-khaṭua ath-thaqīla («Il profumo del passo pesante», 1988), cui è seguito an-Naḥnaḥa («Colpetti di tosse», 1990). Della stessa generazione è G. Qabbānī, giornalista, che ha scritto dei racconti in uno stile conciso (Ḥālunā wa ḥal hadha al-‛abd «La nostra condizione e quella di questo schiavo», 1992).
In Siria è stata portata alla luce una ricchissima serie di siti archeologici (fig. 2). La S., centrale e settentrionale, ha fornito informazioni sui vari Stati paleosiriani del 2° millennio a.C.: le indagini ad Aleppo hanno portato alla scoperta del più importante santuario dello Stato di Yamkad; Tell Tuqan, Tell Afis e Tell Mardīkh hanno mostrato la complessità delle fortificazioni di cinta delle città. Gli scavi di Terqa (Tell Ashara), Tuttul (Tell Bia) e Tell Laylan hanno gettato luce sulla storia dell’area nord-orientale. A N, sulla riva destra dell’Eufrate, è stata individuata una rete di siti fortificati risalente al Bronzo tardo (el-Qitar, Tell Faqus). Per quanto riguarda l’età del Ferro, ad Aleppo la riedificazione del tempio di Hadad ha rivelato una splendida serie di ortostati scolpiti a rilievo; importante anche l’identificazione di Tell Afis con Hazreq, capitale (800 a.C.) dello Stato di Hamath e Laash. I rinvenimenti di Tell Ahmar (Til Barsip), Tell Sheikh Hassan, Shadikanni (Tell Aǧaǧa), Kakhat (Tell Barri), Dūr Katlimmu (da cui inoltre provengono tavolette neobabilonesi) hanno permesso di chiarire la fase del dominio assiro.
Durante la dominazione achemenide, nella S. interna i centri di Damasco e Aleppo ebbero la funzione di poli attrattivi di una circolazione commerciale. Nuovi approcci di ricerca hanno permesso di accrescere le conoscenze sui centri antichi, dove la continuità di occupazione ha orientato la ricerca allo studio delle planimetrie urbane (Damasco, Laodicea, Emesa, Aleppo).
Grandioso sviluppo ebbero le città siriache durante il periodo romano, e l’architettura assunse proporzioni impressionanti (Palmira, Apamea, Dura), conservando influssi locali, ellenistici, romani, e orientali. Anche la scultura e la pittura furono molto sviluppate, con pavimenti policromi e mosaici (Antiochia).
La S. e le regioni vicine, Palestina e Mesopotamia, influirono molto sulla formazione dell’arte cristiana a cominciare dal 4° sec. sia nel campo dell’architettura sia in quello dell’iconografia. Nonostante i modelli architettonici creati da Costantino e dai suoi successori, diffusi in tutto il mondo, si nota in S. un’accentuata differenza fra l’architettura delle grandi città ellenizzate e quella delle campagne, sia nella costruzione di case sia in quella di chiese. Carattere costante dell’intera regione sono le costruzioni di pietra, a grandi conci perfettamente lavorati. Nelle chiese si trovano due sale ai lati dell’abside (pastophoroi), la cui origine non è chiara e che potrebbero risalire ai modelli dei templi precristiani. Tipica è anche la presenza di un’esedra opposta all’abside nell’interno delle chiese. Dall’ultimo ventennio del 5° sec. si ebbe una vera rinascita architettonica, il cui esempio più grandioso è la basilica di S. Simeone Stilita a Qal‛at Sim‛ān (470). Importanti anche le basiliche di Resafa (ar-Ruṣāfa), del Monte Garizim, di Binbirkilisa, di Tomarza. È forse del 9° sec. Kizil Kilise a Sivrihisar. Dei numerosi pavimenti a mosaico degli edifici civili, i più antichi risalgono al 4° e 5° sec., più frequenti quelli del 6°. Di solito sono a base di ornamenti geometrici e vegetali, con piccole scene e animali. Notevole quello di Tiro (576, Parigi, Louvre); importantissima la serie dei rinvenimenti di Antiochia (musei di Damasco e di Princeton), che ne documenta la cultura ellenistica. Perduti sono invece i mosaici delle chiese. L’arte della S. appare di carattere popolare, narrativa, realistica, con interventi costantinopolitani nelle basiliche dei luoghi santi.
Gli Arabi, penetrando in S. e Palestina, assimilarono l’architettura locale, o trasformarono in moschee le chiese (moschee di Aleppo, 10° sec., e di ‛Alawiyya, 12° sec.), ma promossero anche un’architettura di grande respiro, in competizione con Bisanzio e talvolta servendosi di artisti bizantini. Mosaicisti bizantini lavorarono nelle grandi moschee di Damasco (715 d.C.). Dipinti in rapporto con l’arte sasanide erano invece in un castello di Qaṣr al-Ḥair, del 728 d.C., palazzo-fortezza che precorre le realizzazioni dei crociati e degli architetti pugliesi nel Duecento (facciata smontata, ricostruita nel museo di Damasco; notevoli gli stucchi). Caratteri bizantini hanno gli affreschi del castello di Quṣair ‛Amra e i frammenti da Ḥirbat al-Mafgir (Gerusalemme, Museo Rockefeller). Nelle moschee, elemento principale è il minareto, differente però da quello turco e derivante dalla torre quadrata. Altro elemento arabo è l’ornamentazione geometrica a intrecci, tradotta in pietra da stoffe e ricami (soprattutto 12°-13° sec.). La manifattura di stoffe e di tappeti ha infatti un’importanza non secondaria in tutta la storia dell’arte siriaca. Notevole anche la produzione di ceramica (ar-Raqqa e a Damasco, 13° sec.); l’arte del vetro conobbe nel 13° sec. e nel 14° vertici altissimi (lampade per moschee con decorazioni smaltate), così come la metallurgia. La miniatura del 12°-13° sec. ebbe grande eleganza (Automata di al-Giaziri, favole, libri di medicina, di zoologia ecc.). Restano costruzioni militari: castelli di vedetta, fortificazioni e cittadelle (Porta di Damasco a Gerusalemme, cittadelle di Damasco e Aleppo ecc.). Dopo la conquista turca subentrò l’influsso ottomano con echi fino al 20° sec. inoltrato: appaiono così i khān (caravanserragli) e le fastose decorazioni degli interni. Numerosi anche i resti di edifici dell’epoca delle Crociate.
Dopo l’indipendenza e durante gli ultimi decenni del 20° sec. la S. ha attuato una strategia di valorizzazione culturale, tramite la creazione di una rete di musei locali e il restauro di edifici storici (Ḥamāh, Apamea, Idlib, Dair az-Zür, Marra, es-Suweidā). Dalla metà del 20° sec. anche la vita artistica in S. si organizza attraverso gruppi e istituzioni (a Damasco: Società Araba di belle arti, 1943; Scuola di belle arti, 1959, poi integrata nell’università; Unione delle belle arti, 1969), istituendo relazioni all’interno del mondo artistico arabo. Le ricerche artistiche fondono elementi tradizionali (in particolare, la calligrafia) con espressioni moderne, anche in un confronto dialettico con gli sviluppi dell’arte occidentale (A. Isma’il; F. Moudarres; M. Hammad; N. Shoura; N. Naba’a).
La tradizione musicale siriana si caratterizza, come in generale quella dei paesi arabi limitrofi (Egitto, Libano e Iraq), per l’importanza conferita all’improvvisazione. La sua forma principale è il taqsim, preludio estemporaneo per uno strumento solista, in ritmo libero. Il suo equivalente vocale è il layali, un vocalizzo sulle parole «yālayl, ya ’aynī» («oh notte, oh miei occhi»). Gli strumenti piū diffusi sono lo ud, o liuto arabo, il qanun, una sorta di cetra trapezoidale, il kaman, un violino, il nay, un flauto dritto, e il req, piccolo tamburo con cinque ordini di sonagli.