Stato dell’Asia sud-occidentale, affacciato sul Mediterraneo orientale (Mar di Levante), confinante a N e a E con la Siria, a S con Israele.
Nel territorio del Libano (arabo Lubnān) sono ben riconoscibili alcuni elementi fisiografici che si allungano in direzione NNE-SSO: la fascia costiera; la catena del L.; la pianura interna Valle della Beqaa (l’antica Celesiria); i rilievi delle catene dell’Ermon e dell’Antilibano. La fascia costiera, larga dai 3 ai 20 km, dal livello del mare sale verso una zona collinosa fino a un’altitudine di 1500 m di quota. Questa regione gode di un clima mediterraneo e presenta la tipica macchia alle quote più basse, mentre più in alto le precipitazioni e le numerose sorgenti hanno permesso estese coltivazioni. I corsi d’acqua hanno per lo più regime torrentizio e scendono verso la costa parallelamente tra loro. La costa, nel complesso rettilinea, mostra numerosi promontori e insenature. La catena del L. rappresenta sicuramente l’elemento morfologico più importante di questo paese e ne condiziona il clima dividendo la fascia costiera, con un clima temperato e abbondanti precipitazioni, dalle zone più interne che presentano invece un clima secco, con temperature elevate, preannunciando i caratteri climatici del deserto siriaco. La pianura interna della Valle della Beqaa è allungata per circa 120 km, mentre la sua larghezza varia dagli 8 ai 12 km. È percorsa verso N dal fiume Oronte e verso S dal Litani (Leonte), che in prossimità del confine israeliano piega bruscamente verso costa. L’Antilibano e la catena dell’Ermon hanno forme relativamente più dolci, con massime altitudini che variano da 2300 a 2800 m di quota. Il clima è decisamente molto arido e la vegetazione piuttosto rada.
Il lungo periodo di sconvolgimento politico-militare ha alterato le strutture demografiche del paese, per cui la stessa consistenza della popolazione va riferita a stime delle Nazioni Unite, risalendo l’ultimo censimento ufficiale al 1970 (2.126.325 ab., oltre a 187.529 rifugiati palestinesi); stimati (al 2009) sono anche i tassi di natalità (17,1‰) e di mortalità (6,03‰). Città principali, oltre alla capitale, sono Tripoli e Sidone. Per quanto riguarda la religione, vi sono musulmani (sciiti 34,1%, sunniti 21,2%), cattolici (maroniti) 23,4%, ortodossi 11,2%, drusi 7%, altri 3,1%. Nonostante l’arabo sia la lingua ufficiale, resta assai diffuso il francese.
La disintegrazione politica verificatasi negli anni della guerra civile (1975-91) comportò il dissestamento dell’intero sistema economico. Per favorire la ricostruzione è stato varato un piano governativo che ha puntato soprattutto sugli investimenti e sui prestiti stranieri, nonché sul coinvolgimento del settore privato nella ricostruzione delle infrastrutture e sull’impostazione di programmi sociali. Inoltre, il governo libanese ha fatto della lotta al debito pubblico (giunto, alla fine del 1998, al 109% del PIL) una delle priorità della politica economica, malgrado le incertezze nella scelta degli strumenti appropriati. La guerra del 2006 e la successiva fase di incertezza politica hanno nuovamente comportato gravissimi danni alla struttura economica e finanziaria del L., nonostante gli ingenti aiuti offerti dai paesi donatori.
I settori dell’agricoltura e dell’allevamento, come le altre attività produttive, sono stati duramente provati dalla guerra, che ha determinato uno spopolamento delle campagne. Le principali colture sono quelle dei cereali (grano, orzo, mais), della vite, degli agrumi e di piante oleifere (girasole, olivo). Le attività manifatturiere sono ridimensionate rispetto al passato: le grandi imprese hanno lasciato il posto a unità di produzione di dimensioni più ridotte; i principali comparti sono quelli agroalimentare, della lavorazione del cemento e del tabacco, della raffinazione del petrolio e dell’industria tessile; a Biut Jubayl è attivo un impianto siderurgico. Sono presenti sintomi di ripresa, anche se la funzione del L. quale centro commerciale e finanziario del Vicino Oriente è progressivamente venuta meno per la concorrenza di altri mercati. Il L. importa il 75% dei prodotti destinati all’alimentazione e gran parte delle materie prime per la sua industria agroalimentare (quelle locali sono più costose e di peggior qualità).
Montuoso e impervio, l’attuale L. fu dall’antichità poco accessibile al controllo delle autorità politiche della zona. Dopo la conquista araba, fu parzialmente islamizzato, pur rimanendo sede di importanti comunità cristiane; il suo relativo isolamento ne fece altresì un valido rifugio per minoranze etniche e religiose dal Vicino Oriente. Si determinò una preponderanza di maroniti e drusi, mentre a N di Tripoli e sulla costa prevalsero sunniti e greco-ortodossi, a S di Sidone e nella regione di Beqaa greco-cattolici e sciiti.
L’autonomia dei potentati locali si protrasse anche dopo la conquista turca (1516-17) e la situazione rimase relativamente stabile fino agli inizi dell’Ottocento, quando la penetrazione europea, le trasformazioni economiche e sociali e la decadenza dell’Impero ottomano rimisero in discussione l’assetto della regione e i rapporti fra le comunità religiose. I conflitti tra maroniti e drusi fornirono alla Francia l’occasione per un primo intervento militare a Beirut (1860), che portò alla creazione (1861-64) di una provincia autonoma nell’area compresa tra la costa mediterranea e la catena del L., retta da un governatore cattolico e da un consiglio di rappresentanti delle diverse comunità religiose. Dopo l’assunzione del controllo su Siria e L. da parte di Parigi, confermata nel 1920 dai mandati della Società delle Nazioni, nacque uno Stato libanese nettamente più ampio della precedente provincia autonoma a spese della Siria, con territori abitati prevalentemente da musulmani (per lo più ostili alla separazione dalla Siria), rendendone più complessa la composizione religiosa e più problematica la definizione dell’assetto politico.
Edificato sulla base dei rapporti privilegiati tra i maroniti e la Francia, il nuovo Stato si fondò da un lato sulla loro egemonia economica e politica (estesa in parte anche agli altri gruppi cristiani), dall’altro sul tentativo di dar vita, a partire dal 1926, a una complessa struttura istituzionale che garantisse, in qualche modo, tutte le comunità religiose. Essa trovò espressione compiuta, alla vigilia dell’indipendenza del paese (1944; ma le ultime truppe francesi furono ritirate nel 1946), nel cosiddetto Patto nazionale (non scritto) del 1943, in base al quale sia i seggi parlamentari sia gli incarichi di governo dovevano essere ripartiti tra i diversi gruppi confessionali secondo quote fisse; ripartizioni analoghe erano previste nella pubblica amministrazione e nelle forze armate. Le quote furono stabilite tenendo conto di un censimento del 1932, secondo cui i cristiani costituivano la maggioranza della popolazione libanese (50%). Tali cifre, già invecchiate rispetto alla realtà del paese nel 1943, se ne sarebbero sempre più discostate soprattutto a causa dei tassi di natalità registrati dalla popolazione musulmana rispetto a quella cristiana; la condizione di vantaggio per quest’ultima, in particolare per i maroniti, assicurata dal Patto nazionale, era destinata quindi a divenire sempre meno accettabile per i musulmani; i cristiani rifiutarono comunque di rimetterla in discussione.
Ai problemi istituzionali si aggiungevano quelli derivanti dalle condizioni di inferiorità sociale della maggior parte della popolazione musulmana e dalle differenze di schieramento politico che si sovrapponevano alle divisioni religiose: tra i cristiani, in particolare tra i maroniti, prevalevano posizioni conservatrici e filoccidentali; fra i musulmani, orientamenti inclini al nazionalismo arabo.
I contrasti interni alla società libanese si manifestarono con vigore già negli anni 1950. Nel 1952 il primo presidente della Repubblica (maronita secondo il Patto nazionale), Bishāra el-Khūrī, fu costretto a dimettersi; nel 1957-58 la politica filoc;cidentale del successore Camille Nimr Sham‛ūn diede luogo a un aspro conflitto con l’opposizione filo-nasseriana e panaraba, sfociato in una situazione insurrezionale: l’ordine fu ripristinato con l’intervento (1958), su richiesta di Sham‛ūn, di forze militari statunitensi e la crisi fu risolta grazie alla politica di riconciliazione nazionale condotta dal nuovo presidente Fu’ād Shihāb.
Dalla fine degli anni 1960 l’esplosione del problema palestinese acuì i tradizionali contrasti: dopo la guerra dei Sei giorni (giugno 1967), una nuova ondata di profughi si aggiunse ai rifugiati del 1948, con un impatto considerevole sugli equilibri politico-religiosi; contemporaneamente, lo sviluppo della guerriglia palestinese, a partire da basi situate nel L. meridionale, esponeva il paese alle rappresaglie israeliane; tali problemi si aggravarono dopo la crisi giordana del 1970-71 (Settembre nero), che trasformò il L. nella principale base operativa della guerriglia palestinese. I militanti dell’OLP si scontrarono ripetutamente dapprima con l’esercito libanese, poi soprattutto con le forze paramilitari della destra cristiana (in primo luogo la Falange di Pierre Gemayyel), mentre l’esercito regolare si sfaldava e il conflitto tendeva a estendersi all’intera società; quando le sinistre (come il blocco progressista del druso Kamāl Giunblāt, favorevole a un cambiamento dell’assetto sociopolitico del L. e vicino all’OLP) e le forze musulmane dal 1975 cominciarono a scontrarsi con le milizie di destra, la crisi degenerò in guerra civile.
L’intervento militare siriano dopo mesi di combattimenti e migliaia di vittime, anche civili, non pose termine al conflitto; nel 1976 le truppe siriane in L. (circa 30.000 uomini) furono riconosciute dalla Lega araba come Forza Araba di Dissuasione (FAD): Damasco otteneva così la legittimazione formale per un prolungato intervento nel paese. Il conflitto esploso nel 1975 fornì nel 1978 l’occasione per intervenire nel L. anche a Israele, che mirava in primo luogo a creare una ‘fascia di sicurezza’ a N dei propri confini per impedire gli attacchi palestinesi. Sull’estremità meridionale del L. fu imposto un controllo indiretto esercitato tramite le milizie cristiane del maggiore Sa‛ad Ḥaddād sostenuto da Tel Aviv, che nel 1979 proclamò l’indipendenza della fascia di sicurezza dal governo di Beirut; contemporaneamente si apriva una nuova fase della guerra civile con la FAD impiegata contro le milizie cristiane. Le incursioni israeliane – a nulla valse l’invio, dal 1978, di una forza di interposizione ONU – culminarono nel giugno 1982 con l’invasione di tutto il L. meridionale fino a Beirut (mentre la Siria manteneva il controllo del Nord e della valle della Beqaa). Per l’eccidio di civili perpetrato a settembre dalle milizie cristiane nei campi profughi di Sabra e Chatila, aree direttamente controllate da Israele, l’allora ministro della difesa A. Sharon fu costretto alle dimissioni. L’occupazione militare nel Sud del L. si protrasse fino al 1985, ma forze israeliane rimasero nella fascia di sicurezza fino al 2000. In quest’area, le vicende legate alla guerra civile e all’occupazione israeliana favorirono la crescita del radicalismo sciita e la nascita della milizia dell’Hezbollah (Partito di Dio).
L’invasione favorì l’avvento a Beirut di un governo a direzione falangista; nel 1982 fu eletto alla presidenza della Repubblica Bashir Gemayyel, figlio di Pierre, e, dopo la sua morte in un attentato, il fratello Amin, che nel 1983 firmò un trattato di pace con Israele. Dopo il ritiro della Forza multinazionale di pace (1984), Gemayyel dovette scendere a patti con la Siria e abrogare il trattato con Israele. Successivi negoziati con le opposizioni portarono infine alla formazione di un governo di riconciliazione nazionale ma non posero termine alla guerra civile. Mentre le trattative restavano bloccate sul tema delle riforme istituzionali, rifiutate dalla destra cristiana, contrasti e scontri armati si sviluppavano anche tra fazioni di ciascuno dei due campi contrapposti; il gruppo sciita Amal, appoggiato dai Siriani, allo scopo di impedire la ricostituzione di una presenza organizzata dell’OLP a Beirut e nel L. meridionale, con le conseguenti rappresaglie di Tel Aviv, sferrava violenti attacchi contro i campi profughi palestinesi.
Il ritiro israeliano dal L. fu seguito da una crescita progressiva dell’influenza siriana e a partire dal 1986 Damasco assunse un ruolo sempre più rilevante di fronte alla crisi e alla disarticolazione della società libanese.
Nel giugno 1987, il primo ministro Rashīd Karā´mī, leader della comunità sunnita, cadde vittima di un attentato e fu sostituito ad interim da Salīm al-Ḥuṣṣ; nel 1988, alla scadenza del suo mandato, Gemayyel nominò un governo militare provvisorio che avrebbe dovuto guidare il paese fino all’elezione del nuovo capo dello Stato: si ebbero così due governi, quello civile (presieduto da al-Ḥuṣṣ), e quello militare (guidato da Michel ‛Awn [Aoun]), che diede vita di fatto a un’enclave secessionista cristiana in una parte di Beirut e nei suoi dintorni, con ulteriore recrudescenza della guerra civile.
Nel 1989 l’accordo raggiunto a at-Taif (Arabia Saudita) tra le fazioni in lotta sul progressivo ritiro della Siria e sulla modifica del sistema delle quote confessionali ottenne crescenti consensi e portò al progressivo isolamento del governo militare. Nel 1989 le forze di Damasco e quelle fedeli al governo civile riconquistarono l’enclave secessionista e infine, nel 1991, la ricostruzione dell’esercito regolare e la smobilitazione delle milizie (ma nell’estremo Sud rimaneva attiva la guerriglia antisraeliana di Hezbollah e delle forze palestinesi) posero termine, dopo sedici anni, alla guerra civile (costata oltre 100.000 morti).
L’assetto politico libanese raggiunse una graduale stabilizzazione basata sull’accettazione dell’egemonia siriana. I contrasti fra le comunità religiose rimasero vivi, nonostante i cauti progressi compiuti dal processo di normalizzazione, ed elemento di tensione continuò a essere l’occupazione israeliana della fascia di sicurezza nel Sud del paese.
Il governo formato nel 1992 dall’uomo d’affari Rafīq al-Ḥarīrī, all’indomani delle prime elezioni tenute dal 1972, in cui Hezbollah ottenne un ampio consenso, avviò la ricostruzione del paese. L’occupazione israeliana della fascia di sicurezza, oltre ad alimentare l’endemico conflitto con la guerriglia palestinese e Hezbollah (accompagnato dalle incursioni delle forze di Tel Aviv nel L. meridionale), rappresentava l’ostacolo principale nelle trattative fra L. e Israele, nel quadro dei negoziati arabo-israeliani avviati nel 1991 e, nel 1996, la sospensione del processo di pace in Medio Oriente allontanava la soluzione del problema dei profughi palestinesi insediati nel paese.
Nel 2000, in seguito al ritiro di Israele dalla fascia di sicurezza, il L. riprendeva il controllo del Sud del paese. Importanti elezioni legislative fecero registrare la vittoria schiacciante a Beirut di al- Ḥarīrī, acerrimo nemico del presidente Émile Lahoud (filosiriano, eletto nel 1998) e appoggiato dal leader druso Walid Giunblāt, promotore di una spregiudicata alleanza con le destre cristiane.
Nel 2004 il rinnovo del mandato presidenziale di Lahoud per altri tre anni, con emendamento della Costituzione, fece precipitare le tensioni politiche, sfociate nelle dimissioni di al-Ḥarīrī, sostituito da Omar Karā´mī, il cui governo favorevole a Damasco e sostenuto da Hezbollah cadde a seguito delle imponenti manifestazioni popolari scatenate dall’assassinio di al- Ḥarīrī (2005). Dopo che la Siria si è infine ritirata dal L., le elezioni del 2005 hanno portato alla formazione di un governo presieduto da F. Siniora, collaboratore di Ḥarīrī. Dimostratasi impraticabile ogni ipotesi di disarmo delle milizie sciite, dopo il nuovo conflitto con Israele scatenato nel 2006 dall’attività militare antisraeliana di Hezbollah, radicata ormai tra la popolazione e artefice di un vero e proprio Stato parallelo, a Beirut la vita politica è rimasta segnata da divisioni insanabili ed episodi sanguinosi; solo nel maggio 2008, 18 mesi dopo la scadenza del mandato di Lahoud, il Parlamento è riuscito a eleggere il nuovo presidente, l’ex capo dell’esercito Michel Suleiman. Le elezioni del 2009 hanno visto la vittoria della coalizione filoccidentale guidata da Saad Ḥarīrī, che ha costituito un governo di unità nazionale; gli è subentrato nel genn. 2011 il miliardario sunnita N. Mikati, la cui nomina, decisa da Suleiman e appoggiata dalle forze di Hezbollah, ha suscitato forti proteste da parte dei sostenitori del premier uscente. Nel giugno 2011 le violente sollevazioni popolari esplose in Siria contro B. Assad si sono estese nel paese, provocando sanguinosi scontri tra le opposte fazioni dei sunniti e degli alawiti fedeli al presidente siriano, e costringendo l'ex premier Ḥarīrī - secondo i servizi segreti statunitensi e sauditi fatto oggetto di minacce da parte di agenti siriani e iraniani - a rifugiarsi in Francia. Nel marzo 2013, mentre la guerra civile esplosa in Siria ha continuato ad avere pesanti ripercussioni nel Paese minando gli equilibri geopolitici dell'area, il primo ministro Mikati ha rassegnato le dimissioni in ragione dell'impossibilità di giungere a un accordo in seno al governo, e gli è subentrato come premier designato T. Salam, che dal maggio 2014, alla scadenza del mandato di Suleiman, ha assunto ad interim anche la carica presidenziale. Il nuovo esecutivo di unità nazionale, formato solo nel febbraio 2014, si è trovato ad affrontare un ulteriore peggioramento delle tensioni prodotte dal conflitto siriano: la presenza di gruppi estremisti lungo buona parte del confine fra Siria e Libano ha portato a scontri fra tali gruppi e le forze di sicurezza libanesi e a incursioni all’interno del territorio libanese.
Nell'ottobre 2016, dopo due anni e mezzo di stallo e con l'appoggio di Hezbollah, l'ex generale M. Aoun ha ottenuto il voto parlamentare per assumere la carica di presidente, e il mese successivo ha affidato all'ex premier S. Ḥarīrī l'incarico di guidare un nuovo esecutivo; nel novembre dell'anno successivo l'uomo politico ha annunciato le sue dimissioni in ragione delle ingerenze dell'Iran nella vita politica del Paese, sospendendole pochi giorni dopo a seguito della richiesta di dialogo del presidente Aoun.
Le elezioni legislative tenutesi nel maggio 2018 – le prime dal 2009 – con un’affluenza alle urne molto bassa (49%) hanno evidenziato un netto mutamento negli equilibri politici del Paese, con Hezbollah che ha ottenuto una consistente affermazione, conquistando 14 seggi nel parlamento monocamerale, e la flessione del Movimento per il futuro di Ḥarīrī (sceso da 38 a 21 seggi), in parte compensata dal successo delle Forze libanesi cristiane guidate da S. Geagea, alleato strategico del premier. Nei mesi successivi l'aggravarsi della crisi economica ha continuato a erodere il consenso accordato all'esecutivo, accusato di corruzione e incapacità gestionale, fino a scaturire nell'ottobre 2019 in manifestazioni di piazza che hanno costretto il premier Ḥarīrī a rassegnare le dimissioni, subentrandogli nella carica dal gennaio 2020 H. Diab, anch'egli dimessosi ad agosto a seguito delle violente proteste seguite all'esplosione che ha distrutto vari quartieri del centro di Beirut causando oltre 200 morti e migliaia di feriti. Nello stesso mese il Parlamento ha incaricato il diplomatico M. Adib di formare un nuovo esecutivo, ma il mese successivo, non essendo riuscito a trovare un accordo di governo tra i partiti che lo avevano nominato, l'uomo politico vi ha rinunciato; nell'ottobre 2020 il Parlamento ha assegnato un nuovo mandato all'ex premier Ḥarīrī, che però nel luglio 2021 - nell'impossibilità di formare un nuovo esecutivo - ha rinunciato all'incarico, subentrandogli dal mese di settembre l'imprenditore N. Mikati. Alle consultazioni politiche tenutesi nel maggio 2022 si è delineata una situazione di pronunciata polarizzazione, con il blocco di Hezbollah che ha perso la maggioranza in Parlamento, ottenendo 60 seggi contro i 71 detenuti dal 2018, mentre il partito Amal è sceso da 17 a 15 seggi e il CPL del presidente Aoun ne ha ricevuti 17, preceduto dalle Forze libanesi (19 seggi contro i 15 del 2018), affermatesi come primo partito del blocco cristiano. Nell'ottobre 2022 Aoun ha terminato il mandato presidenziale, subentrandogli ad interim il premier Mikati per la mancata elezione del suo successore ad opera del Parlamento, dove al giugno 2023 si è evidenziata una polarizzazione in due blocchi distinti, a sostegno rispettivamente di J. Azour e di S. Franjieh.
In politica internazionale, nell'ottobre 2022 il Paese ha raggiunto con la mediazione degli Stati Uniti uno storico accordo con Israele per porre fine alla disputa sui confini territoriali nelle acque del Mediterraneo orientale e sulla gestione dei giacimenti di gas naturale di Karish e Qana, mentre nell'ottobre 2023 i miliziani di Ḥezbollāh hanno partecipato con tiri di artiglieria e lanci di razzi contro il settore settentrionale di Israele all'aggressione lanciata dalla Striscia di Gaza a numerose città del Paese.
Il contributo degli scrittori e poeti libanesi alla formazione di una letteratura araba moderna è notevole, nonostante molti di essi abbiano operato lontano dal Libano. L’emigrazione è infatti il tema ricorrente, che riflette l’esperienza personale di letterati e poeti emigrati in Egitto e in America. Rappresentativi del filone egiziano sono G. Zaydān, prolifico scrittore di romanzi storici, e K. Muṭrān. Tra i maggiori esponenti della scuola letteraria formatasi in America, che prese appunto il nome di mahgiar «dell’emigrazione», spiccano A. ar-Rīḥānī, M. Nu‛ayma e soprattutto K. Giubrā´n; essi nel 1920 fondarono a New York il circolo letterario ar-Rābiṭa al-Qalamiyya. Alla fine del 19° sec. apparvero a Beirut i primi periodici e riviste letterarie e nel 1939 venne pubblicato il primo romanzo libanese ar-Raghīf («La pagnotta») di T.Y. ‛Awwād, autore di varie raccolte di racconti, tra cui Qamīṣ aṣ-ṣūf («La camicia di lana», 1937), e, più tardi, del romanzo Ṭawāḥīn Bayrūt («I mulini di Beirut», 1972). Nel 1953 S. Idrīs, autore del romanzo al-Ḥayy al-lātīnī («Il quartiere latino»), fondò la rivista letteraria al-Ādāb. Tra gli altri ricordiamo le scrittrici A. Naṣr Allāh con Tilka adh-dhikrayāt («Quei ricordi», 1980), e Ḥ. ash-Shaykh con la raccolta di racconti Ward aṣ-Ṣaḥrā’ («La rosa del deserto», 1982) e il romanzo Musk agh-Ghazal (1989; trad. it. Donne nel deserto, 1994), e ancora, lo scrittore I. Khurī. Per la poesia spicca Adonis, siriano naturalizzato libanese, fondatore della rivista letteraria Mawāqif (1969). Tra gli autori libanesi di lingua francese si ricorda lo scrittore e giornalista A. Maalouf con varie opere, tra le quali i romanzi Le rocher de Tanios (1993) e Le périple de Baldassare (2000), e i saggi Les croisades vues par les Arabes (1983) e Origines (2004).