Stato dell’Asia sud-occidentale, che comprende la parte centrale della Penisola Arabica, di cui occupa la parte maggiore di territorio. Confina a N con Giordania, Iraq e Kuwait, a SE con Qatar, Emirati Arabi Uniti e Oman, a S con lo Yemen; si affaccia a O al Mar Rosso e a NE al Golfo Persico.
Per quanto riguarda i caratteri fisici ➔ Arabia.
L’insediamento umano presenta un quadro culturale vario. Elementi unitari sono la religione islamica (per la massima parte di rito sunnita) e la lingua araba, mentre i generi di vita differiscono profondamente fra gli agricoltori delle oasi, quelli delle zone montuose occidentali, i pastori nomadi e gli abitanti delle città. Queste ultime sono cresciute per motivazioni opposte: sul versante del Mar Rosso (Gidda, La Mecca, Medina), prima come centri commerciali e poi per la presenza dei luoghi santi, meta di crescenti flussi di pellegrini provenienti da tutti i paesi musulmani; sul versante del Golfo Persico, invece, sotto la spinta di fattori politici (la capitale) ed economici (le ‘città pioniere’ delle zone petrolifere: ad-Dammam, Dhahran). Ai vari tipi di abitazione temporanea degli accampamenti nomadi e alle solide ‘case-fortezza’ dei centri permanenti e degli stessi nuclei urbani tradizionali si è aggiunta un’edilizia di stampo occidentale, per cui le maggiori città (soprattutto Riyad e Gidda) sono dominate da moderni grattacieli e attorniate da nuove zone residenziali.
L’approvvigionamento di acqua, su cui molto è stato investito, costituisce il problema principale degli insediamenti. Vi si provvede utilizzando le scarse precipitazioni, le falde freatiche e le acque fossili e, nelle regioni costiere del Golfo Persico, con enormi impianti di dissalazione dell’acqua marina. La popolazione, fortemente concentrata nelle oasi e nelle città (88% la popolazione urbana), conosce da anni un forte incremento sia naturale sia migratorio (in complesso, 2,9% annuo, nel periodo 1999-2004); gli stranieri residenti, benché in calo, costituiscono circa il 25% della popolazione; il livello di istruzione è ancora relativamente basso con il 20% circa di analfabeti.
L’economia dell’Arabia Saudita si fonda sugli idrocarburi, direttamente o meno. Il paese ospiterebbe un quarto delle riserve mondiali di petrolio: la ricchezza che ne deriva è distribuita in maniera squilibrata, ma ha consentito un generale e nettissimo miglioramento della qualità di vita. Dopo un primo periodo di rapida crescita della produzione di greggio, le ripetute crisi mondiali hanno determinato tensioni e depressioni, che, peraltro, la politica economica governativa ha tentato di controllare; in particolare, dopo la prima Guerra del Golfo, i cui costi sono stati sopportati in larga parte dall’Arabia Saudita, la flessione del prezzo del petrolio ha causato un netto arretramento dei redditi medi, tornati poi su livelli soddisfacenti (oltre 13.500 dollari pro capite nel 2005). La capacità di raffinazione del petrolio è salita a oltre 350 milioni di t annue, favorendo la localizzazione di complessi manifatturieri (siderurgia, meccanica) in ‘città industriali’ di nuova costruzione; la borsa e alcune banche saudite rappresentano il principale polo finanziario dell’Asia occidentale. Notevolissima è comunque la spesa sociale sostenuta dallo Stato. Gli investimenti interni, guidati (dal 1971) da piani quinquennali, si sono rivolti al potenziamento delle infrastrutture e dei servizi, poi alla diversificazione delle produzioni agricole e industriali, infine al terziario finanziario. Così, l’Arabia Saudita è divenuta paese esportatore di frumento oltre che di datteri, incrementando la produttività agricola. La superficie coltivata, di poco superiore al 2% del totale, produce anche caffè (Asir), ortaggi e frutta. I pascoli naturali, vastissimi (40% del territorio) benché non ricchi, favoriscono l’allevamento di ovini (7 milioni nel 2005), caprini e cammelli, mentre i bovini raggiungono le 350.000 unità. In progresso anche la pesca (64.750 t nel 2003). Il petrolio e i suoi derivati coprono l’86% del valore delle esportazioni; all’importazione figurano manufatti industriali e prodotti alimentari. La bilancia commerciale è, di norma, straordinariamente attiva; i principali partner sono USA, Giappone, Cina e i paesi dell’UE (soprattutto Germania, Italia, Francia).
Le prospezioni petrolifere iniziarono nel 1935 nella regione costiera di el-Ḥasā; dopo due anni fu scoperto il giacimento ubicato nella zona dell’attuale Dhahran e nel 1941 quello, maggiore, di Ghawar; da allora si sono effettuati sempre nuovi ritrovamenti, anche nella piattaforma sottomarina del Golfo Persico. L’estrazione è stata nazionalizzata tra il 1960 ed il 1979, e oggi è controllata dalla Saudi ARAMCO, a capitale pubblico, ma all’assistenza tecnica e alla distribuzione hanno continuato a partecipare società straniere. Dopo la produzione record di 495 milioni di t (1980), l’Arabia Saudita occupa tuttora (2005) il primo posto nella graduatoria mondiale con 476 milioni di t. Malgrado l’oscillazione della produzione e delle entrate finanziarie connesse, l’Arabia Saudita ha mantenuto una posizione moderata nell’ambito dell’OPEC, coprendo una sempre maggiore aliquota della vendita di greggio ai paesi occidentali e contribuendo ad attenuare le tensioni di mercato. L’esportazione avviene sia per mare, da terminali come quelli di ad-Dammam e Ras Tanura (sede di grandi impianti di raffinazione), sia tramite oleodotti: uno, con un percorso di 1800 km, dal 1950 raggiunge il porto libanese di Saida; l’altro (1981) unisce Ghawar a Yanbu al-Bahr, sul Mar Rosso; inoltre una rete di tubazioni serve le altre raffinerie (comprese quelle nel Bahrain). Notevole la produzione di gas naturale (64.000 milioni di m3 nel 2004).
Per le comunicazioni interne, grandi miglioramenti ha fatto registrare la rete stradale (52.000 km asfaltati), mentre solo 1390 km di ferrovie sono in esercizio. Sviluppati i trasporti marittimi e aerei: porto principale è quello di Gidda, con funzione sia commerciale sia per passeggeri (pellegrini diretti alle città sante), cui vanno aggiunti i terminali petroliferi; i principali aeroporti sono quelli di Riyad, Gidda, Medina e Dhahran, oltre a numerosi scali minori.
Il nucleo originario dello Stato è l’emirato wahhabita del Neged, nell’Arabia centrale. Di qui il suo sovrano Ibn Sa‛ūd mosse nel 1924-25 alla conquista del Hegiaz, dove si sostituì alla dinastia hashimita della Mecca. Il nuovo dominio saudiano, che dal 1932 prese la denominazione attuale, mirò all’espansione anche con le armi (guerra del 1934 contro lo Yemen per il Naǵrān e l’Asir), ma soprattutto all’organizzazione interna, con lo sfruttamento, per mezzo di capitale e tecnici americani, dei giacimenti petroliferi scoperti nel Neged. Nel 1945 il regno entrò a far parte delle Nazioni Unite e della Lega Araba. Alla morte di Ibn Sa‛ūd (1953) il nuovo sovrano, Sa‛ūd, continuò la politica di rafforzamento dell’amministrazione, affidando al fratello, il principe ereditario Faiṣal, le funzioni di primo ministro e ministro degli Esteri in un regolare governo. Nel 1958, allarmati dalla confusa gestione di Sa‛ūd, i membri della famiglia reale e gli ’ulamā’ investirono Faiṣal dei pieni poteri nella direzione degli affari interni ed esteri. Superata la crisi, nel 1960 Sa‛ūd riassunse le proprie prerogative, ma nel 1962 dovette nominare di nuovo il fratello primo ministro e ministro degli Esteri.
Il conflitto fra i due fratelli si risolse nel novembre 1964 con la deposizione, per inabilità, di Sa‛ūd e l’assunzione al trono di Faiṣal. In campo interno Faiṣal proseguì l’opera di costante modernizzazione, nella ricerca di fonti di entrate alternative a quelle del petrolio. In politica estera la sua azione mirò all’affermazione della solidarietà islamica e araba, aperta alla collaborazione con l’Occidente, e alla sicurezza del Regno, con interventi nei paesi confinanti contro movimenti considerati sovversivi (in particolare nello Yemen in appoggio dei realisti, con conseguente crisi con l’Egitto risolta solo nel 1970). Accentuando l’impegno per la liberazione dei luoghi santi di Gerusalemme, caduti in mano israeliana, nel 1973 Faiṣal decise l’embargo delle forniture di petrolio all’Occidente e l’appoggio alla resistenza palestinese e agli Stati arabi impegnati nel conflitto con Israele. Tuttavia la politica saudiana continuò a essere caratterizzata da realismo e prudenza e sul piano internazionale seguitò a operare in sostanziale accordo con gli USA e con i regimi arabi più conservatori. Tentativi di rivolta, soffocati sul nascere, nel giugno e nel settembre 1969 avevano rivelato l’esistenza di una opposizione.
Il 25 marzo 1975 Faiṣal venne ucciso, ma la situazione fu controllata dal successore, il fratello Khāled. Questi avviò con il secondo piano quinquennale (1976-80) un processo di industrializzazione diversificata, con forti investimenti nei servizi sociali e nell’educazione, mentre nel 1977 veniva portata a compimento la nazionalizzazione dell’estrazione petrolifera. In politica estera Khāled svolse un’ampia azione diplomatica tra Egitto, Siria, Giordania e OLP, allo scopo di risolvere sia il problema palestinese sia quello libanese, allontanando così la possibilità di un intervento diplomatico dell’URSS nella regione. Analoga preoccupazione l’Arabia Saudita mostrò circa la presenza sovietica nella zona del Corno d’Africa (Etiopia e Somalia) e nel Mar Rosso. Nel 1978 avversò le trattative di pace separata tra Egitto e Israele, per via della mancata soluzione del problema palestinese, pur non aderendo allo schieramento dei paesi arabi favorevoli alle sanzioni economiche verso l’Egitto. Quest’ultima posizione si modificò nel corso del 1979, parallelamente al tentativo di attuare una politica di maggiore autonomia dagli USArabia Saudita Dopo aver provveduto a un vasto piano di riarmo, l’Arabia Saudita adottò iniziative diplomatiche verso l’URSS e nel 1981 diede vita, con Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar, al Consiglio per la cooperazione nel Golfo, con funzioni di collaborazione economica, politica e militare. In occasione del conflitto Iraq-Iran (1980-88) l’Arabia Saudita sostenne il primo con aiuti finanziari e militari. Nel 1981 il principe ereditario Faḥd elaborò un piano di pace per la questione palestinese, approvato al vertice di Fez del 1982, dopo l’invasione israeliana del Libano.
Divenuto re dopo la morte di Khāled (1982), Faḥd varò il quarto piano quinquennale (1985-90), volto a fronteggiare il calo delle entrate petrolifere. In seguito all’invasione irachena del Kuwait (1990), l’Arabia Saudita si schierò con la coalizione multinazionale antirachena guidata dagli USA e prese parte alle operazioni belliche. La Prima guerra del Golfo (1990-91), con l’insediamento nel paese di eserciti stranieri, non musulmani, rappresentò un elemento di profonda crisi per la società saudita. Nel dicembre 1993, proprio per rispondere alle aspettative di cambiamento maturate nei settori più liberali e secolarizzati dell’opinione pubblica, nacque un Consiglio consultivo formato da 60 membri di nomina regia (portati a 90 nel luglio 1997), che affiancò re Faḥd alla guida del paese. Fu attuata al contempo una politica sempre più repressiva, anche per controllare la diffusione del fondamentalismo. Per contenere l’influenza degli ’ulamā’ più radicali fu istituito, nell’ottobre 1994, un Consiglio supremo per gli affari islamici, con competenze in campo educativo e religioso.
Negli anni successivi, tuttavia, l’opposizione fondamentalista continuò a crescere, dando vita ad alcune organizzazioni terroristiche. Sul piano internazionale, nel corso degli anni 1990 migliorarono le relazioni con l’Iran. L’Arabia Saudita appoggiò il leader palestinese Y. ‛Arafāt e nell’aprile 1995 fu il primo paese a riconoscere i passaporti emessi dall’autorità palestinese nei territori occupati. Rimasero invece conflittuali le relazioni con gli altri paesi della penisola arabica, e in particolare con lo Yemen, a causa dell’invasione da parte dell’Arabia Saudita dell’isola contesa di Huraym nel Mar Rosso. Nell’autunno 2001, quando gli USA intervennero contro l’Afghanistan, l’Arabia Saudita non concesse l’uso delle proprie basi aeree. Tale scelta fu rinnovata nel 2002, quando il ministro degli Esteri saudita annunciò che le basi militari del paese non sarebbero state impiegate per eventuali attacchi all’Iraq. Nel 2003 il governo americano rese pubblica l’intenzione di ritirare quasi integralmente le proprie truppe stanziate in Arabia Saudita, ma entrambi i governi confermarono la reciproca alleanza e l’impegno comune contro il terrorismo, già precedentemente denunciato da Faḥd, subito dopo l’attacco alle Twin Towers, come un crimine proibito dal;l’islam. Il paese divenne quindi oggetto di ripetuti attacchi terroristici, che colpirono complessi residenziali e impianti petroliferi. Intanto le autorità saudite dovevano affrontare le pressioni interne e internazionali per l’introduzione di riforme democratiche. La monarchia rispose concedendo più poteri al Consiglio Consultivo, che avrebbe potuto proporre nuove leggi di propria iniziativa. Pochi mesi prima (maggio 2002) un nuovo codice penale aveva posto al bando la tortura e introdotto maggiori diritti per gli indagati. Le riforme conobbero uno sbocco significativo nelle prime elezioni amministrative del febbraio-aprile 2005, da cui furono però escluse le donne (per le quali fino al 2001 non era nemmeno prevista la carta d’identità). Nell’agosto 2005, a seguito della morte di re Faḥd, salì al trono il fratellastro Abdullah Bin Abdulaziz al Saud, reggente dal 1995, quando Faḥd era stato colpito da ictus. Nel novembre 2005, dopo molti anni di trattative, l’Arabia Saudita è stata ammessa nella WTO.
Il regno di Abdullah è stato caratterizzato da un'apertura del Paese al dialogo interculturale e da una funzione equilibratrice delle tensioni che nell'ultimo decennio hanno attraversato i Paesi arabi: primo sovrano a incontrare il papa nel 2007, nel quadro dei conflitti scaturiti nel 2011 nella cosiddetta Primavera araba ha sostenuto un ruolo di mediazione operando per evitare il dilagare della rivolta, e nel 2012 è stato ispiratore di un piano di pace tra Israele e Palestina sostenuto dalla Lega Araba. Abdullah si è inoltre impegnato nel rinsaldare le relazioni con gli Stati Uniti e, sul fronte interno, ha guidato il Paese verso profondi mutamenti rivedendo le regole dinastiche, concedendo alle donne di votare e di essere elette alle consultazioni municipali previste per il 2015 e, nel 2013 consentendo loro l’accesso al Parlamento consultivo. Alla sua morte, avvenuta nel gennaio 2015, è asceso al trono il fratellastro, Salman Bin ‛Abd al-‘Azīz, mentre dalla stessa data ha assunto le cariche di ministro della Difesa, vice principe della Corona e secondo vice primo ministro del Paese il figlio Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, nominato nel giugno 2017 principe ereditario, vice primo ministro dell'Arabia Saudita e presidente del Consiglio per gli affari economici e dello sviluppo. Leader autoritario, accusato dalla comunità internazionale di reiterate violazioni dei diritti umani, fautore di una politica estera aggressiva, in politica interna Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd ha avviato una serie di riforme strutturali nel settore governativo ed elaborato l’ambizioso progetto Saudi Vision 2030, finalizzato all'affrancamento del Paese dalla dipendenza dal mercato delle fonti energetiche; nel settembre 2022 ha assunto, su nomina del padre, la carica di premier.
In politica estera, nel quadro del processo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche in Medio Oriente avviato nel 2020 con la firma alla Casa Bianca degli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Uniti e Bahrain, nel luglio 2022 il Paese ha deciso di consentire i voli aerei da e per Israele, aprendo inoltre i suoi cieli a tutte le compagnie che soddisfino i requisiti stabiliti dall'Autorità per il sorvolo. Nel marzo 2023, grazie alla mediazione della Cina, il Paese ha ristabilito con l'Iran le relazioni diplomatiche, che erano state interrotte nel 2016; nell'agosto dello stesso anno, durante il summit tenutosi a Johannesburg, l'Arabia Saudita è stata ammessa nel blocco BRICS - insieme ad Argentina, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran - di cui sarà membro effettivo dal 1° gennaio 2024.
Un accentuato e singolare contrasto fra tradizione e innovazione caratterizza l’immagine architettonica dei maggiori centri urbani dell’A.; città come Riyad o Gidda ostentano una stridente coesistenza di imponenti edifici in vetro, acciaio, cemento e alte tecnologie (grattacieli ed edifici commerciali, centri turistici e ospedalieri, aereoporti) con le antiche costruzioni realizzate in mattoni di argilla o fango essiccati al sole (regioni orientali) o con un largo uso di corallo del Mar Rosso (regione di Gidda). Le tipiche case a corte con uno o due piani, intonacate di bianco e con piccole finestre (sopravvissute a Riyad grazie a un piano regolatore del 1971 che prevedeva la conservazione di antiche parti della città) e gli edifici di solito a 4 piani, presenti a Gidda, con le caratteristiche finestre schermate da raffinati intarsi in legno aggettanti (rawāshin), cifra stilistica ottomana ed egiziana (da metà del 18° sec. all’inizio del 20°), sono oggetto di restauri conservativi e adattamenti alle nuove esigenze abitative. Nuove moschee reinterpretano elementi e stili tradizionali (tipiche quelle dell’architetto egiziano A. Wahed El-Wakil a Gedda). Parallelamente, l’intensa attività costruttiva iniziata nel decennio 1970-80 ha dato occasione ad architetti di fama internazionale di realizzare complessi commerciali e residenziali o amministrativi (al-Khairia Center di K.Tange; Institute of Public Administration dello studio Architects Collaborative con M. al-Sabiq, entrambi 1982), aeroporti (King Khalid International Airport dello studio Hellmuth, Obta & Kassabaum, 1984) oppure grattacieli per uffici come l’Al Faisaliyah Center di N. Foster (2000).