Denominazione, sorta in ambito cristiano negli Stati Uniti agli inizi del 20° sec., ed estesa poi alle due altre religioni monoteiste, ebraica e musulmana, per indicare genericamente i movimenti, dapprima religiosi e culturali, poi anche sociali e politici, che, opponendosi a qualsiasi interpretazione evolutiva dei propri principi originari e fondamentali, ne propongono un’applicazione rigorosa negli ordinamenti attuali.
Movimento teologico e culturale, sorto tra la fine del 19° sec. e gli inizi del 20° all’interno del protestantesimo statunitense che, in opposizione alla teologia liberale e a tutte le tendenze razionalistiche e critiche, accoglie e impone come ‘fondamenti’ (fundamentals) del cristianesimo l’accettazione, oltre che dei dogmi, dei miracoli e dell’inerranza della Bibbia, anche dell’ispirazione verbale di questa.
Base ideologica del movimento fu il Niagara creed, formulato nel 1878 in occasione della prima riunione delle Niagara biblical conferences, cui si ricollega la serie intitolata the fundamentals: a testimony to the truth, iniziata nel 1910 a opera di L. e M. Stewart. Nel 1919 fu fondata a Filadelfia la World’s christian fundamentals association, ispirata da W.B. Riley. Negli anni 1920 i fondamentalisti avviarono l’offensiva contro la modernizzazione nella Chiesa e nella società, sensibilizzando l’opinione pubblica e provocando gravi scissioni in vari gruppi protestanti. Si impegnarono soprattutto nel campo dell’insegnamento nella scuola pubblica, combattendo le teorie dell’evoluzionismo, in cui vedevano la negazione della dottrina biblica della creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. Nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale alcuni rappresentanti del movimento, quali C. McIntire e B. James, si segnalarono nelle campagne anticomuniste della guerra fredda. Nel 1979, a opera del pastore J. Falwell, nacque il movimento della Moral Majority, che tra i suoi obiettivi si poneva quello di difendere i valori tradizionali degli Stati Uniti compromessi dall’evoluzione della società e della cultura. Nel quadro attuale, al f. si rifanno alcune teorie della destra religiosa (cosiddetti teocon).
Il f. non è però ristretto al solo ambito statunitense e ha registrato un’ampia diffusione dapprima nel mondo di lingua inglese, raggiungendo la Repubblica Sudafricana (dove l’apartheid è stata giustificata teologicamente con posizioni fondamentaliste) e poi alcune terre di missione del protestantesimo statunitense, come l’America latina.
Per quanto riguarda l’ebraismo, sotto l’etichetta di f. si possono designare vari movimenti caratterizzati dalla mescolanza di religione e politica, dal richiamo ai fondamenti biblici e talmudici, dal messianismo, dall’osservanza rigorosa dei precetti, dal radicalismo politico.
Nell’Ottocento, soprattutto negli ultimi decenni, mentre il mondo ebraico era percorso da fermenti di cambiamento e trasformazione, l’area della religiosità tradizionale si presentava assai variegata, comprendendo sia Ebrei pronti a vivere nel mondo e ad accettare la trasformazione indotta dall’emancipazione (come gli aderenti al movimento neortodosso creato in Germania da S.R. Hirsch) sia comunità ultraortodosse, in particolare in Ungheria, organizzate secondo una radicale chiusura e la più rigida osservanza. In questo quadro complesso, l’apparizione all’inizio del 20° sec. del progetto sionista apparve agli ortodossi, sia nella diaspora sia in Palestina, la forma più pericolosa della secolarizzazione, considerata blasfema sulla base dell’idea che il ritorno in Israele, momento essenziale dell’avvento del Messia, potesse essere determinato solo da Dio e non dagli uomini. All’inizio del Novecento, gli ultraortodossi ḥaredim («timorosi di Dio») diedero vita all’organizzazione separatista e antisionista Agudat Israel, dalla quale poi si scisse il gruppo dei Neturei Karta («guardiani della città», in aramaico). L’impatto della shōāh, con la distruzione di quasi tutto l’ebraismo dell’Europa orientale (interpretata dagli ultraortodossi in chiave religiosa come punizione divina per i peccati della secolarizzazione e del sionismo), favorì una ripresa del movimento ultraortodosso. Molti rabbini sopravvissuti allo sterminio si stabilirono in Palestina ricostruendo scuole, comunità, istituzioni rigorosamente fedeli alla tradizione ortodossa. Con la creazione dello Stato di Israele, nel 1948, la maggior parte dei ḥaredim giunse a compromessi con lo Stato per poter gestire in maniera autonoma la vita comunitaria, mentre i Neturei Karta e altri gruppi accentuarono il loro isolazionismo. A mutare il panorama politico-religioso furono soprattutto le trasformazioni indotte nella società israeliana dalle guerre del 1967 e del 1973. Dopo la vittoria sui paesi arabi e la conquista di Gerusalemme, Cisgiordania, Golan e Gaza, il paese fu percorso nel 1967 da un’ondata di esaltazione nazionalistica, e la vittoria stessa assunse un sapore miracolistico. In questo contesto nacque il Gush Emunim («blocco dei fedeli»), che poneva al centro della sua politica la difesa della terra, in quanto santa e integralmente ebraica. Di qui la creazione di insediamenti in Cisgiordania e a Gaza, iniziata nel 1967 e condotta dal Gush Emunim su fondamenti ideologici nazional-religiosi. Ciò spiega come il Gush Emunim sia stato il principale oppositore dello smantellamento delle colonie di Gaza, portato a termine dal governo Sharon nel 2005.
Il termine f., applicato alla descrizione delle relazioni fra società, politica e religione islamica, riveste in Occidente una connotazione negativa, mentre nelle società arabe la sua configurazione è complessa e le sue espressioni mutevoli.
Il grande movimento riformista, nato alla fine del 19° sec. dalla volontà dei suoi fondatori di trovare nel riferimento all’islamismo la risposta risolutiva di fronte alla crescita della potenza dell’Occidente, viene considerato come il vero predecessore dei movimenti fondamentalisti contemporanei. L’irano-afgano Ǧamāl al-Din al-Āfġānī, l’egiziano Muḥammad ‛Abduh e il siriano Rashīd Riḍā furono i maggiori esponenti di questa prima fase, intellettuale e meno conflittuale, dell’aspirazione dei musulmani a reintrodurre nella storia i loro riferimenti religiosi e culturali e a riconciliare rivelazione e ragione sulla scena della modernità. Fin dal 1884 la Salafiyya (da al-Salaf al-salih, «antenati ben guidati»), che si ispirava ad al-Āfġānī, enunciò il postulato di base dei movimenti fondamentalisti contemporanei, cioè che soltanto la piena applicazione della legge islamica può permettere di restaurare la passata grandezza della comunità musulmana e di porre fine alle incursioni militari, commerciali, ideologiche e culturali degli occidentali. Nel 1928, con la costituzione in Egitto dell’associazione dei Fratelli Musulmani (gam ‘iyyat al-Ikhwān al-muslimūn) a opera di Ḥasan al-Bannā’, il movimento della Salafiyya iniziò uno sviluppo soprattutto politico.
Già nell’Ottocento si erano verificati altri ibridi tra riformismo e politica imperniati sul fattore religioso: il mahdismo sudanese (1853-85) in primo luogo, ma anche l’epopea politico-militare della confraternita algerino-libica fondata da Muḥammad ibn ‛Alī al-Sanūsī. Più ancora, in Arabia Saudita e poi in Libano, lo stesso potente movimento wahhabita può essere considerato anticipatore delle correnti fondamentaliste contemporanee e precursore dei Fratelli Musulmani. Dall’alleanza, poi rafforzata da legami di sangue, fra un capo religioso e ideologico, Muḥammad ibn ‛Abd al-Wahhāb, e un capo tribù, Muḥammad ibn Sa‛ūd, nacque infatti l’influenza politica della dinastia sull’Arabia che tuttora porta il suo nome. Il riformismo moralizzatore del movimento fu alimentato dal timore di al-Wahhāb di vedere le tribù abbandonare l’ortodossia islamica per tornare all’idolatria e al politeismo dell’epoca preislamica. In Arabia Saudita il wahhabismo si identifica con il regime e costituisce una corrente particolarmente conservatrice del f., che impone un rispetto meticoloso delle pratiche cultuali (in particolare le cinque preghiere) e della morale pubblica e privata, svolgendo, grazie alla ricchezza petrolifera saudita e attraverso la fitta rete dell’assistenza islamica, una rilevante attività di finanziamento dei movimenti fondamentalisti a livello internazionale.
Anche l’indiano Abū’l-‘Alā’ Mawdūdī fu uno dei grandi teorici del f. contemporaneo. Tra l’altro affermava che i popoli musulmani erano tornati a uno stato d’ignoranza preislamica e che, per controbilanciare l’influenza delle ideologie straniere apportatrici esclusivamente di danni, l’islamismo doveva essere reintrodotto nel cuore degli uomini e nella società, se necessario con la rivoluzione. L’islamismo giunge a rappresentare così la terza via fra il capitalismo e il socialismo. Nel 1941 Mawdūdī fondò nell’India britannica la Ǧamā‛at-i Islāmī, un movimento politico più elitario dei Fratelli Musulmani, che ricorreva all’infiltrazione nella sfera pubblica e all’impegno diretto nella competizione politica.
La pessimistica analisi delle società musulmane di Mawdūdī fu condivisa da un altro grande teorico del f. contemporaneo, l’egiziano Sayyid Quṭb. Questi elaborò la base dottrinale più radicale, che costituisce il punto di riferimento per una parte del panorama fondamentalista, riprendendo il concetto della guerra santa intesa come lotta per far trionfare l’islamismo nel mondo. Quṭb si convinse tra l’altro della decadenza morale dell’Occidente, animato da uno spirito di crociata nei suoi rapporti con il mondo islamico, e rivendicò per quest’ultimo il ruolo di unica e vera civiltà.
Con la rivoluzione iraniana del 1979 iniziò l’ascesa dei fondamentalisti al potere, proseguita negli anni successivi in Sudan (dove Ḥasan al-Turābī riformò profondamente l’organizzazione dei Fratelli Musulmani, creando poi un Fronte Islamico, e conducendo una politica duramente repressiva nei confronti delle minoranze cristiane) e in Afghanistan, dove i gruppi fondamentalisti erano stati appoggiati durante gli anni 1980 dagli Stati Uniti in funzione antisovietica. Anche in seguito al sostegno dell’Iran, l’islamismo radicale si diffuse ulteriormente in diversi paesi. Così in Palestina i Fratelli Musulmani crearono nel 1987 il Movimento della resistenza islamica (Ḥamas) e in Algeria formarono nel 1990 un altro Ḥamas, prima di essere costretti per legge a trasformarsi nel 1997 in Movimento per la società della pace. In Algeria, la spietata attività terroristica dei gruppi fondamentalisti e la dura repressione governativa provocarono negli anni 1990 decine di migliaia di vittime soprattutto civili.
Il f., diffusosi nella maggior parte dei paesi musulmani e nella diaspora musulmana in Europa, ha come obiettivo il ristabilimento di una base istituzionale unica per tutto il mondo musulmano (il Califfato) e respinge la nozione di democrazia come contraria al principio di guida divina. I gruppi rivoluzionari, che si richiamano a Quṭb, sono convinti della necessità dell’azione diretta e della lotta armata contro i regimi non osservanti le regole rivelate da Dio e contro il taġūt («tiranno», termine coranico utilizzato di frequente per indicare il capo non legittimo). Il terrorismo internazionale legato al f. islamico, diretto soprattutto contro Israele e Stati Uniti, è culminato l’11 settembre 2001 con i gravissimi attentati di New York e Washington. Nuovo e potente attore del f. islamico è l'IS (Stato islamico), attivo dal 2006, che ha dichiarato ufficialmente l'istituzione del Califfato nel 2014 e che ha come obiettivi di attacchi terroristici anche i Paesi europei. Nel 2015, infatti, ha rivendicato la strage di Parigi del 13 novembre, nel 2016 quella di Bruxelles del 22 marzo, quella di Nizza del 14 luglio e quella di Berlino del 19 dicembre, nel 2017 quella di Londra del 22 marzo, quella di Manchester del 22 maggio, quella di Londra del 3 giugno, quella di Barcellona del 17 agosto, quella di New York del 31 ottobre, nel 2018 quella di Strasburgo dell'11 dicembre.
A margine della politica in senso stretto, in molti paesi musulmani i fondamentalisti hanno messo in atto una capillare islamizzazione dal basso delle realtà associative ed educative e delle istituzioni della società civile, non solo attraverso strumenti tradizionali (moschee, pellegrinaggi, porta a porta, circoli, centri di studio, associazioni umanitarie e finanziarie a referente islamico, sostenute economicamente soprattutto da sauditi e iraniani), ma anche attraverso quelli mutuati dalla modernità (cassette audio e video, programmi televisivi, bollettini diffusi via fax, siti Internet ecc.).