sionismo Movimento politico e ideologia volti alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina (da Sion, nome della collina di Gerusalemme).
Sviluppatosi alla fine del 19° sec., in seguito all’inasprirsi dell’antisemitismo in Europa orientale e alla crisi seguita al cosiddetto affare Dreyfus, il s. avanzò le proprie rivendicazioni nel Congresso di Basilea (1897), organizzato da T. Herzl. Furono allora tracciate le linee del futuro programma d’azione del s., in cui si fondevano tre tendenze: la prima, pratica, vedeva nella colonizzazione agricola della Palestina il mezzo per restituire agli Ebrei la loro dignità umana e per far valere in futuro effettivi diritti sul territorio, e trovò il suo strumento nel Qeren qayyemeth le Yiśrā’ĕl («Fondo permanente per Israele», noto come Fondo nazionale ebraico), creato nel 1901 allo scopo di acquistare terreni in Palestina; la seconda tendenza, etico-religiosa, si batteva per un ritorno alla tradizione e la rinascita di uno spirito nazionale e dei valori culturali e religiosi dell’ebraismo; infine la tendenza politica mirava a ottenere la concessione di una ‘carta’ internazionale che autorizzasse e tutelasse l’immigrazione ebraica in Palestina.
Un decisivo passo in avanti fu compiuto con la dichiarazione Balfour (novembre 1917), con cui il governo britannico si impegnava a facilitare la creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico, e con la sua successiva incorporazione nello statuto del mandato sulla Palestina affidato alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni, che costituì il punto di partenza di quella vasta azione politica, economica, colonizzatrice, e poi militare, che portò alla costituzione dello Stato d’Israele. Dopo la ratifica del mandato (1922), fu costituito un esecutivo sionista in Palestina; il Qeren ha-yesōd («Fondo della base», noto come Fondo per l’edificazione della Palestina), creato nel 1920, iniziò la sua attività; nel 1925 s’inaugurava a Gerusalemme l’università ebraica; dal 1919 al 1929 si conclusero la terza e la quarta aliya («flusso migratorio»), che condussero in Palestina circa 100.000 Ebrei. Determinante fu la Jewish Agency, che iniziò la sua attività nel 1929 e, favorendo l’afflusso d’ingenti investimenti, soprattutto di capitale americano, contribuì ad avviare l’industrializzazione del paese. La nuova società assunse progressivamente la fisionomia di un’entità statale in formazione: un’assemblea elettiva e un esecutivo dirigevano la politica dell’Ishuv (cioè la comunità ebraica della Palestina); a tutela del lavoro ebraico era sorta un’organizzazione sindacale, la Histadrut; i problemi della difesa delle comunità erano stati affidati alla Hagānāh, corpo di pionieri-soldati trasformatosi poi nell’esercito d’Israele; sanità, istruzione, servizi pubblici avevano trovato le loro strutture. A tale evoluzione si accompagnò un progressivo inasprimento dei contrasti con la popolazione arabo-palestinese, fino alla grave crisi del 1936-39 (➔ Palestina).
Negli anni successivi la situazione drammatica creata dallo sterminio di milioni di Ebrei in Europa rese sempre più forte la spinta verso la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, mentre il movimento sionista otteneva un crescente sostegno internazionale, in primo luogo dagli USA. Dopo la decisione britannica (febbraio 1947) di deferire il problema palestinese alle Nazioni Unite e l’insuccesso della soluzione prospettata da queste ultime, la vittoria delle forze sioniste nel conflitto militare con quelle arabe portò infine alla costituzione dello Stato d’Israele (maggio 1948).