Stato dell’Africa australe, che occupa l’estrema parte meridionale del continente, confinando a NO con la Namibia, a N con il Botswana e lo Zimbabwe, a NE con il Mozambico e lo Swaziland, e inglobando, nella parte orientale del proprio territorio, il Lesotho.
Il territorio è per gran parte costituito da un altopiano solcato da numerose fratture e orlato verso la costa da alte scarpate, che in passato hanno reso difficile l’accesso all’interno. L’altitudine varia da 600 a 2000 m s.l.m., con le parti più elevate verso S e SE; verso N e NO le alteterre scendono lentamente verso il bacino del Kalahari. L’altopiano, nella sezione meridionale, è stato sollevato dai movimenti tettonici del Terziario, che hanno formato gli allineamenti montuosi (altitudine massima 3842 m) allungati dal Capo al Mozambico, separando nettamente la stretta fascia dei rilievi e delle pianure costiere dalle alteterre dell’interno. L’allineamento dei rilievi che formano la grande scarpata, allungata per 2000 km dalla valle del fiume Limpopo fino alla regione del Capo, è formato da una serie continua di gruppi montuosi (Monti dei Draghi, Winterberge, Swartberge), che incombono sulla costa dell’Oceano Indiano. La regione esterna alla grande scarpata comprende a N il Basso Veld del Transvaal, una regione costituita da una serie di piani ondulati, con altezza variabile fra 150 e 600 m s.l.m., separata dalla costa mozambicana dai Monti Lebombo. Più a S, la regione costiera si restringe di molto; solamente nel N del Natal, fra Swaziland e Mozambico, si apre un breve tratto pianeggiante. Nella regione del Capo la fascia costiera è tormentata da una serie di sistemi a pieghe molto antichi che formano un sistema di alture relativamente elevate (Montagna della Tavola, che domina Città del Capo: 1088 m), incombenti sulla stretta cimosa litoranea: questi rilievi a pieghe racchiudono piani rialzati che si allargano in corrispondenza del Piccolo Karoo e, più all’interno, del Gran Karoo. La regione costiera atlantica è caratterizzata da dolci sistemi collinari e da alcune pianure alluvionali.
Il territorio, situato per gran parte a sud del Tropico del Capricorno e con i grandi bacini interni poco influenzati dalle masse d’aria oceaniche, a causa delle alture che formano la grande scarpata, è caratterizzato da una serie di climi che, privi degli eccessi frequenti nel continente africano, non presentano, se non nelle zone aride nord-occidentali, condizioni tali da porre problemi alle attività umane. A parte la sezione settentrionale del Transvaal, tutto il territorio ha climi di tipo subtropicale. La sezione più meridionale della regione del Capo gode di un clima di tipo mediterraneo, con piogge più abbondanti durante l’inverno australe, estate secca e temperature medie che oscillano entro valori contenuti (20,5 °C in gennaio e 12 °C in luglio a Città del Capo, con 520 mm di pioggia all’anno). La costa orientale, bagnata dalla calda Corrente del Mozambico, ha un clima di tipo subtropicale, con piogge più abbondanti durante la stagione estiva, quando i venti monsonici portano sulle pendici dei rilievi costieri le masse d’aria umida provenienti dall’Oceano Indiano. Gli altopiani interni sono molto più aridi, con medie annue delle precipitazioni in genere inferiori ai 600 mm, minime in corrispondenza del deserto del Kalahari, e con temperature piuttosto vicine a quelle di Città del Capo, in quanto l’aumento dell’altitudine è compensato dalla vicinanza dell’equatore. Le temperature medie scendono in maniera sensibile solo lungo l’arido tratto costiero occidentale, a causa dell’influenza della fredda Corrente del Benguela.
L’incostanza e scarsità delle precipitazioni nei bacini interni condiziona tutta l’idrografia del paese, che è povera e conta due soli corsi d’acqua importanti: l’Orange, che, con il suo affluente Vaal, drena tutta la regione centrale degli altopiani e si getta nell’Oceano Atlantico, segnando il confine con la Namibia, e il Limpopo, che fa da confine con Botswana e Zimbabwe, prima di entrare in Mozambico e gettarsi nell’Oceano Indiano. Gli affluenti di questi due fiumi e i corsi minori non sempre hanno acqua durante tutto l’anno, e nei periodi di aridità si perdono nei bacini interni.
La vegetazione naturale, oggi profondamente alterata per le esigenze produttive, nella regione del Capo è simile alla macchia mediterranea, con prevalenza di arbusti sempreverdi, mentre la foresta temperata sempreverde è presente solamente in una piccola parte della costa orientale della regione meridionale. La foresta subtropicale sempreverde copre ancora alcuni tratti della regione costiera e submontana della sezione nord-orientale della regione del Capo e del Natal. All’interno la vegetazione risente della diminuzione delle precipitazioni e si riduce progressivamente a vaste praterie o a steppe predesertiche, per lasciare posto a poche specie particolarmente adatte a sopportare lunghi periodi di siccità. La boscaglia a parco di tipo savanico è presente solamente in alcuni bacini interni più ricchi di umidità, lungo i corsi dei fiumi principali e nella regione tropicale del Transvaal. La fauna tipica delle steppe e delle savane africane, un tempo ricchissima, è oggi conservata in alcune riserve naturali, attentamente protette, e che hanno nel Parco Nazionale Kruger (oltre 20.000 km2), al confine con il Mozambico, uno degli esempi migliori di tutta l’Africa, visitato ogni anno da oltre 1 milione di turisti.
Il primo censimento della popolazione si svolse nel 1911, anno successivo al conferimento all’Unione Sudafricana dello status di dominio autonomo nell’ambito del Commonwealth britannico. Ma i dati dei vari censimenti succedutisi fino al 1991 sono poco attendibili, per effetto delle distorsioni legate alla politica dell’apartheid, che escludeva dal censimento ufficiale la popolazione nera, che viveva confinata nei bantustan (➔), comprendenti poco più del 13% della superficie complessiva del paese. Inoltre le townships (città ghetto), sterminati e poverissimi insediamenti costruiti alla periferia dei grandi distretti industriali e urbani, erano praticamente inaccessibili ai rilevatori ufficiali, tanto che il censimento del 1991, che si svolse in un periodo di sommosse e di particolare turbolenza sociale, impiegò fotografie aeree e rilevazioni campionarie per contare gli abitanti. In quell’anno la popolazione fu stimata in 30.967.000 ab., inclusi gli abitanti dei 4 bantustan (Transkei, Bophuthatswana, Venda e Ciskei) dichiarati indipendenti dal regime di Pretoria tra il 1976 e il 1981. Nel 1994, dopo che tutti i 10 bantustan esistenti (complessivamente 15,5 milioni di ab.) furono reincorporati nello Stato, il governo sudafricano stimò in 40.400.000 il totale della popolazione nazionale. Infine, nel 2009, la popolazione è stata valutata in circa 49 milioni di abitanti. Il tasso d’incremento annuo, che nel quinquennio 2000-05 è stato in media dell’1,2% annuo, tende a scendere al di sotto dell’1% (0,828 nel 2008), soprattutto a causa dell’emergenza legata alla diffusione dell’AIDS: secondo dati delle Nazioni Unite i malati (in massima parte neri) nel 2008 oscillavano tra il 15,5 e il 20,5% della popolazione.
Nel complesso quadro delle differenziazioni etniche e razziali la componente che mantiene il tasso di accrescimento più elevato è quella bantu (79% della popolazione totale). I bianchi rappresentano il 9,6% (erano il 21,4% nel 1911 e il 17,5% nel 1970); i coloureds (discendenti dalle unioni tra bianchi, africani e asiatici, presenti soprattutto nella regione del Capo) l’8,9%. Gli asiatici (per lo più Indiani nel Natal, discendenti dai lavoratori fatti arrivare dalle colonie asiatiche durante i primi anni dell’amministrazione britannica) il 2,5%. I Bantu sono divisi in alcuni popoli molto differenti per retaggio culturale e senso di appartenenza etnica, che si sono combattuti in passato e che tendono a conservare la loro autonomia nell’ambito dell’attuale ordinamento dello Stato. Le popolazioni di lingua bantu si dividono in Zulu, Swazi, Tsonga, Ndebele, Xosa, Venda, Sotho Settentrionali e Sotho Meridionali o Seshoeshoe, Tswana e alcuni gruppi minori: i più numerosi e con una maggiore coscienza etnica sono gli Zulu, che rappresentano il 24% del totale della popolazione nera. Le popolazioni bianche, che dominano nettamente la vita economica e culturale del paese e che prima della Costituzione provvisoria del 1994 controllavano completamente anche quella politica, sono in maggioranza discendenti dai Boeri, arrivati nella regione del Capo nel 17° sec. dalle Indie Olandesi prima, e poi dall’Europa, da ugonotti francesi sfuggiti alle persecuzioni religiose, da coloni tedeschi e inglesi arrivati numerosi dopo il 1820. A questi primi colonizzatori si sono aggiunti, nel 20° sec., Europei di diversa provenienza e, dopo la fine della colonizzazione in Africa, molti coloni dei territori diventati indipendenti.
Le lingue ufficiali dello Stato sono 11, in quanto dopo l’abolizione dell’apartheid all’afrikaans e all’inglese, retaggio della colonizzazione boera e di quella britannica, si sono affiancati anche i vari idiomi bantu, propri di ciascun gruppo etnico. I bianchi, nell’uso comune, si servono in maggioranza (54%) dell’afrikaans, mentre l’inglese è parlato abitualmente solo dal 34% della popolazione di origine europea; i coloured utilizzano in massima parte l’afrikaans, mentre gli Indiani sono prevalentemente di lingua inglese. Le minoranze non bantu degli spazi predesertici occidentali (Ottentotti, Boscimani, Bergdamara) parlano lingue khoi-san. Dal punto di vista religioso, è protestante, di varie confessioni, la maggioranza dei bianchi e dei coloured, e circa il 50% degli africani; fra questi ultimi sono ancora largamente diffusi i culti animisti tradizionali. La minoranza cattolica è valutabile attorno a 2,5 milioni di unità.
La distribuzione della popolazione (densità media 40,2 ab./km2) si presenta fortemente ineguale sul territorio, in conseguenza sia delle differenti condizioni climatiche e pedologiche, sia della concentrazione, in alcune regioni, di immense ricchezze minerarie. Anche le vicende storiche dei sec. 19° e 20°, caratterizzate da scontri e guerre feroci tra gruppi tribali, e dalla continua pressione da parte di gruppi europei, hanno contribuito a concentrare la popolazione in alcune aree: Johannesburg (3.288.000 ab. nel 2005), situata nel bacino aurifero del Witwatersrand, a circa 1700 m di altitudine, che è il massimo centro finanziario e il principale nodo di scambi e di comunicazioni; Città del Capo (3.375.000 ab.), capitale legislativa; Pretoria, capitale amministrativa e importante centro culturale (2.450.000 ab.).
Fattore fondamentale della crescita economica moderna del paese è stata la ricca dotazione di risorse del sottosuolo. L’attività estrattiva prese avvio negli ultimi decenni dell’Ottocento, e trasse un decisivo impulso dalle esigenze produttive generate dalla Seconda guerra mondiale, che spinsero la Gran Bretagna a incentivare l’apparato industriale sudafricano. A richiamare ingenti investimenti dalla madrepatria, e successivamente dagli Stati Uniti, fu soprattutto l’ampia disponibilità di manodopera a bassissimo costo, con la conseguente segmentazione razziale del mercato del lavoro sancita dalla politica dell’apartheid. Nell’arco trentennale 1950-80 l’economia crebbe a un tasso medio del 5% annuo, trainata dall’aumento della domanda mondiale di prodotti minerari, e in particolare dell’oro. Ma in seguito l’economia sudafricana entrò in una fase di stagnazione, causata sia dalla congiuntura mondiale (minori flussi di investimenti stranieri in seguito alle sanzioni adottate da molti partner finanziari e commerciali, contrazione dei prezzi delle materie prime), sia da fatti strutturali interni (inflazione, eccessivo peso del settore pubblico, scarsa competitività dei prodotti industriali). Dopo l’abolizione del regime segregazionista, la normalizzazione politica ha creato le premesse per una piena realizzazione delle potenzialità economiche del paese. La crescita ha ripreso vigore dal 2004, avvantaggiandosi delle condizioni di stabilità macroeconomica e delle elevate quotazioni delle materie prime minerarie. Nella composizione del prodotto interno lordo l’agricoltura ha un peso molto ridotto (9%); il settore industriale concorre con il 26% e il terziario con il 65%. Il dato medio del reddito pro capite (9700 dollari, a parità di potere d’acquisto nel 2007) mimetizza gravi, persistenti squilibri nella distribuzione della ricchezza e nell’accesso ai servizi, che penalizzano pesantemente la popolazione nera.
L’agricoltura ha a sua disposizione poco più di un decimo della superficie nazionale, con arativi e colture arborescenti distribuiti soprattutto nella sezione più meridionale della regione del Capo e nelle terre umide della costa orientale; le aree prative e i pascoli corrispondono a due terzi della superficie territoriale complessiva. La disponibilità di spazio adatto alle attività agricolo-allevatrici è limitata dall’aridità e dalla diffusione dei processi di erosione dei suoli. I distretti agricoli più ricchi sono quello a clima di tipo mediterraneo della regione del Capo e quello a clima subtropicale umido della costa orientale. Attorno a Città del Capo i prodotti più caratteristici sono gli ortaggi, gli agrumi, la frutta e l’uva, quest’ultima con produzione sia da tavola sia, sempre più affermata a livello internazionale, da vino: la collocazione di questi prodotti sul mercato europeo, specialmente britannico, è facilitata dall’inversione delle stagioni tra i due emisferi, per cui la Repubblica S. non teme la concorrenza di analoghe produzioni dei paesi mediterranei. I distretti agricoli della parte orientale costiera della regione del Capo e del Natal sono specializzati nella coltivazione di frutta tropicale (banane, pompelmi, manghi), canna da zucchero e tabacco. Le colture delle aree più aride degli altopiani sono costituite soprattutto da cereali: il più importante è il mais (12 milioni di t su 3,3 milioni di ha), che costituisce il prodotto base dell’alimentazione della popolazione africana; seguono il frumento (2 milioni di t su 800.000 ha) e l’orzo. Nel settore primario ha grande importanza anche l’allevamento, in particolare quello delle pecore da lana. Gli ovini, in gran parte di razza merino, trovano nei pascoli degli altopiani interni condizioni ambientali adatte e spazi molto vasti, e forniscono ottima materia prima all’industria tessile. Minore importanza hanno i bovini. Le acque costiere dell’Oceano Atlantico, percorse dalla fredda Corrente del Benguela, costituiscono un ambiente eccezionalmente favorevole per la pesca.
Le attività minerarie concorrono a formare il 40% del valore delle esportazioni. La Repubblica S. mantiene il primo posto nella graduatoria dei produttori mondiali di oro (271 t nel 2006, una quantità peraltro lontana dai livelli raggiunti negli anni 1970: 1000 t/anno). Anche l’estrazione dei diamanti è in declino: concentrata in pochi grandi giacimenti (Kimberley, Pretoria, Jagersfontein, Koffiefontein) e nei depositi alluvionali lungo alcuni fiumi o nelle spiagge e nei bassi fondali della costa occidentale, oscilla attorno a una produzione di 8 milioni di carati all’anno (tra gemme e diamanti industriali). Alla diminuita importanza dell’oro e dei diamanti ha corrisposto un progressivo aumento dell’estrazione degli altri prodotti minerari. Tra essi hanno rilevanza uranio, platino, nichel, rame, vanadio, antimonio, fluorite, cromo, manganese; notevoli risultano anche le produzioni di minerali di ferro e di fosfati. Per quanto riguarda le fonti di energia, la Repubblica S. è priva di petrolio, ma dispone di ingenti riserve di carbone, di cui è il sesto produttore mondiale, con 245 milioni di t nel 2006.
L’industria contribuisce a produrre quasi un terzo del prodotto interno lordo, alimentando un consistente flusso di esportazioni. Di fondamentale importanza sono la siderurgia e la metallurgia. Particolare rilievo ha l’industria chimica, per la produzione di esplosivi utilizzati nelle attività minerarie, di fertilizzanti azotati impiegati in agricoltura, nonché per l’estrazione di idrocarburi dal carbone. Il settore meccanico è solido e ben articolato, ma nei comparti automobilistico, aeronautico e navale è rappresentato in larga parte da impianti decentrati da imprese straniere.
I trasporti interni sono basati su una rete ferroviaria molto ben distribuita (20.050 km, dei quali 8440 elettrificati) e su una buona rete stradale (275.000 km). Le comunicazioni con l’estero sono servite, oltre che dalle linee ferroviarie e stradali internazionali, anche da un sistema aeroportuale molto efficiente, che fa capo a Johannesburg. Il turismo è favorito dall’inversione delle stagioni rispetto all’emisfero boreale, dalle attrattive degli ambienti naturali ancora ben conservati, dall’efficienza e dall’alto livello delle infrastrutture ricettive e dalla presenza di una comunità bianca che ha ancora forti legami e continui rapporti con i paesi europei e nordamericani: nel 2006 sono stati registrati 7,8 milioni di ingressi.
La bilancia commerciale è attiva e vede al primo posto nelle esportazioni i prodotti del sottosuolo e i loro derivati, seguiti dai manufatti dell’industria meccanica e chimica e dai prodotti delle industrie tessili e agroalimentari; le importazioni riguardano soprattutto macchinari, mezzi di trasporto, attrezzature elettriche, prodotti chimici e strumenti di alta tecnologia.
Le più antiche testimonianze preistoriche sono i resti fossili di australopiteci e i manufatti su scheggia e ciottolo trovati in siti nel Transvaal (Sterkfontein, Makapansgat, Swartkrans e Kroomdrai) e nel Bophuthatswana (Taung). Sterkfontein e Makapansgat datano a 3,2-2,4 milioni di anni fa, gli altri a 1-2 milioni. L’Acheuleano, chiamato localmente, per le sue fasi più antiche, Stellenbosch, è documentato dalla Grotta di Montagu, a est di Città del Capo, e dalla Grotta dei Focolari, nel Transvaal. Successivamente si trovano manufatti litici connessi a tradizioni culturali contrassegnate da vari nomi, a seconda dei giacimenti eponimi (Pietersburg, Mazelspoort, Alexandersfontein, Stillbay, Mossel Bay, Magosi, Howieson’s Poort). Queste culture, caratterizzate dal metodo di lavorazione della pietra detto levalloisiano, corrispondono cronologicamente a parte del Paleolitico medio e superiore dell’Europa. In seguito si svilupparono industrie di tipo microlitico (culture di Smithfield e di Wilton), con manufatti che si accompagnano, a partire dall’inizio della nostra era, alla ceramica. Le genti che fabbricarono i manufatti microlitici sono ritenute autrici delle incisioni e pitture rupestri, raffiguranti animali e scene con esseri umani, presenti in buona parte del paese. Gruppi di agricoltori allevatori che conoscevano la ceramica e la lavorazione del ferro, probabili antenati degli attuali Bantu, si sono diffusi a partire dal 5° sec. d.C., da nord verso sud, trasmettendo le tecniche metallurgiche. L’età del Ferro è rappresentata dai siti di Bambandyanalo e di Mapungubwe: il primo fondato verso il 1000 a.C., il secondo qualche secolo dopo.
Gli Ottentotti (agricoltori) e i Boscimani (cacciatori e raccoglitori), indicati collettivamente con il nome di Khoi-San, sono considerati popolazioni autoctone in senso stretto; la loro cultura rimase arretrata ed essi furono travolti dall’emigrazione bantu dal N e, successivamente, dall’arrivo dei primi Europei sull’estrema costa meridionale. L’insediamento dei bianchi ebbe inizio dopo il 1488, anno in cui il portoghese B. Dias riuscì a raggiungere e doppiare il Capo delle Tempeste, ribattezzato Capo di Buona Speranza, e a completare la circumnavigazione dell’Africa. Nel 1652 gli Olandesi, subentrati ai Portoghesi nel controllo della rotta verso l’Oriente, fondarono un primo stabile deposito di provviste, mutatosi verso la fine del secolo in una colonia di popolamento (600 Olandesi nel 1680). Nel 1688 giunsero 300 ugonotti fuggiti dalla Francia in seguito alla revoca dell’editto di Nantes. Dal secolo successivo, Olandesi, Francesi e altri europei di diversa provenienza, accomunati dalla fede calvinista, si andarono fondendo in una comunità dai caratteri originali, che perdeva ogni legame affettivo e pratico con l’Europa, mentre per cercare terre fertili e nuovi pascoli si espandeva verso est. In questa prima fase i Khoi-San furono decimati e in parte assimilati in posizione servile; solo sul finire del 18° sec. i coloni del Capo giunsero a contatto, lungo il confine del Fish River, con i Bantu, più numerosi e sviluppati. Ne nacquero contrasti e scontri fra le due popolazioni; ebbe così avvio la serie delle guerre cafre (Cafri erano chiamate dai Portoghesi quelle popolazioni bantu), condotte dai Boeri («contadini») con una loro propria organizzazione, mentre la Compagnia olandese ne restava estranea.
Nel 1814 la colonia del Capo fu ceduta agli Inglesi che l’avevano già occupata dal 1795 al 1803 e poi dal 1806. Frattanto, la politica bellicosa di conquista degli Zulu ebbe ripercussioni nell’intera Africa meridionale, spingendo le popolazioni attaccate a organizzarsi in forma più salda ed efficiente per difendersi, ovvero a spostarsi, con guerre o con pacifiche migrazioni; sorsero così, fra l’altro, il regno dello Swaziland e quello dei Basuto. Nel 1835 i Boeri, per sottrarsi all’autorità britannica e per organizzarsi liberamente secondo la propria tradizione politico-religiosa, cominciarono a emigrare in massa oltre l’Orange e verso le praterie del Natal; nel 1840, vinta la resistenza degli Zulu guidati da Dingaan, il capo A. Pretorius proclamava la Repubblica boera del Natal. Il tentativo di indipendenza fu però stroncato dal governo britannico e nel 1845 il Natal fu annesso alla colonia del Capo (dal 1856 fu eretto in colonia separata); la Gran Bretagna riconobbe invece le repubbliche create dai Boeri nel Transvaal e lo Stato libero dell’Orange. Le autorità del Capo estesero nel 1871 il proprio controllo sui Griqua (il cui territorio aveva acquistato importanza per la scoperta a Kimberley, nel 1868, di giacimenti diamantiferi) e sui Basuto, ma ciò portò allo scontro con gli Zulu. Con il pretesto di difendere da questi ultimi i coloni europei, la Gran Bretagna si annetté nel 1877 la Repubblica S. del Transvaal. Nel 1880 i Boeri insorsero contro gli Inglesi che, sconfitti, dovettero restituire l’autonomia al Transvaal, pur mantenendo la sovranità sul territorio e il controllo delle sue relazioni estere. Il periodo di governo di C. Rhodes, primo ministro della colonia del Capo (1890-96), desideroso di unificare tutti i territori abitati da coloni europei, segnò un nuovo fallito tentativo di assorbimento del Transvaal, dove nel 1886 erano stati scoperti giacimenti auriferi. Gli Inglesi si levarono a paladini degli uitlanders (➔), vittime della politica nazionalista e xenofoba del presidente del Transvaal P. Kruger; il nuovo contrasto portò alla sanguinosa guerra anglo-boera (1899-1902).
In seguito alla sconfitta dei Boeri il Transvaal e l’Orange divennero colonie britanniche, ma riottennero ampia autonomia nel 1906 e 1907. Una certa riconciliazione consentì la creazione dell’Unione Sudafricana (31 maggio 1910), dominio dotato di autonomia governativa, in cui il potere economico e politico risiedeva nelle mani dei circa 1.250.000 bianchi, in maggioranza afrikaner (o boeri), rappresentati dal South African Party (SAP) di L. Botha, primo ministro nel 1910-19. La popolazione africana fu gradualmente privata dei pochi diritti di cui aveva goduto; per difenderne le prerogative fu costituito nel 1912 l’African National Congress (ANC), che non poté però impedire l’anno seguente l’approvazione di una legge che vietava ai neri l’acquisto di terre al di fuori delle riserve nelle quali essi erano stati confinati. Appena migliori erano infine le condizioni riservate ai coloured e agli asiatici.
Nella Prima guerra mondiale il paese si schierò con la Gran Bretagna, nonostante le simpatie per la Germania nutrite dai boeri più estremisti, e nel 1920 il governo presieduto da J.C. Smuts, succeduto a Botha nel 1919, ottenne dalla Società delle Nazioni il mandato sull’Africa del Sud-Ovest, già colonia tedesca. Alla vittoria dei nazionalisti nelle elezioni del 1924 e alla nomina di J.B.M. Hertzog a primo ministro fecero seguito l’inasprimento della legislazione razziale e l’adozione di una politica più indipendente da Londra. Nel 1933 Hertzog accolse nel suo governo Smuts e acconsentì alla fusione del National Party (NP) e del SAP nello United Party (UP, 1934), abbandonando il suo orientamento decisamente anti-inglese in cambio di un irrigidimento della legislazione razziale; il compromesso resse sino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando Hertzog si dimise perché contrario all’entrata in guerra contro la Germania e la guida dell’esecutivo fu nuovamente assunta da Smuts (1939). In questo periodo il paese conobbe un notevole sviluppo industriale e massicci fenomeni di inurbamento. Nelle elezioni del 1948 il NP conquistò la maggioranza assoluta dei seggi; il governo nazionalista, presieduto da D.F. Malan (1948-54), applicò una politica di rigida segregazione dei diversi gruppi etnici (➔ apartheid); ogni opposizione fu stroncata e il South African Communist Party (SACP) fu messo al bando. Il NP si impose in tutte le successive elezioni sino al 1981, accentuando progressivamente la politica di segregazione. Nel 1959 fu avviata la costituzione di regioni separate, popolate da singole etnie africane, dotate di autogoverno e destinate a divenire indipendenti; nel 1960 furono banditi i partiti antirazzisti, che intrapresero allora la strada dell’opposizione armata al regime segregazionista. Ripetutamente condannato a livello internazionale, il paese uscì dal Commonwealth, proclamando la Repubblica (31 maggio 1961).
Negli anni 1970, caratterizzati dalla decolonizzazione pressoché totale dell’Africa, la Repubblica S. rispose al suo isolamento internazionale appoggiando i movimenti armati conservatori e antimarxisti nei paesi limitrofi, mentre l’ONU imponeva sanzioni anche commerciali. Sul piano interno, gli anni 1970 fecero segnare un aumento della conflittualità sociale e razziale (nel 1973 un’ondata di scioperi nel settore minerario portò alla concessione di aumenti salariali e alla registrazione dei principali sindacati dei lavoratori africani; nel 1976 fu repressa con oltre 1000 morti una rivolta scoppiata a Soweto contro un progetto di riforma dell’istruzione, che prevedeva fra l’altro l’introduzione dell’afrikaans nelle scuole riservate ai neri), cui il governo reagì rafforzando l’apparato militare e poliziesco e stringendo i tempi nel concedere l’indipendenza, mai riconosciuta a livello internazionale, a quattro bantustan (Transkei, 1976; Bophuthatswana, 1977; Venda, 1979; Ciskei, 1981). Nel 1984 entrò in vigore la nuova Costituzione, caratterizzata dalla presenza in Parlamento di tre camere, ognuna eletta da un corrispondente gruppo: i bianchi, gli asiatici e i coloureds, mentre i neri erano ancora lasciati fuori e alla loro protesta il governo rispondeva con la repressione armata (1984-85), che causò migliaia di morti. La comunità internazionale reagì con nuove sanzioni economiche, a cui seguirono la rinuncia ufficiale della Repubblica S. ad appoggiare le guerriglie in Angola e Mozambico (1988) e il riconoscimento dell’indipendenza della Namibia (1990). Nel 1989 P.W. Botha, presidente dal 1984, si dimise e fu sostituito da F. De Klerk, che promosse negoziati con i neri (1990-91) per eliminare progressivamente l’apartheid, legalizzò l’ANC e scarcerò anche il suo leader N. Mandela.
Nel 1991, a seguito delle trattative tra bianchi e neri (all’ANC erano alleati il Partito comunista e le maggiori organizzazioni sindacali del paese) e delle contestazioni dei nazionalisti tanto boeri quanto zulu, furono abolite le leggi più vessatorie e nel 1994, contestualmente al ritiro delle sanzioni internazionali e al varo della Costituzione provvisoria, si tennero le prime elezioni libere, vinte dall’ANC. Ne seguì un governo di unità nazionale, presieduto da Mandela (in qualità anche di presidente della Repubblica) e con De Klerk alla vicepresidenza, che riportò il paese nella comunità internazionale, cercando di risolvere i problemi socioeconomici ereditati dal passato. La figura di Mandela, già carismatica nel lunghissimo periodo di detenzione, diventò quella di un padre della patria, equilibrato e al di sopra delle parti, che coniugava aspetti di continuità della tradizione africana con quelli di modernità di un capo di Stato democratico. Un ruolo estremamente importante assunse nella fase di transizione la Commissione per la verità e la riconciliazione (1995-98): voluta da Mandela e presieduta dal vescovo anglicano D. Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, essa aveva il compito di stilare un elenco di coloro che, su ambedue i fronti, avevano subito violenze durante il regime di apartheid, individuare i colpevoli dei crimini, amnistiarli nel caso in cui avessero reso piena confessione e dimostrato che il reato era stato commesso per motivi politici e non personali. La nuova Costituzione, che sottolineava la difesa delle garanzie individuali e prevedeva, all’interno di una visione centralistica dello Stato, il riconoscimento di una limitata forma di autonomia alle province, fu promulgata nel 1996. In una situazione di relativa stabilità politica, ma di sofferto equilibrio complessivo, la decisione di Mandela di non ricandidarsi alla presidenza della Repubblica, pur suscitando preoccupazioni, confermò lo sforzo della Repubblica S. di superare una visione personalistica del potere e di continuare nel processo di democratizzazione.
Nel 1999 a Mandela succedette T. Mbeki, già vicepresidente e riconfermato presidente nel 2004; leader pragmatico, apprezzato nel mondo degli affari, convinto sostenitore della necessità di un ‘rinascimento africano’, Mbeki cercò di garantire continuità sia sul piano interno sia su quello internazionale, ma incontrò notevoli difficoltà, non potendo contare sul carisma e sull’indiscussa popolarità di Mandela. Sfiduciato dall’ANC, Mbeki si dimise dalla carica nel settembre 2008; dopo la breve presidenza di K. Motlanthe, nel 2009 fu nominato presidente J. Zuma, con Motlanthe vicepresidente. Nel dicembre 2012 Zuma è stato rieletto a larga maggioranza alla guida dell’ANC per i successivi cinque anni, mentre nel ruolo di vicepresidente è stato designato l'ex sindacalista C. Ramaphosa.
Alle elezioni generali – le prime dopo la scomparsa di Mandela – tenutesi nel maggio 2014 con una massiccia affluenza alle urne (72%) l’ANC ha ottenuto la maggioranza assoluta (62,1%), ciò che ha consentito al presidente uscente Zum di ottenere un secondo mandato, mentre la Democratic Alliance, seconda forza politica del Paese e primo partito d’opposizione, ha ricevuto il 22,2% dei consensi e all’Economic Freedom Fighters è andato il 6,3% dei voti. I casi di corruzione all’interno delll’ANC hanno comunque alimentato la sfiducia degli elettori, e controversa è apparsa la stessa figura di Zuma, indagato per diversi casi di corruzione, stupro, frode e riciclaggio di denaro; alle amministrative del 2016, anche in ragione dell'aggravarsi della crisi economica che da anni affligge il Paese, l’ANC ha ottenuto i risultati peggiori di sempre, e nei mesi successivi numerose manifestazioni di piazza hanno chiesto le dimissioni del capo di Stato, che nonostante le mozioni di sfiducia (nove dalla sua elezione) è riuscito a permanere nella carica. Nel dicembre 2017 Ramaphosa è subentrato a Zuma nella carica di leader dell'ANC, e dal febbraio 2018, a seguito delle dimissioni a cui l'ANC ha costretto il capo di Stato, in quella presidenziale. Alle elezioni politiche svoltesi nel maggio 2019 l'ANC di Ramaphosa si è confermato vincitore, ottenendo però solo il 57% delle preferenze - il risultato più deludente dalla fine dell'apartheid - e con un'affluenza alle urne in netta flessione (65% degli aventi diritto, contro il 73,5% del 2014).
La letteratura sudafricana, sviluppatasi a partire dal secondo Ottocento, non possiede un carattere unitario, in quanto in essa coesistono fattori disparati e non di rado antagonistici, solo che si tengano presenti tre grandi componenti, al tempo stesso etniche e linguistiche. Una è quella afrikaner, ossia dei bianchi di matrice boera, che si esprime in afrikaans (➔). Un’altra è legata alle etnie zulu, sotho e xosa, e si avvale delle loro lingue. Una terza è la letteratura di espressione inglese, al cui interno, peraltro, si distinguono due filoni, uno costituito dalle opere di autori bianchi e l’altro da quelle di autori neri (black) o di colore (coloured), senza contare la presenza di intellettuali di matrice indiana.
Se l’afrikaans ha informato le istituzioni educative e il linguaggio della Chiesa riformista olandese, culminando nella traduzione della Bibbia (1933), non esistono in tale lingua autori di grande statura nella prima metà del Novecento: basti citare D.F. Malherbe. Successivamente, invece, di notevole rilievo è il poeta e narratore B. Breytenbach, che peraltro si esprime anche in inglese. Altrettanto si dica di A. Brink, cui si deve almeno un romanzo assai significativo in afrikaans, ’n droe wit seisoen (1979; trad. it. Un’arida stagione bianca, 1989), ma che poi ha seguito il suo tracciato di acuto interprete di angosce e dilemmi dei bianchi nel contesto sudafricano adottando l’inglese (Rumours of rain, 1978; An act of terror, 1991; The first life of Adamastor, 1993; Before I forget, 2004; Other lives, 2008).
Nella letteratura sotho spicca T. Mofolo con il romanzo Chaka (1925). Nell’ambito zulu meritano particolare attenzione R.R.R. Dhlomo, autore peraltro di un romanzo in inglese (An African tragedy, 1928), e C.L.S. Nyembesi; ma la personalità più ricca e complessa è quella di B.W. Vilakazi, romanziere, poeta e saggista. Nella cultura xosa è assai significativo il poeta J.J.R. Jolobe con la sua raccolta Omyezo (1936), mentre poeti di notevole talento quali M. Zunene e O.M. Mtshali si servono anche dell’inglese.
L’autentico capostipite della letteratura sudafricana di lingua inglese è la scrittrice O. Schreiner, affermatasi con il romanzo The story of an African farm (1883). Dopo un lungo intervallo in cui non fiorirono autori di rilievo, s’imposero i cosiddetti ‘nuovi africani’, capaci di affrancarsi dai modelli occidentali: S.T. Plaatje, autore del primo romanzo scritto in inglese da un nero sudafricano (Mhudi, 1930); P. Abrahams, figlio di un marinaio etiopico, poeta e romanziere, che con il romanzo Mine boy (1946) fu tra i primi a testimoniare i tentativi dei popoli tribali di fare i conti con la società industriale, peraltro dominata dalla discriminazione razziale. Altre personalità importanti sono E. Mphalele e A. La Guma, ma forse la figura più rappresentativa rimane B. Head, testimone-protagonista della lacerazione fra due culture e due mondi. In poesia s’impongono almeno due nomi: A. Nortje e il più anziano D. Brutus, compagno di prigionia di N. Mandela e poi esule negli USA, poeta raffinato e insieme di eloquente, ampio respiro popolare (A simple lust, 1972).
Complesso e non di rado tormentato è il percorso degli autori di estrazione europea. Sudafricani ma entrati piuttosto nel circolo della poesia inglese della madrepatria sono sia R. Campbell sia W. Plomer. Un anello di congiunzione è rappresentato da A. Paton, il cui romanzo Cry the beloved country (1948), a suo tempo discusso sotto il profilo ideologico perché ritenuto paternalistico, ha conosciuto dopo l’apartheid una forte rivalutazione.
L’ultimo scorcio del Novecento presenta un panorama letterario particolarmente ricco, in quanto gli scrittori sudafricani della generazione nata intorno agli anni 1930 sono ancora presenti sulla scena insieme ai nuovi autori e come loro impegnati nella denuncia dei soprusi e nella ricerca di strategie atte a curare le ferite del paese. I tragici avvenimenti del passato si ripercuotono inevitabilmente sulla produzione letteraria che, coinvolta in modo radicale nell’azione politica, utilizza un linguaggio colloquiale, prossimo alla lingua parlata e più consono alla lettura in pubblico. Il confine tra poesia e propaganda è spesso incerto, ma non mancano negli anni opere e autori in cui un naturale e profondo senso dell’arte ha il sopravvento su un’estetica socialmente impegnata: S. Sepamla (From Goré to Soweto, 1988; Rainbow journey, 1996); K. Kgositsile, sostenitore dei valori estetici della poesia; E. Patel, originale sperimentatore di nuove forme linguistiche e metriche; N.S. Ndebele, narratore, poeta e critico tra i più significativi (South African literature and culture, 1994). La poesia orale assume il carattere di una sfida all’establishment, come nei versi di A. Qabula e soprattutto di M. Mbuli, definito il ‘poeta del popolo’, che è stato più volte arrestato e ha visto censurare le registrazioni delle sue poesie. Un aspetto affascinante della poesia più recente è l’emergere di voci sempre meno distinguibili in base alla mappa del colore disegnata dal regime: P. Horn; il citato Breytenbach, poeta che si è segnalato anche per la produzione narrativa in inglese e in afrikaans, caratterizzata, come la poesia, da impegno politico e creatività linguistica (Dog heart: a travel memoir, 1998; Woordwerk: die kantskryfjoernaal van ’n swerwer «Esercizio di parola: diario marginale di un nomade», 1999; A veil of footsteps, 2008); S. Gray, che è anche uno dei critici contemporanei più acuti (Season of violence, 1992); J. Couzyn; J. Cronin, che ha pagato il suo impegno politico con una lunga e dura detenzione; C. van Wyk, autore di alcune tra le più note poesie di protesta (About graffiti). M.O. Mtshali nei suoi versi agili e taglienti esalta la continuità della tradizione zulu nel movimento di liberazione. Narratrice di grandissimo talento si è confermata B. Head, di cui sono apparsi postumi A woman alone: autobiographical writings (a cura di C. MacKenzie, 1990) e The cardinals: with meditations and stories (1993). Ricche di intuizioni originali sono le opere di A. Essop (Hajji Musa and the Hindu firewalker, 1988; The king of hearts and other stories, 1997) e della scrittrice F. Karodia (Daughters of the twilight, 1986; Other secrets, 2000). N. Gordimer, premio Nobel per la letteratura nel 1991, nella maggior parte delle sue opere ha messo in luce i limiti posti allo scrittore da una società strutturata secondo un sistema di rigide divisioni sociali, mantenute e regolate da un regime di segregazione razziale. Anche i romanzi di J.M. Coetzee, Nobel nel 2003, sono pervasi dalla consapevolezza della complessa posizione in cui vive lo scrittore bianco, costretto in una situazione in cui coesistono colonialismo, postcolonialismo, neocolonialismo, e in cui la denuncia dell’oppressione non è mai del tutto esente dal rischio di complicità con l’oppressore.
Il riconoscimento di numerose lingue etniche come lingue ufficiali (insieme a inglese e afrikaans) favorisce l’emergere di nuove letterature e la rivalutazione di molte opere zulu, xosa, sotho attraverso riedizioni, adattamenti televisivi e teatrali, traduzioni.
Sul teatro hanno pesato i limiti creati dall’apartheid, che per lungo tempo ha impedito la presenza di un pubblico misto, e la particolare durezza della censura. Per questo, anche autori di talento si sono cimentati nel teatro solo in modo saltuario: R.M. Rive, B. Modisane, A. La Guma, L. Nkosi. L’unico che invece ha potuto dedicarvisi con continuità è A. Fugard: la sua vasta produzione drammatica, connotata da una cruda denuncia della disumanità del regime, ha assunto poi toni meno corrosivi per volgersi a esplorare i problemi, i timori e le speranze della nuova Repubblica S. (A place with the pigs, 1988; Playland, 1993; My life, 1994; Valley song, 1995). Tema privilegiato di numerose opere teatrali composte nell’ambito della Bantu dramatic society è la celebrazione della cultura africana, mentre il teatro di protesta ha come punto di riferimento il Market Theatre di Johannesburg, che si è giovato dell’opera di autori innovativi quali la drammaturga, regista e story teller G. Mhlope (o Mhlophe). La fine dell’apartheid, la legalizzazione dell’ANC e delle altre organizzazioni messe al bando, la scarcerazione di Mandela e la sua ascesa alla presidenza hanno inaugurato una nuova era.
I primi edifici di influenza europea si devono al commercio delle compagnie olandesi: tipici insediamenti in stile (1652) a Table Bay (od. Città del Capo) arricchiti dalla fortezza pentagonale del Castello di Buona Speranza. Il francese L.M. Thibault è tra i primi architetti capaci di lavorare sia per gli Olandesi sia, dopo il 1795, per gli Inglesi, introducendo uno stile neoclassico negli edifici pubblici. Il 19° sec. rileva forti influenze inglesi: forme e proporzioni derivate dal settecentesco georgian style e dall’ottocentesco regency style (Grahamstown, Port Elizabeth), a cui si aggiunsero stilemi dei revival greco e gotico, come nelle chiese riformate olandesi progettate dal tedesco C.O. Hager dopo il 1850. L’incremento delle attività commerciali e industriali ebbe un’eco negli eleganti edifici costruiti negli anni 1880-90 a Johannesburg (A.H. Reid; W.H. Stucke). La prima metà del 20° sec. risentì della diffusa presenza dell’architetto inglese H. Baker. Libere combinazioni stilistiche segnano l’opera dei locali W.H. Louw (Voortrekker Monument, nei pressi di Pretoria, 1936), e di G. Moerdijk (chiesa riformata olandese a Sunnyside, 1927). A N. Eaton si devono, nel secondo dopoguerra, combinazioni stilistiche contemporanee e tradizionali (House Greenwood, presso Pretoria, 1949-51). Gli anni 1960 risentirono dell’influenza di architetti nordamericani e di L. Kahn (opere di W. Meyer, di D. Theron o di R. Uytenbogaardt ecc.). Le architetture degli anni 1980 e 1990 hanno stentato ad affermare una specificità non limitata al semplice recupero di morfologie locali. La tendenza verso la dimensione megastrutturale è visibile negli edifici della RAU (Rand Afrikaans University) a Johannesburg di W. Meyer e altri; al postmoderno è ispirato l’edificio HSRC a Pretoria di Pauw e altri (1988), mentre una rinnovata forma di classicismo si rileva nella Bank City a Johannesburg, di Revel Fox & Partners (1994). La biblioteca e gli uffici civici di Sandton a Johannesburg, dei GAPP Architects & Urban Designers, e il Centro di Giustizia nell’Università del Natal a Durban, di H. Custers Smith, degli anni 1990, evidenziano ancora l’influenza di L. Kahn. Lo studio Joe Nero Architects ha invece sviluppato una forma di moderno funzionalismo africano, misurato sulle condizioni climatiche e sulle risorse disponibili (centro Careers a Soweto, Johannesburg, 1994; uffici per la Velocity Film a Johannesburg, 1995). Non mancano negli stessi anni esempi di architettura locale, con il recupero del motivo della veranda e l’uso di colori forti e materiali tradizionali (a Durban: Centro educativo di Rodney Harber, Masson & Associates, 1992 e Art Gallery di Walters & Cohen). Meritano, anche, di essere ricordati: l’ampliamento dello storico campo per il cricket a Port Elizabeth con il Duckpond Pavilion di Erasmus, Rushmere e Reid (1994); Retail Centre Nyanga a Città del Capo e Museo dell’apartheid a Johannesburg (2001), dei GAPP Architects; Unicity Mayoral Chambers di K. Roos a Città del Capo, 2002.
Un lungo periodo di elaborazione di una coscienza artistica, che riflette la drammatica situazione politica, sociale e culturale del paese e la ricerca di una nuova identità nazionale, si è avviato in particolare dopo la rivolta di Soweto. In questo processo occupa uno spazio importante la conoscenza e rivalutazione dell’esperienza artistica degli artisti neri, oltre al superamento di gerarchie e contrapposizioni tra forme ed espressioni artistiche e artigianali, rurali e urbane, tradizionali e contemporanee, che trova espressione in artisti quali S. Kumalo, L. Sithole, L. Maqhubela. Fenomeno spontaneo fu la township art, emersa dagli anni 1950, ispirata alla violenza e alla povertà delle borgate: M. Zwelidumile Mxgazi, noto come Dumile; D. Silhali; J. Motau; E. Ngatane; A. Thoba; D. Mbele; dopo il 1976, tra gli esponenti di un movimento artistico della resistenza, si ricordano D. Koloane, W. Bester. Emersi nelle rassegne ufficiali, sono artisti neri quali J. Hlungwane e N. Mabasa; W. Kentridge, assurto a notorietà internazionale, è uno degli artisti sudafricani bianchi che in disegni e film animati ha affrontato i temi della memoria, della responsabilità delle conseguenze dell’apartheid e dell’olocausto. Tra gli altri artisti, Bester, noto per dipinti e assemblages di oggetti di recupero; S. Kriel, che denuncia, nei ricami e nelle tessiture, ingiustizie e discriminazioni. Dal 1993, dopo anni di isolamento per la sua politica dell’apartheid, la Repubblica S. ha partecipato alla Biennale di Venezia (Hlungwane, Kriel, Koloane, Mabasa, Bester, Kentridge, P. Siopis, K. Nel, K. Geers). Altre visioni dell’esperienza sudafricana emergono nelle grottesche e ironiche figurazioni di R. Hodgins; nelle incisioni e nei disegni dei tessuti di A. Mbatha; nelle opere (dipinti, sculture, collages, installazioni, video) di S. Williamson, P. Stopforth, Siopis, C. van den Berg, J. Alexander, J. Ractliffe, Z. Mthethwa, T. Motswai, M. Richnan Buthelezi, M. Vari, M. Langa.