povertà Stato di indigenza consistente in un livello di reddito troppo basso per permettere la soddisfazione di bisogni fondamentali in termini di mercato, nonché in una inadeguata disponibilità di beni e servizi di ordine sociale, politico e culturale.
In economia il termine p. esprime una molteplicità di significati. La p. rappresenta difatti un fenomeno legato allo sviluppo della società ed è, dunque, un fenomeno complesso analizzabile sotto diversi aspetti. La p. in senso assoluto può essere definita come la carenza dei mezzi indispensabili alla mera sussistenza dell’individuo. Ma tale definizione non è sufficiente a rendere il concetto univoco. Infatti la stessa sussistenza è definita in maniera diversa dalle varie teorie economiche. Inoltre la carenza dei mezzi è legata alle condizioni storiche di sviluppo della società (la p. di una società primitiva è diversa dalla p. di un’economia industrializzata) e varia in base al territorio in cui essa si manifesta. Queste connotazioni di relatività del concetto di p. possono essere ulteriormente ampliate in riferimento alla struttura sociale considerata. Difatti, dati il luogo e un’epoca storica, la p. non esprime soltanto la condizione di coloro che possiedono una quantità di beni materiali insufficienti alla sopravvivenza, ma anche di coloro che ne possiedono in quantità minore rispetto ad altri individui. In tal senso il concetto di p. è relativo anche alla distribuzione dei beni che si realizza nell’ambito di una medesima struttura sociale.
Peraltro, nelle società attuali, il problema della p. assume aspetti completamente diversi a seconda che si considerino paesi industrialmente avanzati o paesi arretrati. Nei primi, il livello complessivo del prodotto nazionale è abbastanza alto da consentire un alleviamento della p. attraverso una redistribuzione; tuttavia in essi si riscontra il fenomeno delle cosiddette isole di p., cioè di regioni sottosviluppate rispetto al resto del paese cui appartengono, o anche di zone urbane in cui si concentra un gran numero di individui poveri e in genere socialmente emarginati. Nei paesi meno sviluppati il prodotto pro capite è invece così basso che una ripartizione di reddito fra ricchi e poveri non sortirebbe l’effetto di accrescere i beni materiali dei poveri. Mentre nei paesi sviluppati la possibilità di risolvere il problema della p. è dunque data dalle politiche redistributive, nei paesi arretrati i programmi di riduzione della p. si identificano sia con quelli rivolti a favorire la crescita economica, sia con i trasferimenti di reddito dai paesi ricchi a quelli poveri orientati verso la promozione dello sviluppo economico. È possibile peraltro parlare di p. nell’ambito di una società soltanto individuando un certo livello di riferimento (linea della p.).
Attraverso la costruzione di un paniere si definisce lo standard di p. assoluta e relativa. Per la misura della p. assoluta si utilizza un paniere di beni e servizi essenziali in grado di assicurare alle famiglie uno standard di vita che eviti forme di esclusione sociale. Il valore monetario di tale paniere costituisce la soglia di p. assoluta per l’anno in cui è stato definito; viene aggiornato nel tempo per tenere conto delle variazioni dei prezzi di beni e servizi. Ovviamente questo modo di misurare la p. assoluta è arbitrariamente condizionato dall’identificazione del paniere; i paesi che operano tali misurazioni aderiscono a standard internazionali che stabiliscono quali beni e servizi sono considerati essenziali. La linea di p. relativa viene invece costruita attraverso indicatori statistici della distribuzione del reddito in una nazione. La p. relativa implica quindi un concetto di ‘distanza’ del reddito tra gruppi sociali ed è più vicina al concetto di disuguaglianza. Accanto a queste due macro-misure di p., l’EUROSTAT (istituto di statistica europeo) stabilisce altri standard di misurazione della p., come il rischio di p., definito come la percentuale di individui al di sotto del 60% del reddito mediano disponibile nel paese. Tale rischio di p. viene definito persistente se gli individui stazionano in tale zona per due anni consecutivi negli ultimi tre di registrazione statistica. Queste misure vengono calcolate sia al lordo sia al netto dei trasferimenti sociali.
Lo stato di p. può anche essere visto però come l’esclusione di un individuo o di un gruppo dalla partecipazione alla vita economica e politica e dall’integrazione sociale nella comunità a cui appartiene; tale esclusione può essere originata sia da fattori soggettivi, come l’età o le condizioni di salute, sia da fattori connessi con l’organizzazione sociale nel suo complesso, come il livello di accesso ai servizi sociali, il grado di istruzione, le opportunità occupazionali, il godimento o meno di alcuni diritti di cittadinanza. Anche a livello delle istituzioni internazionali si è, perciò, considerato opportuno misurare la p. non solo in termini di reddito o di spesa per consumi ricorrendo agli indici di diffusione (o di incidenza) della p. e agli indici di intensità della p., ma anche attraverso indici costruiti facendo riferimento alla combinazione delle diverse cause da cui la p. può dipendere. Dal 1997 l’UNDP (organismo delle Nazioni Unite finalizzato alla promozione dello sviluppo) ha studiato l’andamento della p. nei paesi industrializzati e nei paesi in via di sviluppo utilizzando l’indice di p. umana (IPU), che tiene conto non solo del reddito pro capite, ma anche delle opportunità degli individui di vivere un’esistenza accettabile. In particolare, l’IPU raggruppa in un unico indice composito quattro dimensioni di base dell’esistenza umana: la durata della vita e le condizioni di salute; l’accesso alle conoscenze; la disponibilità economica; il grado di partecipazione sociale. Questi indicatori sono stati presi in considerazione per il calcolo dell’indice di p. umana relativo sia ai paesi industrializzati sia a quelli in ritardo economico. Tuttavia, in considerazione della forte diversità esistente tra paesi avanzati e paesi in via di sviluppo, gli indicatori utilizzati per misurare le dimensioni della deprivazione in essi sono diversi. Nella costruzione dell’indice per i paesi in via di sviluppo (IPU-1) la deprivazione relativa alla longevità è rappresentata dalla percentuale di individui che hanno una speranza di vita inferiore a 40 anni, la deprivazione nelle conoscenze è espressa dalla percentuale di adulti analfabeti, la deprivazione relativa allo standard di vita è espressa in termini di percentuale di popolazione priva di accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari e di percentuale di bambini di età inferiore ai 5 anni gravemente o moderatamente sottopeso; nell’indice non è inclusa una misura del grado di partecipazione sociale data la difficoltà di reperire dati affidabili, sotto questo profilo, relativi a tali paesi. Nella costruzione dell’indice di p. per i paesi industrializzati (IPU-2) la deprivazione relativa alla longevità è rappresentata dalla percentuale di individui che hanno una speranza di vita inferiore a 60 anni, la deprivazione relativa alle conoscenze è data dalla percentuale di persone adulte funzionalmente analfabete, la deprivazione nello standard di vita è rappresentata dalla percentuale di popolazione che vive al di sotto della linea della p. relativa (50% del reddito pro capite) e, infine, la mancata partecipazione sociale è misurata dal tasso di disoccupazione di lungo periodo (12 mesi o più) della forza lavoro.
Quando non si opera all’interno della logica multidimensionale, per analizzare la p. e la sua evoluzione nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo, come pure per effettuare comparazioni tra i diversi paesi, vengono adottate metodologie diverse. Nelle rilevazioni ufficiali dei paesi industrializzati si fa riferimento all’ISPL (international standard of poverty line), che consente di misurare la p. in termini relativi rispetto al tenore di vita medio della popolazione. Così, si definisce povera una famiglia di due componenti che ha una spesa per consumi inferiore o uguale alla spesa media pro capite nel paese e, per famiglie di diversa ampiezza, si ricorre a coefficienti correttivi in modo da tenere conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare della dimensione del nucleo familiare. Infine, organismi internazionali come la Banca Mondiale, per effettuare comparazioni tra paesi diversi, adottano una ‘soglia di povertà per i confronti internazionali’.
Gli ultimi decenni del Novecento hanno visto un certo incremento del tenore di vita della popolazione dei paesi in via di sviluppo. La crescita dei consumi è stata accompagnata da miglioramenti sostanziali degli indicatori sociali. Nonostante ciò, i risultati non sono stati conseguiti da tutti i paesi e lo stato di p. continua a essere un fenomeno ancora molto diffuso. Nel corso degli anni 1990 la percentuale della popolazione mondiale che viveva in condizioni di p. è andata lentamente riducendosi, ma l’andamento è stato assai differenziato tra le diverse aree del mondo. Dal 2000 le Nazioni Unite hanno lanciato il Millennium Development Goals che fissa una serie di obiettivi per la riduzione della p. nel mondo entro il 2015. Secondo il rapporto 2007, gli effetti di tali politiche iniziano a farsi consistenti. La percentuale di individui nella soglia di p. assoluta è passata da un terzo a un quinto nel periodo 1990-2004. Nelle zone più povere del mondo, l’Africa subsahariana, il tasso di p. si è ridotto di sei punti percentuali, benché l’emergenza umanitaria resti ancora molto alta. La riduzione di p. è andata di pari passo con la maggiore istruzione; il tasso di iscrizione alla scuola primaria è passato dall’80% all’88% tra il 1999 e il 2005, così come si è ridotta la mortalità infantile.
La Banca mondiale definisce p. estrema lo stato relativo a individui che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno (in parità del potere di acquisto) e p. moderata con 2 dollari giornalieri. Nel periodo 1990-2005 la percentuale di p. estrema è passata dal 41,7% al 25,2%, ma il quadro è molto complesso se si guarda ai singoli paesi. Molta di questa riduzione è da ascriversi ai migliori standard di vita e reddito dei paesi asiatici. (v. tab.)
Il fenomeno della p. riguarda, anche se con ovvie differenze in termini assoluti, sia i paesi industrializzati sia i paesi in via di sviluppo. La p. in Italia, come in Europa, si presenta direttamente correlata con le trasformazioni della struttura produttiva e del sistema sociale che hanno caratterizzato gli anni 1990 e i primi anni del 2000. È emersa una realtà complessa del disagio individuale e di gruppo: le disuguaglianze dei redditi e dei consumi; l’articolazione delle situazioni di emarginazione nel territorio, nelle grandi città e nelle campagne; l’aggravarsi della mancata soddisfazione di taluni bisogni fondamentali come la casa, la salute, l’occupazione, l’istruzione; le disparità intergenerazionali; le nuove forme di p. in rapporto alla cultura e all’accesso alle nuove tecnologie. Per il 2007-08 l’UNDP ha calcolato con riferimento ai paesi industrializzati l’indice di p. umana. Sulla base dei valori ottenuti per l’IPU-2 la Svezia è il paese con p. umana più bassa (6,3%), seguita da Norvegia (6,8%) e Paesi Bassi (8,1%). Stati Uniti e Regno Unito registrano invece una p. umana più elevata, pari rispettivamente al 15,4% e al 14,8%. Per l’Italia è stato calcolato sempre nello stesso periodo un IPU-2 pari al 29,8%.
A causa delle difficoltà insite nei concetti non direttamente economici usati per stabilire il livello di p., le indagini ufficiali sulla p. in Italia postulano una sostanziale identità tra benessere e livello di reddito o capacità di spesa delle famiglie. La metodologia ufficialmente adottata in Italia è basata sull’ISPL. Per misurare la p. in termini relativi si utilizzano i dati sulle spese per consumi desunti dall’ISTAT sui consumi delle famiglie italiane. Secondo l’ISTAT, nel 2008 le famiglie in condizione di p. relativa in Italia erano 2.737.000, pari all’11,3% delle famiglie residenti. Si trattava complessivamente di 8.078.000 individui, il 13,6% dell’intera popolazione. La spesa media mensile per persona rappresentava la soglia di p. per una famiglia di due componenti e corrispondeva, nel 2008, a 996,67 euro al mese (+1,4% rispetto alla linea del 2007). Le famiglie composte da due persone con una spesa media mensile pari o inferiore a tale valore vengono quindi classificate come povere. La diminuzione dell’incidenza della p. relativa nel 2008 rispetto al 2004 non risulta statisticamente significativa e mostra quindi come la p. sia sostanzialmente stabile. Il fenomeno continua a essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno (23,8%), dove l’incidenza di p. relativa è quasi 5 volte superiore a quella osservata nel resto del paese (4,9% nel Nord e 6,7% nel Centro), e tra le famiglie più ampie. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e di famiglie con membri aggregati (l’incidenza è rispettivamente del 25,2% e del 19,6% ). La situazione è più grave se i figli hanno meno di 18 anni: l’incidenza di p. tra le famiglie con tre o più figli minori sale, infatti, in media, al 27,2% e, nel Mezzogiorno, addirittura al 38,8%. Il fenomeno è inoltre più diffuso tra le famiglie con anziani, nonostante il miglioramento osservato negli ultimi anni: se l’anziano in famiglia è uno solo l’incidenza è prossima alla media nazionale (11,4%), se ve ne sono almeno due sale al 14,7%. La p. è inoltre associata a bassi livelli di istruzione della persona di riferimento (l’incidenza è del 17,9% quando è a capo della famiglia una persona con al più la licenza elementare), a bassi profili professionali (tra le famiglie con componenti occupati è povero il 14,5% delle famiglie con a capo un operaio o assimilato) e, soprattutto, all’esclusione dal mercato del lavoro: l’incidenza di p. tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione è pari al 33,9% e sale al 44,3% se in questa stessa situazione si trovano almeno due componenti (contro il 9,6% delle famiglie in cui nessun componente è alla ricerca di lavoro).
Osservando il fenomeno con un maggior dettaglio territoriale, l’Emilia-Romagna appare la regione con la più bassa incidenza di p. (pari al 3,9%), seguita dalla Lombardia e dal Veneto, con valori inferiori al 5%. La situazione più grave è, invece, quella delle famiglie residenti in Sicilia, dove il valore osservato, pari al 28,8%, è significativamente superiore rispetto alla media.
Le politiche economiche utilizzate per affrontare il problema della p. si possono dividere in tre gruppi principali: le misure intese ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni di base; le politiche di sviluppo economico; le politiche di redistribuzione del reddito.
Quanto ai bisogni di base, sono oggetto d’intervento pubblico soprattutto l’alimentazione e le cure mediche. Il soddisfacimento dei bisogni nutrizionali di sussistenza è l’obiettivo principale delle politiche di distribuzione alimentare che sono particolarmente importanti nei paesi in via di sviluppo, ma hanno un notevole peso anche in alcuni paesi industrializzati. Allo stesso modo le cure mediche gratuite per i meno abbienti, benché facciano parte dei meccanismi di Welfare State diffusi in tutto il mondo civilizzato, assumono particolare importanza nei paesi in via di sviluppo, in combinazione con le misure di igiene, la fornitura di acqua potabile e l’educazione sanitaria.
Le politiche di sviluppo economico costituiscono l’opzione più efficace per affrontare il problema della p. perché si propongono di eliminarne le cause, instaurando meccanismi autonomi di produzione del reddito nei gruppi dei poveri. Le istituzioni economiche internazionali (UNDP, OCSE, Banca Mondiale, FMI) hanno sottolineato più volte la centralità del problema della p. tra gli obiettivi della loro azione. Nel 2001 la Banca Mondiale ha proposto una strategia da seguire per la riduzione della p. basata su tre obiettivi fondamentali: promozione delle opportunità, facilitazione dell’empowerment (acquisizione di strumenti di conoscenza e di possibilità di partecipazione sociale e politica), accrescimento della sicurezza. Le istituzioni internazionali, oltre che contribuire al raggiungimento degli obiettivi indicati, hanno il compito di intervenire per consentire ai paesi in via di sviluppo di dedicare risorse al superamento dello stato di p. in cui versano. In questa direzione è orientata l’iniziativa per la riduzione del debito adottata dal FMI e dalla Banca Mondiale, tendente a ridurre a livelli sostenibili il peso del debito estero dei paesi fortemente indebitati. Allo stesso obiettivo tende una forma di facilitazione creditizia introdotta dal FMI nel 1999, la Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF), che mira a mettere fondi a disposizione dei programmi a favore dei poveri che siano definiti dagli stessi paesi in via di sviluppo (i 77 paesi a basso reddito) nell’ambito della loro strategia orientata allo sviluppo e alla lotta contro la povertà.
Il cristianesimo sin dai tempi più antichi diede grande rilievo alla p. anche se non sempre né dappertutto attuò la comunione dei beni, che troviamo ricordata nella prima Chiesa di Gerusalemme (Atti 4, 32-35). L’esempio di essa era destinato ad avere singolare importanza nelle epoche successive: la p. infatti è la prima condizione per essere eremiti o per far parte di gruppi monastici. In seguito la p., in seno al monachesimo, e specialmente da s. Benedetto in poi, si precisa proprio sull’esempio della prima Chiesa di Gerusalemme come p. dell’individuo e non della comunità, che in quanto tale può possedere, sebbene non possa mancare di obbedire al precetto di aiutare i poveri dando loro il superfluo. Questa p. monastica, che non impedì al monachesimo di esercitare nei secoli dell’Alto Medioevo una rilevante funzione economica e sociale, fu dall’11°-12° sec. in poi oggetto di aspre critiche specialmente da parte di eretici (Valdo e valdesi) finché s. Francesco non propose il suo ideale della completa e assoluta p., sia individuale sia collettiva, sostenendo che i suoi frati devono vivere del loro lavoro o dell’elemosina dei fedeli. La p. francescana, ben presto assai discussa nel seno stesso dell’ordine dando luogo a ripetuti interventi dell’autorità pontificia, fu praticamente assimilata a quella dei precedenti ordini religiosi da Giovanni XXII con la bolla Cum inter nonnullos, ma accanitamente mantenuta dai fraticelli, ripresa successivamente dall’Osservanza e anche oggi dall’ordine cappuccino.