Nelle scienze sociali, situazione di chi viene ‘messo ai margini’ o in qualche modo estromesso dal sistema socio-culturale in generale, ovvero da una sua parte o sottosistema.
Di e. si cominciò a parlare in Italia verso la fine degli anni 1960, per indicare la condizione di coloro che, in misura diversa, non partecipavano dei benefici e dei vantaggi della parte centrale della società: allora il termine ‘emarginato’ fu riferito anzitutto gli studenti e agli operai. Il concetto si allargò poi dalla sfera politica (carenza o assenza di potere) a quella sociale, indicando la condizione di coloro che, per qualche aspetto del loro comportamento, si discostano dalla normalità accettata dal sistema sociale (i cosiddetti ‘diversi’). In una società strutturata come un sistema dotato di forte dominanza centrale tutto ciò che si discosta da questa centralità subisce un giudizio valutativo che tende a far coincidere il diverso con il negativo e che provoca quindi l’emarginazione. L’e., infatti, colpisce molte categorie di ‘diversi’, sia la loro diversità di tipo fisico (il minorato fisico o psichico), razziale (il nero, l’ebreo, l’emigrante), sessuale (l’omosessuale, ma in certi casi anche la donna in genere), generazionale (l’anziano, ma talvolta anche il bambino), culturale (l’illetterato, lo straniero), professionale (il lavoratore addetto a mansioni umili o disprezzate). Le cause della diversità possono essere moltissime e più o meno intensa può essere l’e. che ne deriva. È da segnalare, inoltre, che l’e. politica s’intreccia variamente con l’e. sociale, dando luogo a una complessa differenziazione che per molti versi si sovrappone a quella della disuguaglianza sociale. E infatti, nell’uso che correntemente si fa del termine, e. tende a coincidere con le fasce inferiori della più generale gerarchia sociale.