Poverta
di Bruno Stein e Miles L. Wortman
Povertà
sommario: 1. Introduzione. 2. Misurazione della povertà. a) Misure assolute. b) Misure relative. 3. Distribuzione del reddito. 4. Politiche redistributive nelle nazioni sviluppate. a) Imposizione progressiva. b) Programmi di sostegno del reddito. c) Imposta negativa sul reddito. d) Altri indirizzi di politica sociale. 5. Tipi di povertà. 6. Fattori economici e politici. 7. Le nazioni più povere. 8. Cause di povertà nelle nazioni meno sviluppate. a) Agricoltura. b) Il circolo vizioso. c) Condizioni che perpetuano la povertà. 9. Il fattore demografico. 10. Sviluppo economico. 11. Conclusione. □ Bibliografia.
1. Introduzione
La povertà è stata definita come la carenza dei mezzi indispensabili alla sussistenza. Da parecchio tempo, tuttavia, si è riconosciuto che i beni ritenuti necessari per garantire un tenore di vita minimo variano secondo le epoche e i luoghi.
In ogni epoca e luogo, il termine povertà può quindi indicare due condizioni ben distinte: la prima è la condizione di coloro che non possiedono sufficienti beni materiali, la seconda è quella di coloro che ne possiedono una quantità minore di quella posseduta dalla maggioranza delle persone.
La prima condizione può essere chiamata ‛povertà assoluta' (si tenga però a mente che anche tale condizione di ‛povertà assoluta', come vedremo meglio più avanti, è in realtà relativa all'epoca e al luogo: è quindi storicamente determinata e il suo calcolo, effettuato rispetto a un ‛minimo vitale', avviene sempre all'interno di un contesto circoscritto).
La seconda condizione viene chiamata comunemente ‛povertà relativa', così detta perchè pone in relazione i redditi o le risorse dei poveri con i redditi o le risorse di coloro che, in base a una qualche accettata definizione, poveri non sono.
A seconda che si consideri il primo o il secondo tipo di povertà, si pongono per ogni paese problemi notevolmente diversi di misurazione della povertà e quindi di politica sociale.
2. Misurazione della povertà
a) Misure assolute
La povertà assoluta può essere misurata costruendo un ‛paniere' costituito dai beni e servizi indispensabili per un tenore di vita minimo. Per esempio, negli Stati Uniti il procedimento adottato consiste nel fare un preventivo delle necessità alimentari di una famiglia e moltiplicarlo per tre, sulla base dell'assunto che le famiglie, generalmente, spendono per l'alimentazione un terzo del loro reddito. Il preventivo delle necessità alimentari comprende una gamma di prodotti che assicuri il nutrimento minimo necessario per mantenersi in buona salute. In Gran Bretagna si costruisce un paniere completo, che comprende i generi alimentari come anche i servizi occorrenti perchè una famiglia mantenga un tenore di vita minimo. Comunque sia costituito, il paniere può essere considerato come ‛soglia di povertà', che separa le famiglie povere da quelle che povere non sono.
La soglia di povertà determinata in base al paniere presenta, in quanto metodo di misurazione, le seguenti caratteristiche: 1) è ‛assoluta', cioè non ha alcun rapporto con i redditi del resto della popolazione; 2) è aggiustabile in base alle variazioni dei prezzi; 3) può essere adattata alle dimensioni della famiglia (v. Stein, 1971, pp. 6-8).
La prima caratteristica evidenzia l'elemento valutativo implicito nella definizione di una soglia di povertà, qualora questa si situi al di sopra dello stretto indispensabile per la sopravvivenza fisica. Qual è, dunque, a giudizio della società o dello Stato un tenore di vita minimo? Che cos'è l'indispensabile? Comprende forse la televisione, le calze di nylon, la carne? Il metodo americano per calcolare la soglia di povertà elude tutti questi problemi in quanto prende in considerazione solo i generi alimentari. Il carattere ‛assoluto' di questa misura ha un'importante implicazione politica e cioè che la povertà può essere in massima parte eliminata, col tempo, attraverso la crescita economica, senza dover quindi ricorrere a una redistribuzione del reddito. Coloro che rifiutano tale punto di vista sostengono invece che un mutamento nel tenore di vita esige uno spostamento della soglia di povertà.
La seconda caratteristica della soglia di povertà, come metodo di misurazione, è la sua aggiustabilità in base alle variazioni dei prezzi. La cosa è importante, giacché gli ultimi decenni hanno registrato una generale lievitazione dei prezzi in quasi tutto il mondo. Il sistema per rivalutare una soglia di povertà consiste nel riprezzare le varie componenti del paniere. Ciò può esser fatto facilmente nei paesi in cui si raccolgono regolarmente dati statistici sulle variazioni dei prezzi onde costruire un indice dei prezzi. Un modo semplice, sebbene imperfetto, per aggiornare una soglia di povertà consiste semplicemente nell'elevarla o abbassarla in base alla variazione percentuale dell'indice dei prezzi al consumo.
La terza caratteristica della soglia di povertà è la sua adattabilità alle dimensioni della famiglia. Quest'ultima caratteristica è particolarmente apprezzata nei paesi in cui si cerca di alleviare la povertà ricorrendo a programmi di trasferimento del reddito basati sul fabbisogno, che è generalmente rapportato alle dimensioni della famiglia. Tale criterio risulta particolarmente utile per l'elaborazione di specifiche proposte di trasferimento del reddito, ad esempio la concessione di assegni familiari, o come metro sul quale valutare l'efficacia dei programmi contro la povertà.
Il ricorso alla soglia di povertà allo scopo di effettuare misurazioni statistiche della povertà non può mai, naturalmente, essere considerato un criterio pienamente scientifico. La nozione stessa di tenore di vita minimo è una nozione politica, come è anche un problema politico il legiferare in materia di programmi contro la povertà, in quanto implica il potere di trasferire reddito dai settori più abbienti della comunità ai settori bisognosi. Di conseguenza può verificarsi una tendenza, da parte dei governi, a definire le loro soglie di povertà in rapporto ai loro programmi di trasferimento di reddito anziché viceversa. Tuttavia, il fatto che le due nozioni vengano a confondersi non significa necessariamente che il sistema di misurazione sia illegittimo.
Ogni approccio ‛assoluto' alla definizione e alla misurazione della povertà si trova dinanzi il problema che un miglioramento del tenore di vita implica uno spostamento dei livelli di povertà. Ovviamente, ciò riguarda solo quei paesi abbastanza fortunati da godere di un tenore di vita crescente, cioè i paesi industrialmente più sviluppati e quelli, tra i paesi meno sviluppati, nei quali il processo di crescita è stato abbastanza ampio da coinvolgere la maggioranza della popolazione. Per esempio, ricerche sui bilanci preventivi delle famiglie di reddito minimo nella città di New York mostrano che il tenore di vita effettivo desumibile dai bilanci (tenuto cioè conto delle variazioni dei prezzi) è raddoppiato dal 1903 al 1959 (v. Smolensky, 1965, p. 45); risultati analoghi sono stati riscontrati in altri paesi industrializzati. Questo significa che tenuto conto delle variazioni nel valore della moneta - il reddito corrispondente oggi alla soglia di povertà, cinquant'anni fa avrebbe assicurato un tenore di vita elevato. Quel che un tempo era considerato un lusso è ora diventato una necessità, come ad esempio i servizi igienici in casa o un cambio di abiti. Talvolta il mutamento viene imposto a tutti gli strati meno abbienti dalle mutate norme in materia di igiene pubblica, come nel caso dell'acqua e delle fognature; talaltra accade semplicemente che articoli un tempo compresi nel paniere non siano più disponibili.
b) Misure relative
Da quanto abbiamo detto risulta evidente che la povertà è relativa all'epoca. Nell'ambito di un dato paese è poi relativa anche alle varie località. Quel che è considerato il minimo accettabile a Napoli è impensabile a Torino. La gente, dopotutto, si raffronta con gli altri essere poveri significa possedere meno di taluni gruppi di riferimento, considerati rappresentativi della ‛media'. I moderni mezzi di comunicazione hanno diffuso a livello nazionale l'immagine di tali gruppi di riferimento, e mostrano inoltre la tendenza a falsare le effettive condizioni economiche della famiglia media. A qualunque telespettatore capiterà di vedere, specialmente nei programmi pubblicitari, famiglie che, presentate come tipiche, fruiscono in realtà di un complesso di beni e servizi superiore alle possibilità delle famiglie di medio reddito. Ora, dalla percezione di tutte queste svariate immagini, vere o fittizie che siano, scaturisce una specie di termine nazionale di raffronto, riferito però alle persone piuttosto che alle cose. Questo implica una definizione relativa di povertà, e quindi la necessità di un tipo relativo di misurazione.
Il ‛punto Fuchs', che prende il nome da V. Fuchs, rappresenta un'eccellente misura relativa della povertà. Secondo Fuchs, ‟sia che si ponga mente alle evidenti implicazioni della povertà sul piano economico, sociale e politico, oppure alle reazioni - dalla compassione al disgusto alla paura - che essa suscita nei singoli osservatori, una cosa è chiara: la gente è ‛povera' in rapporto ad altra gente che povera non è" (v. Fuchs, 1965, p. 74). In base a questo ragionamento, Fuchs stabilisce un livello relativo di povertà, classificando una famiglia come povera se il suo reddito è inferiore al 50% del reddito familiare mediano in una data nazione. La misura del 500/o viene considerata una valutazione ragionevole piuttosto che un criterio scientifico; presumibilmente, il 45% o il 55% andrebbero altrettanto bene. Quel che conta è che la misurazione sia relativa - sia cioè frutto di un confronto - e si contrapponga quindi al metodo della soglia di povertà.
Come metodo di misurazione della povertà il punto Fuchs evita ogni discussione sulla composizione di un accettabile paniere minimo, limitandosi ad affermare che esso è pari al 50% (o a qualsiasi altra percentuale prescelta) del reddito della famiglia mediana. Il punto Fuchs è inoltre adattabile alle variazioni dei prezzi e del tenore di vita, in quanto si sposta col variare del reddito mediano. A differenza della soglia di povertà espressa dal paniere, il punto Fuchs non è però facilmente utilizzabile per misurare il fabbisogno in relazione alle dimensioni e alla composizione della famiglia. Ne deriva che non può essere usato per elaborare programmi specifici di trasferimento del reddito. Viene invece utilizzato per misurare il successo o l'insuccesso globale dei trasferimenti del reddito o di altre misure contro la povertà.
Le due misure della povertà - la soglia di povertà espressa dal paniere e il punto Fuchs - possono dare risultati sorprendentemente diversi se vengono usate per misurare nel tempo la percentuale ‛povera' della popolazione di un paese: il punto Fuchs, infatti, registrerà vazioni soltanto quando si verifichi una redistribuzione del reddito.
3. Distribuzione del reddito
Le misure della povertà relativa, come il punto Fuchs, richiamano l'attenzione sulla distribuzione del reddito in un dato paese, e quindi sul grado di sperequazione implicito in tale distribuzione. La misurazione della distribuzione del reddito e della sperequazione è molto importante per qualsiasi discussione sui programmi miranti a ridurre la povertà. Nei paesi che dispongono di sistemi statistici perfezionati i dati sul reddito vengono ricavati da due possibili fonti: le dichiarazioni dei redditi e i censimenti della popolazione. I dati possono quindi essere ordinati in una tabella in modo tale da mostrare quale percentuale del reddito globale vada al 20% più povero della popolazione, quale percentuale vada al 20% successivo, e così via. Negli Stati Uniti la distribuzione del reddito era nel 1971 la seguente:
Come si può rilevare, il quinto più povero della popolazione percepiva soltanto il 6% del reddito globale degli Stati Uniti, mentre il quinto più ricco percepiva il 40%. È anche interessante notare che non è intervenuto alcun mutamento significativo in queste percentuali a partire dagli anni trenta, epoca in cui si registrò uno spostamento verso una certa maggiore eguaglianza (v. Gordon, 1963, pp. 24-30).
Per misurare il grado di sperequazione è utile la costruzione di una ‛curva di Lorenz'. A questo scopo si dispongono i dati cumulativamente, raffrontando la percentuale cumulativa della popolazione con la percentuale cumulativa del reddito:
Si traccia nel contempo una linea, che indica quale sarebbe la distribuzione se ogni fascia della popolazione percepisse il medesimo reddito. Tale linea, denominata retta di equidistribuzione, appare sul grafico come una retta con un'inclinazione di 45° Come si vede dal grafico, la distribuzione reale del reddito ha l'andamento di una curva che corre al di sotto della retta di equidistribuzione: più la curvatura è accentuata, maggiore è il grado di sperequazione.
Se si dispone dei dati necessari, la curva di Lorenz può essere usata per raffrontare la distribuzione del reddito in tempi diversi o fra settori diversi della popolazione (per esempio fra meridionali e settentrionali o fra persone di colore e bianchi) o fra nazioni diverse. Bisogna ricordare tuttavia che le statistiche sul reddito possono contenere errori, e che diventano particolarmente imprecise riguardo alle fasce più elevate e a quelle più basse del reddito.
Si può effettuare lo stesso tipo di analisi se si dispone di dati sul patrimonio. Le statistiche sul patrimonio tendono però a essere ancor meno esatte delle statistiche sul reddito, e i dati relativi devono quindi essere usati con grande cautela.
La relazione espressa dalla curva di Lorenz può essere tradotta numericamente ricorrendo al ‛coefficiente di concentrazione di Gini', il quale si calcola dividendo l'area compresa fra la retta di equidistribuzione e la linea della distribuzione reale (contrassegnata con A) per l'area triangolare al di sotto della retta di equidistribuzione. Il valore risultante è sempre compreso tra 0 e 1. Il grado di sperequazione sarà tanto maggiore quanto più alto risulterà tale valore.
Le analisi effettuate in base alla curva di Lorenz rivelano che nei paesi industriali la distribuzione del reddito è un po' più uniforme che in quelli meno sviluppati. Queste ricerche confermano le osservazioni dirette dei viaggiatori, e cioè che proprio nei paesi poveri si riscontrano le punte massime sia di ricchezza che di povertà. Forse ciò avviene perché quanto più alto è il reddito di una nazione tanto più vi è da redistribuire, proprio come i parenti poveri di una famiglia ricca ricevono, in genere, più dei parenti poveri di una famiglia povera.
Il problema della povertà assume quindi aspetti notevolmente diversi a seconda che lo si consideri nelle nazioni industrialmente avanzate o nei paesi meno sviluppati. Nelle prime il livello complessivo del prodotto nazionale è abbastanza alto da consentire un sostanziale alleviamento della povertà attraverso una redistribuzione, cioè una ripartizione del reddito per mezzo della quale i membri più abbienti della comunità trasferiscono un'aliquota del loro reddito alle classi più povere. Nei paesi meno sviluppati, invece, il prodotto pro capite è così basso che una ripartizione del reddito fra ricchi e poveri, o anche l'espropriazione dei ricchi, non sortirebbe l'effetto di accrescere sensibilmente i beni materiali dei poveri. Pertanto le classi povere dei paesi sviluppati godono di un tenore di vita ben più elevato di quello delle classi povere delle nazioni meno sviluppate. Fame, grave malnutrizione, mancanza di protezione dalle calamità naturali - in una parola l'assenza delle condizioni necessarie alla mera sopravvivenza fisica - sono fenomeni relativamente sconosciuti in Europa, nel Nordamerica e in Giappone. La povertà, in queste regioni, è più relativa che assoluta, e le strategie scelte per combatterla si concentreranno soprattutto su politiche sociali redistributive. Nelle nazioni povere, invece, non vi è molto da redistribuire, e i programmi per la riduzione della povertà si identificano con i programmi volti a favorire la crescita economica. Perfino i trasferimenti di reddito dai paesi ricchi a quelli più poveri sono orientati, per lo meno in apparenza, verso la promozione dello sviluppo economico.
4. Politiche redistributive nelle nazionisviluppate
Tutte le nazioni industriali, sia capitaliste che socialiste, ricorrono a certi meccanismi di redistribuzione del reddito al fine di ottenere una ripartizione più eguale, o meno ineguale, di quella che altrimenti si otterrebbe. Questi strumenti si riassumono nella politica fiscale e nella politica della spesa pubblica.
a) Imposizione progressiva
La forma più diffusa di imposta redistributiva è l'imposta progressiva sul reddito. Un'imposta sul reddito viene considerata progressiva se l'aliquota di imposta cresce col crescere del reddito, di modo che quanto più elevato è il reddito di una famiglia, tanto maggiore è l'aliquota di imposta. Bisogna tener presente che tutte le imposte sono ‛in un modo o nell'altro' redistributive. Per esempio un'imposta sul valore aggiunto applicata a tutti i prodotti, compresi quelli alimentari, è regressiva, nel senso che colpisce in misura proporzionalmente maggiore il reddito delle famiglie più povere. Ciò si verifica perché le famiglie povere, rispetto a quelle più abbienti, spendono in generi di consumo un'aliquota percentualmente maggiore del loro reddito. Di conseguenza quando si vuol valutare se la politica fiscale di una nazione sia progressiva (e redistributiva verso le classi inferiori) occorre prendere in considerazione, anziché ogni singola imposta, l'intero sistema tributario nel suo complesso.
In materia di politica della spesa pubblica, gli aspetti più palesemente redistributivi si riscontrano nei programmi adottati a sostegno del reddito. Si tratta dei programmi con i quali lo Stato si assume la responsabilità di garantire un reddito alle famiglie o agli individui che non hanno reddito alcuno, o il cui reddito è al di sotto della soglia di povertà del paese o del livello minimo di sopravvivenza. Tutte le nazioni industriali ricorrono a programmi di questo tipo. Per le nazioni capitalistiche in cui questo tipo di intervento è largamente diffuso (come ad esempio la Svezia e la Gran Bretagna) si adopera talvolta la denominazione di ‛Stato assistenziale' (welfare State).
b) Programmi di sostegno del reddito
Si possono utilmente classificare i programmi di sostegno del reddito in tre categorie: la prima comprende essenzialmente le assicurazioni sociali, la seconda l'assistenza o beneficenza pubblica, la terza gli assegni familiari.
I programmi di assicurazione sociale (o, come spesso si dice, di previdenza - o sicurezza - sociale) sono di norma finanziati mediante contributi versati in appositi fondi dai lavoratori, dai datori di lavoro, o da entrambi. Le indennità vengono quindi prelevate da tali fondi e non direttamente dalle entrate dello Stato. Lo scopo di questi programmi è quello di garantire i lavoratori e le loro famiglie contro la cessazione o la riduzione del reddito in seguito a morte prematura, vecchiaia, invalidità, malattia o disoccupazione del capofamiglia (v. Tumbull, 1966, pp. 3-12). Il diritto alle indennità, nel quadro dei programmi di sicurezza sociale, dipende da due requisiti: che effettivamente sussista la situazione contemplata dal provvedimento, cioè che il lavoratore sia veramente disoccupato, o invalido, o vecchio, ecc., e che egli o il suo datore di lavoro abbiano versato nel fondo i contributi prescritti. L'ammontare dell'indennità dipende di norma dai precedenti guadagni del lavoratore, con le eventuali integrazioni per la moglie e i figli a carico. Il diritto all'indennità matura di norma dopo un periodo di tempo prestabilito.
Gli autentici programmi di sicurezza sociale non prevedono alcun controllo delle reali disponibilità economiche. Il diritto all'indennità non viene pregiudicato dal fatto che il beneficiario disponga di risparmi o di altri mezzi. Anzi, il risparmio può esserne incoraggiato, dato che il fine del sistema di previdenza sociale è quello di integrare anziché sostituire il risparmio privato o le pensioni private. Questo punto è molto importante, giacché il proposito dei sistemi di assicurazione sociale è di funzionare come ogni altra assicurazione: nessuno stigma dovrebbe accompagnarsi alla riscossione delle indennità, perché queste, per così dire, sono state guadagnate durante il periodo in cui il lavoratore è stato presente sul mercato del lavoro e ha pagato le quote prescritte. Tali quote in molti paesi vengono chiamate ‛contributi' proprio per sottolineare la loro presunta rassomiglianza ai premi di assicurazione.
Dato che i programmi di assicurazione sociale sono diretti a sanare una perdita di reddito da parte delle famiglie, sono tendenzialmente migliorativi anziché curativi. Essi trovano applicazione solo quando vi siano stati redditi recenti da lavoro salariato. Di conseguenza, nella maggioranza dei paesi essi non contemplano il caso di chi non sia mai stato presente sul mercato del lavoro, oppure di chi per qualche motivo non possieda i requisiti previsti, o ancora il caso in cui, pur sussistendo un reddito, questo sia talmente modesto da far classificare la famiglia interessata come povera.
I programmi di assistenza pubblica, a differenza di quelli di sicurezza sociale, rientrano piuttosto nel quadro della pubblica beneficenza. Essi assumono la forma di elargizioni dirette di denaro a famiglie o singoli privi di mezzi e che abbiano un reddito scarso o nullo, non siano sufficientemente coperti dalla previdenza sociale o abbiano esaurito il proprio diritto alle indennità della previdenza sociale. I sussidi di questo tipo prevedono un controllo delle reali disponibilità economiche, un'indagine cioè diretta a stabilire se la famiglia possegga mezzi economici o abbia congiunti legalmente responsabili del suo sostentamento. In genere, alla riscossione di questi sussidi si accompagna uno stigma, in quanto, a differenza delle indennità delle assicurazioni sociali, essi non sono stati ‛guadagnati'. Lo stigma è suscitato anche dal fatto che i beneficiari dei programmi di assistenza pubblica provengono per lo più dai settori ‛meno rispettabili' della comunità (come minoranze etniche o razziali) o sono ragazze-madri, individui con disturbi mentali ecc.; in breve, si tratta di persone verosimilmente affette da una cronica incapacità a guadagnarsi un salario e che rientrano quindi in quella categoria permanente di poveri che si trova in ogni società.
Parecchi paesi prevedono assegni familiari che spettano, di diritto, a tutte le famiglie con figli. Gli assegni familiari non rientrano nelle due precedenti categorie perché, se da un lato sono elargizioni dirette, come quelle dell'assistenza sociale, dall'altro sono dovuti di diritto, come le indennità delle assicurazioni sociali. Comunque la loro entità è di solito così esigua da risultare scarsamente efficace contro la povertà: sono solo un modesto contributo al benessere delle famiglie più numerose.
Negli ultimi anni in molti paesi sviluppati sono state avanzate proposte di riforma dei sistemi di sostegno del reddito. Ciò perché l'intero sistema assistenziale è diventato in molti casi uno scoordinato guazzabuglio di assicurazioni sociali, assistenza pubblica, mense scolastiche, provvidenze per la casa, distribuzione di latte alle gestanti, ecc. In Gran Bretagna, per esempio, esistono forse due dozzine di indennità cui una famiglia può aver diritto. Si è venuto così creando in materia un corpo così vasto di disposizioni e di regolamenti da rendere difficile un'amministrazione equa dell'assistenza. Il risultato è che i singoli richiedenti constatano spesso che quanto ricevono dipende dal giudizio e dal senso umanitario del funzionario che tratta le loro pratiche. Al tempo stesso, il sommarsi delle indennità può portare in molti casi a situazioni in cui il lavoro non aumenta in misura apprezzabile il reddito familiare e può anzi ridurlo.
c) Imposta negativa sul reddito
Fra le proposte di riforma la più importante è quella dell'imposta negativa sul reddito. Tutte le proposte di imposta negativa sul reddito prevedono un livello minimo di reddito, in relazione alla dimensione e alla composizione della famiglia. Prevedono anche un punto di equilibrio, vale a dire un livello di reddito oltre il quale non viene elargito alcun sussidio. Così, se una famiglia non ha alcun reddito, essa percepisce il livello minimo (che rappresenta il massimo sussidio). Non appena comincia a percepire un qualche reddito da lavoro, una parte del sussidio viene ritirata. Più guadagna, più diminuisce il sussidio, fino a che, al punto di equilibrio, la corresponsione dei sussidi cessa e la famiglia viene considerata autosufficiente. In un certo senso, il sussidio è un'imposta negativa. Appena i guadagni della famiglia superano il punto di equilibrio, essa paga sul suo reddito le imposte ‛positive'. Il rapporto tra variazione dei sussidi e aumenti del reddito è chiamato ‛aliquota marginale implicita' dell'imposta (v. Green, 1967, pp. 62-81).
Lo scopo di un'imposta negativa sul reddito è di conglobare in un unico complesso coordinato tutte le provvidenze esistenti e di integrare il sistema di sostegno del reddito, rendendolo più equo. Inoltre, un sistema basato sull'imposta negativa eviterebbe i casi in cui entrate addizionali determinano una diminuzione del reddito familiare, in quanto la perdita delle provvidenze e le imposte positive superano l'aumento delle entrate.
Verso la metà degli anni settanta le proposte di istituire un'imposta negativa sono state oggetto di attenta considerazione in diverse nazioni occidentali. Anche se un sistema completo di imposte negative non è stato adottato da nessun paese (sino al 1974), in diversi casi (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada) sono stati apportati ai programmi di assistenza pubblica emendamenti che condizionano le provvidenze all'esistenza di un qualche reddito guadagnato, in modo da assicurare un'aliquota marginale implicita dell'imposta inferiore al 100% e mantenere così l'incentivo al lavoro.
d) Altri indirizzi di politica sociale
Altre misure di politica sociale volte a ridurre la povertà e a redistribuire il reddito sono quelle che: 1) riducono il prezzo dei beni di prima necessità onde renderli accessibili ai ceti più poveri; 2) accrescono le possibilità dei nullatenenti di guadagnarsi un reddito sul mercato del lavoro. Le spese pubbliche richieste da tali politiche sono progressive quando il costo dei servizi forniti ai settori a più basso reddito è superiore alle imposte che questi pagano. I programmi di sovvenzioni in materia di alloggi e di assistenza sanitaria vanno annoverati fra le misure del primo tipo. Rientrano fra i servizi del secondo tipo l'istruzione, l'addestramento professionale e gli uffici di collocamento (e, in un certo grado, anche l'assistenza sanitaria), come anche i provvedimenti che rendono possibile l'emigrazione a scopo di lavoro.
Le iniziative prese dal governo (o per suo impulso) in materia di edilizia abitativa costituiscono una forma comunissima di politica sociale diretta a ridurre il costo dei beni di prima necessità; L'incremento demografico ha posto l'esigenza di un'espansione delle disponibilità di alloggi, ma il costo della costruzione di nuove case è di norma talmente elevato che difficilmente i lavoratori, con il loro salario, potranno permettersi abitazioni decenti, e certamente non potranno permettersele i poveri. Poiché allo sviluppo dell'edilizia popolare non provvede il libero giuoco del mercato, all'impresa privata si potrà sostituire l'impresa pubblica, e allora i livelli degli affitti rifletteranno spesso l'esistenza di sovvenzioni a carico dell'erario.
La politica sanitaria costituisce, nelle nazioni moderne, anche un mezzo per fornire servizi sanitari a un costo accessibile alla maggioranza della popolazione. Tutte le nazioni industriali, con l'eccezione degli Stati Uniti (sino al 1974), prevedono una qualche forma di assicurazione sanitaria nazionale o di servizio sanitario nazionale. Generalmente, l'assistenza sanitaria è finanziata con imposte o contributi speciali versati dai lavoratori, ma in diversi paesi i fondi relativi ricevono sovvenzioni addizionali a carico dell'erario. Il servizio sanitario nazionale non riduce il costo delle prestazioni mediche, ma lo socializza, redistribuendolo più uniformemente fra la popolazione. Se ogni cittadino, indipendentemente dal proprio reddito (e dal versamento di quote o contributi), ha eguali possibilità di accesso ai servizi sanitari, si può allora dire che viene effettuata, sotto la forma di cure mediche, una redistribuzione del reddito in favore dei ceti poveri.
Tutte le nazioni industriali prevedono l'istruzione gratuita (sia primaria che secondaria) per tutti. La frequenza è anzi obbligatoria, solitamente, fino all'età di 16 anni. Il proseguimento degli studi presso università o istituti tecnici è accessibile gratuitamente, o a un costo relativamente basso, agli studenti che posseggano i titoli richiesti. Durante il decennio 1960-1970 il numero dei centri universitari si è enormemente accresciuto. Ciononostante, va sottolineato il fatto che gli studenti che accedono all'istruzione superiore provengono ancora in larga misura dalle classi medie e superiori, sebbene le scuole siano accessibili anche a studenti provenienti dalle altre classi sociali. Una ragione importante di ciò va ravvisata nel fatto che gli studenti provenienti dalle famiglie più povere non possono permettersi il lusso dello studio a tempo pieno (anche se è gratuito) perché debbono lavorare per mantenersi, mentre quelli provenienti da famiglie più abbienti possono ricevere aiuti da casa. Neppure la concessione di un presalario agli studenti, in paesi come la Gran Bretagna, ha modificato la distribuzione di classe degli studenti universitari. Si hanno motivi per ritenere, inoltre, che la qualità dell'istruzione impartita nelle scuole pubbliche dei quartieri poveri sia bassa e che l'ambiente delle famiglie povere o di quelle operaie non incoraggi allo studio. Di conseguenza, i ragazzi di famiglie povere hanno una minore probabilità, rispetto ai loro coetanei più abbienti, di venire in possesso dei titoli necessari per accedere all'istruzione superiore.
Le iniziative dirette a favorire l'occupazione, che un paese prende in materia di istruzione, addestramento professionale e uffici di collocamento, costituiscono la sua politica della manodopera. La Comunità Economica Europea sottolinea particolarmente l'importanza della politica della manodopera come mezzo per migliorare il livello qualitativo delle forze lavorative di un paese; non solo, ma una politica del genere presenta l'ulteriore vantaggio di offrire a quei lavoratori la cui specializzazione sia in via di obsolescenza, l'opportunità di conseguire nuove specializzazioni. L'addestramento professionale permette ai lavoratori di migliorare le loro capacità così da poter ambire a più alti salari. Gli uffici di collocamento hanno lo scopo di stabilire più efficaci collegamenti tra lavoratori e datori di lavoro, il che può contribuire a ridurre i periodi di disoccupazione.
La politica della manodopera è oggi comunemente considerata come un mezzo per prevenire la caduta in una condizione di povertà o per aiutare a uscirne.
È evidente che certi tipi di politica sociale realizzano ben più che una mera redistribuzione del reddito dalle classi più abbienti a quelle più povere. Individui sani, ben nutriti, istruiti e forniti delle specializzazioni necessarie in campo industriale hanno, rispetto a coloro che non posseggano tali qualità, una capacità assai maggiore di guadagnarsi un reddito sul mercato del lavoro. Il costo di questi servizi corrisponde grosso modo a un investimento di capitale, in quanto l'investitore può essere remunerato attraverso l'incremento del prodotto nazionale. Oggigiorno gli economisti considerano l'istruzione una forma di capitale umano, e sono in grado di calcolare il tasso sociale di rendimento delle spese pubbliche sostenute per l'istruzione e l'addestramento professionale (v. Blaug, 1970, p. 54). Pertanto, questo tipo di politica non è primariamente redistributivo, salvo che a breve termine; esso tende invece a ridurre la povertà in quanto contribuisce a incrementare la crescita economica.
Gli investimenti in capitale umano, come anche le altre misure volte a favorire l'occupazione, non ridurranno la povertà a meno che la domanda di manodopera non sia sufficientemente elevata da consentire l'occupazione di tutti coloro che cercano lavoro. Se una economia non è in grado di sostenere un livello di piena occupazione, si dovrà provvedere al sostentamento dei disoccupati o mediante trasferimenti di reddito ad opera della pubblica autorità (adottando per esempio una politica di sostegno del reddito), o mediante aiuti privati di parenti e amici, o mediante la beneficenza. Giacché l'aiuto, da qualunque fonte provenga, ha carattere temporaneo - ed è comunque insufficiente - la disoccupazione prolungata porta alla povertà. Più a lungo un lavoratore resta disoccupato, minori sono le sue possibilità di trovare un lavoro. Si verifica allora quel che si potrebbe chiamare un disinvestimento di capitale umano, e i lavoratori più giovani, dotati di un'istruzione e preparazione professionale più aggiornata, tenderanno a prevalere nella concorrenza per i pochi posti disponibili (v. Hill e altri, 1973, p. 132).
5. Tipi di povertà
La povertà più diffusa nei paesi più progrediti è quella comunemente definita case poverty (povertà specifica): ne sono esempi le famiglie colpite da una qualche grave disgrazia, le persone da lungo tempo disoccupate, gli individui le cui capacità fisiche o mentali sono al di sotto della norma, o quelli - spesso provenienti da famiglie povere - la cui istruzione o preparazione professionale risulta inadeguata (compresi quelli la cui specializzazione è resa obsoleta dall'innovazione tecnologica), e infine gli appartenenti a minoranze etniche discriminate e le famiglie di ‛fannulloni'. Persino in condizioni di piena occupazione è difficile che questi diseredati, anche se adulti nel fiore degli anni, possano trovare un lavoro (v. Reubens, 1970, pp. 2-37). La carenza di manodopera riscontrata in Europa durante gli anni sessanta indusse molti paesi a dare nuovo slancio ai loro programmi di riqualificazione professionale, al fine di aiutare queste categorie di persone e nel contempo promuovere la crescita economica.
Nei paesi ricchi si riscontra anche il fenomeno delle ‛isole di povertà', cioè delle regioni sottosviluppate. L'Italia è forse il caso più noto in Europa, giacché l'intero Mezzogiorno costituisce un esempio tipico di regione sottosviluppata. Casi analoghi si riscontrano anche nel Regno Unito (Scozia nordoccidentale, Galles nordoccidentale, e tutta l'Irlanda settentrionale), nella Repubblica d'Irlanda (zona occidentale), e perfino in Danimarca e in Belgio (v. Commission of the European Economic Community, 1973, p. 126) e anche negli Stati Uniti (Appalachia). Queste regioni, nelle quali sopravvivono sistemi agricoli e impianti industriali arretrati, sono caratterizzate da bassa produttività, bassi redditi, elevata disoccupazione e, in pari tempo, da scarsità di strutture per l'istruzione e l'addestramento professionale, il che contribuisce a perpetuare la situazione. L'esistenza di possibilità di lavoro in altre regioni, come anche in altre nazioni, induce i lavoratori più giovani a emigrare dalle regioni arretrate, alle quali vengono così anche sottratte le migliori risorse umane. L'emigrazione, tuttavia, contribuisce anche ad alleviare la povertà di quanti rimangono, dato che gli emigranti effettuano rimesse in denaro ai parenti rimasti in patria. Così il Mezzogiorno d'Italia, in passato, esportava braccia verso gli Stati Uniti; oggigiorno esporta invece manodopera verso l'Italia settentrionale e verso i paesi della Comunità Economica Europea con alti livelli di occupazione e di prosperità. Molti di questi ‛lavoratori ospiti' inviano denaro a casa. Se le condizioni di lavoro in Europa resteranno favorevoli, molti passeranno probabilmente l'intera vita lavorativa lontano dalla patria, per ritornare, forse, solo una volta raggiunta l'età della pensione; alcuni, naturalmente, non torneranno mai.
Il fenomeno dell'emigrazione interna serve a ridurre la disparità fra una regione arretrata e le zone più prospere; d'altra parte, l'esistenza di un'abbondante offerta di manodopera disoccupata a basso costo potrà attrarre capitali dalle regioni più prospere, contribuendo così a sviluppare le aree depresse. Ciò si è verificato, ad esempio, nel sud degli Stati Uniti, dove molte zone sono state interamente industrializzate. I governi possono affrettare il processo di sviluppo deliberando per esempio agevolazioni fiscali per le imprese che investono nella regione depressa, oppure intervenendo direttamente con investimenti di capitale.
Un caso speciale di ‛isole di povertà' è costituito dalla povertà urbana, riscontrabile anche nelle nazioni più ricche. Nelle città troviamo gente che vive in condizioni di povertà estrema, topograficamente concentrata in determinati quartieri dove gli affitti sono relativamente bassi. Se sono abitati da immigrati, da stranieri o da minoranze razziali, questi slums vengono chiamati ‛ghetti', dall'antico nome italiano dei quartieri nei quali erano confinati gli Ebrei.
La città, per tradizione, ha sempre attratto i poveri perchè offre loro la speranza di maggiori possibilità di lavoro e, in anni recenti, perché consente di beneficiare di una concentrazione di servizi sociali. Le condizioni di vita di quanti vivono negli slums sono nondimeno assai dure. La mancanza di denaro e, nel caso delle minoranze, la discriminazione rendono loro impossibile trovare case decenti. Se sono stranieri, non hanno diritto a fruire delle case popolari, anche se disponibili. Negli abitanti degli slums, ammucchiati in locali inadeguati, sfruttati dai padroni di casa e dai datori di lavoro, si matura un'etica sociale contrastante con quella degli strati più ‛rispettabili' della società. La povertà urbana è caratterizzata da un alto grado di violenza e di delinquenza (sia dentro che fuori degli slums), dalla prostituzione, dall'alcolismo, dall'uso di droghe, e da altri modi disfunzionali di comportamento. Tutto ciò approfondisce ulteriormente la differenza tra gli abitanti degli slums e il resto della cittadinanza, con il risultato di suscitare in quest'ultima timore e disgusto anziché compassione.
La politica sociale nei confronti degli abitanti degli slums e dei ghetti è stata quasi sempre una mescolanza di misure repressive e di provvedimenti a sostegno del reddito sotto forma di assistenza pubblica. Le misure repressive sono originate dai timori del resto della comunità, timori giustificati dal potenziale relativamente alto di violenza e di criminalità esistente in questi gruppi sociali. Data la prevalenza di alti livelli di disoccupazione e di sottoccupazione, i governi hanno preferito in molti casi placare gli abitanti degli slums consentendo loro l'accesso all'assistenza pubblica. In questi quartieri la vita lavorativa viene spesa per lo più in occupazioni secondarie e mal retribuite, con frequenti periodi di disoccupazione e scarsa speranza di miglioramenti. In ambienti siffatti, infine, la naturale imitazione, da parte dei figli, degli atteggiamenti dei genitori ha come effetto la perpetuazione della povertà nella generazione successiva.
6. Fattori economici e politici
Un aspetto importante delle economie industrialmente avanzate consiste nella capacità di accumulare capitale e di impiegarlo per un'ulteriore crescita economica. Questo spiega il miglioramento del tenore di vita in questi paesi, miglioramento che investe anche i poveri, i quali, nell'accezione assoluta della parola ‛povertà', diventano una minoranza della popolazione. Pertanto la predizione marxiana del crescente immiserimento delle masse non si è realizzata nei grandi paesi industriali, e al miglioramento diffuso del tenore di vita si è generalmente accompagnata la stabilità politica.
Quando dissesti economici impoveriscono un settore abbastanza vasto della popolazione, si determina un'instabilità politica. La grande depressione degli anni trenta provocò tumulti politici in tutto il mondo a mano a mano che in ciascun paese aumentava la massa dei disoccupati. L'inflazione può provocare il medesimo effetto col ridurre il reddito reale di individui e famiglie. Anche le calamità naturali e le guerre possono produrre povertà. È significativo che le nazioni industriali siano in grado di riprendersi da crisi economiche, calamità e guerre, perché le loro conoscenze tecnologiche, insieme con i capitali rimanenti e le risorse naturali, consentono loro di riavviare il processo di crescita economica. È bastato infatti solo un decennio perché l'Europa si riprendesse dalle rovine della seconda guerra mondiale. Perfino nell'URSS, ove la distruzione di vite umane e di capitali è stata maggiore che in qualsiasi altro paese, la ricostruzione era cosa fatta verso la fine degli anni cinquanta. Questa capacità di ripresa dopo una catastrofe è in netto contrasto con quanto avviene nei paesi poveri. Terremoti, siccità e guerre possono distruggere alla base l'economia nazionale di un paese povero e costringerlo a usare le risorse disponibili per la mera sopravvivenza, impedendo così l'accumulazione di capitale che potrebbe fornire una base per lo sviluppo economico.
Storicamente, si riscontra che la povertà diffusa è accompagnata da movimenti di protesta. Così la povertà che afflisse l'Europa ottocentesca durante il processo di industrializzazione promosse lo sviluppo di movimenti politici sia democratici che fautori della violenza - i quali si proponevano di cambiare la società al fine di realizzare un più razionale sistema di produzione e un più equo sistema di distribuzione del reddito. In molti paesi sorsero organizzazioni politiche di sinistra, il cui arco si estendeva dai gruppi estremisti (come gli anarchici e altri), pronti a usare l'assassinio come mezzo di trasformazione sociale, ai gruppi più moderati costituiti dai socialisti, dai socialdemocratici e dai partiti liberali riformisti. In alcune nazioni i partiti comunisti hanno svolto un'azione essenzialmente rivoluzionaria; in altre (e specialmente in anni recenti) hanno cercato di partecipare all'ordinaria vita politica parlamentare.
La miseria - nello scorso secolo - e l'instabilità economica - nella prima metà del nostro - favorirono inoltre la formazione dei sindacati in quanto organizzazioni dirette a proteggere i lavoratori e a migliorare le loro condizioni. I sindacati negoziano con gli imprenditori, su mandato dei loro iscritti, i contratti collettivi di lavoro e, in quasi tutti i paesi, partecipano anche alla vita politica sostenendo certi partiti o movimenti politici.
Non tutte le reazioni all'instabilità economica sono venute dalla sinistra. Anche la nascita di alcuni movimenti estremisti di destra, come il fascismo italiano, il nazionalsocialismo tedesco e il falangismo spagnolo, può essere ricollegata all'immiserimento di vasti strati della popolazione in seguito all'inflazione e/o alla depressione. La grande depressione degli anni trenta propagò il movimento fascista dall'Italia in tutta l'Europa, nell'America Latina e in talune regioni dell'Asia.
Il ricordo della grande depressione e della successiva guerra ha indotto i governi dei paesi industrialmente avanzati a intraprendere una politica diretta a stabilizzare la propria economia, onde impedire la depressione e contemporaneamente promuovere la crescita economica, innalzando così il tenore di vita. Le ideologie liberistiche precedenti, secondo le quali i governi non dovevano interferire nella vita economica, sono state abbandonate nelle nazioni capitalistiche a favore di un certo grado di programmazione e di guida da parte dei ministeri finanziari delle banche centrali. Comunemente, il problema del livello di reddito e di occupazione viene oggi visto nella prospettiva della teoria keynesiana, secondo la quale spetta al governo sostenere il livello della domanda aggregata di beni e servizi, e quindi di manodopera, ricorrendo a un'adeguata politica monetaria e fiscale. In anni recenti questa teoria è stata criticata dalla scuola americana che fa capo a M. Friedman. Questa scuola ritiene che le politiche keynesiane siano intrinsecamente inflazionistiche e sottolinea l'importanza della quantità di moneta come principale fattore determinante il livello dei prezzi. I seguaci di Friedman fanno molto affidamento sul funzionamento dei mercati liberi per correggere gli squilibri e si possono quindi classificare come ‛neoliberisti'.
In diversi paesi dell'Europa occidentale la programmazione da parte del governo va ben oltre il ricorso a politiche monetarie e fiscali. Per esempio, la Francia è impegnata in una programmazione indicativa, nella quale il governo, previa consultazione col mondo imprenditoriale, delinea i parametri dell'economia per diversi anni avvenire, al fine di coordinare i programmi privati e quelli pubblici. Nei Paesi Bassi la politica dei salari e dei prezzi viene concordata tra sindacati, confederazioni degli imprenditori e governo. Su scala sovrannazionale, vi sono state iniziative tendenti alla formazione di un'unione monetaria fra gli Stati membri della Comunità Economica Europea allo scopo, tra l'altro, di coordinare i vari programmi economici interni. Ma l'instabilità monetaria verificatasi negli anni settanta ha aumentato la riluttanza dei governi degli Stati membri a rinunciare alla loro sovranità su questioni di politica economica.
Le nazioni industrializzate del blocco socialista hanno tradizionalmente fatto uso dei loro meccanismi centrali di controllo onde evitare la disoccupazione diffusa derivante dalla depressione. Le economie socialiste non sono soggette a cicli economici nella stessa misura di quelle capitaliste, anche se, dati i legami commerciali esistenti tra mondo socialista e mondo capitalista, le crisi di quest'ultimo si ripercuotono anche su quello. In anni recenti alcuni paesi socialisti hanno seguito l'esempio della Iugoslavia, muovendosi in una direzione che accresce l'importanza delle forze del mercato e diminuisce quella della pianificazione centrale. Ma da ciò deriva l'emergere di una certa quantità di disoccupazione frizionale, giacché le imprese non remunerative licenziano i lavoratori in soprannumero in modo abbastanza simile a quello in uso nelle imprese del mondo non socialista. Sono di conseguenza in via di elaborazione politiche volte a combattere la disoccupazione, politiche che, trascurate quando si affermava l'inesistenza della disoccupazione involontaria, appaiono ora affatto necessarie per il funzionamento senza intoppi di un' economia socialista.
7. Le nazioni più povere
La maggior parte della popolazione mondiale vive nei paesi meno sviluppati, e tale situazione va continuamente aggravandosi in senso sia relativo che assoluto. È in questi paesi che la povertà assume gli aspetti più atroci in alcune regioni la vita altro non è, alla lettera, che una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Per esempio, una siccità decennale nelle nazioni della fascia saheliana dell'Africa ha trasformato una popolazione ‛relativamente' povera in una popolazione che non è più in grado di sostentarsi; la gente muore di fame e di sete, e individui in precedenza abbastanza robusti non offrono più resistenza al dilagare delle malattie. Dato che una grave malnutrizione delle gestanti può condurre alla nascita di bambini ritardati, c'è la possibilità che il danno attuale si ripercuota anche sulla generazione successiva.
Ma non c'è bisogno di rifarsi ai casi estremi, come la siccità delle aree saheliane o le periodiche carestie che colpiscono l'India quando il monsone ritarda: la vita è breve e miserabile per la popolazione di un paese povero che debba lottare con le unghie e coi denti per il pane quotidiano. Un raffronto tra i prodotti nazionali lordi pro capite di diversi paesi pone in evidenza quanto poco ci sia da distribuire fra la popolazione dei paesi meno sviluppati. Per esempio, l'Italia è, tra le nazioni progredite dell'Europa, una delle più povere eppure il suo prodotto nazionale lordo pro capite era nel 1973 di 2.110 dollari, venti volte superiore al prodotto nazionale lordo pro capite dell'India, e dieci volte superiore al prodotto nazionale lordo pro capite dell'Egitto. L'Afganistan, Haiti e il Mali hanno tutti un prodotto nazionale lordo pro capite inferiore a 100 dollari. Dove si produce poco, si può distribuire poco. La povertà, nei paesi poveri, non dipende solo da una cattiva distribuzione del reddito e delle risorse patrimoniali; dipende, in misura assai maggiore, dallo sviluppo economico di tali paesi, dalla loro densità demografica e dal modo in cui sono distribuiti, su scala mondiale, i capitali, le conoscenze tecnologiche e la popolazione.
8. Cause di povertà nelle nazioni meno sviluppate
Giacché il primo bisogno dell'uomo è il cibo, è interessante esaminare le cause di povertà in società prevalentemente agricole che versino in condizioni di sottosviluppo. Al livello analitico più elementare si distinguono tre fattori, che interagiscono reciprocamente: 1) carenza di risorse naturali; 2) basso livello di sviluppo tecnico; 3) un complesso di istituzioni politiche e culturali che si rivela disfunzionale rispetto alla distribuzione dei frutti della produzione.
a) Agricoltura
Per una società rurale la produzione agricola dipende essenzialmente dalle risorse naturali della regione. La superficie coltivabile a disposizione, la sua qualità e fertilità, come anche l'abbondanza e purezza dell'acqua determinano la gamma delle possibili colture; lo sviluppo tecnologico, dal canto suo, potrà espandere o contrarre la produzione. Il sistema politico che regola la distribuzione del raccolto indicherà, infine, a chi, e in qual misura, spetterà parte del raccolto o il suo equivalente.
Il suolo coltivabile e l'acqua non sono uniformemente ripartiti nel mondo. Per esempio, lo spessore del soprassuolo nelle pianure nordamericane o nelle pampas argentine è assai maggiore che nel Medio Oriente, il che è già di per sè un fattore di differenziazione nello sviluppo della produttività agricola nelle due regioni. A questa situazione si può tuttavia ovviare con il ricorso a tecniche specifiche per l'incremento della produzione agricola. Nei terreni ove queste tecniche non vengono messe in atto si determinano fenomeni di ‛stanchezza' e di improduttività. Le tecniche più diffuse per mantenere il terreno fertile e produttivo sono la rotazione delle colture e l'applicazione di fertilizzanti. La tecnica della rotazione implica la disponibilità di un'estensione di terreno tale da consentire la rotazione di raccolti primari e secondari, così da avviare un ciclo nutritivo fra gli uni e gli altri. La seconda tecnica, la concimazione, richiede un'ampia disponibilità di fertilizzanti. Un tempo veniva usato letame, ma in epoca più recente si è sviluppata una dipendenza sempre maggiore dai prodotti chimici derivati dal petrolio; dipendenza che ha a sua volta costretto l'agricoltore a entrare in mercati estranei alla sua sfera d'azione tradizionale. Le conseguenze di questa situazione si videro nel 1974, allorché molti paesi lamentarono una grave contrazione nel raccolto a causa della carenza di fertilizzanti. Tale carenza, causata dai forti aumenti del prezzo del petrolio decisi dall'OPEC, ha influito negativamente sui redditi, sulle condizioni di salute e sulla capacità produttiva delle popolazioni.
b) Il circolo vizioso
I paesi non industrializzati possono venire a trovarsi in un ‛circolo vizioso della povertà' (v. Nurkse, 1953; tr. it., p. 7). Questo implica un intreccio inestricabile di cause ed effetti, la cui conseguenza è di imprigionare l'economia nelle sue stesse deficienze (v. Krause, 1961, p. 20). Il circolo vizioso agisce, in una data economia, sia sul lato dell'offerta che su quello della domanda. Bassi redditi portano a bassi livelli di risparmio e di investimenti; un basso tasso di investimenti porta a sua volta alla perpetuazione di bassi redditi, chiudendo in tal modo il circolo che è reso ancor più serrato dall'ulteriore falcidia delle risorse, operata dalle classi parassitarie o frutto di squilibri commerciali. La domanda viene influenzata dal basso tasso di investimenti, che mantiene bassi sia la produttività che il reddito. Il potere d'acquisto della popolazione sarà quindi basso, il che conduce a una bassa efficienza marginale dell'investimento privato. Essendo basso l'incentivo a investire, i redditi bassi si perpetuano. In conclusione, la formazione del capitale è impedita dalla sua stessa scarsità.
Il circolo vizioso agisce sin dalla base. Il sottosviluppo genera bassa produttività agricola, che a sua volta determina malnutrizione, responsabile a sua volta di bassa produttività della manodopera.
A ogni livello di sottosviluppo si riscontra questo circolo vizioso. Se ne ha un esempio a Giava (Indonesia), che è afflitta da povertà e sottosviluppo. Con l'aumento della popolazione si intensifica continuamente la pressione esercitata dai contadini senza terra che, avendo un disperato bisogno di suolo coltivabile, si sono impossessati di una parte delle riserve forestali nazionali. Il diboscamento, riducendo la capacità di trattenere l'acqua, ha come conseguenza l'erosione del suolo. Diminuisce pertanto il quantitativo di prodotti agricoli, e quindi di cibo, che si potrebbe ottenere mediante l'adozione costante di tecniche appropriate. Il risultato finale è un progressivo aumento della povertà e quindi una spinta sempre maggiore verso il diboscamento delle riserve forestali per destinarle a coltura e, in ultima analisi, un'ulteriore contrazione nella produzione alimentare futura (v. Keyfitz, 1959, p. 39).
c) Condizioni che perpetuano la povertà
G. Myrdal individua sei categorie di condizioni che caratterizzano il sistema sociale asiatico, ma possono essere riferite anche a regioni sottosviluppate di altri continenti: 1) prodotto e redditi; 2) condizioni di produzione; 3) livelli di vita; 4) atteggiamenti verso la vita e il lavoro; 5) istituzioni; 6) misure politiche. L'analisi di queste condizioni fornisce al sociologo tutti gli elementi necessari per studiare ogni area di povertà (v. Myrdal, 1968; tr. it., pp. 1895 ss.).
L'inadeguatezza del prodotto e dei redditi costituisce ovviamente il problema fondamentale della povertà. Se la produttività media è bassa vi sarà un basso reddito nazionale per lavoratore. Anche tralasciando tutti gli altri punti elencati, basta questo a minare l'efficacia di ogni sforzo volto a migliorare la situazione.
Se le condizioni della produzione sono caratterizzate da inadeguatezza o inefficienza, il reddito nazionale effettivo ne risulterà contratto. Se c'è una carenza di complessi industriali su vasta scala, se le attività economiche fondamentali appartengono al settore primario (ad esempio agricoltura, mestieri manuali, artigianato) e se l'intensità di capitale è bassa, mancheranno gli strumenti per liberare un paese dalla povertà. Nell'America Latina, per esempio, nel 1960 circa il 40% della forza lavoro era occupata in attività primarie e produceva meno del 10% del prodotto totale lordo. Mancando adeguati investimenti di capitale, l'investimento produttivo a lungo termine è scarso e il capitale nazionale fisso (rete di comunicazioni, impianti elettrici ecc.) non viene potenziato, con l'ovvio risultato di instaurare il ‛circolo vizioso'. Da investimenti inadeguati deriva infatti un'insufficiente formazione di capitale. Mancando il capitale, non è possibile migliorare le tecniche produttive. E ancora, la forza lavoro è ripartita in modo irrazionale nel processo economico, dato che troppi lavoratori sono occupati in attività che richiedono scarsi capitali o non ne richiedono affatto, e troppo pochi sono occupati in quei settori che abbisognano bensì di maggiori capitali, ma comporterebbero un significativo incremento del prodotto nazionale.
Più si intensifica la ricerca di capitali da investire, maggiore sarà il pericolo di attirare investimenti i cui profitti saranno in gran parte esportati, ovvero progetti che abbisognano di un capitale nazionale fisso il cui costo non può essere coperto dal nuovo investimento (come strade, energie, o magari corpi di polizia). La concorrenza fra paesi o regioni per l'accaparramento dello scarso capitale disponibile può indurre a offrire a investitori stranieri condizioni tali da annullare, per il paese importatore di capitale, l'utilità degli investimenti. Infine, dal predominio, nell'economia di una nazione, di investitori controllati dall'estero può risultare un influsso eccessivo sulle decisioni politiche ed economiche (sia attraverso la corruzione che attraverso pressioni economiche sul governo), il che a lungo andare è nocivo per la sanità economica di una nazione.
I bassi livelli di vita di una popolazione sono principalmente il risultato di bassi livelli di produttività e di reddito. Numerose sono le deficienze tipiche dei paesi industrialmente sottosviluppati: vitto insufficiente, abitazioni misere, igiene e assistenza sanitaria inadeguate, carenza di servizi educativi e culturali, ecc. Queste deficienze, limitando l'efficienza delle forza lavoro, provocano a loro volta un basso livello di reddito.
Se gli atteggiamenti verso la vita e il lavoro si dimostrano ostinatamente non funzionali, il progresso del paese ne risulterà intralciato: un basso grado di disciplina e di scrupolosità nel lavoro, credenze superstiziose, resistenza alle innovazioni, disprezzo per il lavoro manuale, una generale acquiescenza all'autorità e allo sfruttamento, sono tutti fattori che influenzano lo sviluppo di una nazione. In agricoltura, per esempio, i contadini che lavorano esclusivamente per la sussistenza sono tendenzialmente contrari all'introduzione di nuovi cereali ibridi, perché i loro antenati, per sostentarsi, hanno usato per secoli i medesimi cereali.
Se le istituzioni di una nazione sono incompatibili con lo sviluppo economico, ne risulterà inevitabilmente una limitazione del progresso. Nelle nazioni povere si riscontra, sul piano istituzionale, una molteplicità di fenomeni: sistemi di proprietà fondiaria che ostacolano l'incremento della produzione; ordinamenti antiquati nel campo delle imprese, dell'occupazione, del commercio e del credito; scarsa coesione nazionale; carenze nell'autorità governativa dovute a instabilità, corruzione, scarsa preparazione dei funzionari o generale inefficienza. Nell'America Latina, per esempio, sia i latifundia (latifondi) che i minifundia (piccoli poderi) contribuiscono a ritardare lo sviluppo. Il latifondo porta a una conduzione agricola male organizzata, che dà bensì un utile, ma non raggiunge quello sfruttamento ottimale delle colture che potrebbe essere realizzato attraverso una migliore ripartizione della terra. I piccoli poderi sono d'altra parte inadeguati, servono solitamente al sostentamento di una sola famiglia e non hanno la produttività che potrebbe invece derivare dalla fusione di vari appezzamenti. In entrambi i casi è difficile attuare una riforma, giacché sia il potente latifondista che il piccolo proprietario si schierano contro ogni programma diretto a modificare i loro ruoli economici tradizionali.
Il Giappone, invece, costituisce un esempio di cultura tradizionale che si è adattata ai sistemi moderni, amalgamando le istituzioni della società industriale con i propri modelli culturali. In Giappone il trapasso dalla società feudale a quella industriale ha richiesto meno di un secolo.
Esistono inoltre altre istituzioni, meno palesi, che ostacolano lo sviluppo. Pregiudizi in materia di sesso, razza, casta e nazionalità producono impoverimento e limitano le capacità di elementi creativi della società. La cattiva distribuzione del reddito derivante dalle grandi proprietà terriere, l'esistenza di sistemi castali che ritardano la mobilità sociale e di gruppi parassitari che non danno alcun reale contributo al prodotto nazionale, sono tutti fattori che hanno la loro parte nel perpetuare il livello di povertà. Come è stato notato sopra, una redistribuzione del reddito nelle regioni povere non potrà, di per sé, far molto per mitigare la povertà. Tuttavia, un sistema politico e sociale che perpetui cristallizzazioni sociali e una cattiva distribuzione del reddito impedirà perfino innovazioni elementari nel settore tecnologico, soffocando ogni eventuale iniziativa e creatività potenzialmente presente nella popolazione. Le classi superiori non avvertono la necessità che avvengano cambiamenti negli equilibri esistenti, giacché percepiscono una quota per loro soddisfacente del prodotto nazionale e non hanno alcun bisogno di assumersi rischi economici o politici. Le caste inferiori, impotenti a decidere direttamente questioni legate alla produzione, e perfino all'oscuro delle possibili alternative, non hanno la capacità di attuare cambiamenti, anche perché i bassi livelli di nutrizione e di assistenza sanitaria non consentono altre energie che non siano quelle strettamente necessarie alla sopravvivenza. Non sopravviene dunque alcun cambiamento, a meno che l'equilibrio non venga turbato da qualche altra forza, come una rapida crescita demografica.
In tutte le società le cui istituzioni sono incompatibili con lo sviluppo si riscontra al fondo ‟una scarsa partecipazione popolare e una rigida stratificazione sociale antiegualitaria" (v. Myrdal, 1968; tr. it., p. 1898).
L'ultima tra le ‛condizioni' di un paese sottosviluppato è costituita dalle misure politiche. Si intendono con ciò i mutamenti deliberatamente apportati dal governo nelle condizioni sopraelencate allo scopo di stimolare il processo di sviluppo. La politica di sviluppo rappresenta una sorta di ‛volontà di sviluppo', la cui esistenza è un fattore dinamico che porta al cambiamento. La pianificazione è la coordinazione delle misure politiche che si propongono il conseguimento di un obiettivo economico razionalmente determinato. La politica del laissez faire, cioè l'assenza di una politica, può in determinate circostanze portare a uno sviluppo economico, ma può anche determinare ristagno o perfino regresso. Lo scopo della pianificazione è quindi quello di stabilire un certo controllo sugli obiettivi della nazione. Bisogna rilevare che, se praticamente tutte le nazioni in via di sviluppo, almeno apparentemente, ostentano politiche di sviluppo, in taluni casi tale ostentazione è meramente verbale, mentre in realtà manca qualsiasi misura politica efficace. (v. anche sottosviluppo).
9.Il fattore demografico
Quale che possa essere il successo dei piani di sviluppo, tutte le nazioni meno sviluppate, come in realtà il mondo intero, devono affrontare il problema posto dal sempre crescente aumento della popolazione, o altrimenti la povertà è destinata a raggiungere punte ancora più elevate di quelle attuali. Il continuo incremento demografico costituisce un grave onere a carico delle limitate risorse, anche spaziali, del mondo. Via via che il numero degli abitanti aumenta, beni e servizi devono essere distribuiti fra un numero di richiedenti sempre maggiore. Semplicemente per mantenere un determinato tenore di vita, la crescita economica deve procedere al medesimo tasso della crescita demografica. Per ridurre la povertà occorre un tasso di crescita economica maggiore di quello della crescita demografica, il che è un obiettivo difficilissimo per nazioni che incontrano difficoltà nel raggiungere livelli di sviluppo anche modesti. In pratica, tutto ciò significa che il processo di sviluppo, in paesi come l'India, è stato annullato dall'incremento demografico, e la popolazione è rimasta al medesimo spaventoso livello di povertà nonostante i massicci sforzi e sacrifici profusi nello sviluppo.
Nel 1825 la popolazione mondiale ammontava a circa un miliardo. Nel 1940 era stimata a una cifra di poco superiore ai due miliardi. Nel 1974 era giunta a tre miliardi e mezzo e sta attualmente aumentando a un ritmo del 2% l'anno. Anche se questa percentuale può sembrare piuttosto bassa, è tuttavia sufficiente a far raddoppiare la popolazione ogni trentacinque anni. Mentre i tassi di incremento demografico nelle nazioni sviluppate hanno registrato un declino, nelle regioni meno sviluppate (quelle cioè in cui le conseguenze sono più gravose) sono nettamente aumentati. In alcune regioni dell'America Latina e dell'Asia sono stati rilevati tassi di incremento demografico del 3,5%: un ritmo che fa raddoppiare la popolazione ogni vent'anni.
La causa primaria dell'enorme incremento demografico va ricercata nelle norme sempre più perfezionate in materia di igiene pubblica, imposte sia nelle aree meno sviluppate che in quelle sviluppate del mondo. Talune di queste norme sono di semplice applicazione, come il ricorso al DDT per ridurre gli insetti e pertanto la diffusione di malattie come la malaria e la febbre gialla. Nelle nazioni sviluppate il basso tasso delle nascite ha compensato i miglioramenti apportati nelle condizioni sanitarie, di modo che nel XX secolo l'incremento demografico netto ha subito un rallentamento. Il quoziente di fertilità, definito dal numero delle nascite annuali su 1.000 donne in età feconda, è un utile indice di quel che sta succedendo. Mentre l'Europa e il Nordamerica hanno un quoziente di 20 (o meno), la Cina, l'Egitto e l'India hanno quozienti che oscillano tra 30 e 39, e l'Africa, l'Asia Minore, l'Asia sudorientale e gran parte dell'America Latina hanno quozienti di fertilità superiori a 40.
L'incremento demografico ha un andamento irreversibile a breve termine. Perciò, quanto maggiore è stato l'incremento recente, tanto maggiore sarà l'incremento futuro, determinato dalla maggior quota della popolazione giovane, frutto appunto dell'incremento recente. Di conseguenza, anche se i quozienti di fertilità subissero una drastica riduzione fino a raggiungere valori pari ai livelli di sostituzione, l'incremento demografico continuerebbe per altri sessanta o settanta anni. E d'altra parte una simile riduzione dei quozienti di fertilità è evidentemente impossibile, salvo che nei pochi paesi sviluppati, come gli Stati Uniti, che stanno avvicinandosi a tali valori.
Nessuno propugna il ricorso ai classici freni malthusiani contro l'incremento demografico, cioè la guerra, la pestilenza, la carestia, la povertà e la miseria. Una certa redistribuzione della popolazione è naturalmente possibile; senonché tutti i paesi prosperi cercano di porre un argine all'immigrazione, limitandola in base al loro fabbisogno di manodopera. Di conseguenza l'unico possibile meccanismo di controllo consiste nella riduzione delle nascite, ma esso ha bisogno di tempo prima che se ne possano risentire gli effetti. In molte società sono profondamente radicati atteggiamenti dovuti alla religione o alla tradizione, contrari al controllo delle nascite con mezzi artificiali (o anche naturali). Inoltre nelle società povere può essere economicamente conveniente per le famiglie avere molti figli, giacché questi possono, in età giovanile, contribuire col loro lavoro alle spese familiari e, in età adulta, costituire un sostegno per i genitori.
Purtroppo, quel che è utile per una famiglia può essere dannoso per la società nel suo complesso. Talune nazioni in via di sviluppo hanno adottato politiche demografiche, e tali iniziative hanno ricevuto l'appoggio delle Nazioni Unite. Si ritiene che una riduzione del tasso di natalità possa rallentare la spinta verso l'incremento demografico futuro, e possa anche, a più breve termine, aiutare le nazioni a realizzare i loro piani di sviluppo e a ridurre pertanto la povertà. (v. anche demografia e popolazione).
10. Sviluppo economico
Al fine di procedere verso l'eliminazione della povertà, occorre che si stabiliscano programmi e si fissino obiettivi specifici. Nella generazione successiva alla seconda guerra mondiale, teorici delle scienze economiche e politiche hanno sottolineato l'importanza di una politica di formazione del capitale per l'eliminazione della povertà globale. Il capitale sotto forma di fabbriche, attrezzature agricole, reti di comunicazione avrebbe come conseguenza un incremento nella produzione e nell'occupazione e un maggior benessere; consentirebbe inoltre un migliore sfruttamento delle risorse naturali a beneficio della nazione che le possiede.
Questa teoria della formazione del capitale era fondata su un'interpretazione dell'esperienza fatta dai paesi occidentali nel corso del loro sviluppo economico. Tuttavia, studi successivi hanno accertato l'esistenza di altre importanti variabili attive nel processo di sviluppo. L'economista americano W. Leontieff, per esempio, riscontrò che il grande vantaggio concorrenziale degli Stati Uniti nel commercio mondiale derivava non tanto da prodotti ad alta intensità di capitale quanto da prodotti ad alta intensità di lavoro. In altre parole, il vantaggio derivava non da impianti maggiori ma da capacità maggiori (v. Leontieff, 1954). E quando si tentò di attuare programmi di assistenza, come il piano Marshall, in aree sottosviluppate del mondo, essi non diedero i medesimi risultati ottenuti nell'Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale; ciò perché gli europei possedevano già le capacità necessarie per utilizzare il capitale, mentre gli altri dovevano ancora apprenderle.
La teoria dello sviluppo dà ora molta importanza agli investimenti nell'uomo. Uomini meglio istruiti sanno produrre con maggior efficienza. Di conseguenza, le risorse naturali possono essere sfruttate a un costo più basso per il paese, mentre la produttività aumenta. Ma questo ‛investimento in capitale umano' non può limitarsi unicamente all'istruzione. Debilitazione e malattia ostacolano la produttività. Devono perciò essere adottate misure di assistenza sanitaria per consentire alla forza lavoro di operare nel modo più efficiente possibile.
Le condizioni di salute nei paesi poveri sono connesse con il livello di denutrizione o malnutrizione. La maggioranza degli abitanti dell'Asia meridionale spende molto più della metà del reddito in cibo, e rimane tuttavia sottoalimentata. Nello stesso tempo, per questa gente è scarsissima la disponibilità di abiti, case e servizi sanitari, mentre tutti questi fattori sono indispensabili alla formazione e al mantenimento di una popolazione robusta, capace di operare, sul piano fisico come su quello intellettuale, in modo efficiente. Purtroppo l'impatto iniziale del miglioramento nelle condizioni di salute può anche contribuire a promuovere un così rapido incremento demografico da annullare i benefici del processo di sviluppo.
Lo sviluppo economico non solo richiede capitale reale e capitale umano, ma esige anche che il rapporto tra questi due fattori sia equilibrato. Un eccessivo investimento di capitale non accompagnato da un miglioramento del potenziale umano equivale a uno spreco di risorse. Un eccessivo o non equilibrato investimento in capitale umano determina un eccesso di individui istruiti, sani, con poche possibilità di lavoro. L'eliminazione della povertà esige pertanto un programma complesso e armonico che tenga conto di tutti questi fattori.
Forse l'apporto più importante al miglioramento del potenziale umano è venuto dalle Nazioni Unite e dalle loro Agenzie. Miglioramenti nell'assistenza sanitaria, nell'istruzione e nella preparazione professionale sono il frutto dei programmi di assistenza multilaterale promossi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, dall'UNESCO e dall'UNICEF. Ma anche qui i problemi non mancano: le Nazioni Unite sono un'organizzazione costituita da paesi che inviano loro delegati i quali sono condizionati da esigenze di carattere politico e svantaggiati da una mancanza di preparazione.
Inoltre, i programmi di assistenza internazionale non possono essere attuati senza l'approvazione dei singoli Stati, i cui uomini politici danno spesso la preferenza a programmi relativi a settori considerati politicamente vantaggiosi anziché a quelli che gli esperti internazionali considerano più efficaci.
Esiste anche il problema opposto: gli esperti internazionali spesso non tengono conto di costumi e tradizioni locali nell'avviare i programmi ritenuti necessari. Gli esperti devono muoversi come funamboli per operare una scelta fra i programmi che violano tabù locali, ma saranno tollerati, e quelli che non verranno accettati o saranno talmente sovvertiti dall'opposizione locale da provocare più danni che vantaggi.
L'aiuto proveniente dai vari organismi delle Nazioni Unite assume solitamente la forma di un'assistenza tecnica. L'assistenza alle nazioni in via di sviluppo viene anche prestata attraverso la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Banca Mondiale) e l'Associazione Internazionale per lo Sviluppo. Questi due organismi forniscono capitale e assistenza tecnica, concentrandosi sui programmi atti a creare infrastrutture.
Un aiuto bilaterale viene prestato da alcune delle maggiori potenze mondiali a paesi con cui hanno o gradirebbero avere legami politici di amicizia. Gli Stati Uniti sono al primo posto in questo tipo di assistenza; vi figurano anche l'Unione Sovietica, la Cina, la Germania, la Francia e il Kuwait. Una forma di aiuto è anche l'assistenza militare, che non promuove però lo sviluppo economico.
Il vantaggio del paese che presta l'assistenza è ovvio: esso è in grado di influenzare il modo in cui si sviluppa l'economia per il paese ricevente e svolgere al tempo stesso una propaganda a proprio favore. L'assistenza bilaterale è anche in grado di legare l'economia del paese ricevente a quella del paese da cui provengono gli aiuti: il dono di un trattore, di una fabbrica, o di un qualsiasi macchinario complesso aumenta la dipendenza del paese ricevente dal donatore per la fornitura di parti di ricambio e per futuri ulteriori acquisti delle medesime attrezzature.
Gli aiuti bilaterali sono spesso vantaggiosi per entrambi i paesi. Una nazione che non goda di credito sufficiente per acquistare attrezzature può ricevere un prestito a condizioni favorevoli da un'altra nazione, che può però imporre condizioni. All'inizio degli anni sessanta, per esempio, gli Stati Uniti lanciarono un programma di aiuti all'America Latina denominato ‛Alleanza per il Progresso'. Tutti i fondi previsti dal programma dovevano essere spesi in prodotti americani e trasportati su navi americane. Così, i paesi dell'America Latina che avevano bisogno di trattori dovettero acquistare le costose (in rapporto a quelle di altri paesi) macchine americane e adoperare per il trasporto le più dispendiose navi americane. Anche considerando i bassi tassi di interesse praticati dall'‛Alleanza', per le nazioni latino-americane i costi risultarono superiori a quelli che avrebbero sopportato se avessero potuto raccogliere crediti sufficienti sul mercato libero.
11. Conclusione
Nel corso dei secoli l'umanità ha sempre dato per scontata l'esistenza della povertà in tutte le società. Molte religioni e tradizioni hanno imposto ai membri abbienti della comunità l'obbligo di alleviare bensì la povertà dei loro confratelli, ma non necessariamente di porvi fine. In effetti, ci sono state epoche in cui la povertà fu ritenuta desiderabile o come segno della volontà di Dio o come incentivo a produrre di più e a lavorare con maggiore impegno. Lo strepitoso aumento della produttività seguito all'avvento della rivoluzione industriale ha alimentato la speranza che finalmente si possa fare qualcosa per sradicare la povertà. La scomparsa della povertà è un traguardo dei riformatori come dei rivoluzionari. Se e quando tale traguardo sarà raggiunto dipenderà non solo dal possesso delle conoscenze tecnologiche necessarie per l'elaborazione di misure politiche costruttive, ma anche, e soprattutto, dalla possibilità di trovare, sul piano internazionale, la volontà politica necessaria a sradicare la povertà.
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