povertà
Penuria di mezzi materiali e sociali
La povertà colpisce tutti i paesi del mondo, anche quelli che vengono definiti ricchi: ampie fette della popolazione mondiale vivono infatti in costante stato di bisogno. La povertà rappresenta un grave problema sociale che soltanto lo sforzo collettivo può risolvere, perché essa tende ad autoperpetuarsi: infatti chi è povero non può risparmiare in vista di un futuro migliore e di regola non ha accesso al credito. La povertà non è tuttavia soltanto carenza di soldi: significa anche mancanza di strumenti culturali e sociali per riscattare la propria condizione personale
L’Italia, paese fra le maggiori potenze industriali del mondo, fa parte di quella fetta di popolazione globale che gode di un alto tenore di vita: siamo abituati all’acqua corrente, all’energia elettrica, a cibo abbondante, a un’avanzata tecnologia. Eppure anche in Italia la povertà esiste ed è in crescita.
Quando si parla di povertà molto spesso pensiamo alle persone che vediamo vivere per strada, senza fissa dimora. Ma il fenomeno della povertà è molto più esteso: se i nostri concittadini che dormono per strada sono poche decine di migliaia, sono molti milioni gli Italiani che vivono in stato di povertà, disponendo di non più di 600 euro al mese: una somma insufficiente per condurre una vita dignitosa, per pagare l’affitto, per mangiare e saldare le bollette. È come una coperta troppo corta: o ci copriamo i piedi o ci copriamo le braccia, comunque saremo destinati a sentire freddo.
La povertà non investe soltanto l’Italia: è un fenomeno di livello globale, che tocca tutti i paesi del mondo, da quelli definiti poveri – dove più dell’80% della popolazione vive in povertà – ai paesi chiamati ricchi, sia in Europa sia in America sia in Asia: negli Stati Uniti, per esempio, nel 2003 risultava vivere in povertà ben il 15% della popolazione, quasi 39 milioni di persone.
La povertà è una malattia per l’intera società, non soltanto per il singolo. Certo, chi è povero sente sulla propria pelle le difficoltà di vivere giorno per giorno con l’incertezza del futuro, con scarsa possibilità di dare un avvenire migliore ai propri figli. La povertà è tuttavia una piaga per la stessa società, una sorta di fallimento del vivere insieme.
Cosa ha infatti spinto inizialmente l’uomo a unirsi ad altri uomini e a creare le prime collettività tribali? Con molta probabilità è stata l’idea che l’unione fa la forza e che mettendo insieme le risorse ciascun membro del gruppo sarebbe riuscito a vivere meglio. Ancora oggi lo scopo più importante per uno Stato è quello di garantire un’esistenza dignitosa ai propri cittadini. Per questo la povertà, soprattutto se riguarda ampie fette della popolazione, segna un fallimento: lo Stato, cioè l’operare collettivo di tutti noi, non è riuscito nell’intento di garantire a tutti un civile tenore di vita.
Nell’Occidente, fra le maggiori cause della povertà possiamo trovare una cattiva applicazione di quella che in gergo tecnico è chiamata funzione redistributrice dello Stato. Pensiamo, per esempio, a Robin Hood che toglieva ai ricchi per dare ai poveri: tale funzione non viene esercitata in modo adeguato quando lo Stato non spende abbastanza per ridurre le disuguaglianze, sia attraverso la tassazione sia nel fornire servizi pubblici in grado di dare a tutti le stesse opportunità, attraverso l’istruzione e l’assistenza sanitaria. Ridistribuire, in altre parole, significa riequilibrare la bilancia e fare in modo che il divario fra ricchezza e povertà, se non annullato, sia reso almeno meno profondo: questo è il senso dello Stato sociale (benessere, Stato del).
Anche se il compito di redistribuzione spetta in prima istanza allo Stato, in tutti i paesi opera anche un settore di volontariato che fornisce un campo di impegno per coloro che vogliano contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali.
Una seconda causa di povertà, strettamente collegata alla prima, sta nella qualità – e non tanto nella quantità – dell’azione collettiva legata alla redistribuzione del reddito. Un vecchio detto recita: «se vuoi sfamare qualcuno, è meglio dargli un pesce o insegnargli a pescare?». Spesso l’azione assistenziale si limita a ‘dare un pesce’ e non si preoccupa di creare le condizioni che permettono a chi è assistito di togliersi da una situazione di dipendenza, di sfuggire alla trappola della povertà e di guadagnarsi una decorosa indipendenza.
Sarebbe riduttivo esaminare il fenomeno della povertà concentrandoci sui fattori economici: essa non sta soltanto nella scarsa disponibilità di risorse, ma anche nella mancata capacità di usarle. Per contrapposizione, il concetto di ricchezza si estende anche alle capacità psicologiche, personali e culturali di cui ciascuno dispone. Perché essere ricchi significa avere un alto livello d’istruzione, essere al centro di ampie relazioni sociali, avere gli strumenti adeguati per muoversi nel contesto sociale.
Pensiamo a una nave senza motore e senza vela: può essere anche la più bella nave del mondo ma, priva di questi strumenti, sarà condannata a restare ferma o a farsi trascinare dalla corrente. Allo stesso modo, avere i soldi non basta: per potersi muovere con profitto e con abilità nel mare sociale bisogna anche procurarsi una ricchezza ‘interna’. Una persona povera è tale non soltanto perché ha pochi soldi, ma anche perché è poco istruita, isolata, ha carenza di relazioni con il mondo in cui è inserita e, in ultima analisi, difetta di una serie di strumenti per potere vivere al meglio. Per questo un’azione collettiva di contrasto alla povertà si compone di molti livelli di intervento.
All’interno della categoria dei poveri, gli studiosi individuano una distinzione fra poveri relativi e poveri assoluti. I poveri relativi sono le persone che spendono una somma equivalente alla metà o meno della spesa pro capite media nazionale. Sono chiamati relativi perché la povertà è vista in relazione al tenore di vita di coloro che li circondano. Le loro scarse risorse fanno sì, tuttavia, che basti poco per trovarsi in serio stato di bisogno: cure mediche straordinarie dovute a gravi malattie o a incidenti, la nascita di un figlio, la perdita del lavoro, un divorzio, possono ‘bruciare’ i pochi risparmi in brevissimo tempo, gettando le persone nella povertà assoluta. Man mano che si scende nella capacità di spesa si arriva alla soglia della povertà assoluta: qui il reddito è insufficiente a comperare un paniere di beni e servizi considerati essenziali per vivere in quel paese e in quel tempo. Ogni anno, quindi, le linee di spesa che definiscono la povertà assoluta e quella relativa sono ricalcolate per tener conto dell’andamento delle spese e dell’andamento dei prezzi.
Il fenomeno della povertà riguarda tutti i paesi in via di sviluppo e tocca i membri più deboli della popolazione, soprattutto le donne e i bambini: la mancanza di alimentazione, la scarsa salute e il basso livello di istruzione sono i temi dominanti di questa tragica condizione. Agli albori del 21° secolo, sui 600 milioni di bambini che vivono in stato di povertà 11 milioni muoiono nei primi cinque anni di vita per malattie che sarebbero prevenibili; la pandemia dell’AIDS, combinata all’incidenza di altre malattie prevenibili (malaria, tubercolosi, tifo, colera), ha ridotto l’aspettativa di vita media dell’Africa subsahariana a 45 anni. La mancanza di istruzione, altra piaga che ribadisce e perpetua lo stato di povertà, riguarda 100 milioni di bambini, il 60% dei quali sono femmine. Soltanto l’impegno congiunto dei paesi ricchi e di governi più vicini ai cittadini nei paesi poveri possono permettere di costruire un futuro migliore per tutti, ridistribuendo le opportunità su scala planetaria, aumentando il livello di giustizia e di sicurezza per tutti i cittadini del mondo.