Forma di religione caratterizzata dalla venerazione di più divinità. In contrapposizione al monoteismo, rappresentato solo da 4 grandi religioni storiche (zoroastrismo, ebraismo, cristianesimo, islam), si potrebbe dire che tutte le altre religioni del mondo sono politeiste. Tuttavia, nel corso degli studi di storia delle religioni del 19° sec., e particolarmente a opera della scuola evoluzionistica, il termine p. ha assunto un significato specifico che lo distingue non solo dal monoteismo, ma anche da altre forme di religione. Lo schema evoluzionistico della storia religiosa dell’umanità faceva precedere al p. una fase che ancora ignorava dei propriamente detti, conoscendo solo pratiche rivolte a oggetti inanimati (➔ feticcio) o a una massa di spiriti anonimi (➔ animismo) o a forze impersonali (➔ mana; preanimismo); solo col progredire della civiltà, da questa fase si sarebbe svolta la concezione di numerose divinità con un carattere ben distinto e prevalentemente antropomorfo. Al contrario, i sostenitori di un monoteismo primordiale considerano il p. come una forma di decadenza della religione originaria, dovuta a fattori vari: certi attributi del dio unico si sarebbero resi indipendenti; a uomini preminenti sarebbe stato assegnato rango divino; fenomeni della natura sarebbero stati personificati e divinizzati; e infine nella fusione di più popoli monoteisti ciascuno avrebbe affermato il proprio dio accanto a quelli degli altri. Ma anche al di fuori di ogni simile schema storico è giustificato parlare di p. in un senso più specifico di quello che gli deriva dalla distinzione dal monoteismo, quando si voglia distinguere un particolare tipo di religione caratterizzato appunto dal culto di un certo numero di grandi divinità (per lo più accanto a divinità minori, demoni, spiriti e forze impersonali); queste divinità accumulano in sé funzioni molteplici cui, sul piano del pensiero mitologico di stile antropomorfo, corrispondono tratti di carattere personale.
Il p. appare storicamente soprattutto nelle civiltà di più complessa organizzazione (nell’antichità: Mesopotamia, Egitto, Grecia, Roma, America precolombiana ecc.; attualmente: India, Giappone), anche se al configurarsi di un pantheon politeistico non è intrinsecamente necessaria una civiltà politicamente o economicamente complessa (come, per es., nel caso del p. dei Polinesiani o delle genti africane della costa di Guinea). Una caratteristica costante del p. è che le sue divinità hanno culto pubblico. Poiché però il p. è privo, di solito, di ogni sistema dogmatico, neanche le sue forme più perfette raggiungono la coerenza logica cui farebbe pensare la sua definizione teorica; mentre infatti da un lato accanto alle grandi divinità continuano a esistere, in numero indefinito, entità minori e meno complesse, d’altra parte facilmente si verifica in esso la tendenza alla supremazia, tra i grandi dei, di un dio principale.
Per distinti che siano dal monoteismo vero e proprio, la preminenza di un dio su tutti gli altri (enoteismo) e l’adorazione di un solo essere divino pur in mancanza della negazione di altre divinità (monolatria) vengono a compromettere le forme caratteristiche del politeismo. L’esaltazione di una delle divinità porta facilmente all’assorbimento, da parte di questa, di altre o addirittura di tutte le altre divinità (come nell’antico Egitto, in un certo periodo, il dio solare Ra tendeva a identificarsi con tutti gli altri dei). A parte questo sincretismo interno dei p., esiste anche quello dovuto a fatti esterni d’origine storico-politica: quando un popolo viene a contatto con religioni diverse dalla propria, le divinità apparentemente affini vengono identificate e i loro caratteri si fondono, perdendo la loro fisionomia precisa. Questi sono i limiti, non della ‘fase’, ma del tipo politeistico della religione, contro i quali solo in particolari condizioni culturali il p. si afferma in forme relativamente pure e limpide.