zoroastrismo La religione dell’Iran antico, fino all’avvento dell’islam, cioè fino alla conquista araba dell’impero persiano dei Sasanidi alla metà del 7° secolo. Prende il nome dal suo fondatore, Zaratustra, o dal dio principale, Ahura Mazdā in antico-iranico, Ōhrmazd in medio-iranico, da cui il nome di mazdeismo.
Le fonti iraniche sono di natura, importanza ed epoche molto ineguali: l’Avesta, le iscrizioni antico-persiane degli Achemenidi (5°-4° sec. a.C.), le iscrizioni medio-persiane e partiche dei Sasanidi (3°-7° sec. d.C.), i testi pahlavici appartengono infatti a epoche diversissime. Quanto alla loro natura, l’Avesta (➔), a sua volta molto composito e differenziato al suo interno e scritto in varie epoche, è una raccolta di testi messi insieme a fini rituali e liturgici, mentre le iscrizioni achemenidi e sasanidi sono iscrizioni regie dirette a scopi di propaganda politica e i testi pahlavici, redatti in lingua medio-persiana dopo l’islamizzazione della Persia, costituiscono una letteratura tutta particolare, con forti caratteristiche arcaizzanti, in cui si riflettono tradizioni più antiche oltre che opere tramandate per lungo tempo a memoria.
Le fonti non iraniche sullo z. appartengono a epoche diversissime e sono di varia provenienza. Fra queste, le più importanti sono senza dubbio quelle greche: Erodoto, Strabone, Plutarco.
2.1 Cenni storico-biografici. Zaratustra è considerato l’autore di un piccolo gruppo di testi, Gāthā «Canti», contenuti all’interno dello Yasna, una delle sezioni dell’Avesta, scritti in una lingua più arcaica di quella delle restanti parti, che va appunto sotto il nome di ‘avestico-gathico’. L’opinione di gran lunga più diffusa fra gli storici delle religioni e fra gli iranisti è a favore della storicità di questa figura centrale del mondo religioso iranico preislamico, sebbene siano molto scarsi gli elementi sicuri, utili per ricostruirne una sia pur frammentaria biografia. L’ambiente storico e geografico in cui Zaratustra diffuse il suo messaggio è quello orientale, del grande altopiano iranico, verosimilmente le regioni sud-orientali. Una corrente di studi indica una cronologia relativamente alta: verso la fine del 2° millennio a.C.; un’altra propone invece una datazione intorno al 7° e 6° sec. a.C., convergente con quella della tradizione religiosa zoroastriana. L’arcaicità delle Gāthā rispetto alle restanti parti dell’Avesta e altri indizi relativi alla struttura politica e socio-economica della società riflessa nelle Gāthā sarebbero gli elementi a favore di una cronologia alta.
Zaratustra si oppone con forza all’egemonia delle ‘società di uomini’, dedite alla guerra e alla razzia, praticanti culti e sacrifici cruenti, veneranti divinità bellicose e terrifiche, ai loro riti feroci e orgiastici, alle loro devastazioni, e predica la fede in un essere supremo, Ahura Mazdā, di cui Zaratustra è il profeta, mentre le Gāthā sono il documento del profondo legame fra il dio supremo e il portatore del suo verbo. In esse Zaratustra rivolge domande al suo dio sui misteri del creato per farlo conoscere quale creatore di tutte le cose (Yasna 44, 3-7). Caratteristica della concezione zoroastriana è la dottrina dei 6 Amesha Spenta, cioè dei «Santi Immortali» che, per G. Dumézil e per i sostenitori dell’ideologia tripartita indoeuropea, sono i sostituti zoroastriani delle antiche divinità indoiraniche, riflettenti la tripartizione delle funzioni sociali nelle tre classi: dei sacerdoti, dei guerrieri e degli allevatori. Tale interpretazione ha avuto fortuna fra gli studiosi della religione iranica. 2.2 Interpretazioni della figura di Zaratustra. Pur essendo innegabile un valore simbolico e metaforico del linguaggio naturistico delle Gāthā e dell’Avesta più antico, non si può negare neppure il valore sociale del messaggio zoroastriano che, anche per quanto riguarda il culto e il rito sacrificale, sembra ergersi a difesa delle comunità di allevatori continuamente minacciate dalla furia dell’aristocrazia guerriera. Non senza fondamento si è visto nella dottrina di Zaratustra la religione di uomini dediti all’agricoltura e alla pastorizia in un mondo ancora tutto dominato da capi militari che vivono di conquista e di guerra, un movimento di poveri sorto presso strati sociali diversi da quelli dominanti nella religione indiana dei Veda. La figura di Zaratustra nella tradizione religiosa iranica e parsi è pressoché totalmente inserita in un contesto di motivi leggendari che traggono in parte la loro origine da uno sfondo rituale. La sua leggenda è tramandata nei testi medio-persiani o pahlavici, specie nel VII libro del Dēnkard, un’antologia religiosa zoroastriana del 10° sec. d.C.
Lo z. è una religione per molti versi legata a quella indiana dei Veda, ma con profonde e nette differenziazioni. Tratti caratteristici dello z. sono: il marcato dualismo, etico oltre che cosmologico, fra aša, o arta (vedico ṛta), l’Ordine-Verità, e drug (vedico druh), la Menzogna, fra Spanta Mainyu, lo Spirito Benefico, e Angra Mainyu, Arimane, lo Spirito Malefico; una tendenza al monoteismo, nell’accentuazione dell’assoluta centralità della figura del dio supremo Ahura Mazdā; l’attesa per il trionfo finale di Ahura Mazdā sulle forze arimaniche e per l’avvento del salvatore (saošyant), che si ripete anche nel sacrificio; il ruolo centrale di una figura profetica, quella, cioè, dello stesso Zaratustra, posto al centro della storia sacra.
Per tutto ciò che attiene alla pratica rituale e liturgica, i rapporti fra z. e religiosità aria o indo-iranica primitiva sono evidentemente strettissimi, come dimostra in primo luogo il rito di haoma (vedico soma). Tali stretti rapporti sono ravvisabili pure nella mitologia più arcaica e nell’uso di un linguaggio religioso ricco di valori metaforici e simbolici, particolarmente riferiti a un mondo pastorale al cui centro spicca il bestiame bovino (gav) concepito come una sacra epifania cosmologica e antropologica.
Verso la metà del 1° millennio a.C. fu piegato agli interessi della grande monarchia persiana e il suo dio supremo fu identificato con le divinità dei popoli conquistati: Bēl-Marduk, Yahweh, Ba’al Šamīn. Si andò affermando una concezione della regalità in gran parte estranea alle tradizioni iraniche, e Persepoli divenne il grande scenario di una festa del Capodanno di cui, appunto, l’esaltazione della regalità del Gran Re era un momento essenziale. Nello stesso tempo la casta sacerdotale dell’Impero persiano, i Magi, accompagnando per le terre conquistate gli eserciti vincitori e installandosi nelle varie regioni dei vasti domini achemenidi insieme con i funzionari della nuova amministrazione regia, entrò in diretto contatto con le tradizioni religiose dei popoli vinti. Lo zurvanismo e i misteri di Mitra hanno le loro lontane origini in questa fase storica dello z., nella diffusione delle dottrine astrali d’origine mesopotamica e nel sincretismo iranico-vicino-orientale, precedente il sincretismo d’epoca ellenistica. La caduta dell’Impero achemenide per opera di Alessandro, l’egemonia greco-macedone sull’Iran, la riconquista partica e la fondazione della monarchia feudale degli Arsacidi sono tutti avvenimenti che si svolgono in un periodo in cui le tracce dello z., nelle fonti di cui disponiamo, sono tenui e rare. Ciò nonostante occorre pensare che lo z. sopravvisse sotto i Parti, ma probabilmente non in una forma egemonica. Esso si ridusse a forme più chiuse e provinciali e andò assumendo i caratteri di una religione nazionale, sentita strettamente collegata alle fortune politiche di una nuova emergente casata persiana: i Sasanidi. Fu, infatti, sotto i Sasanidi, dopo un primo periodo di lotte religiose assai intense che videro soccombere Mānī e il manicheismo, che lo z. si trasformò in una vera e propria Chiesa di Stato e si svolse l’opera di canonizzazione dei sacri testi: l’Avesta e il suo «Commento» (Zand). L’ortodossia venne così ufficialmente sancita e si tramutò in un’arma efficace del potere politico e religioso.
La conquista araba spazzò via lo z. con relativa facilità: la conversione all’Islam fu un fenomeno di massa, a causa delle scarse radici popolari che lo z. aveva: una certa tendenza egualitaria insita nell’Islam dava una risposta a vecchie e deluse aspirazioni di vaste masse di sudditi legati al lavoro della terra o a professioni umili in una posizione fortemente subalterna. Lo z. restò confinato a cerchie molto circoscritte che continuarono a tramandarsi le dottrine dei padri e a conservare i testi sacri. Tra il 9° e 10° sec., anzi, vi fu in Iran un nuovo fiorire, in realtà molto arcaizzante e abbastanza sconnesso dal contesto culturale e spirituale dell’epoca, dello z., almeno a giudicare dalla produzione di vaste opere di carattere religioso, specie antologiche, in lingua medio-persiana o pahlavica. Nel 10° sec. iniziò l’esodo delle comunità zoroastriane verso l’India, dove finirono con il costituire una piccola e fiorente comunità, i parsi (➔), che si è perpetuata fin ai nostri giorni. Piccoli gruppi zoroastriani, i Ghebri («infedeli»), sono sopravvissuti anche in Iran soprattutto intorno ai centri di Yazd e di Kirmān. I parsi d’India, tradizionalmente dediti al commercio e in buoni rapporti coi governi britannici, sono entrati presto a contatto con la cultura europea e hanno imparato alla scuola della filologia occidentale a riscoprire le origini e la natura stessa della loro tradizione religiosa.