Stato dell’Asia sud-occidentale, confinante per via di terra con l’Armenia, l’Azerbaigian e il Turkmenistan a N (dove, peraltro, il limite è fornito per un tratto anche dal Mar Caspio), l’Afghanistan e il Pakistan a E, la Turchia e l’Iraq a O, mentre a S si affaccia sul Golfo Persico e sul Golfo di Oman tra loro collegati dallo Stretto di Hormuz.
Il territorio, sezione centro-occidentale della più vasta regione iranica, è formato da un complesso di alteterre, il cui carattere geografico distintivo emerge dal contrasto fra le catene montuose che lo cingono da ogni lato e l’interno, un altopiano smembrato in bacini separati di varia grandezza, senza deflusso al mare e per lo più steppici o desertici. Uscendo dall’acrocoro armeno, i rilievi iraniani si aprono verso SE, scindendosi in una serie di catene divergenti. A N sono presenti i complessi sistemi montuosi dell’Azerbaigian, contrassegnati dal vulcanesimo e soggetti a sismi catastrofici. Verso E chiudono a semicerchio il Caspio meridionale i Monti Elburz, una catena alta oltre 4000 m che si eleva su una lunga e stretta pianura costiera settentrionale, con una serie di vulcani fra i quali troneggia maestoso il Damavand (5601 m). Gli Elburz sono continuati a E dai monti del Kopet Dag, una catena a pieghe, con una larghezza di circa 200 km e un’altezza intorno ai 3000 m. Più all’interno sono presenti i monti del Khorasan, articolati in più catene, spesso discontinue, che occupano una vasta regione montagnosa, incavata da vaste e fertili depressioni vallive (come a S) fittamente popolate, ricche di coltivi (soprattutto cereali, cotone, vite) e di facile transito. Anche a S l’altopiano iranico è orlato da alte montagne, che formano un arco pressoché continuo: i Monti Zagros, quelli del Fars e parzialmente quelli del Makran. I primi si estendono dal Kurdistan fino alla regione del Fars (dove è difficile dare a essi un limite preciso) per circa 1000 km e con una larghezza media di 200; la massima altitudine degli Zagros si ha nella zona settentrionale (Zard Kuh, 4548 m). Alle catene degli Zagros succedono verso SE quelle del Fars, che, pur ripetendo i caratteri generali delle prime, sono meno elevate e più semplici: vanno gradatamente innalzandosi dal mare verso l’interno. Al di là del nodo di Hormuz si stende il Makran, un paese di montagne ordinate in serie di catene parallele che, seguendo la linea costiera, si raccordano verso E ai monti del Belucistan. Altri allineamenti montuosi interessano la parte interna dell’I., e due di essi, con tettonica assai tormentata e accompagnata frequentemente da manifestazioni eruttive, lo attraversano diagonalmente: il primo, dall’Azerbaigian al Makran, corre parallelo agli Zagros con le vette più alte dello Shir Kuh (4076 m) e del Kuh-e-Hazaran (4420 m); il secondo, meno elevato e più arido, con direzione all’incirca meridiana, si allunga dal Khorasan meridionale ai rilievi del Belucistan, costituendo un naturale limite divisorio con il Pakistan.
Fra le catene montuose marginali e quelle interne si avvallano, e talvolta anche sensibilmente, delle aree depresse, per lo più indipendenti l’una dall’altra: rappresentano i veri deserti iraniani; per le differenze di altitudine e per l’influenza delle montagne vicine se ne possono distinguere 3 in particolare: innanzi tutto i bacini che albergano ancora un lago perenne (hāmūn), alimentato da uno o più corsi d’acqua (come nel caso del Sistan, peraltro solo parzialmente compreso entro i confini del paese); poi le depressioni, in uno stadio evolutivo più avanzato delle precedenti, colmate di ogni genere di detriti, grossolani ai margini, minuti, che si trasformano in pantani salati durante i brevi periodi di pioggia o in croste saline nella stagione asciutta (il Deserto di Kavir, a NO, un deserto nel senso più stretto del termine, privo com’è, tranne che nelle oasi, di qualsiasi forma di vita vegetale e animale); infine il Deserto di Lut a SE, una plaga sterile, interamente colmata e prosciugata, in cui strati di argille e di sabbie si alternano a incrostazioni di sale dove, in corrispondenza delle più accentuate depressioni, si viene a formare d’inverno, per effetto delle acque che scendono dalle vicine montagne di Kerman, un temporaneo lago salato, che non apporta alcun miglioramento alle condizioni ambientali, ostili sia all’insediamento umano stabile sia alla vegetazione in genere.
Il clima è generalmente arido, con l’eccezione di poche ristrette fasce costiere dove si tramuta in umido. Caratteristiche delle regioni interne sono le elevate temperature estive, cui si contrappongono inverni freddissimi, le marcate escursioni, non solo annue ma anche diurne, e l’estrema siccità in estate. In linea generale, si può dire che la metà occidentale del paese ha condizioni climatiche migliori, potendo fruire durante l’inverno delle piogge che vi portano gli ultimi aliti dei venti occidentali, mentre la porzione orientale e meridionale è dominata dal ritmo stagionale del monsone con effetti peraltro fortemente limitati dalle barriere montuose esterne.
Morfologia e clima condizionano l’idrografia iraniana. Oltre la metà del territorio manda le sue acque in bacini chiusi mediante corsi d’acqua spesso discontinui, o che addirittura si esauriscono durante il loro percorso. Il rimanente ha deflusso al mare attraverso corsi d’acqua in qualche caso copiosi, perenni o intermittenti, ma per lo più assai brevi, perché ostacolati nel loro sviluppo dalla disposizione dei rilievi che attraversano. Tra i maggiori il Diyala, il Karkheh, entrambi affluenti del Tigri, e soprattutto il Karun, che, come i precedenti, ha la sorgente nei Monti Zagros: quest’ultimo, dopo un percorso di 700 km, navigabile a valle di Ahvaz, sfocia nella zona deltizia dello Shatt al-Arab; inoltre il Qezel Owzan (o Safid), il più lungo della riviera caspica se si esclude l’Aras, fiume che segna il confine con l’Armenia e l’Azerbaigian, funzione svolta anche dall’Araks sulla sponda opposta. Contano, poi, i minuscoli ma numerosi immissari del Lago di Urmia, salato, nell’Azerbaigian, una conca dalle dimensioni variabili secondo le stagioni.
La flora iraniana rappresenta un collegamento e una transizione tra la flora delle regioni caucasica, mesopotamica e dell’Asia minore e quella delle steppe dell’Asia centrale. Il deserto salato persiano è caratterizzato dalla mancanza o dall’estrema povertà di vegetazione per la grande salinità del suolo; alla sua estremità meridionale si trova una vegetazione alofitica con Calligonee e Salsolee, cui si aggiungono varie Graminacee e, nelle rocce nude delle alture, arbusti e cespugli spesso spinosi (Pistacia, Astragalus ecc.). Nella zona caldissima (gamsir), al limite settentrionale del dattero (Phoenix) e del giuggiolo (Zizyphus spina Christi), vi è una vegetazione effimera con piante che concludono il loro ciclo biologico prima della torrida estate. Sardsir sono dette le zone temperato-fredde, utilizzate dai nomadi per il pascolo estivo, e giängal quelle con formazioni legnose che, sul versante verso il Mar Caspio, annoverano Fagus silvatica al suo limite orientale, nonché Platanus orientalis, Quercus persica, Carpinus orientalis, Zelkova crenata e vari Fraxinus, Acer, Populus, bosso, cipresso. La regione alpina si trova, secondo le zone, a una altitudine tra 2000 e 2500 m. Nei Monti Zagros crescono molte piante da frutto, tra cui il pesco e altre che si ritengono originarie dei luoghi.
La fauna comprende pochi leoni e tigri, mentre leopardi e linci sono più numerosi. Anche gli sciacalli, i lupi e le volpi sono ben rappresentati; le gazzelle sono pure abbondanti. La fauna di Roditori e Rettili è molto ricca; il Mar Caspio è popolato da diversi gruppi di foche. I sistemi montuosi ospitano diverse specie endemiche di Insetti e altri Artropodi. Le risorse floristiche e faunistiche sono protette in 11 parchi naturali.
Sotto il profilo etnico, gli Iranici costituiscono la maggioranza: persiani in netta prevalenza, poi beluci, curdi (circa 5 milioni) e popolazioni seminomadi come i lur.
Esistono oasi di maggiore addensamento quali il litorale caspico e le alte vallate del NO, regioni fertili e ben irrorate, in aperto contrasto con le desolate contrade centro-orientali dove, con qualche eccezione, la popolazione è pressoché assente. I centri abitati, città e villaggi, sono sorti ai bordi dell’altopiano desertico, come sulle rive di un gran lago. Il 35% della popolazione è considerata rurale e vive generalmente in villaggi, spesso chiusi e fortificati, situati al centro delle oasi o comunque là dove la presenza di acque superficiali consente la pratica irrigua e quindi le coltivazioni agricole. Permangono forme di nomadismo, e migrazioni pendolari compiono ancora oggi alcune grosse tribù degli Zagros. Due terzi della popolazione vivono dunque nelle aree urbane. La tendenza all’inurbamento, che ha caratterizzato fasi dell’evoluzione demografica e sociale dell’I., è rispecchiata dall’aumento del numero delle città con più di 100.000 ab., salite da 9 nel 1956 a 38 trent’anni dopo. Ereditato dalle più antiche civiltà del passato ed elaborato in forme nuove dall’islamismo, l’urbanesimo, con l’erompere delle attività moderne, ha assunto aspetti di imitazione occidentale, pur nel rispetto della concezione locale delle strade ampie e alberate, dei giardini ombrosi, delle fontane, elementi urbanistici originali che tuttavia si incontrano sempre più raramente nei centri di recente e rapido sviluppo. La città di Teheran conta circa 7,7 milioni di ab. (2009), ma l’intera agglomerazione urbana oltrepassa i 12 milioni; altre città con più di 1 milione di ab. sono Mashhad, Esfahan, Tabriz e Shiraz.
L’islamismo sciita è la religione dominante, professata dal 93% della popolazione; il resto segue prevalentemente l’islamismo sunnita (5,7%).
Nel corso degli ultimi decenni del 20° sec. l’economia iraniana ha fortemente risentito delle vicende politiche e militari che hanno interessato il paese; in conseguenza di ciò, lo straordinario processo di espansione, avviatosi intorno alla prima metà degli anni 1970 e determinato soprattutto dagli elevatissimi proventi dell’estrazione del petrolio (di cui l’I. è stato a lungo il secondo produttore del Vicino e Medio Oriente, dopo l’Arabia Saudita), ha subito una brusca battuta d’arresto. Hanno poi pesato negativamente le forti fluttuazioni del prezzo del greggio sui mercati internazionali e le continue conseguenti oscillazioni del volume produttivo, per cui la politica governativa, attuata a partire dalla seconda metà degli anni 1990, ha puntato su una maggiore diversificazione delle attività al fine di spezzare la dipendenza dell’economia nazionale dagli idrocarburi. Nel tentativo di far superare all’I. l’emergenza economica, e in risposta all’embargo commerciale decretato dagli Stati Uniti nell’aprile 1995, il governo ha lanciato, con il Secondo piano quinquennale (1995-2000), un programma di austerità e di riforme, perseguendo il risanamento economico del paese anche attraverso drastici tagli delle importazioni. La credibilità finanziaria del paese è legata, fra l’altro, alla riduzione dell’ingente debito estero. Un recupero economico e finanziario dell’I. è stato favorito, alla fine degli anni 1990, dalla crescita dei prezzi del petrolio, che hanno fatto salire notevolmente la rendita petrolifera; tuttavia rimangono irrisolti alcuni problemi fondamentali, come l’inflazione, ancora molto alta, e il prosperare di un’economia sommersa, che priva lo Stato di un gettito fiscale non indifferente. Nel 2006 sono stati prodotti circa 195 milioni di t di petrolio e 105 miliardi di m3 di gas naturale ed entrambi hanno rappresentato oltre l’80% delle esportazioni nazionali.
Il settore agricolo – che assorbe circa il 23% della forza lavoro e contribuisce alla formazione del PIL per il 20% – ha visto aumentare le proprie produzioni; tuttavia, la bilancia agricola si mantiene passiva e l’I. è costretto a importare derrate alimentari e soprattutto cereali. Soltanto una percentuale modesta (10,8%) della superficie territoriale è destinata all’arativo e alle colture arboree: di essa peraltro non tutto è utilizzato con regolarità, mentre la cronica carenza di acqua ostacola l’espansione delle aree coltivabili. Principali cereali sono il frumento, il riso e l’orzo. Fra le piante industriali hanno una notevole diffusione il cotone, la barbabietola e la canna da zucchero; rilevante è anche la produzione di tè. Nella provincia del Fars si coltiva (sotto rigido controllo governativo) il papavero da oppio. Tra gli altri prodotti della terra, meritano di essere ricordati gli ortaggi e la frutta; l’I. è uno dei maggiori produttori di datteri e di pistacchi. Rilevante è l’allevamento ovino, per il quale l’I. detiene il quarto posto nel mondo. Lungo le coste del Mar Caspio è sviluppata la pesca dello storione, pregiato per le uova con le quali si prepara il caviale: a Bandar-e-Anzali opera un centro di raccolta e di lavorazione.
Le vicende politiche e militari degli anni 1990 hanno avuto pesanti ripercussioni anche sull’apparato industriale, che nel corso del decennio precedente si era trovato in una situazione prossima alla paralisi; successivamente si sono aperte nuove prospettive, grazie anche a una svolta liberista del governo, che nel settembre 1999 ha annunciato la fine del monopolio pubblico e la privatizzazione di un certo numero di imprese e servizi. Tuttavia, l’espansione del settore secondario è condizionata dalla scarsità di risorse tecnologiche e dalla inadeguatezza delle infrastrutture: esso è quasi totalmente orientato alla lavorazione degli idrocarburi, con impianti di raffinazione e petrolchimici, mentre è di modesto rilievo economico l’industria tradizionale, nei comparti agroalimentare, tessile e meccanico.
La vastità del territorio, la sua configurazione orografica e la distribuzione della popolazione creano condizioni difficili alle vie di comunicazione, tuttora scarse. La rete stradale misura circa 172.927 km di cui 125.908 asfaltati (2008). La rete ferroviaria (8367 km nel 2008) s’irraggia con i suoi assi principali dalla capitale verso Tabriz e le frontiere turca e armena a O, verso Mashhad a E e verso Kerman a SE. La marina mercantile (74 navi complessive nel 2008; 5.270.000 t lorde nel 2006) ha i suoi scali più importanti sul Golfo (Khark, Khorramshahr, Bandar-e Khomeini, Bandar-e Abbas); meno intensi i traffici sul Caspio (Bandar-e Anzali). La compagnia aerea nazionale serve le principali città di provincia e collega Teheran (sede con Abadan del maggiore aeroporto) alle capitali degli altri Stati; inoltre a Teheran fanno scalo numerose linee aeree di società europee, americane e asiatiche.
La più antica formazione politica a noi nota sul territorio iranico è l’Impero dei Medi, gente iranica che tra l’8° e il 6° sec. a.C. dominò nella zona settentrionale dell’altopiano. Alla supremazia dei Medi dapprima si affiancò e poi (metà del 6° sec.) si sostituì quella dei Persiani veri e propri stanziati nella zona meridionale del paese. Con la famiglia reale degli Achemenidi e il suo capostipite Ciro il Vecchio (dapprima re di Anzan nella Susiana, poi re di Persia), l’Impero persiano assunse una posizione di primo piano nella storia non solo dell’Asia ma di tutto il mondo antico. Sotto Ciro, fu abbattuto il regno dei Medi (550), poi il regno lidio (546), infine quello babilonese (539). Quando nel 528 Ciro morì combattendo sulla frontiera nord-orientale dell’Impero, questo si estendeva già dal Caucaso all’Oceano Indiano, dal Mediterraneo all’Asia centrale. Il figlio di Ciro, Cambise, intraprese la conquista dell’Egitto (525), ma morì nel 522, mentre faceva ritorno in Persia. Dai drammatici e oscuri eventi che seguirono (usurpazione del mago Gaumata, e congiura dei nobili persiani) emerse il ramo cadetto degli Achemenidi, asceso al trono con Dario I figlio di Istaspe (522-485), che compì l’opera di Ciro, e portò l’Impero persiano all’apogeo della potenza. Il regno di Dario ci è noto oltre che per le fonti greche, per le iscrizioni stesse del Gran Re, soprattutto per quelle di Persepoli. L’immenso impero fu diviso in 20 satrapie, collegate da una mirabile rete stradale e governate da una salda ed elastica organizzazione burocratica, facente capo al sovrano: il potere centrale rispettava la libertà religiosa e assicurava la prosperità economica dei singoli popoli sottomessi, traendone a un tempo, con i tributi e le prestazioni in natura, i mezzi per la fastosa vita di corte e per un’imponente attività edilizia (residenze di Susa, Ecbatana, Persepoli). L’espansione persiana portò Dario a guerreggiare contro i popoli del Nord (spedizione scitica, circa 514) e contro i Greci (insurrezione ionica: 498-94; spedizione punitiva del 490, battaglia di Maratona). Morto o ritiratosi Dario per abdicazione nel 485, la sua politica anti-ellenica fu ripresa dal figlio Serse (battaglie di Salamina, 480, e di Platea, 479) e la ulteriore storia degli Achemenidi sino alla conquista di Alessandro è nota quasi esclusivamente in funzione della storia greca, e narrata da fonti greche. Gli episodi principali di questa storia sono le contese per il regno tra Artaserse II e Ciro il Giovane, terminate con la disfatta di questo a Cunassa (401), la pace di Antalcida del 386, che ribadiva il dominio persiano sulle colonie greche d’Asia Minore, e le guerre del 4° sec., sotto Artaserse III (358-38), per domare le province ribelli.
La riscossa della Grecia, che pose termine al bisecolare duello dell’Europa ellenica contro l’Asia persiana, si compì poi con la spedizione di Alessandro Magno e il crollo dell’antico Impero persiano (battaglia di Isso, 333; di Gaugamela, 331; morte dell’ultimo Achemenide, Dario III, 330). La morte di Alessandro nel 323 concluse per la Persia, privata dell’indipendenza e sovranità, il più antico periodo della sua storia. Per qualche decennio gravitò nell’orbita dell’Impero seleucidico, ma tali vincoli diretti di sudditanza si allentarono rapidamente, e alla metà del 3° sec. nuove formazioni politiche, più o meno ellenizzate, si profilarono sul suolo iranico: all’estremo est, il regno indo-greco di Battriana, sciolto dal vassallaggio dei Seleucidi, e rimasto per qualche tempo estremo propugnacolo dell’ellenismo nel cuore dell’Asia; più a occidente, il regno degli Arsacidi di Partia, il cui eponimo Arsace, assunto il titolo di re nel 250, fissò la sua capitale prima a Dara (od. Kalat), poi a Ecatompilo. Sorgeva così, con centro nella Mesopotamia e nella Media, lo stato feudale e militare dei Parti, per cinque secoli il più vitale e aggressivo avversario orientale prima dei Seleucidi, poi di Roma.
Artabano V (m. 224 d.C.) fu l’ultimo Arsacide. Infatti, nei primi decenni del 3° sec. la vecchia compagine arsacide fu attaccata, dal sud, da un movimento interno di rivolta che ebbe il suo focolaio nella Perside e il suo capo in Ardashīr, figlio di Papak, di una nobile stirpe meridionale che pretendeva di riconnettersi con gli antichi Achemenidi. Il trionfo di Ardashīr, che nel 226 entrava nella capitale partica Ctesifonte, segnò una riaffermazione della tradizione puramente nazionale contro gli ellenizzati Parti, e inaugurò l’ultimo periodo di potenza della Persia pre-musulmana.
Il nome deriva da quello di Sāsān, avo di Ardashīr. L’impero durò quattro secoli, e in politica estera continuò la tradizione partica, in una cronica guerra contro Roma prima, e poi, dal 5° sec., contro Bisanzio. Per quanto riguarda l’organizzazione dello Stato e le vicende interne, questo periodo è meglio noto di quello arsacidico, attraverso fonti greche, sire, armene e arabe, oltre che per i resti della letteratura nazionale mediopersiana e i documenti epigrafici. Nel 613-616, eserciti sasanidi giunsero fino a Damasco, a Gerusalemme e in Egitto, come già prima (570) erano giunti in Yemen; ma, tra flussi e riflussi, il sostanziale equilibrio fra i due avversari fu mantenuto sino alla fine, e nessuno riuscì a vibrare all’altro il colpo mortale. A oriente i Sasanidi lottarono per arginare l’infiltrazione e l’offensiva dei Turchi, comparsi nel 6° sec. nell’Asia anteriore. All’interno, si compì sotto di essi la piena restaurazione della tradizione religiosa zoroastriana, col mazdeismo eretto per la prima volta a religione di Stato, la fissazione del canone sacro, e una potente organizzazione del clero, ora alleata ora avversa ai re, persecutrice del cristianesimo e delle nuove eresie dualistiche (manicheismo, mazdachismo). La maggior figura della dinastia sasanide è Khusraw I Anūsharwān (531-79), il contemporaneo e rivale di Giustiniano: despota magnifico e illuminato, il cui ricordo rimase vivissimo nella tradizione posteriore, anche in epoca musulmana. Dopo aver con lui conosciuto il più alto grado di potenza politica e di splendore culturale (influssi dall’India e dalla Cina da un lato, e in minor grado della filosofia e della scienza ellenistiche), lo Stato sasanide cadde nei decenni seguenti in una serie di crisi dinastiche, economiche e sociali, da cui non si sollevò più.
L’invasione araba, cominciata quasi subito dopo la morte di Maometto (632), spazzò via in pochi anni l’Impero sasanide e inaugurò per la Persia un nuovo periodo della sua storia; lo zoroastrismo decadde rapidamente di fronte a un’intensiva islamizzazione. Verso il 650 può dirsi terminata la conquista araba, salvo che per alcune zone impervie del litorale caspico. La Persia propria fu per quasi due secoli una provincia dell’impero dei califfi, marca di frontiera per l’ulteriore espansione verso est. Ma rivalità tribali arabe e fermenti nazionali e sociali iranici fecero esplodere, nell’8° sec., quella rivoluzione che abbatté il califfato degli Omayyadi (661-750) e vi sostituì quello degli Abbasidi (750-1258), arabi anch’essi ma sostenuti da forze militari e civili iraniche. Pochi decenni dopo, si cominciarono a formare nella Persia di nord-est quelle autonome dinastie periferiche con cui iniziò lo sfaldamento del califfato islamico unitario. La dinastia dei Samanidi (10° sec.), puramente iranica, svolse una parte primaria per la resurrezione della cosc ienza nazionale e culturale persiana, sia pure entro il quadro ormai immutabile della civiltà musulmana. Ai Samanidi successero i Gasnavidi (10°-11° sec.), Turchi di stirpe ma culturalmente iranizzati. L’avvento (11° sec.) dei Selgiuchidi, Turchi iranizzati, ricreò un grande Stato unitario nelle province orientali del califfato. Lo Stato selgiuchide cadde verso la metà del 12° sec. per i colpi della rivale potenza dei Khuwarizmshāh, sultani di Transoxiana, ma anche questi furono travolti dalla turbinosa conquista dei Mongoli di Genghiz khān (1220), che causò perdite incalcolabili di vite e beni nelle province iraniche. Questi stessi nomadi furono assimilati dalla civiltà islamica e tanto lo Stato mongolo degli Īlkhān (1256-1349), quanto quello dei Timuridi (1369-1494) segnarono per la Persia periodi di rinnovato splendore economico e culturale. All’inizio del 16° sec. il regno dei Ṣafavidi (1502-1736) inaugurò la storia moderna della nazione persiana.
Sotto i Ṣafavidi fu adottato, come religione nazionale, l’Islam sciita, per lo più avversato dalle dinastie locali. L’unità territoriale del paese fu ricostituita all’incirca negli stessi confini dell’Impero sasanide. A O fu contenuta la spinta ottomana, mentre si rafforzavano i contatti diplomatici con l’Europa fino a raggiungere, tra 16° e 17° sec., un periodo di floridezza economica e solidità amministrativa.
Nel 1722 la nazione fu travolta da un’invasione afghana, cui si accompagnarono incursioni turche e russe. Il regno risorse per opera dell’avventuriero sunnita del Khorasan, Nāḍir Shāh (1736-47), che ricacciò gli Afghani e ne conquistò il paese (1738), ma, alla sua scomparsa, la Persia ripiombò nel caos. Seguì un periodo di sanguinose guerre civili, terminate con l’insediamento della dinastia turca dei Qāgiār (1794-1925). Questa non fu sempre riconosciuta dai poteri locali e si caratterizzò come un regime di oppressione politica mentre, sul terreno economico, cedette al controllo europeo parti cospicue del territorio nazionale e lo sfruttamento delle più importanti risorse del paese. Con i trattati di Gulistān (1813) e Turkmanciāi (1828) la Russia si annetté le province transcaucasiche e buona parte dell’Azerbaigian, mentre alla Gran Bretagna andarono importanti concessioni economiche. Il lungo regno di Nāṣir ad-Dīn Shāh (1848-96) segnò la maggiore decadenza del paese, ma vide anche i primi accenni di risveglio nazionale grazie all’opera di una élite di intellettuali che cercò di ottenere la Costituzione (1905-09) e di mantenere intatti i beni del paese.
La vittoria sulle resistenze assolutistiche fu frustrata dallo scoppio della Prima guerra mondiale, durante la quale la neutralità del paese fu violata da entrambe le parti belligeranti. Nel dopoguerra emerse Riḍā Pahlavī, militare nazionalista noto come Riḍā Khān che, con l’aiuto soprattutto britannico, espulsi i Qāgiār assunse il titolo di scià e fondò una dinastia (1925). Il suo governo dispotico fu al contempo teso a un grande sforzo di modernizzazione dello Stato persiano, che nel 1935 prese ufficialmente il nome di Iran. Nella Seconda guerra mondiale, Russi e Britannici, preoccupati della germanofilia del regime iraniano, occuparono il paese (1941), assicurando così alla causa alleata il controllo del petrolio e le vie di comunicazione del Medio Oriente. Riḍā Shāh fu costretto ad abdicare in favore del figlio Muḥammad Riḍā.
Cessata l’occupazione solo nel 1946, dopo difficili negoziati, nel 1947 il paese, rifiutando un’opzione sovietica per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi, compì una scelta di campo filo-occidentale, che si accompagnò al bando del filosovietico partito comunista Tudeh. Il rifiuto dell’Anglo-Iranian Oil Company controllata dai Britannici di rinegoziare la ripartizione dei proventi del petrolio (ai Britannici ne andava l’85%) riacutizzò il problema dell’indipendenza economica dando nel contempo nuovo vigore al nazionalismo. Nel 1951, alla vittoria ottenuta dal nuovo primo ministro M.H. Mossadeq con la nazionalizzazione del settore petrolifero, la Gran Bretagna reagì con l’embargo economico. Il contrasto tra lo scià, contrario alla nazionalizzazione, e il primo ministro aprì una grave crisi politica che vide prima lo scià costretto ad abbandonare il paese, poi l’estromissione nel 1953, con l’appoggio statunitense e britannico, di Mossadeq e l’assunzione di un ruolo di controllo sempre più attivo nell’amministrazione dello Stato da parte dello scià.
Grazie al cospicuo aiuto finanziario degli Stati Uniti (compagnie statunitensi erano subentrate nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi), l’I. fu posto in condizioni di superare le difficoltà finanziarie, fino al momento in cui cominciò a ricevere i redditi derivanti dalle royalties petrolifere. I primi anni 1960 furono caratterizzati dalla cosiddetta ‘rivoluzione bianca’, consistente in una serie di riforme volte a modernizzare e occidentalizzare il paese, di cui momento centrale fu la riforma agraria. Le riforme furono avversate dalla gerarchia religiosa sciita, colpita dalle espropriazioni delle terre di sua proprietà e ostile alle innovazioni politiche estranee al dettato islamico.
Quale segno dei progressi del paese, lo scià nel 1967 cinse con una fastosa cerimonia la corona imperiale. Sul piano internazionale, alle intense relazioni con gli USA e con l’Europa occidentale si affiancarono la collaborazione con l’URSS e il ristabilimento dei rapporti con la Cina (1971), mentre nei confronti degli Stati arabi le uniche tensioni erano quelle con l’Iraq, rispetto al quale l’I. rivendicava la sovranità sulla riva sinistra dello Shatt al-Arab, accolta poi dall’Iraq nel 1975 (accordi di Algeri) in cambio della cessazione degli aiuti iraniani ai Curdi. Per altri versi, però, i cambiamenti avvenuti nella società iraniana erano insoddisfacenti: somme ingenti erano assorbite dalle spese militari e la sperequazione sociale era aumentata, coinvolgendo non solo gli strati popolari, ma anche i ceti medi. Solo una durissima repressione del dissenso interno (migliaia i detenuti politici), esercitata dalla SAVAK, la polizia segreta, consentiva allo scià, che nel 1975 abbandonò anche la finzione del sistema bipartitico e impose un partito unico (Rastakhiz), di restare sul trono. Dal 1977 l’opposizione al regime si acuì, rapidamente conquistata dai religiosi sciiti dell’ayatollah Khomeinī, in esilio a Parigi dal 1963, e nel gennaio 1979 lo scià fu costretto a lasciare l’I., paralizzato da scioperi e manifestazioni, mentre l’esercito (il più potente del Medio Oriente, dopo Israele), si disgregava. Khomeinī, tornato in patria, assunse la direzione del paese.
Il 1° aprile 1979 fu proclamata la Repubblica islamica dell’Iran e una nuova Costituzione conferì a vita a Khomeinī il ruolo di guida religiosa del paese. Il timore del propagarsi della rivoluzione islamica crebbe, sia a livello regionale (i paesi arabi del Golfo), sia a livello internazionale, specie dopo che, nel 1979, 50 funzionari dell’ambasciata statunitense a Teheran furono presi in ostaggio e rilasciati solo nel 1981 in cambio della sospensione delle misure di congelamento dei depositi iraniani negli USA. Nel 1980 l’Iraq, contando sul favore sia delle potenze occidentali sia dei paesi arabi, preoccupati di una diffusione della rivoluzione islamica, e approfittando anche dell’indebolimento dell’I., denunciò gli accordi del 1975 per lo Shatt al-Arab e invase l’Iran. L’attacco diede inizio a una guerra lunga e dolorosa, che si sarebbe conclusa solo nel 1988 (nel 1990, durante la guerra del Golfo, Baghdad accettò il ristabilimento delle frontiere pattuito nel 1975).
Il conflitto rese più aperta la lotta di potere tra il clero sciita e le forze laiche: esautorato nel 1981 da Khomeinī il presidente della Repubblica Abū al-Ḥasan Bani Ṣadr, portavoce della corrente riformista, si scatenò una sorta di guerriglia urbana che vide in prima fila l’organizzazione islamica dei mugiāhidīn del popolo, inizialmente sostenuta dalle simpatie popolari. La fazione integralista consolidò definitivamente il controllo dello Stato soffocando con migliaia di arresti ed esecuzioni ogni opposizione a un governo teocratico e le minoranze etniche. Nel 1983 anche il partito Tudeh, inizialmente alleato del regime, fu sciolto e molti suoi dirigenti e militanti furono condannati a morte.
Le elezioni presidenziali del 1985 confermarono capo dello Stato ‛A. Khāmane´ī (eletto nel 1981), che nel 1989 successe a Khomeinī, morto in giugno, quale guida religiosa del paese. Alla presidenza della Repubblica fu eletto il conservatore moderato e pragmatico ‛A.A. Rafsangiānī, che favorì una cauta apertura del regime nei confronti dei paesi occidentali e sostenne l’avvio di una politica di liberalizzazione economica, restando in fatto di morale (velo alle donne, proibizione di alcolici ecc.) e d’interpretazione della legge canonica sulla linea di rigore che era stata di Khomeinī. Gli 8 anni del suo mandato presidenziale delusero le aspettative di quanti speravano nella normalizzazione del regime. I rapporti con i paesi vicini rimasero difficili e nel 1995 gli USA annunciarono il blocco del commercio e degli investimenti nei confronti dell’I., accusato di essere il mandante e il principale organizzatore del terrorismo islamico internazionale, nonché di perseguire un programma per dotarsi di armamenti nucleari. Inoltre, il paese era complessivamente più povero e meno libero, soprattutto rispetto alle esigenze maturate tra le nuove generazioni.
Le elezioni presidenziali del 1997 furono vinte a sorpresa, con una solida base di consensi, da S.M. Khatamī, imputato di liberalismo e osteggiato dai leader religiosi conservatori per aver osato sfidare il regime nel 1992, rassegnando le dimissioni perché in disaccordo con il governo. Il suo successo inatteso confermò la vitalità di una parte della società iraniana, in particolare donne e giovani, che dopo anni di silenzio uscì allo scoperto appoggiando il candidato riformista dalle colonne di alcuni organi di stampa. Subito si aprì un braccio di ferro tra le forze riformiste e le forze più oscurantiste del paese, che tradizionalmente ricoprono tutte le cariche religiose, giudiziarie e di controllo. Lo scontro con i conservatori non fu frenato dal successo dello schieramento riformista (2000) in Parlamento né dalla schiacciante conferma di Khatamī nel 2001.
Nel 2002, nel nuovo scenario successivo agli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti, l’inclusione da parte del presidente statunitense G.W. Bush dell’I. fra i paesi del cosiddetto ‘asse del male’, innescò nel paese una reazione nazionalista abilmente sfruttata dai conservatori, che dal 2004 conobbero una netta ripresa politica, vincendo prima le elezioni in Parlamento e successivamente (2005) le presidenziali, con l’elezione di M. Ahmadinejad, premiato da una sapiente miscela di retorica nazionalista, populismo e giustizialismo in nome dell’Islam, e forte del sostegno e della mobilitazione delle moschee e dei ‘guardiani della rivoluzione’ (o pasdaran), gli speciali corpi volontari d’assalto istituiti da Khomeinī a difesa della Repubblica islamica. Con la sua vittoria, un’ondata autoritaria, caratterizzata da pressioni sulla stampa e sui movimenti riformatori espressi dalla società civile ha imposto un brusco arresto alla vitalità e alla dialettica interna del paese. Sul fronte internazionale, la strategia aggressiva di Ahmadinejad si è concretizzata in invettive contro Israele, minacciata nella sua stessa esistenza, sostegno alle azioni degli ḥezbollāh libanesi, grande enfasi posta sul programma nucleare, che hanno esposto il paese alla condanna della comunità internazionale, in particolare degli USA, ma hanno altresì permesso all’I. di guadagnare prestigio nella regione. Le elezioni del 2009 hanno confermato la presidenza di Ahmadinejad, pur contestata da forti manifestazioni di piazza che hanno denunciato pesanti brogli, mentre alle consultazioni legislative tenutesi nel marzo 2012 l'uomo politico ha subìto una netta sconfitta dal confronto con le forze conservatrici rette dalla Guida Suprema A. Khamenei, che si è aggiudicato la maggioranza dei 225 seggi assegnati in Parlamento su un totale di 290. Al ballottaggio tenutosi nel maggio successivo, in cui 130 candidati si sono contesi i rimanenti 65 seggi in 33 circoscrizioni, 22 sono stati assegnati al Motahed (Fronte Unito) fedele a Khamenei, e 11 al Paidari (Fronte di Resistenza), vicino al presidente Ahmadinejad. I rimanenti seggi spettano invece a indipendenti, riformisti ed altre formazioni politiche minori.
Le presidenziali tenutesi nel giugno 2013 hanno segnato una riconfigurazione profonda dell'esecutivo, decretando la vittoria al primo turno, con il 50,7% delle preferenze, del riformista moderato H. Rohani, già capo negoziatore sul nucleare sotto la presidenza di Khatami, poi dimessosi nel 2005 con l'elezione di Ahmadinejad; l'elevata partecipazione al voto (80%) ha conferito alla Repubblica islamica legittimità democratica, avviando il Paese verso relazioni internazionali più distese.
Con rispetto al nucleare, nell’aprile 2015 è stato raggiunto a Losanna un primo accordo tra l’I. e i Paesi del Gruppo 5+1 (vale a dire i Paesi che hanno diritto di veto all'Onu - Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna - più la Germania), grazie al quale sono stati stabiliti i parametri di un piano di azione comprensivo congiunto riguardo al programma nucleare della Repubblica islamica, in vista di un’intesa definitiva da raggiungersi entro il 30 giugno 2015. In base a tale accordo, l’I. si è impegnata a ridurre le attività di arricchimento e di stoccaggio dell’uranio, convertendole in attività di ricerca e sviluppo, e a consentire l’accesso nel Paese agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, in cambio della progressiva rimozione delle sanzioni relative allo sviluppo del nucleare imposte da Stati Uniti e Unione Europea. Lo storico accordo, raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015, prevedeva il taglio del 98% delle scorte di uranio arricchito, la riduzione di due terzi del numero delle centrifughe, la possibilità per gli ispettori della Aiea di visitare i siti nucleari iraniani, lasciando a Teheran la facoltà di appellarsi a un tribunale arbitrale, la rimozione delle sanzioni a partire dal 2016 e la graduale cessazione dell’embargo per missili balistici e armi convenzionali, che resterà in vigore per altri cinque anni. Nel gennaio 2016 un rapporto dell'Aiea ha attestato che l'I. ha attuato tutti gli impegni rispettando le condizioni dell'accordo, dunque le sanzioni economiche contro il Paese sono state revocate, mentre restano in vigore quelle legate alla sperimentazione dei missili balistici e al rispetto dei diritti umani. La politica aperta al mutamento di Rohani è stata premiata alle consultazioni per il rinnovo del Parlamento e dell'Assemblea dei saggi del febbraio 2016, alle quali la lista del presidente e dell'ex capo di stato H. Rafsanjani, sostenuta da riformisti e moderati, ha ottenuto il 90% dei voti a Teheran aggiudicandosi i 30 seggi in lizza nella capitale e guadagnando terreno anche su base nazionale, sebbene nelle aree rurali e nelle province il fronte dei conservatori abbia goduto ancora di un vasto consenso popolare. Il successo del fronte vicino al presidente Rohani è stato ampiamente confermato al secondo turno delle consultazioni, svoltosi nell'aprile successivo, a seguito del quale i moderati hanno ottenuto oltre la metà dei 68 seggi dell'Assemblea dei saggi, capo della quale è stato eletto nel mese di maggio l'ayatollah A. Janati. Nel maggio 2017 Rohani è stato riconfermato alla guida del Paese al primo turno delle consultazioni presidenziali - svoltesi con un'affluenza alle urne di oltre il 70% - alle quali ha ottenuto circa il 57% dei consensi contro il 38,5% aggiudicatosi dal principale avversario, il conservatore E. Raisi, che gli è subentrato nella carica a seguito delle elezioni del giugno 2021, alle quali ha riportato il 62% dei consensi. Le elezioni legislative tenutesi nel febbraio 2020, segnate da un forte astensionismo (42,5%) hanno registrato una netta affermazione dei conservatori, che si sono aggiudicati almeno 221 dei seggi dell'assemblea, contro i 34 degli indipendenti e i 16 dei riformisti. Nel settembre 2022 il Paese è stato agitato da numerose manifestazioni organizzate da donne dissidenti a seguito dell'uccisione della studentessa Mahsa Amini, sotto custodia per non avere indossato correttamente il velo, che dal Kurdistan iraniano si sono diffuse a Teheran, Tabriz e in altre città iraniane, proseguendo nei mesi successivi, violentemente represse dal regime, che ha eseguito varie condanne alla pena capitale uccidendo e arrestando centinaia di manifestanti nonostante la ferma condanna e le sanzioni imposte dalla comunità internazionale. Nel febbraio 2023, dopo mesi di scontri, il regime iraniano ha annunciato l'emanazione di un provvedimento di grazia riguardante anche parte dei 20.000 arrestati durante le proteste, qualora essi sottoscrivano un'ammissione di colpa e l'impegno a non commettere reati affini, pena l'esecuzione capitale; ciononostante, le agitazioni di piazza contro la repressione attuata dal regime sono proseguite nel corso dell'anno, il movimento Donna, vita, libertà ricevendo ampio sostegno dalla comunità internazionale.
L'azione intensa e diretta di contrasto messa in atto dal Paese contro il jihadismo sunnita in Siria e Iraq ha di fatto reso l'I. uno degli obiettivi preferenziali del terrorismo: mentre nel 2016 si sono registrati almeno 30 attentati, tra gli episodi più gravi del conflitto va citata la doppia azione di attacco al potere e ai suoi simboli svoltasi nel giugno 2017 a Teheran nel Parlamento e al Mausoleo di Khomeinī e rivendicata dallo Stato Islamico, che ha prodotto numerose vittime e che rischia di indebolire la leadership di Rohani.
In politica estera, nel giugno 2022 il Paese ha presentato formale domanda di adesione al gruppo BRICS, nel quale è stato ammesso, insieme ad Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi ed Etiopia, a seguito del summit svoltosi nell'agosto 2023 a Johannesburg, divenendone membro effettivo dal 1° gennaio 2024. Dal settembre 2022 l'Iran è Stato membro della Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, mentre nel marzo 2023, grazie alla mediazione della Cina, il Paese ha ristabilito con l'Arabia Saudita le relazioni diplomatiche, interrotte dal 2016.
Di religioni propriamente persiane si può parlare fino all’islamizzazione della regione (650 d.C. circa). I più antichi documenti diretti per la religione persiana sono contenuti nell’Avesta (➔), scrittura sacra dello zoroastrismo (➔); essi risalgono cioè a un particolare movimento di riforma monoteistica condotto da Zaratustra (7°-6° sec. a.C.) in opposizione alla religione precedente. Di questa religione più antica, la documentazione è indiretta: i suoi caratteri ed elementi si deducono in parte dai principali temi della polemica zoroastriana (contro il politeismo, il sacrificio cruento, la spremitura e libazione del haoma ecc.), in parte dalla sopravvivenza tenace, nel sistema zoroastriano, di un fondo politeistico (così per es., gli Yazata, i «venerabili» della teologia avestica, non sono che riplasmazioni delle grandi divinità del politeismo), e infine dalla comparazione con la religione vedica, che permette in molti casi di penetrare fino alla fase indo-iranica della storia religiosa, cioè a quella anteriore alla separazione degli Indiani dagli Irani. La religione vedica e la religione persiana prezoroastriana mostrano, infatti, numerose affinità, sia per le comuni figure divine, come per es. Mitra, sia per comuni elementi rituali (l’iranico haoma corrisponde al vedico soma), sia per meno apparenti ma più fondamentali forme strutturali. Il conflitto tra lo zoroastrismo e l’antico politeismo, in cui devono aver avuto parte essenziale, benché tuttora non completamente chiarita, i magi, non ha portato alla completa liquidazione del secondo; d’altra parte anche nel seno dello zoroastrismo stesso si ebbero correnti diverse e ulteriori tentativi di riforma.
Lo zoroastrismo, con la sua concezione dualistica profondamente spirituale, conservò una grande vitalità, tanto che esso non soltanto sopravvive tuttora tra i paesi dell’India, ma nell’antichità influì decisamente su varie formazioni religiose sincretistiche, tra cui il mitraismo occidentale, il manicheismo, varie eresie cristiane di tipo gnostico e, in Mesopotamia, il mandeismo.
Appartiene al gruppo iranico dell’indoeuropeo. Lo sviluppo storico del gruppo linguistico iranico può suddividersi in una fase antica, una fase media e una fase moderna. L’antico persiano e l’avestico, oltre ad altri dialetti meno documentati, rappresentano la fase dell’antico iranico; l’avestico è la lingua dell’Avesta, cioè dei testi sacri della religione di Zaratustra, mentre l’antico persiano è la lingua delle iscrizioni cuneiformi achemenidi, in genere redatte anche in accado e in elamitico. La fase media, documentata soprattutto in età sasanide (226-642), è caratterizzata dal pahlavī, nelle varianti principali del Nord-Ovest o arsacidico e del Sud-Ovest o sasanidico o mediopersiano. Quest’ultimo occupa nell’ambito della storia culturale e linguistica dell’I. un posto di notevole rilievo perché è l’anello di congiunzione tra l’antico persiano e il persiano moderno, nonché lingua ufficiale dello Stato sasanide e della religione mazdaica.
Fra tutte le lingue e dialetti iranici moderni il neopersiano (o fārsi), che si riconnette al pahlavī sasanidico, ha assunto notevole importanza in quanto lingua di cultura, attestata già nel 9° sec., grazie alla promozione dell’uso letterario della lingua indigena in sostituzione dell’arabo, divenendo poi lingua ufficiale dell’Iran. Questa lingua, che nacque circa mille anni fa, è oggi sostanzialmente la medesima di quella dei grandi capolavori dell’età aurea. Nella fase moderna il persiano utilizza l’alfabeto arabo con l’aggiunta di quattro lettere (pe, čim, že, gāf) e ha inglobato nel suo lessico un gran numero di arabismi.
La letteratura dell’I. antico comincia con il libro sacro dello zoroastrismo, l’Avesta, le cui parti più antiche (le Gāthā) risalgono a Zaratustra stesso (forse 7°-6° sec. a.C.). A esse si contrappongono gli Yasht, o inni, che riflettono un’elaborazione della primitiva dottrina zoroastriana, contaminata con residui della preesistente religione naturalistica iranica; questi inni avestici contengono quindi numerosi elementi mitologici o epici, che saranno poi sviluppati dalla tradizione epica posteriore. Accanto all’Avesta, la letteratura dell’età achemenide produce le iscrizioni dei Gran Re, da Ciro il Vecchio ad Artaserse III: scolpite su roccia o su tavolette d’oro e altro materiale, magnificano le gesta dei sovrani, o illustrano le loro opere monumentali.
All’età sasanide appartiene la produzione in medio-persiano o pahlavico, per la massima parte di argomento religioso zoroastriano: si hanno traduzioni e commenti all’Avesta, e opere originali come il Dēnkart e il Bundahishn, specie di enciclopedie del sapere teologico di quell’epoca (3°-7° sec. d.C.). Altri testi teologici e rituali sono il Dātistān-i dīnīk («Legge religiosa»), lo Shāyast nā-shāyast («Il lecito e l’illecito»), e il Nāmak-i Artāk Virāz («Libro di Artāk Virāz»), importante testo escatologico, un anello della catena che lega le visioni d’oltretomba orientali a quelle classiche e medievali islamiche e romanze. Fra i non molti testi di argomento profano della letteratura pahlavica vi sono due piccoli romanzi epico-cavallereschi, che narrano due episodi della tradizione poi codificata nello Shāhnāme: l’Ayātkār-i Zarērān («Il memoriale di Zarēr»), che celebra le gesta del re Vishtāsp e di suo fratello Zarēr in difesa della fede zoroastriana, e il Kārnāmak-i Ardashīr-i Pāpakān («Il libro delle gesta di Ardashīr figlio di Pāpak»), sulle avventure del fondatore della dinastia sasanide. Altri racconti illustrano l’introduzione nell’India del gioco degli scacchi, un esame del re Khusraw a un suo paggio sull’educazione del perfetto cortigiano ecc. Tale letteratura profana era assai più ampia dei resti a noi giunti, e tracce di essa si ritrovano in autori arabi musulmani.
La letteratura zoroastriana in pahlavico continuò nei primi secoli dopo la conquista araba; ma per lo più la produzione letteraria posteriore al 7° sec. d.C. rispecchia, nella nuova fase linguistica del neopersiano, spiriti e forme della civiltà iranica musulmana. Le prime manifestazioni letterarie dell’I. islamico risalgono al 9° sec., nella lirica cortigiana fiorita sotto Tahiridi, Saffaridi, Samanidi, le prime dinastie autonome sorte in margine al califfato. Specialmente sotto i Samanidi, che regnarono nel Khorasan e in Transoxiana dalla fine del 9° sec. a tutto il 10°, la vita culturale iraniana rifiorì intensa, ed emerse un gran numero di poeti aulici (Rūdaghī, Daqīqī ecc.). I germi letterari dell’epoca samanide ebbero la loro piena fioritura nel successivo periodo gasnavide, cui appartengono celebri lirici, come Farrukhī, Minūcihrī, ‛Unṣurī, Asadī, e soprattutto l’epico Firdūsī (m. 1020 ca.). Quest’ultimo riprese un lavoro iniziato da Daqīqī, il verseggiamento delle tradizioni epiche nazionali, già codificate in libri sasanidi tradotti in prosa neopersiana, e creò così il grandioso Shāhnāme («Libro dei Re»), rimasto ammirato modello dell’epopea iraniana.
Dall’età di Firdūsī a quella di Giāmī (11°-15° sec.) si estende l’epoca classica della letteratura iraniana, ricca e varia, dall’epica eroica e cavalleresca alla lirica aulica, filosofico-mistica, sentenziosa, alla prosa narrativa, storica e parenetica (rami come la teologia, il diritto, le scienze furono di preferenza coltivati, anche da Iraniani, in arabo). L’epica romanzesca, dopo Firdūsī, fu trattata da Fakhr ad-dīn As‛ad Gurgānī (11° sec.), che verseggiò nel Vīs u Rāmīn un’antica materia di origine partica, singolarmente affine al ciclo celtico di Tristano e Isotta. Grande artista fu Niẓāmī (12° sec.), l’autore azerbaigiano della celebre Khamsa o quintetto di poemi, che danno forma classica a popolarissime leggende arabe o iraniche (gli amori di Khusraw e Shīrīn, Lailā e Maǵnūn, le avventure di re Bahrām Gūr e di Alessandro Magno ecc.). Questa materia romanzesca, trattata anche nell’India persianizzata dall’aristocratico poeta Amīr Khusraw (14° sec.), fu ripresa nel 15° sec. dal poligrafo Giāmī, che vi infuse però il proprio spirito mistico. In realtà la mistica, forse la più profonda esperienza spirituale dell’I. islamico, colorò di sé a partire dal 12° sec. quasi ogni manifestazione della poesia persiana. A parte il freddo e artificioso genere panegiristico, i maggiori classici del Medioevo iranico sono mistici, dall’autore di quartine Abū Sa‛īd ibn Abī l-Khair ai grandi creatori dei mathnavī (poemi) allegorici Farīd ad-dīn ‛Aṭṭār e Gialāl ad-dīn Rūmī (entrambi 13° sec.), allo gnomico e narratore Sa‛dī (13° sec.) e al maestro del ghazal amoroso, Ḥāfiẓ (14° sec.). Ad ‛Aṭṭār in particolare si devono, tra l’altro, i poemi Manṭiq aṭ-ṭair («Il linguaggio degli uccelli») e Ilāhī-nāme («Libro divino»); a Gialāl ad-dīn Rūmī il Mathnavī per eccellenza, vasto complesso di meditazioni, sfoghi mistici e racconti allegorici, rimasto normativo per il più tardo sufismo persiano-turco; a Sa‛dī, il Bustān («Giardino») in versi, e il Gulistān («Roseto») in prosa e versi frammisti, breviario tipico della sapienza popolare iranica; Ḥāfiẓ infine è il perfettissimo lirico che nel breve giro del ghazal (una dozzina di distici) racchiude con insuperata versatilità ed eleganza un sospiro d’amore sacro o profano. Una posizione a sé occupa come poeta ‛O. Khayyām (11°-12° sec.), misteriosa figura di scienziato, cui va attribuito un fluttuante corpus di quartine, che per originalità di concetto e splendore di forma sono tra le più alte espressioni del genio orientale.
La prosa dell’epoca classica, da modesti inizi sotto i Samanidi (adattamenti di cronache e opere esegetiche arabe), raggiunge un grande sviluppo nei secoli seguenti, comprendendo opere favolistiche (Tūtī-nāme, Marzbān-nāme ecc.), che sviluppano e arricchiscono la materia di origine indiana; opere di scienza politica e di governo (Siyāset-nāme di Niẓām al-Mulk, 11° sec.), e di etica e parenetica (Qābūs-nāme di Kai Kāwus ibn Iskandar, 11° sec.), preziose come documento storico-culturale oltre che modello di asciutta prosa antica; libri di viaggio (Sefer-nāme di Nāṣir-i Khusraw, ancora 11° sec.); trattati di morale teorica (Akhlāq), di Naṣīr ad-dīn aṭ-Ṭūsī e altri, che contaminano residui di etica ellenistica con concezioni islamiche.
Assai fiorente fu la storiografia, specie nell’epoca mongola (13°-14° sec.), cui risalgono, tra l’altro, Ta’rikh-i Giahāngushāy («Storia del conquistatore del mondo», cioè di Genghiz khān) di Giuwainī, e la grande enciclopedia storica (Giāmi‛ at-tawārīkh) di Rashīd ad-dīn Faḍl Allāh.
Dopo l’età mongola (e in parte già anche prima) la prosa si abbandona a un’estrema ridondanza e artificiosità di stile, che guasta ogni genere, dal narrativo allo storico, e rende faticosa la lettura. Tale è il caso degli storici dei Timuridi (Mīrkhwānd e Khwāndamīr, 15° sec.) e delle dinastie successive.
Con il 16° sec. la letteratura classica ha compiuto il suo ciclo, e si adagia nella meccanica ripetizione di temi e motivi triti. Questa decadenza dura fino al 19° sec., fatta eccezione per il genere popolare del dramma sacro ta‛ziya. Per quanto riguarda la letteratura di età moderna si possono distinguere 5 periodi, legati all’evoluzione storico-politica del paese.
Storicamente collocato agli inizi dell’Ottocento, significò la fine dell’isolamento dell’I., che si aprì agli influssi europei creando così le premesse per un progressivo quanto rapido mutamento delle strutture politico-religiose della vita culturale. Letteratura e letterati uscirono allora dagli ambienti di corte e molti giovani vennero inviati a studiare in Europa (nel 1816-17 fu aperta a Tabriz la prima tipografia e nel 1834 apparve a Teheran il primo quotidiano Rūznāme-i akhbār-i wakāyi‛ «La gazzetta degli eventi»). Il fiorire del genere delle relazioni di viaggio, di cui lo stesso Nāṣir ad-dīn Shāh fu autore, favorì la diffusione della prosa. La creazione di una sorta di università di stampo europeo (Dār al-funūn «Casa delle arti»), inaugurata a Teheran nel 1852, consentì la formazione di un nuovo corpo intellettuale, oltre a favorire la nascita di un’attività di traduzione (opere di Voltaire, A. Dumas, F. Fénélon, Molière, D. De Foe ecc.) che fornì nuovi modelli letterari lontani dallo stile aulico e tradizionale. È infatti forte nel 19° sec. la tendenza a semplificare la lingua e lo stile della prosa (Qā’im-maqām Farahānī) e della poesia (Yaghmā di Giandaq).
Per quanto riguarda il teatro, grande attenzione fu rivolta alla ta‛ziya, oltre che alla tradizione popolare del teatro delle marionette e della farsa. Il teatro tradizionale, invece, nel corso dell’Ottocento, subì l’influsso del modello europeo.
Coincide con gli anni delle prime agitazioni (1890) e con la lotta per la Costituzione (1905-11); vide la massima fioritura delle arti in generale; l’evoluzione politica mise fine alla poesia di corte, generando una letteratura vicina agli avvenimenti dell’I. e dell’Europa. Si affermò il gusto per la rievocazione storica e per concetti in parte nuovi, quali il nazionalismo, la democrazia e le problematiche sociali, come è testimoniato dal fiorire del genere del romanzo. Tra i primi romanzieri ricordiamo l’azeri Ṭālibūf Ḥāggī Mīrzā ‛Abd ar-Raḥī, che si dedicò soprattutto alla divulgazione delle scienze moderne in una forma letteraria più accessibile; Zain al-‛Abidīn di Marāgha, che nel suo romanzo Siyāḥat-nāme-i Ibrāhīm Beg («Il diario di viaggio di Ibrāhīm Beg», 1888) descrive lo stato deplorevole dell’I. nell’epoca dei Qāgiār. Si registrò inoltre lo sviluppo della pubblicistica, spesso legata a circoli politici e letterari. Gli intellettuali sostennero la lotta per la Costituzione in quotidiani e periodici.
Anche la produzione poetica si piegò a nuove esperienze formali seguendo due strade: la prima vide le forme classiche piegarsi a contenuti tipici dell’età moderna con M.T. Bahār; assunse inoltre connotati politici, come nel caso di Abū l-Qāsim Lāhūtī. La seconda, quella del rinnovamento formale, fu intrapresa da M. Riḍā ‛Ishqī, autore di componimenti strofici e rime fortemente influenzate dalla poesia romantica e simbolista francese.
Per il teatro di questo periodo, le prime rappresentazioni furono a Tabriz (gli attori erano per lo più non musulmani e i ruoli femminili venivano interpretati da uomini) e iniziarono a diffondersi numerose traduzioni di pièces europee.
Coincide con l’ascesa al potere del primo sovrano della dinastia Pahlavī, Riḍā Shāh (1924-41). Nel 1921 fu pubblicata Yakī būd yakī nabūd («C’era una volta») di Giamālzāde, una raccolta di satire che segnò il primo vero successo di una nuova tecnica narrativa. Dello stesso anno è il poemetto Afsāne («La favola») di Nīmā Yūshīǵ, tra i primi tentativi di creare un genere di versi liberi da ogni canone stilistico. Ma il cammino dello sperimentalismo poetico fu ostacolato dalla continua polemica con i tradizionalisti e con gli epigoni della poesia classica. Fra questi spicca M. Iqbāl, autore in lingua persiana dello Giāvīdnāme («Il poema eterno», 1932). Il romanzo di contenuto sociale evolse nel romanzo di costume, connotato ora da un piglio giornalistico e impegnato con Dihātī (pseudonimo dello scrittore M. Mas‘ūd), ora da un’impostazione garbatamente descrittiva con M. Ḥigiāzī. Ma la propaganda nazionalista governativa di Riḍā Shāh, nonostante gli sforzi di numerosi riformisti, attecchì soprattutto nel filone storico; proliferarono quindi le opere dai toni nostalgici rivolte all’esaltazione della grandezza dell’I. preislamico. Lo scrittore che meglio riflette il tormento intellettuale di un’intera generazione è Ṣ. Hidāyat: la sua novella Būf-i kūr («La civetta cieca», 1937) ne fece il caposcuola dei giovani prosatori emergenti. Della stessa scuola letteraria ricordiamo B. ‛Alawī, autore del romanzo Ciashmhāyash («I suoi occhi», 1952). Quanto al teatro, elevato soltanto ora a genere letterario, si affermò una vena innovatrice dai toni satirici, che si esaurì tuttavia rapidamente a causa della censura governativa. È però di questi anni (1939) la nascita di una scuola di formazione per attori, Hunaristān-i hunarmandān, e il personaggio più rappresentativo è l’autore-attore S. ‛A. Naṣr.
Caratterizzò gli anni che seguirono alla Seconda guerra mondiale, ma soprattutto all’estromissione dal potere del primo ministro M.H. Mossadeq (1953). S’intensificò il processo di occidentalizzazione: gli intellettuali reagirono alla convulsa corsa allo sviluppo, attirando l’attenzione sui gravi squilibri sociali che ne derivavano. Tra gli scrittori di tale periodo: Gialāl Āl-i Aḥmad, Ṣ. Ciūbak, ‛A.M. Afghānī, Giamāl Mīr Ṣādīqī. Il racconto, più del romanzo, meglio si prestò alla riproduzione letteraria del quotidiano: spiccano in questo senso Gulestān, Tunkābunī, Daulatābādī e altri.
Le novità più consistenti si ebbero sul versante della poesia, che alla fine degli anni 1950 vide la nascita della shi‘r-i nau («poesia nuova»): la struttura tradizionale del verso fu scomposta e riadattata secondo procedimenti di riduzione e ampliamento delle antiche leggi formali. Precursore e caposcuola era stato Yūshīǵ, e Shāmlū ne fu il più diretto erede. I poeti di questa scuola, che ebbe il momento di maggior fioritura negli anni 1960-70, manifestarono molteplicità di tendenze: al lirismo d’ispirazione tradizionale, anticipato da M. Āzād e da Umīd, e perfezionato dal neoromantico N. Nādirpūr, si contrappose la negligenza formale di gusto tardo-simbolista e surrealista dei poeti della naug-i nau (dal francese nouvelle vague), fra cui spicca Aḥmadī. Un posto particolare occupa la poetessa F. Farrukhzād, che di questa scuola offre la sintesi più equilibrata. Nel teatro il tentativo fu quello d’innestare le forme di provenienza occidentale, dal simbolismo all’assurdo, su un filone locale e tradizionale. Al riguardo è interessante l’opera di B. Beizā’ī e di Na‛albandiyān. Nel 1967 la televisione nazionale organizzò il primo Festival delle arti di Shiraz e nel corso del festival internazionale del cinema (1970) i film iraniani riscossero un notevole successo.
Fu avviato dall’atmosfera di aspettative e di speranze suscitate dalla rivoluzione (1979), che richiamò in patria numerosi letterati e intellettuali. Con l’avvento del regime islamico, molte speranze andarono deluse; numerosi letterati lasciarono l’I. per continuare la propria attività all’estero (Sā‘idī, Tunkābunī ecc.), altri restarono scegliendo la via del silenzio (Ṣ. Ciūbak) o del compromesso (Barāhinī, Daulatābādī, Shāmlū). In poesia, a parte qualche voce isolata, grande fu l’influenza della rivoluzione islamica. La prosa, invece, non sembra discostarsi dalle tendenze dell’epoca precedente, come emerge in Sālārīhā («I comandi generali», 1979) di B. ‛Alawī; in Kelīdār (1979) di Daulatābādī, in Zamīnsukhte («Terra bruciata», 1982) di Aḥmad-i Maḥmūd. Per il teatro la produzione è circoscritta, ma soprattutto influenzata dalla censura di regime da un lato, e dall’altro dalla pedissequa imitazione dell’Occidente, senza alcuna considerazione per una degna continuazione delle esperienze culturali e letterarie di un Islam non di regime, ma progressista e illuminato.
Fra la fine del 20° sec. e l’inizio del 21° in poesia si sono segnalati H. Ibtihāġ, distintosi per l’impegno sociale e per uno stile particolarmente raffinato (Yādgār-i khūn-i sarw «In ricordo del sangue del cipresso», 1990); S. Kasrā‛i, autore di versi ispirati ai grandi miti dell’I.; Umīd, che ha descritto la natura e la vita quotidiana nella sua poesia percorsa da una vena di pessimismo. Il cammino tracciato da Nīmā Yūshīǵ, tuttavia, non è stato seguito da tutti i poeti: percorsi autonomi hanno scelto Farshidwār, che ha preferito tornare alla prosodia classica, e la poetessa S. Bihbahāni (York dariceh āzādī «Una ventata di libertà», 1995), che si autodefinisce indipendente. Strade ancora diverse hanno esplorato altri poeti: F. Tawallulī, con poesie caratterizzate da una ricerca di nuove espressioni e specchio di mutevoli sentimenti individuali e collettivi; S. Sepehrī, in cui si fondono attitudine poetica e pittorica con risultati di notevole interesse; M. Āteshi, con liriche ricche di emotività; M. ‛A. Sepānlū, con versi melodici e disseminati di metafore (-i umīd wa haykal-i tārik «L’ora della speranza e il corpo del buio», 1989). Nel panorama generale spicca, infine, Y. Royā‛i, caposcuola della corrente letteraria shi‛r-i ḥaǵm («poesia di volume»): affascinato dall’universo delle forme e delle strutture, ha pubblicato una raccolta di poesie, Edges of poetry (1995), con il testo persiano a fronte. Nella prosa, si è affermata una generazione di scrittori tra i quali: E. Ṭabarī; M. Zamānī Niyā, che si distingue per la grande attenzione e sensibilità con cui si volge al mondo rurale in Kuč-i Ismā‛īl («La fuga di I.», 1985), raccontando, attraverso il destino di un adolescente orfano, la vita affettiva e sociale di un intero villaggio; I. Faṣīḥ, che, in Thorayyā dar ighmā’ («T. in coma», 1983), descrive la vita della diaspora iraniana a Parigi; B. Ṣādiqī, autore di racconti brevi caratterizzati da una spiccata vena ironica; S. Pārsipur, che è stata arrestata dopo l’apparizione di Zanān bedun-i mardān («Donne senza uomini», 1989), da cui è stato tratto l’omonimo film di S. Neshat (2009); M. Rawānipur, che nei suoi romanzi, ambientati nel Golfo Persico, non nasconde le difficoltà di essere donna e scrittrice (Dil-i fulad «Cuore d’arciere», 1991); infine, P. Sulaymānī, del quale sono stati pubblicati in Italia i volumi di racconti Ricordo del sole (1984) e Inchiostro di Aqajan (1993).
Nonostante la ricchezza e la vivacità del panorama, la letteratura dell’I. non ha ancora trovato un proprio spazio in campo internazionale, a causa dell’isolamento di cui soffre tutta la cultura iraniana. Da questo punto di vista, un caso a parte in termini di visibilità è quello della sceneggiatrice e disegnatrice M. Satrapi, residente in Francia, che con Persépolis (4 vol., 2000-03), graphic novel di carattere autobiografico divenuto film d’animazione (2007), ha portato alla ribalta le problematiche dello sradicamento dell’intellettuale iraniano emigrato.
In epoca protostorica la fisionomia culturale di questo territorio diviene più marcata, determinandosi singole specificità corrispondenti alle diverse regioni. Tale condizione rende piuttosto labile la prospettiva di una lettura unitaria, nonostante le grandi formazioni politiche nate sul suolo iranico. Vengono considerate così le singole culture regionali, tra cui anche quelle di alcune aree centroasiatiche (oggi comprese in Azerbaigian, Afghanistan o Turkmenistan) che in determinati momenti storici erano aggregate politicamente all’altopiano iranico.
Nel Neolitico tardo e nel Calcolitico alcuni insediamenti dell’altopiano centrale (Tepe Siyalk, Zagheh, Tepe Ghabrestan, Chashma-i Ali, Tepe Hissar, Sang-i Chakhmaq, Morteza Gerd, Shir-i Zhian) svilupparono una serie di culture strettamente collegate tra loro. Dai reperti di questo periodo si possono individuare due tipi di ceramica locale: la Zagheh Ware e la Plum Ware. Riguardo all’area di frontiera indo-iranica (Belucistan), è stato possibile evidenziare un carattere sostanzialmente locale e autonomo delle culture e civiltà protostoriche.
Nel Bronzo Antico (2900-2400 a.C.) l’I. occidentale e la regione degli Zagros risentirono fortemente del collasso delle entità Stato con conseguente forte calo demografico e modesta produzione ceramica. L’altopiano centro-orientale fu invece sede di intensi processi di urbanizzazione e di sviluppo dell’agricoltura, allevamento e artigianato (Tepe Hassar, Shah Tepe, all-i Iblis, Tepe Yahya, Mundigak, Shahr-i Sokha). Con il Bronzo Medio (2400-2000 a.C.), nelle regioni dell’Asia centro-meridionale, connesse da inediti processi di integrazione economica, si osservano innovazioni e trasformazioni di vasta portata (per es., produ;zione ceramica a carattere protoindustriale). Nella regione di Kerman, i ricchi corredi delle tombe di Shahdad testimoniano la prosperità di questo centro. L’affermazione di Stati arcaici ricchi e potenti è riflessa anche dal sorgere in alcuni centri di imponenti strutture terrazzate in mattone crudo, in posizioni dominanti sui centri urbani (Susa, Turang Tepe, Tepe Siyalk, Mundigak). Il tesoro di Asterabad (Turang Tepe) e quello di Fullol (Afghanistan) testimoniano le ricchezze e l’amore per il lusso dei ceti più elevati. Nelle regioni centro-orientali il periodo del Bronzo Tardo (2000-1500 a.C.) coincise con una generalizzata e drammatica crisi urbana e demografica. Nelle aree occidentali le comunità protourbane conobbero invece una fase di prosperità (Anshan). Forse al 18° sec. a.C. risalgono alcuni rilievi rupestri monumentali scolpiti in Fars (Kurangun, Naqsh-i Rustam) e nella piana di Izeh.
L’età del Ferro (1350-300 a.C.) rappresenta uno dei periodi più controversi e complessi della storia dell’I. antico, ma al contempo con essa si assiste a una importante accelerazione culturale. La diversità culturale delle varie aree si accentua. Ricche testimonianze di cultura materiale provengono da necropoli (Marlik, Khurvin, Kalar Dash, Amarlu, Arzan) e dalla lunga sequenza cronologica della cittadella di Hasanlu.
Fra i dinasti achemenidi (6°-4° sec. a.C), Dario diede particolare impulso all’attività edilizia nei centri storici di Susa e Babilonia e, soprattutto, nella fondazione di Persepoli, dove l’architettura achemenide trovò definitiva affermazione nei complessi palaziali. Qui, lo spazio dilatato in una singola aula ipostila quadrata centrale con vani minori laterali e il porticato colonnato a due file di colonne, richiamano le planimetrie dei palazzi faraonici di Menfi e Medinet Habu, e si integrano con elementi delle culture dell’I. settentrionale (palazzo di Hasanlu, Tepe Nush-i Jan e Godin Tepe). I palazzi presentavano una ricca decorazione dipinta; fra quella pervenutaci da Susa vi è una processione di guardie reali rese con una vivace policromia delle vesti e un’analitica descrizione dei particolari. Molto diffusa la produzione di avori e di sigilli cilindrici, caratterizzati, questi ultimi, da un repertorio limitato e ripetitivo (sfingi alate, capridi accovacciati dalle lunghe corna).
Con la conversione all’islamismo (➔ islam), l’arte iranica non ruppe completamente con il passato, ma conservò nel suo ambito parte dell’antico patrimonio iconografico, che subì un processo d’islamizzazione per il quale ciò che prima aveva significato simbolico ebbe d’ora innanzi una funzione esclusivamente decorativa. Quasi nulla rimane dell’epoca omayyade. In architettura può parlarsi di uno stile ufficiale abbaside (parti più antiche della moschea maggiore di Esfahan, 760 ca., e della moschea di Shiraz, 871). Le arti minori si mantennero fedeli alla tradizione sasanide (oggetti d’argento e di bronzo: vasi per abluzioni, brocche), dell’8°-11° secolo. Nell’industria serica e nella ceramica si osserva una rinnovata vitalità (ceramica samanide, 9°-10° sec.).
Con i Selgiuchidi (11°-13° sec.) in architettura si svilupparono alcune tipologie iraniche tradizionali; il contributo più notevole è rappresentato dalla trasformazione della moschea ipostila nel cosiddetto tipo di moschea-madrasa (➔ islam): primo esempio è quello della moschea di Zawāre (1135-36). Tuttavia tale modello divenne caratteristico dell’I. successivamente, con gli Īlkhān (moschea di Varamin, 1332-36). Nell’architettura funeraria si seguì sia il modello a torre (Damghan, 1056; Kharraqa, 1067-93) sia quello a cupola su base quadrata (mausoleo di Sultan Sanjār a Merv, 1157). L’architettura civile è nota dai palazzi gasnavidi dell’Afghanistan e dai caravanserragli. Nella decorazione architettonica degli esterni prevale quella in mattone tagliato e scolpito con ornati geometrici e vegetali, o con inserti in stucco scolpito e dipinto. Notevole la decorazione epigrafica monumentale con tipologie originali come il cufico bordato del Khorasan. Negli interni si fece largo uso dello stucco. In area iranica si sviluppò il tipico partito decorativo a muqarnas (stalattiti), poi comune nell’Islam. Perduta la grande pittura parietale, della miniatura resta un manoscritto di un romanzo (12° sec.). La metallistica fiorì nel Khorasan, dove al rinnovamento delle forme si accompagnò lo sviluppo della tecnica dell’incrostazione in rame e argento su bronzo. Grande qualità raggiunsero le officine ceramiche (Kashan e ar-Rayy) con la decorazione a lustro metallico e le ceramiche policrome (mina’i). Si affermò la decorazione parietale in mattonelle di ceramica smaltata.
Con il periodo degli Īlkhān (13°-14° sec.) l’architettura si sviluppò in senso monumentale e si fece largo uso della decorazione in mosaico ceramico (mausoleo di Oljaitu 1304-13 a Sulṭāniyya, moschee di Tabriz, 1310-20, di Forumad, 1320 e di Varamin). Si introdussero motivi e iconografie estremo-orientali (peonia, fenice, nuvole) e uno stile sinizzante, nei paesaggi delle miniature e nelle proporzioni slanciate delle figure. Centro della produzione pittorica fu Tabriz, la capitale. In ceramica si continuò la tradizione selgiuchide con apporti estremo-orientali (produzione di metalli a Shiraz).
Con i Timuridi l’architettura non propone invenzioni nuove, ma presenta proprie variazioni, con una ricerca di armonia delle proporzioni anche nel colossale. Si crea la cupola a bulbo su alto tamburo; i rivestimenti fasciano i monumenti sia negli interni che negli esterni. Particolare fortuna ebbe la miniatura (Herat e Shiraz). L’arte tessile sotto l’influenza cinese affinò tecniche e repertorio; grande sviluppo ebbe l’arte del tappeto, che dal 15° sec. elaborò il tipo a medaglione. I ceramisti produssero interessanti imitazioni dei prodotti cinesi, nello stile blu su bianco.
La dinastia Safavide (1502-1736) segna un periodo molto florido, e l’architettura ne rappresenta uno degli aspetti più significativi, anche se nel complesso non rinnova i suoi schemi (moschea dello Shāh, 1611, e dello Shaykh Luṭf Allāh, 1603-17, a Esfahan). Nell’edilizia palaziale si ritorna a una concezione asiatica di tradizione nomade, nella quale le funzioni sono disaggregate: il palazzo si frantuma in padiglioni distribuiti in un grande parco, come era quello di Esfahan (1588-1629). Notevole l’attività nell’edilizia civile, con ponti e caravanserragli. La miniatura ebbe grande fioritura a Tabriz (16° sec.), nella nuova capitale Esfahan e a Shiraz. Di qualità eccellente la produzione tessile: veli serici, broccati d’oro e d’argento, velluti. Tutti i settori delle arti minori hanno eccellenza artistica. La ceramica ricevette impulso dall’imitazione del blu e bianco cinese, che portò alla nascita di uno stile, il cinese internazionale di impronta iranica, particolarmente diffuso in Turchia. Il gusto per la porcellana destinata all’arredamento incoraggiò il collezionismo e favorì lo sviluppo di un nuovo partito decorativo architettonico, la ‘parete con nicchie vasiformi’.
Con il 18° sec. l’arte iranica entra in crisi. Tuttavia con i Qāgiār affiorano motivi popolareschi, anche se di qualità modesta, che danno forza comunicativa alle opere di pittura. Influenze europee, rilevabili nell’opera di M. Khan e M. Ghaffari, all’inizio del 20° sec. sono superate da un richiamo alle scuole tradizionali (H. Bihzad).
Con i Pahlavī, l’arte iranica è inserita nel più vasto panorama mondiale. Nel 1964 il Club degli artisti, fondato nel 1946, si trasforma in ministero delle arti e delle culture, accogliendo artisti di tutti i settori. Al periodo prerivoluzionario, ispirato soprattutto alla tradizione miniaturistica e calligrafica, appartengono Sepehrī, M. Oveissī e F. Pilaram, oltre al gruppo Saggakhāne, fondato da H. Zanderudī e P. Tanavolī negli anni 1970.
Il periodo postrivoluzionario è caratterizzato invece da un’arte insieme rivoluzionaria e islamica, dove prevalgono opere grafiche dedicate ai temi della guerra e del martirio, spesso collettive e anonime. Tra le personalità contemporanee di rilievo è S. Neshat, trasferitasi negli Stati Uniti, che si è imposta all’attenzione internazionale per i suoi intensi video. In architettura vi è un ritorno a valori tradizionali e a tipologie classiche: Centro di studi professionali (N. Ardalane, 1972), Museo di arte contem;poranea (Ardalane e K. Diba, 1976) e moschea di al-Qādir (1977-87) a Teheran; nuova città di Shūshtar (Diba, 1976-87); mausoleo dell’ayatollah Khomeinī (1989) a Teheran. Allo scorcio del 20° sec., tra le figure di orientamento internazionale spicca l’architetto del paesaggio Mehrdad Iravanian (a Shiraz: Porta del Corano, 1995; Parco Chamran, 1998; Casa N.3, 2002).
Nell’antica Persia la musica svolse un ruolo di grande importanza sia nei riti sacri sia nelle cerimonie civili e militari. Le corti dei re iranici favorirono il canto e la musica espressa con strumenti come l’arpa (chang), la pandora (tanbur), i liuti (barbat, rubab), i flauti (ruyin nay), i corni e le trombe (karranay, shaipur), i tamburi (kus) ecc. Non si hanno tuttavia notizie precise sulla teoria musicale dell’I., a causa dell’inesistenza di trattati specifici. Famosi musicisti nel periodo di maggiore splendore della dinastia sasanide (3°-4°sec.) furono Barbad di Fars, Angisiyya e Al-Nadr (m. 624); celebri furono anche le cantatrici-arpiste Azada e Shirin. Attraverso l’importante centro di al-Hira, capitale dei Lakhmidi, la musica iranica penetrò nei paesi arabi e condizionò lo sviluppo successivo della musica islamica. Il primo musicista dell’Islam fu Tuwais (m. 710), esperto imitatore di melodie iraniche. In seguito i caratteri nazionali della musica iranica si fusero con quelli arabi e rimase uno stile islamico unico, tuttora adottato.
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