Il movimento di lotta popolare, politica e militare che si determinò durante la Seconda guerra mondiale (1939-45) nelle zone occupate dagli eserciti tedesco e italiano contro gli invasori esterni e contro i loro alleati interni e che a seconda dei paesi ebbe caratteristiche, finalità e anche intensità diverse.
Durante la Seconda guerra mondiale in tutti i paesi europei invasi dai Tedeschi e, fino all’8 settembre 1943, dagli Italiani si svilupparono movimenti di opposizione agli occupanti e agli elementi locali che si erano posti in vario modo al loro servizio (v. fig.). Le diverse situazioni di partenza dei singoli paesi e le diverse finalità perseguite consentono di tracciare una tipologia delle varie r. in Europa. La prima distinzione è quella fra i paesi che prima della guerra godevano di un assetto politico e sociale di tipo democratico sufficientemente stabile e i paesi per i quali la guerra e l’invasione furono invece la causa di profondi sconvolgimenti interni e nei quali la R. si nutrì conseguentemente di progetti di innovazione più o meno incisivi, fino ad assumere alcuni caratteri di guerra civile. Appartengono al primo gruppo la Norvegia, che pure ebbe in V. Quisling il prototipo del collaborazionista, la Danimarca, i Paesi Bassi e il Belgio, anche se in quest’ultimo paese l’esistenza di una questione nazionale fra Valloni e Fiamminghi generò particolari tensioni. All’estremo opposto, in Iugoslavia, lo smembramento dello Stato voluto dagli Italiani e dai Tedeschi scatenò violentissime lotte politiche, sociali ed etniche, dalle quali emerse l’egemonia della R. comunista sotto la guida del maresciallo Tito. Anche in Grecia la R. fu caratterizzata da aspri conflitti intestini, premessa della guerra civile che devastò il paese dal 1945 al 1949. In Francia la Terza Repubblica, travolta e umiliata dalla sconfitta del giugno 1940 che aveva portato al potere il governo collaborazionista di Vichy, fu considerata dai resistenti un assetto politico e istituzionale che andava superato. Diverso è il caso della Polonia, annientata dall’occupazione come Stato e come nazione; e diverso ancora quello dell’Unione Sovietica, dove a non irrilevanti fenomeni di collaborazionismo nelle zone occupate dai Tedeschi fece riscontro, nelle stesse zone, una R. che ebbe come punto di riferimento uno Stato non sconfitto. Nei paesi satelliti dell’Asse, quali la Romania, l’Ungheria e la Slovacchia, la R. dovette aprirsi la strada con particolare sforzo.
Inquadramento temporale. In Italia come altrove la R. fu anzitutto un movimento di liberazione dall’invasore nazista. Al contempo, però, essa fu lotta contro le forze interne (la Repubblica sociale italiana) che collaboravano con l’esercito occupante; in questo senso assunse anche la natura di guerra civile. Il movimento di R., pur diviso al suo interno da differenti opzioni politiche, costituì una cesura con il passato fascista e un fondamentale momento della costruzione della nuova Repubblica democratica, che sarebbe nata nel 1946. Ebbe inizio dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando il paese si trovò tagliato in due: a S di Salerno (e poi della linea del fronte stabilizzatasi sul Garigliano nell’inverno 1943-44) vi erano gli Anglo-Americani e il governo alleato del maresciallo P. Badoglio; a N i Tedeschi, che riportarono al potere B. Mussolini. Perciò, se si eccettuano alcuni episodi delle prime settimane, quali per es. le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943), la R. ebbe luogo principalmente nell’Italia centro-settentrionale – occupata dai Tedeschi sostenuti dai fascisti della Repubblica di Salò – sotto la direzione del Comitato di liberazione nazionale (CLN), che riuniva i risorti partiti antifascisti e le correnti monarchiche. Il maggior contributo alla R. venne dai giovani delle classi richiamate alle armi dalla Repubblica sociale italiana, che scelsero di confluire nelle brigate partigiane e nelle altre organizzazioni di lotta, nonché da militanti e dirigenti di tutti i partiti antifascisti. Momenti culminantio della R. furono l’insurrezione e la liberazione delle grandi città del Nord nell’aprile 1945, in taluni casi prima dell’arrivo degli eserciti alleati.
Organizzazione politica e militare. Organismi di direzione politica della R. furono i CLN, composti dai partiti antifascisti: il Partito liberale, la Democrazia cristiana, il Partito d’azione, il Partito socialista italiano di unità proletaria, il Partito comunista italiano; a Roma e nel Mezzogiorno fece parte dei CLN anche la Democrazia del lavoro, piccola formazione, poi rapidamente scomparsa. A Roma risiedeva il CLN centrale, costituitosi subito dopo l’8 settembre e presieduto da I. Bonomi; a Milano il CLNAI (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, presieduto da A. Pizzoni), che venne assumendo la fisionomia di governo clandestino dell’Italia occupata. CLN regionali, provinciali, comunali, di quartiere coprivano tendenzialmente l’intero territorio nazionale; comitati di fabbrica e di categoria completavano la rete. Il 7 dicembre 1944 i rappresentanti del CLNAI stipularono con il comando alleato i «protocolli di Roma», che regolavano i rapporti fra R. e Alleati, soprattutto in vista della fase di trapasso, che gli Alleati volevano si svolgesse sotto il loro diretto controllo.
In un primo momento, la R. fu formata da bande sorte spontaneamente, soprattutto fra i militari sbandati dopo la catastrofe dell’8 settembre, e/o per iniziativa del Partito comunista e del Partito d’azione. Molte di queste bande non ressero all’impatto dei primi rastrellamenti e del primo inverno. Per sopravvivere ed espandersi, le bande dovettero sottoporsi a un processo di militarizzazione e insieme di politicizzazione. Nacquero così distaccamenti, brigate, divisioni, con organici naturalmente ridotti rispetto alle formazioni di ugual nome del dissoltosi regio esercito.
Le formazioni più numerose e presenti in tutto il territorio furono le Brigate Garibaldi; seguivano le Brigate giustizia e libertà, forti soprattutto in Piemonte. Le prime avevano come referente politico il Partito comunista, le seconde il Partito d’azione; ma questo non significa che esse fossero composte integralmente, e talvolta nemmeno prevalentemente, da comunisti o da azionisti. Le Brigate Matteotti facevano riferimento, in modo analogo, al Partito socialista.
Importanti furono anche le formazioni partigiane autonome, che non si riconoscevano in nessun partito e davano alla lotta un significato soprattutto militare: le maggiori furono le divisioni alpine delle Langhe, le Fiamme verdi del Bresciano e le divisioni Osoppo del Friuli. Cattolici e liberali trovarono spesso negli autonomi la loro spalla militare. Nelle città agirono le SAP (Squadre di Azione Patriottica), che miravano ad avere un carattere di massa, e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), piccoli nuclei di audacissimi combattenti, votati alla totale clandestinità. Poco alla volta si venne costruendo un organismo unitario anche per la direzione militare della lotta: il Corpo Volontari della Libertà (CVL), con un comando generale costituito nel giugno 1944; una unificazione ufficiale di tutte le formazioni si ebbe soltanto il 29 marzo 1945, ma rimase in larga parte sulla carta. Anche l’unificazione, oltre a essere un obiettivo dettato da esigenze operative, era parte di un programma politico di controllo della R. da parte del governo di Roma e delle varie componenti del CLN fra di loro, controllo peraltro attuabile solo tenendo conto dei reali rapporti di forza. Ne fa fede la composizione, a partire dal 3 novembre 1944, del comando generale del CVL: comandante fu il generale R. Cadorna, paracadutato dal Sud fin dall’agosto nella veste di consulente militare; vicecomandanti il comandante delle Brigate Garibaldi (L. Longo, comunista) e quello delle Brigate giustizia e libertà (F. Parri, azionista, sostituito dopo il suo arresto da F. Solari). Capo e vice capi di Stato maggiore furono, con vari mutamenti di persona, un socialista, un democristiano e un liberale.